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BASTA CON IL PIAGNISTEO SULLA PRIVACY: ARIANNA MELONI NON È UNA “POVERA CASALINGA VILIPESA”: LA SORELLA D’ITALIA HA IN MANO LE CHIAVI DEL PARTITO

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

FDI È UN PARTITO A CONDUZIONE FAMILIARE… ARIANNA FIGURA TRA LE DONNE PIÙ POTENTI D’ITALIA: È DA QUESTA POSTAZIONE CHE SI LANCIA ALL’ATTACCO DI NATANGELO PER METTERE LA MUSERUOLA AI VIGNETTISTI

Quando, il 20 aprile scorso, Giorgia Meloni rilanciò furbescamente sui suoi social la vignetta di Natangelo, lo fece sfoderando un repertorio vittimistico imperniato su un concetto: Arianna era “una persona che non ricopre incarichi pubblici, colpevole su tutto di essere mia sorella… donna, madre la cui vita viene usata e stracciata”.
Pazienza se entrambe le sorelle Meloni avessero già rilasciato numerose interviste per far sapere che Arianna era da sempre la più stretta collaboratrice di Giorgia, quasi una alter ego della premier.
Neanche tre mesi dopo, quella finzione si è autodissolta grazie ai poderosi scatti di carriera che hanno formalizzato la di lei collocazione ai vertici di Fratelli d’Italia.
Il 2 luglio veniva nominata responsabile del tesseramento, chiamata cioè a decidere chi possa arruolarsi e chi no nel principale partito di governo. Il 1º agosto, poi, veniva cooptata nel Cda della Fondazione Alleanza Nazionale, lo scrigno della destra post-missina che detiene il simbolo della fiamma tricolore, la testata Il Secolo d’Italia, ma soprattutto un patrimonio di 57 milioni fra proprietà immobiliari, fondi di deposito e titoli di Stato.
Si è così formalizzato – checché ne dicano le sorelle Meloni – che FdI è un partito a conduzione familiare. Altro che povera casalinga vilipesa. Arianna lo era già quando si pretendeva esente da satira, ma ora possiamo scrivere senza tema che figura tra le donne più potenti d’Italia. È da questa postazione che si lancia all’attacco di Natangelo per mettere la museruola ai vignettisti. Bando ai piagnistei, sono sicuro che può permettersi di pagare l’avvocato.
(da il Fatto Quotidiano)

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GIORGIA MELONI DEVE DECIDERE: O COLLE OPPIO O IL GOVERNO – LA “RESTITUZIONE” DELLA STORICA SEDE DEL MSI A ROMA A FRATELLI D’ITALIA NON FA GIOIRE GIORGIA MELONI, STRITOLATA COM’È TRA LE ISTANZE IDENTITARIE DEI “GABBIANI” E LA NUOVA VERSIONE, DEMOCRISTIANA IN POLITICA INTERNAZIONALE

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

DA UN LATO DEVE TENERE ANNODATO UN QUALCHE FILO CON LA SUA TRADIZIONE, PER SFUGGIRE ALL’ACCUSA DI AVERNE TRADITO GLI IDEALI. MA DALL’ALTRA DEVE DISFARSENE AL PIÙ PRESTO

