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LE BUGIE SULL’ALLUVIONE E LA MELINA SUL SALARIO

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

IL GOVERNO NON HA SOLDI E SI BUTTA SUL CNEL

Rinviare, improvvisare, polemizzare. E quando non ci sono altre opzioni? Allora tocca far finta di niente.
Dopo ormai dieci mesi di attività, il governo è alle prese con margini economici ristretti, così deve adottare tutti i diversivi possibili, dedicandosi alla dilatazione dei tempi – con i dossier caldi che slittano a ottobre e novembre – o cercando soluzioni estemporanee. Un esempio è la tassazione sugli extraprofitti che ha richiesto ravvedimenti operosi nelle spiegazioni da parte del Mef di Giancarlo Giorgetti. Il d
Così per Giorgia Meloni è necessario cercare, appena possibile, l’appiglio per la polemica, la costruzione di avversari veri o immaginari, che siano le opposizioni, gli amministratori locali, ma anche la stampa e la magistratura. Uno scontro programmato addirittura su temi sensibili, su tutti la ricostruzione post alluvione in Emilia-Romagna.
La premier Giorgia Meloni se l’è presa con il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, reo di aver denunciato i ritardi nell’erogazione dei fondi necessari agli interventi sul territorio e al ristoro di imprese e famiglie. «Critiche ingiuste: il governo ha già stanziato 4 miliardi e mezzo di euro», ha replicato piccata.
Tutto vero, ma pesa un’abile omissione: i soldi devono ancora arrivare agli enti locali. «A oggi gli unici contributi arrivati ai cittadini sono quelli decisi da Regione e Protezione civile nazionale, mentre famiglie e imprese attendono gli indennizzi», ha replicato Bonaccini.
TAVOLONI E PASSERELLE
Sull’alluvione la premier elude pure la richiesta di incontri con gli amministratori locali, rinnovata dal sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, che non vogliono una passerella. Servono impegni precisi: nessuna “strategia del tavolone”, come quella messa in atto sul salario minimo. Perché su questo punto, altrettanto caldo, il vertice di giovedì scorso è servito a consegnare alla stampa qualche fotografia e la sfilata per le dichiarazioni.
Non ha prodotto nulla di concreto, eccetto la controproposta di traccheggiare per un paio di mesi di tempo, affidando il dossier al Cnel, oggi guidato dall’ex ministro Renato Brunetta, che si ritrova d’un tratto in auge dopo anni di campagne politiche per chiederne l’abolizione. Dovrebbe istruire la pratica in piena estate. E pazienza se i due mesi, indicati al termine dell’incontro, sono già dimezzati dalla pausa agostana. Brunetta e i consiglieri del Cnel dovranno andare spediti a settembre e indicare una possibile mediazione sul salario minimo.
Anche se, in fondo, il Cnel si è già espresso: un mese fa ha depositato una memoria di 13 pagine alla Camera dopo l’audizione in commissione Lavoro. Al massimo si potrà approfondire quel documento, nulla di più. Servirà quantomeno a Meloni per rivendicare il dialogo. I sondaggi hanno messo alle strette Palazzo Chigi: la questione salariale è sentita nel Paese, la maggioranza non può buttarla sul “no pregiudiziale”.
Solo che il governo non ha proposte: l’aumento degli stipendi dei lavoratori non è all’ordine del giorno. La destra al potere preferisce accarezzare il sogno recondito della flat tax mentre tende la mano agli evasori fiscali. Tutto a misura di ricchi.
Solo che il bagno nella complessità dei problemi reali porta a sbattere contro il nodo dei rincari che stanno divorando il potere d’acquisto. Le stime di luglio indicano un contrazione dello 0,3 per cento del Pil e un aumento della crescita del carrello della spesa del 10,4 per cento. Continuano le difficoltà alle famiglie, mentre il governo fa spallucce. In questo clima, la figura di Mr. Prezzi, incarnata oggi da Benedetto Mineo, resta un’entità astratta per i cittadini comuni. Mineo ha convocato i produttori, avviato dialoghi. I vertici non hanno prodotto le solite buone intenzioni per il futuro. E il periodo di vacanze per gli italiani resta un salasso. Una bocciatura per il garante sulla sorveglianza dei prezzi, che a 15 anni dalla sua istituzione è costata circa un milione e mezzo, solo per i compensi ai vari Mr. Prezzi che si sono susseguiti, da Antonio Lirosi a Mineo, senza lasciare traccia.
Per quanto si tratti di una divisione interna al ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit), prima Sviluppo economico (Mise), conta su un personale dedicato, a cominciare dal garante che è un dirigente di prima fascia del dicastero. Mineo ha una retribuzione di 114mila euro, almeno più bassa dei predecessori. Intanto da gennaio 2023 è diventato segretario generale del Mimit, coronando la cavalcata iniziata a inizio degli anni Duemila da capo gabinetto vicario del presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, che lo ha poi spinto al vertice della società Riscossione Sicilia, l’Equitalia dell’isola.
Dall’Udc alla Lega il passo ha richiesto un decennio. Nel 2018 è stato nominato direttore dell’Agenzie delle Dogane, con la benedizione di Giancarlo Giorgetti, che lo ha voluto come Mr. Prezzi quando era al Mise con il governo Draghi. Il successore Adolfo Urso lo ha confermato nonostante l’impalpabilità di una struttura potenziata più volte, di recente anche dall’esecutivo di Meloni. L’inflazione che galoppa è così la metafora di un governo inerte sul caro-benzina, ma che lascia l’economia senza carburante nel motore.
(da agenzie)

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“HA ORDINATO L’ATTENTATO CONTRO IL GIORNALISTA GERVASUTTI”: INDAGATO A VICENZA L’EX SENATORE LEGHISTA ALBERTO FILIPPI

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

L’EPISODIO FA PARTE DI UN’INCHIESTA SULLA ‘NDRANGHETA CALABRESE NELLE PROVINCE DI VICENZA E VERONA

Un ex senatore leghista vicentino, Alberto Filippi, è accusato di essere il mandante dei cinque colpi di pistola che, nell’estate del 2018, furono esplosi contro l’abitazione del giornalista padovano Ario Gervasutti, ex direttore del Giornale di Vicenza, oggi capo redattore de Il Gazzettino. L’elemento emerge nel filone di inchiesta condotto dalla procura antimafia di Venezia sull’infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese nelle province di Vicenza e Verona.
Indagini che hanno fatto emergere un sistema di estorsioni, rapine, sequestri di persona, furti, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, illecita detenzione di armi, minacce, lesioni, violenze private e truffa.
Sono 43 le persone finite sotto accusa per vari reati. Tra queste, spiega oggi Il Messaggero figura anche Filippi, 57 anni, residente ad Arcugnano, noto imprenditore, senatore fino al 2013 ed espulso dalla Lega nel 2011.
I pm antimafia Lucia D’Alessandro e Stefano Buccini gli contestano tre capi d’imputazione, relativi a due episodi diversi. Il primo riguarda proprio l’intimidazione che ha ricevuto il giornalista Gervasutti il 16 luglio del 2018, quando attorno all’1.45 di notte furono esplosi cinque colpi di pistola contro la facciata della sua abitazione a Chiesanuova. Per i pm Filippi avrebbe incaricato, dietro compenso in denaro, Santino Mercurio, 65 anni, calabrese di Capo Rizzuto, che ha confessato di aver eseguito l’atto intimidatorio dopo lunga preparazione. Mercurio stesso ha fatto il nome dell’ex senatore durante le deposizioni, a provarlo ci sarebbero anche alcune intercettazioni telefoniche.
Per questo episodio sia a Filippi che a Mercurio vengono contestati i reati di minaccia con l’uso delle armi, «con l’aggravante di aver agevolato l’attività di un sodalizio mafioso, accrescendone la capacità operativa, economica e la forza di intimidazione». Il giornalista avrebbe fatto alcuni articoli sull’azienda dell’ex senatore Unichimica, riguardo al “caso Cis”, un affaire di cambio destinazione d’area della società.
«Sono allibito, sconcertato e incredulo – ha dichiarato Gervasutti apprendendo la notizia – ma soprattutto sono sollevato grazie al grande lavoro degli inquirenti».
Nel secondo episodio contestato dalla procura Filippi, assieme a Santino Mercurio, Domenico Mercurio, 53 anni, di Crotone, e al veronese Stefano Vinerbini, 39 anni, di Zevio, è accusato anche di concorso in estorsione e danneggiamento a seguito di incendio, con l’aggravante mafiosa, per il danneggiamento di alcuni beni della società Toscolapi srl, di Castelfranco di Sotto (Pisa).
Un atto intimidatorio – spiega il Messaggero – che avrebbe avuto lo scopo di indurre i titolari alla risoluzione di una controversia di natura economica. Dopo l’estate la Procura è intenzionata a chiedere il rinvio a giudizio.
(dsa agenzie)