La «Colle Oppio», come a Roma è nota la prima sezione del Msi in Italia, rappresenta per la destra post-fascista ciò che le catacombe rappresentano per i cristiani: il posto dove tutto è cominciato, il mito originario, il tempio venerabile. Ne racchiude in sé i luoghi sacri e i luoghi comuni.
In quella specie di grotta di 70 metri quadri, ricavata tra i ruderi delle antiche Terme di Traiano, trovarono rifugio i primi esuli istriani in fuga dal comunismo di Tito, accolti nel 1946 dai reduci della Repubblica Sociale che avrebbero poi fondato il Movimento Sociale Italiano. Base per scorribande o fortino da difendere dalle scorribande altrui, Colle Oppio ha vissuto da protagonista gli anni di piombo.
Nei turbolenti anni ‘70 è stata forse il confine tra il post-fascismo e il neo-fascismo, il luogo più estremo e radicale della destra missina che non è però mai passato dalla parte della destra eversiva. E anche un luogo di sperimentazione politica ardita, promossa dal gruppo dei Gabbiani guidato da Fabio Rampelli, nel quale Giorgia Meloni ha fatto il suo apprendistato.
Se «io sono Giorgia» appare una leader non fabbricata in laboratorio, ma quasi un prodotto della Prima Repubblica nonostante la sua giovane età, è proprio per quella esperienza. In quel gruppo si riscoprirono Tolkien e la Terra di Mezzo, una dimensione di ascetismo pagano fatta di camminate in montagna e divieto di alcolici, ma anche di comunitarismo spinto al limite della setta: Francesco Lollobrigida e la moglie Arianna Meloni si conobbero lì, e lì si formò Giovambattista Fazzolari, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi, uno dei pochissimi di cui la premier si fidi . Per Rampelli quel luogo e quella storia continuano tutt’oggi a rappresentare lo zenit della sua vicenda politica.
Il movimento dei Gabbiani era anche un partito nel partito, una lobby interna, un gruppo di pressione, e comunque una scuola politica di indiscutibile efficacia, se ha prodotto una presidente del Consiglio. Rampelli si era fatto un cruccio dello sfratto deciso nel 2020 dall’allora sindaca Raggi, la quale adducendo motivi di morosità riuscì a togliere l’antro di Colle Oppio alla destra. Tanto ha detto e tanto ha fatto, alla fine ha convinto Gualtieri, il nuovo primo cittadino della Capitale, a restituire la storica sede alla destra (lo ha raccontato il Foglio ), ma con la promessa di trasformarla in un museo che celebri la vicenda degli esuli dall’Istria.
Si sa che Rampelli da tempo non è più la guida né spirituale né politica di Giorgia Meloni, si potrebbe anzi dire che l’allieva ha rinnegato il maestro, o almeno l’ha commissariato, visto che pochi mesi fa il partito romano di Fratelli d’Italia è stato decapitato per decisione della ex ragazza che vinse il congresso dei giovani missini alla guida della lista dei Figli d’Italia. Ma riprendendosi e riaprendo Colle Oppio, non è detto che Rampelli abbia fatto un favore alla sua leader.
Da molti punti di vista questo luogo è diventato nel tempo anche un baluardo identitario, ricorda battaglie e ideali che oggi non vanno più di moda, e anzi possono essere imbarazzanti per una premier che pranza con Biden e cena con Macron.
Non è un caso se proprio davanti alla sede di Colle Oppio nell’ottobre dello scorso anno apparve uno striscione nostalgico e polemico dipinto sul verso dei manifesti elettorali della Meloni: «Ritorna il vecchio sogno», c’era scritto nei tipici caratteri grafici neofascisti imitati dalle lettere runiche, e aveva a fianco il logo storico della sezione, con la C e la O attraversati da una saetta.
Il rapporto con l’identità è infatti il punto più delicato della metamorfosi di Giorgia Meloni. Da un lato deve tenere annodato un qualche filo con la sua tradizione, per sfuggire all’accusa, da quelle parti infamante, di averne tradito gli ideali. Ma dall’altra deve disfarsene al più presto, o almeno farli dimenticare perché, come ha detto il senatore Mario Monti, «la ragione per cui è apprezzata in Italia e all’estero è perché è brava, inattesamente brava». Non certo perché viene da Colle Oppio e dalla sua «comunità di ribelli » .
(da Il Corriere della Sera)

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IL RITRATTO DI MARCELLO DE ANGELIS

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

È UNA STORIA DI FAMIGLIA IN TUTTI I SENSI, FAMIGLIA NATURALE E FAMIGLIA POLITICA, TALVOLTA INDISTINGUIBILI… UN FRATELLO DI MARCELLO, NAZARENO DETTO NANNI, MORÌ IN CARCERE IN CIRCOSTANZE POCO CHIARE, UFFICIALMENTE PER SUICIDIO, UN ALTRO, RENATO, AUTORE TV, È STATO FIDANZATO DI GIORGIA MELONI