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TURNI DI 60 ORE A SETTIMANA E STRAORDINARI NON PAGATI: I RACCONTI DEI LAVORATORI SFRUTTATI

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA IN EMILIA-ROMAGNA: “INCOLPANO IL REDDITO DI CITTADINANZA, POI FATTURANO TUTTO IN NERO”

Otto su dieci dichiarano di lavorare più ore rispetto a quelle previste dal contratto. E queste ore “extra”, per quasi la metà dei lavoratori, non vengono retribuite. Ma non solo.
Emerge questo e tanto altro dal progetto ‘Zero schiavi in riviera’ lanciato dalla Uiltucs Emilia-Romagna, sindacato di categoria della Uil che rappresenta i lavoratori del terziario, turismo, commercio e servizi. Il sondaggio, creato in collaborazione con l’ufficio vertenze, è nato per dare voce a chi lavora in attività stagionali della riviera Romagnola, raccogliendone le testimonianze e offrendo allo stesso tempo un supporto a chi vuole conoscere e difendere i propri diritti.
Negli ultimi anni è nato un forte dibattito riguardo al tema del lavoro stagionale nel settore turistico, che ha fatto emergere posizioni contrapposte.
Quella imprenditoriale, che lamenta carenza di manodopera formata e che sostiene che i giovani “non hanno più voglia di lavorare” e di “fare la gavetta”. E quella dei lavoratori, giovani e non, che denunciano un sistema fatto, troppo spesso, di condizioni di lavoro al limite dello sfruttamento, paghe non rispettose del minimo contrattuale e orari pesanti. Prima dell’inizio della stagione in un’inchiesta per Today abbiamo provato a candidarci ad alcune offerte nel settore, portando alla luce tante irregolarità, non solo in Romagna ma anche al sud Italia.
E quello che emerge dal sondaggio Uil – al quale è ancora possibile rispondere rilasciando la propria testimonianza anonima – conferma quanto rilevato dalle inchieste. Al momento i lavoratori di hotel, bar, ristoranti e stabilimenti balneari che hanno deciso di prendere parte al progetto sono circa 70, ma il sindacato si aspetta che molte altre risposte arriveranno a fine stagione, quando i lavoratori si presenteranno per fare richiesta per la domanda di disoccupazione.
Quasi 8 su 10 lavorano più ore rispetto al contratto, molti senza retribuzione
Di questi 70 lavoratori, il 79% dichiara di lavorare più ore rispetto a quelle contrattualmente previste. “È il problema dei contratti che non rispecchiano la realtà” spiega Maura Zavaglini, responsabile dell’ufficio vertenze della Uil di Ravenna. “Molto spesso i lavoratori sono inquadrati part-time o a chiamata, a fronte di prestazioni full time e oltre. Questo determina anche un risvolto negativo sui contributi Inps ai fini della disoccupazione e della pensione”.
Ma non è tutto: dal sondaggio emerge come, per il 41% dei lavoratori, le ore “extra” non vengano retribuite. Anche quando invece vengono pagate, solo il 39% dichiara di ricevere il compenso in busta paga, mentre per il restante 61% sono pagate con gli ormai famosi “fuori busta”. Se si guarda poi alla paga oraria, si scopre che la tariffa per le ore extra fuori busta (se si ha la “fortuna” di vedersele pagate) per il 22% dei lavoratori è meno di 5 euro netti all’ora, mentre per il 30% si assesta tra i 5 e i 7 euro. “Sono tariffe infime, considerando che un’ora di straordinario fuori busta dovrebbe essere pagata almeno 8 o 10 euro”, commenta la sindacalista.
“Il 50% delle persone dichiara tariffe da vero sfruttamento, considerando che il 41% spiega di non percepire pagamento per le ore extra che sono comprese nel forfait generale, che parte solitamente da 1300 euro per arrivare a 1500/1700 euro, ma bisogna considerare che all’interno di questo importo c’è tutto: tredicesima, quattordicesima, Tfr, ferie, permessi ed eventuali straordinari” continua Zavaglini. “È pertanto evidente che tale cifra quasi non copre la retribuzione complessiva prevista dal contratto collettivo del Turismo, che è scaduto a fine 2019. Se venissero retribuite tutte le ore lavorate, avremmo retribuzioni complessive sopra i 2000 euro netti al mese. Il problema è che viene richiesto a un solo lavoratore di effettuare prestazioni per due persone e, per di più, lo si retribuisce con tariffe più basse di quelle contrattuali. Gli imprenditori non possono lamentare che il costo del lavoro sia aumentato in tale settore, in quanto le retribuzioni sono ferme da anni, mentre ciò che continua ad aumentare sono le tariffe dei servizi e della ristorazione”.
Orari massacranti e giorni di riposo inesistenti
Se si guarda poi agli orari di lavoro, si scopre come essi siano davvero estenuanti: il 63% dei lavoratori stagionali, secondo l’indagine, lavora oltre il limite fissato dal contratto. Nello specifico, il 17,5% dichiara di lavorare più di 60 ore settimanali, il 19% tra le 50 e le 60 ore e il 27% tra le 40 e le 50. “Questo tema è importante anche in correlazione a quello della sicurezza sul lavoro” precisa la sindacalista Uil. “Se io lavoro 60 ore alla settimana e magari faccio anche il turno serale, in che condizioni torno a casa? In strada sono un pericolo per me e per gli altri”.
Correlato a questo tema c’è quello del giorno di riposo settimanale (lo ricordiamo, obbligatorio per legge): solo il 57,8% dei lavoratori stagionali della riviera Romagnola ne fruisce regolarmente. Il 25% dichiara di fruirne solo “a volte”, mentre il 17,2% non ha un giorno di riposo, ma lavora 7 giorni su 7 per tutta la stagione (che spesso parte a Pasqua e dura fino a metà settembre). L’84% dei lavoratori, comprensibilmente, dichiara di non sentirsi equamente retribuito, con il 74% di loro che ha pensato di licenziarsi prima della fine della stagione.
“Dai dati finora raccolti emerge chiaramente che non vi è una giusta remunerazione delle ore di lavoro svolto – conclude la sindacalista – Si pretendono prestazioni infinite non rispettando i diritti più basilari, sia in termini retributivi, sia riguardo al rispetto della normativa sull’orario di lavoro. Le persone non si sentono rispettate nei loro diritti minimi umani. C’è un risvolto sulla persona e sullo stato di salute fisico-psicologico: i maltrattamenti verbali, l’essere trattati male e umiliati dai datori di lavoro fa sì che i lavoratori poi, comprensibilmente, si orientino su altri settori”.
“Trattati come se non fossimo esseri umani, ma numeri”
E questa disperazione emerge chiaramente dalle dichiarazioni rilasciate nel sondaggio: “La paga è troppo bassa per la stanchezza mentale e fisica che si prova in stagione”, scrive un lavoratore. “Sfruttamento con pressione e poca retribuzione”, aggiunge un altro. “Lavoro circa 70 ore settimanali e la busta è riferita a 36 ore” descrive uno stagionale. “Il maggiore problema è che, anche se lavoro più del doppio delle ore, quanto mi viene riconosciuto non è il doppio, e in più mi vengono conteggiati meno contributi”. “Mi ha causato problemi di salute, ma dovevo farlo per bisogno”, testimonia un altro.
Oltre allo sfruttamento lavorativo, ciò che emerge è il trattamento (dis)umano riservato a questa categoria: “Nell’hotel dove lavoro i dipendenti vengono trattati come nemmeno esseri umani. Sono un numero e se hanno un problema non vengono nemmeno considerati. Umanità zero!”. Spiega un altro: “Esperienza assurda svolta tra maltrattamenti, mancati pagamenti delle ore straordinarie e veri e propri problemi sociali. Totalmente fuori dal comune e da una giusta sanità non solo morale, ma fisica. Contratto non rispettato”. “Mi fa ridere a crepapelle vedere gli imprenditori stagionali lamentarsi al telegiornale che non trovano personale” precisa uno degli intervistati. “Incolpano il reddito di cittadinanza e le persone che chiedono dignità vengono definite dei fannulloni, quando invece loro durante la stagione fanno talmente tanto fatturato in nero da comprarsi villette in contanti o se ne stanno in vacanza per tutto l’inverno con i soldi risparmiati grazie all’evasione fiscale e il non pagare adeguatamente i dipendenti. Ci vorrebbe più umanità in questo settore, perché noi stagionali siamo esseri umani, e non carne da macello da sacrificare per i loro comodi”.
(da today.it)