In un vecchio documentario Rai di Giampiero Mughini sulla destra neofascista italiana, Nero è bello, compare intervistato a un certo punto un giovane romano un po’ capellone. È Marcello De Angelis, che a favore di telecamera spiegava a Mughini il significato del simbolo “guerriero” di Terza Posizione verniciato su un muro di Roma.
Era il 1980, lo stesso anno della strage alla stazione di Bologna. In Terza posizione militava pure Luigi Ciavardini, poi passato ai Nar di Mambro e Fioravanti, condannato per concorso nella strage e cognato di De Angelis, ne ha sposato la sorella. Perché questa è una storia di famiglia in tutti i sensi, famiglia naturale e famiglia politica, talvolta indistinguibili, matrimoni e scissioni, confluenze e fidanzamenti, elezioni e tragedie.
Un fratello di Marcello, Nazareno detto Nanni, anche lui in Tp, morì in carcere in circostanze poco chiare, ufficialmente per suicidio, un altro, Renato, autore tv, è stato fidanzato di Giorgia Meloni.
Ricercato nei primi Ottanta, latitante a Londra, costituitosi a fine decennio per scontare una condanna a 5 anni e 6 mesi («Ma sfido a trovare un atto di violenza nel mio curriculum», sostiene lui), De Angelis ha giocato sulle sue disgrazie giudiziarie fin dal nome della band di cui era voce, i 270 bis – nel codice penale è l’articolo sull’associazione sovversiva – un gruppo squisitamente e orgogliosamente fascio-rock.
De Angelis è la prova vivente che a destra c’erano meno barriere tra gruppi extraparlamentari e partito ufficiale. Il Movimento sociale restava la casa madre, sapeva riaccogliere e perdonare, e De Angelis, che la politica aveva cominciato a farla in calzoni cortissimi nel Fronte della gioventù, l’organizzazione dei baby missini, è stato prodigo come pochi altri figlioli.
Sta in Alleanza Nazionale, la prima filiazione del Movimento sociale, già dalla fondazione nel 1995, è parlamentare per due legislature dal 2006 al 2013, nel partito prima è vicino alla destra sociale di Francesco Storace e Gianni Alemanno e dirige la rivista di corrente, Area, poi nel Pdl è consigliere del leader Gianfranco Fini, e dal 2011 diventa direttore del Secolo d’Italia, storico quotidiano ufficiale dei missini.
Nel primo numero da lui firmato pubblica in prima pagina la foto dei “martiri per l’italianità di Trieste” e commenta: «La nostalgia è un gran bel sentimento». Intervistato dal Corsera per il debutto spiega che il suo obiettivo è «dare al Secolo l’identità perduta dei tempi dell’Msi, quella di una comunità politica e umana che ha fatto un percorso e non l’ha mai abbandonato». Dopo anni poco affollati, è il governatore del Lazio Francesco Rocca a portarlo con sé in Regione, avevano lavorato insieme anche in Croce rossa.
Appassionato di rugby come tutta la famiglia, da senatore De Angelis propose l’introduzione del terzo tempo in Parlamento, sul modello dei rugbisti che si bevono una birra dopo essersi presi a sportellate in campo.
De Angelis ha saputo prendere posizioni eterodosse, come quando pochi anni fa suggerì di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia o come sul caso Cucchi: anche per la drammatica vicenda del fratello Nanni, fu uno dei pochi parlamentari di destra a chiedere con convinzione che fosse fatta luce sul caso. L’importante è che non si parli di stragi. Lì De Angelis, che di solito vede sempre nero, non vede mai nero.
(da La Repubblica)

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“SI FANNO PAGARE 2 EURO PER TAGLIARE A META’ UN TOAST”

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI UN CLIENTE DI UN BAR SUL LAGO DI COMO… LA GIUSTIFICAZIONE DEL BARISTA: “HO DOVUTO USARE DUE PIATTINI E UN TOVAGLIOLO IN PIU'”

Il toast diviso a metà? 2 euro in più sul conto. È successo a un turista in un bar di Gera Lario, un minuscolo paese di mille abitanti sul lago di Como, che lo scorso 20 giugno ha comprato un toast, una coca cola, un’acqua gasata e un caffè. Il tutto per 15,70 euro di cui due solo per tagliare il panino a metà.
Scioccato dalla vicenda ha deciso di fotografare lo scontrino e diffonderlo sull’app TripAdvisor per fare una recensione negativa. Inoltre, nel suo commento il cliente fa notare che «il formato del toast viene servito già tagliato in due esatte metà». Ma siccome «eravamo in due persone e abbiamo chiesto un toast che al tavolo avremmo mangiato in due allora sarebbe stato aggiunto il costo in più».
La giustificazione del barista
Dal canto suo, riporta Fanpage, il barista ha tentato di giustificare il costo in più perché pare che abbia dovuto usare due piattini e un tovagliolo in più per servire le due parti del toast.
Non è la prima volta che scoppia la polemica per i prezzi dei locali presenti sul lago di Como. A giugno aveva sollevato numerose critiche lo scontrino pubblicato da un ciclista che si era ritrovato a pagare 16 euro solo per due bottigliette d’acqua, mentre a marzo un’altra turista ne aveva spesi 20 per un caffè doppio e una bottiglietta d’acqua.
(da agenzie)

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IL GOVERNATORE DEL LAZIO ROCCA ALL’ANGOLO: ANCHE FORZA ITALIA VUOLE SBARAZZARSI DELL’EX TERRORISTA DE ANGELIS