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PORTO CERVO, TURISTI PAGANO 60 EURO PER DUE CAFFE’ E DUE BOTTIGLIETTE D’ACQUA

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

MA ANCHE IN AUTOGRILLI PREZZI ASSURDI: 18 EURO PER DUE PANINI E UN’ACQUA

È l’estate degli scontrini roventi.
L’ultima segnalazione arriva da due lettori romani in vacanza in Sardegna. Ieri sera, intorno alle 20, sedersi al tavolino del bar Portico all’Hotel Cervo e ordinare due caffè con due bottigliette d’acqua gli è costato 60 euro.
Qualcuno potrebbe non sorprendersi, vista la location da cartolina, e va detto che insieme ai caffè sono arrivate anche due coppe di cioccolatini (come si vede nella foto che ci è stata inviata dai turisti romani).
Ma 3o euro per un caffè rimane una cifra decisamente sopra ogni ragionevole aspettativa. Così i due clienti hanno chiesto spiegazioni sulla cifra da pagare. «La giustificazione dei gestori – raccontano – è stata che non si tratta di un semplice caffè ma una esperienza. La realtà è però un caffe con acqua e 2 biscotti».
Non solo spiagge, la pausa pranzo costa cara anche in Autogrill
E la questione del caro-scontrino non sembra migliorare pur allontanandosi dalle spiagge e dalle mete più gettonate dei vacanzieri. Secondo Giustitalia anche la sosta per un ristoro nelle aree di servizio in autostrada svuota le tasche degli italiani più del dovuto.
«Due romani di ritorno a Roma da una breve vacanza a Celico, vicino Cosenza, si sono fermati martedì 8 agosto pomeriggio presso l’Autogrill di Teano per mettere qualcosa sotto i denti dopo ore di viaggio in auto. Hanno preso al bancone due focacce alla mortadella ed una bottiglietta d’acqua e si sono visti arrivare un conto alla cassa di ben 18,20 euro (8,10 euro a panino + 2 euro per una bottiglia d’acqua)», riferisce l’associazione che ha deciso di segnalare la vicenda al Garante per la sorveglianza sui prezzi.
(da agenzie)

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PER IL FINANCIAL TIMES FORTE DEI MARMI E’ “ORMAI UNA COLONIA RUSSA”

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

VILLE COMPRATE A SUON DI MILIONI DAGLI OLIGARCHI AMICI DI PUTIN

Il Financial Times punta il faro sulla località turistica di Forte dei marmi e sull’ampia presenza di russi, da sempre. «A Forte metà delle persone sono turisti, metà sono in esilio», titola il quotidiano finanziario inglese, «a differenza di Monaco e Porto Cervo, ha un’aria di mistero. Circospetto ma per gente vistosa, con auto di sicurezza privata che pattugliano il paese vuoto la notte, o guardie in vestito scuro ai cancelli delle ville».
Marianna Giusti, che firma il pezzo, racconta il luogo che ben conosce e un episodio, quando da bambina trovarono, privo di sensi un ragazzino di 19 anni che banconote da 500 e 200 euro in tasca. «Forse è uno di loro», disse un amico dell’autrice.
Con «loro», a Forte dei Marmi, si intende un russo. Perché a Forte «tutti sanno almeno una storia sui russi». Sin da giovane, la giornalista ricorda aneddoti e leggende, come quella di un russo che con il suo suv dopo aver investito una ragazzo in moto gli offrì 10mila euro iper non aver alcuna denuncia.
I russi si comportano «come colonizzatori»
«La concentrazione di super-ricchi a Forte – spiega – ha fatto lievitare i prezzi. Le ville vengono affittate a 400.000 euro per la stagione estiva, le camere d’albergo hanno una media di 900 euro a notte e un posto in spiaggia può costare fino a 500 euro al giorno. Datcha, la residenza extralusso di proprietà di Tinkov, un magnate russo-cipriota, può essere prenotata per 100.000 euro a settimana o circa 1 milione di euro per la stagione. Molti clienti sono russi o dell’Europa orientale».
Il mese scorso, la Fondazione anticorruzione di Alexei Navalny ha riferito che i parenti di Yevgeny Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner, possiedono una villa a Forte del valore di 3,5 milioni di euro. «L’organizzazione ha già riferito che circa 2.500 delle 7.000 case di Forte appartengono a russi. Quando la guerra si è intensificata nel 2022, molte delle élite russofone si sono ritirate qui in modo permanente», sottolinea Giusti.
Emblematico è il caso citato dalla giornalista sul complesso “La Rosa dei Venti” con le case in mano ai russi, comprate pian piano nel corso degli anni. «Semplicemente – dichiara una imprenditrice al Ft – suonavano alle porte dei pensionati italiani che villeggiavano qui da 50 anni e offrivano loro 3 milioni di euro. Di fronte a simili offerte, tutti hanno venduto».
Il quotidiano paragona i russi a dei colonizzatori. «Qui i russi – spiega una imprenditrice nel settore alberghiero – sono come un elefante in strada. Nessuno riesce a opporsi».
(da agenzie)