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

ANCHE IN FRATELLI D’ITALIA C’E’ CHI CHIEDE LE SUE DIMISSIONI DA PORTAVOCE DI ROCCA

In Regione questa volta tira una brutta aria per Marcello De Angelis. Rocca è in difficoltà per la tesi negazionista sulla strage di Bologna sostenuta per l’ennesima volta dall’ex terrorista nero che il presidente ha scelto come capo della comunicazione istituzionale.
Marcello De Angelis è arrivato a scrivere sui social di avere le prove dell’innocenza del cognato Luigi Ciavardini, di Francesca Mambro e di Valerio Fioravanti, condannati in via definitiva, e ha accusato chi parla di matrice neofascista accertata di essere un bugiardo, scagliandosi così tanto contro il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quanto contro il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Parte della maggioranza che sostiene il governatore del Lazio chiede la testa del collaboratore e se l’ex esponente di Terza Posizione, già condannato per banda armata, non rassegnerà le dimissioni come si vocifera nell’entourage di Rocca, occorrerà vedere se il presidente riuscirà a garantire ancora la poltrona all’uomo che ha voluto come suo braccio destro prima in Croce Rossa e poi in Regione.
Rocca sinora è passato su a molte dichiarazioni di De Angelis su Bologna, sulle posizioni neofasciste del portavoce e pure su quelle canzoni del gruppo musicale dell’ex terrorista, come «Claretta e Ben». Ora però quanto ha dichiarato quello che è il capo della comunicazione istituzionale della Regione sulla strage e contro i vertici delle istituzioni va oltre.
Si vocifera che ad infuriarsi per quelle esternazioni di De Angelis, discutendo con Rocca, tra i primi sia stato il presidente del consiglio regionale, Antonio Aurigemma, invitato a Bologna per la commemorazione della strage come rappresentante della Regione. L’esponente di FdI sarebbe arrivato a dire al governatore: «O me o lui». E grande sarebbe il malumore anche all’interno di Forza Italia.
Al governatore basteranno le scuse che avrebbe già ricevuto dal collaboratore? Le opposizioni chiedono le dimissioni dell’ex terrorista.
La palla passa appunto a Rocca e comunque De Angelis ha già il paracadute: se dovesse andar via dalla Regione Lazio tornerebbe a lavorare in Croce Rossa, dove nonostante il suo passato e le sue posizioni non si sono mai fatti troppi problemi.
(da agenzie)

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LISBONA, L’APPELLO DI PAPA FRANCESCO AI GIOVANI: “NON ABBIATE PAURA, IL MONDO HA BISOGNO DI OGNUNO DI VOI, SIETE PRESENTE E FUTURO”

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

UN MILIONE E MEZZO DI GIOVANI ALLA MESSA CONCLUSIVA DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’

«Vorrei guardare negli occhi ciascuno di voi e dirgli “non temere”, non avere paura, perché il mondo ha bisogno di te, di voi. Gesù conosce ognuno di voi e vi dice di non aver paura». Con queste parole Papa Francesco ha concluso l’omelia della messa finale della 37esima Giornata Mondiale Della Gioventù al Parque Tejo, davanti a circa un milione e mezzo di persone, secondo quanto riferito dalle autorità locali. Alla celebrazione sono stati presenti anche circa 700 vescovi, 10mila sacerdoti e 30 cardinali. Il Pontefice, nel corso della sua omelia, si è soffermato su tre elementi principali: la luce, il saper ascoltare e il non avere paura. Papa Francesco ha proseguito: «Anche noi abbiamo bisogno di qualche lampo di luce per affrontare le tante sconfitte quotidiane. La luce che è venuta a illuminare il mondo è Gesù. È Lui la luce che non tramonta mai e brilla anche nella notte». E il Santo Padre ha aggiunto: «Vorrei dirvi una cosa: non diventiamo luminosi quando ci mettiamo sotto i riflettori, quando esibiamo un’immagine perfetta e ci sentiamo forti e vincenti. Diventiamo luminosi quando, accogliendo Gesù, impariamo ad amare come Lui».
Il Pontefice ha proseguito: «A voi, giovani che coltivate sogni grandi ma spesso offuscati dal timore di non vederli realizzati, a voi, giovani, che a volte pensate di non farcela, a voi, giovani, tentati in questo tempo di scoraggiarvi, di giudicarvi inadeguati o di nascondere il dolore mascherandolo con un sorriso, a voi, giovani, che volete cambiare il mondo, e va bene, e lottate per la giustizia e per la pace, a voi, giovani, che ci mettete impegno e fantasia ma vi sembra che non bastino, a voi, giovani, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno come la terra della pioggia, a voi, giovani, che siete il presente e il futuro; sì, proprio a voi, giovani, Gesù dice: “Non temete!”». Il Santo Padre ha poi chiesto a tutti i presenti di osservare un minuto di silenzio, chiedendo a tutti di ripetere dentro di sé «Non avere paura». Nel pomeriggio, Papa Francesco incontrerà i volontari della Gmg, e successivamente lascerà il Portogallo per rientrare in Vaticano.
(da agenzie)