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“NON DOVEVA ESSERE LASCIATA SOLA”

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

PARLA LA MAMMA DI AZZURRA, SUICIDA NEL CARCERE DI TORINO

Susan John e Azzurra Campari, le due donne, che si sono suicidate in carcere a Torino non avrebbero dovuto essere lasciate sole con se stesse. La procura ha aperto due inchieste per istigazione al suicidio.
I pubblici ministeri Chiara Canepa e Delia Boschetto hanno acquisito la documentazione medica e carceraria e nelle prossime ore verranno disposte le autopsie.
E anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, pur non entrando nel merito delle vicende, durante la sua visita ieri al penitenziario torinese avrebbe chiesto un incontro con gli psichiatri della casa circondariale.
Il trasferimento a Torino
Azzurra aveva 28 anni e i familiari non si capacitano della sua morte. Lo dice mamma Monica che in quel carcere pensava che la figlia fosse al sicuro e lo ribadisce l’avvocata Marzia Ballestra: «Se è mancata l’attenzione e la vigilanza, si tratta di un fatto gravissimo».
Azzurra – racconta La Stampa – «aveva un cuore grande», così dicono. «Si affezionava alle persone». Cresciuta a Riva Ligure, in provincia di Imperia, a dieci anni trascorre un periodo in comunità. Qualche problema in famiglia, prende il cognome della madre, una donna che è rimasta sempre al suo fianco. Gli studi all’alberghiero, i lavoretti saltuari. E purtroppo anche la dipendenza dalla droga, l’aiuto fornito dal Sert.
Nel frattempo i furti, una tentata rapina a Cuneo che le è costata il carcere. Tutti vecchi reati, commessi tra il 2013 e il 2014, finiti di scontare il 3 marzo 2025.
«Non bisognava lasciarla sola – dice l’avvocata Ballestra – ma starle accanto». Il 29 luglio Azzurra è stata trasferita da Pontedecimo di Genova al Lorusso e Cutugno di Torino. Mamma Monica voleva fissare un colloquio al più presto proprio perché conosceva le difficoltà della figlia. Ha provato a chiamare decine di volte, mandando mail per fissare un incontro con la giovane detenuta. Nessuna risposta.
(da La Stampa)

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PERCHE’ IN ITALIA QUASI TUTTO AUMENTA MA GLI STIPENDI RESTANO FERMI

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

I PROFITTI DELLE AZIENDE SONO AUMENTATI E L’ADEGUAMENTO ALL’INFLAZIONE DI PENSIONI E STIPENDI E’ MINIMO

Gli ultimi aumenti sono quelli delle tariffe telefoniche annunciati da Tim. A metà luglio sono scattati i rincari per raccomandate e servizi postali che si sommano a quelli dei prezzi di alimenti, benzina e diesel, di voli, alberghi, trasporti, vacanze, mense scolastiche, affitti e mutui. Grazie agli adeguamenti automatici legati all’inflazione aumentano anche pensioni, assegno unico e assegni di mantenimento, anche se non di molto.
Solo gli stipendi per ora restano al palo e valgono sempre meno. I lavoratori, infatti, non esistendo più alcun meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione, non possono contare su nessun paracadute o comunque lo devono negoziare con il datore di lavoro, chiedendo un aumento di stipendio che, stando ai dati, spesso non viene concesso.
Secondo l’Ocse nel 2023 i salari reali – ovvero quelli che tengono conto dell’inflazione e misurano della quantità di beni che i lavoratori possono comprare con la loro paga – in Italia sono calati del 7,5% su base annua. La perdita di potere d’acquisto è confermata anche dai dati Istat, secondo i quali nei primi sei mesi del 2023 la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni supera ancora i 6 punti percentuali.
L’aumento del costo dei servizi
Ad aumentare con l’inflazione sono anche i servizi: dalle mense scolastiche agli asili nido e ai trasporti. In questo caso in genere sono stabiliti da contratti che ancorano le tariffe all’inflazione.
Guardando alle cronache degli scorsi mesi, può capitare che i Comuni o le giunte regionali confermino questi aumenti o si facciano carico di una parte delle spese per venire incontro ai cittadini. Di recente, ad esempio, la Regione Lombardia ha deliberato sugli aumenti Istat, stabilendo per settembre un aumento per i biglietti Trenord del 4%.
A cosa sono dovuti i rincari
Ci si trova quindi di fronte a un’ondata di rincari generalizzati, malgrado i prezzi delle materie prime siano rientrati e anche quelli dei beni energetici. A cosa è dovuta? «Da un lato stiamo finendo di assorbire lo shock energetico dello scorso anno e continueremo probabilmente ad avere questi effetti di passaggio almeno per un altro paio di mesi Quindi, malgrado i prezzi energetici stiano scendendo, altri prezzi più legati al consumo di tutti i giorni aumentano», spiega Carlo Altomonte, professore di Politica economica europea dell’Università Bocconi.
«Un secondo punto di cui tenere conto è che i profitti delle aziende sono aumentati più dei salari e questo è un fattore che sta pesando molto nel mix redistributivo dell’inflazione», aggiunge.
«Così ovviamente il sistema non regge. Se le imprese vogliono continuare a investire sul capitale umano – che in alcuni ambiti in Italia diventa sempre più scarso – devono cominciare a pagarlo di più. E possono farlo tranquillamente, perché i dati ci dicono che i margini di recupero che hanno avuto nel contesto post-pandemico consentono loro di assorbire questi maggiori costi senza scaricarli su un ulteriore aumento dei prezzi», continua Altomonte. Secondo l’economista è probabile che le retribuzioni tornino a salire, recuperando almeno in parte l’attuale gap rispetto al costo della vita, e i prezzi, allo stesso tempo, inizino gradualmente a scendere. Finora però non è così e gli effetti della perdita del potere di acquisto di milioni di salari si ripercuotono sui consumi delle famiglie e sul Pil, come mostra anche il segno meno del secondo trimestre dell’anno.
Dagli affitti alle pensioni: le indicizzazioni
Ad aumentare con l’inflazione sono anche pensioni, canoni di affitto e assegni di mantenimento grazie agli adeguamenti automatici. Il caso più noto è quello degli assegni pensionistici, che però nel 2023 hanno beneficiato di una rivalutazione più contenuta. Il governo Meloni, infatti, ha cambiato il metodo di calcolo adottando nuove fasce: 100% sulle pensioni fino a 4 volte il minimo (2.102 euro) 85% sulle pensioni tra 4 e 5 volte il minimo (2.102-2.627 euro) 53% sulle pensioni tra 5 e 6 volte il minimo (2.627-3.152 euro) 47% sulle pensioni tra 6 e 8 volte il minimo (3.152-4.203 euro) 37% sulle pensioni tra 8 e 10 volte il minimo (4.203-5.254 euro) 32% sulle pensioni oltre 10 volte il minimo (sopra 5.254 euro).
Anche per i locatari esiste la possibilità di aggiornare i contratti di affitto per non farsi schiacciare dal caro vita, a patto che sia prevista espressamente dal contratto d’affitto. Per l’adeguamento si utilizza l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi). Oltre che per gli affitti, le variazioni dell’indice Foi al netto dei tabacchi vengono usate anche per aggiornare gli assegni di mantenimento al coniuge, il Tfr (il montante accantonato dal lavoratore viene rivalutato ogni anno), le rendite Inail per infortuni sul lavoro o malattie professionali, alcune tipologie di buoni del Tesoro (Btpi) e la retribuzione media di alcuni contratti nazionali. Anche gli importi dell’assegno unico e le relative soglie Isee nel 2023 sono aumentati per effetto della rivalutazione annuale sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo.
(da Il Corriere della Sera)

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IN POCHI HANNO I SOLDI PER ANDARE IN VACANZA E LA STAGIONE TURISTICA È SALVA SOLO GRAZIE AI TURISTI STRANIERI

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

SOLO IL 20% DEI VACANZIERI È ITALIANO, TUTTI GLI ALTRI SONO AMERICANI (17,3%), SPAGNOLI (5%), FRANCESI (4,2%) E CANADESI (3,65)…L’ITALIA È CONSIDERATA UNA META ROMANTICA: IL 35,7% DEI TURISTI È COMPOSTO DA COPPIE

Non c’è più il Ferragosto di una volta. Se un tempo il ponte dell’Estate era una certezza, oggi le partenze degli italiani sono in calo e a salvare il turismo è la presenza straniera. A trainare l’andamento dell’industria delle vacanze italiane sono infatti i turisti stranieri come rivela l’indagine di Cna Turismo e Commercio focalizzata sul periodo 11-20 agostoL’analisi prevede nel complesso 15 milioni di presenze (pernottamenti nelle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere), un milione di presenze in più rispetto allo scorso anno, segnando un +15% nei confronti del 2019. Diverso il discorso per i turisti domestici che a causa del carovita ridurranno la media della loro «pausa».
Nel complesso arriveranno a 10 milioni le presenze dei turisti italiani nelle strutture alberghiere ed extra-alberghiere in flessione rispetto tanto allo scorso anno quanto al 2019, l’ultima stagione precedente la pandemia.
Sono soprattutto i turisti stranieri a transitare nei varchi dei nostri aeroporti dove solo il 19,9% è italiano, mentre spiccano ancora i turisti statunitensi (17,3%), seguiti da quelli spagnoli (4,9%), francesi (4,2%) e canadesi (3,6%). Nel 35,7% dei casi si tratta di coppie in vacanza. Lo rileva l’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo, che spiega che la classe di viaggio è per l’87,8% l’economy, anche per il caro prezzi dei voli dell’estate 2023.
(da agenzie)

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IN ITALIA C’E’ TROPPO LAVORO NERO, PRECARIO E PART-TIME, OLTRE IL 50% DEI DIPENDENTI HA CONTRATTI SCADUTI DA OLTRE 2 ANNI

Agosto 13th, 2023 Riccardo Fucile

IL PROBLEMA DELLA SOVRABBONDANZA DI CONTRATTI: SONO 975 QUELLI IN VIGORE NEL SETTORE PRIVATO E TRA QUESTI CI SONO COSIDDETTI “CONTRATTI PIRATA” FIRMATI DA ORGANIZZAZIONI POCO RAPPRESENTATIVE

Troppo lavoro nero, precario e part-time, oltre il 50% dei dipendenti con contratti scaduti da oltre 2 anni e un’inflazione galoppante che erode il potere d’acquisto. Una produttività che non cresce da 20 anni e un fisco che infierisce sulle buste paga. Sono questi i nodi da sciogliere per affrontare la questione salariale secondo il Cnel, che è la sede proposta dal governo come sede per studiare un intervento condiviso sul salario minimo
Una relazione presentata alla Camera il mese scorso premette di capire l’approccio dell’organizzazione, dove sono depositati i contratti nazionali, e la sua analisi sul lavoro povero. Il Cnel vi sottolinea che la quasi totalità dei contratti si trova già al di sopra della soglia di 7-9 euro, prevista come minimo legale dai recenti disegni di legge.
La situazione attuale è quella di una proliferazione di contratti. Sono 975 quelli in vigore nel settore privato al 31 maggio 2023. Tra questi ci sono cosiddetti contratti pirata firmati da organizzazioni poco rappresentative e caratterizzati bassi salari, ma restano comunque dominanti i contratti della galassia Cgil, Cisl e Uil che, sono poco più di un terzo dei contratti principali, ma coprono il 97% dei lavoratori.
(da agenzie)

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