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IL VIDEOAPPELLO DEI RESIDENTI DI FONTANELICE, IN EMILIA ROMAGNA, CHE METTE SOTTO ACCUSA TUTTA LA FILIERA DI GOVERNO: DALLA MELONI A SALVINI

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

A 3 MESI DALLE ALLUVIONI CHE HANNO DEVASTATO LA ZONA, LA STRADA PROVINCIALE CHE PORTA AL PICCOLO CENTRO APPENNINICO È ANCORA IMPRATICABILE

Un videoappello che è diventato virale
Arriva da alcuni residenti e imprenditori agricoli di Fontanelice, piccolo centro appenninico della Valle del Santerno: a tre mesi dalle alluvioni di maggio chiedono che la Sp33 che collega la provincia di Bologna a quella di Ravenna possa essere riaperta, anche con una soluzione provvisoria.
Molti punti franati sono stati sistemati, ma non il tratto dove le violente piogge hanno fatto i danni peggiori. Per raggiungere case e aziende gli abitanti devono utilizzare una strada comunale, chiamata “strappo di Pantani”, «che mette in pericolo l’incolumità» di chi vi transita, «perché è stretta e con forti pendenze ». E ha ugualmente riportato danni che potrebbero accentuarsi.
La frana misura un centinaio di metri, ma il versante è ben più ampio e non si esclude che possano verificarsi ancora movimenti.
«Aiutateci, condividete questo video», è stata la richiesta dei residenti, che temono di rimanere isolati in caso di un inverno difficile sul fronte maltempo, col concreto rischio di evacuazione: «Qui abitano una cinquantina di famiglie, ci sono una dozzina di aziende che ospitano migliaia di capi di bestiame fra ovini e bovini», ricorda Stefano Colli, titolare di un agriturismo e portavoce della protesta
«Non vogliamo abbandonare il nostro territorio. Chiediamo una risposta dallo Stato che deve intervenire e anticipare i soldi. Comune e Città metropolitana hanno già speso tutto quello che potevano in emergenza. Vogliamo quantomeno una sistemazione temporanea. L’emergenza è ancora attuale, non è una situazione accettabile».
Il video sta accendendo i riflettori su Fontanelice, ma questo provoca un senso di amarezza nel sindaco, Gabriele Meluzzi: «Da tre mesi denuncio questa situazione ed evidentemente i piccoli Comuni non sono ascoltati, se per muovere il mondo è necessario un video virale ». Fontanelice ha 1.900 abitanti, oltre 40 le frane censite e la stima dei danni ammonta a 5 milioni. «Ho già speso 300mila euro per interventi in somma urgenza. Il commissario Figliuolo ha promesso i fondi da settembre e io gli credo. Però secondo i piani del governo la ricostruzione avverrà dalla prossima estate: qui rischiamo dopo il prossimo inverno di ritrovarci ad avere strade più dissestate di oggi e problemi più gravi. E serviranno altri soldi. È come se fossimo in un’eterna rincorsa».
Il ministro Matteo Salvini ha chiesto «di approfondire immediatamente la vicenda». Parole per le quali insorgono tre sindaci, quello di Fontanelice, di Borgo Tossignano, Mauro Ghini, e di Casalfiumanese, Beatrice Poli. Bignami, attaccano, «a seguito di un video» e non dopo un confronto con i sindaci del territorio «si sente chiamato in causa. Avrà forse la coda di paglia?»
(da la Repubblica)

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PONTE SULLO STRETTO, NON SOLO AUMENTO DEL TETTO AGLI STIPENDI, C’E’ ANCHE LA NORMA SALVA PENSIONATI PER L’ AD CIUCCI

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

ELIMINATI I LIMITI DI CUMULO TRA PENSIONE E STIPENDI, NORMA RITAGLIATA SU MISURA PER LA SOCIETA’ INCARICATA DI REALIZZARE IL PONTE

Non accenna a placarsi la polemica, sulla cancellazione del tetto agli stipendi, per la società incaricata di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina. Sotto silenzio è passata però un altra deroga, contenuta allo stesso decreto, che sarà al vaglio del Consiglio dei Ministri, lunedì 7 agosto. Si tratta di una norma che sembra disegnata apposta per l’amministratore delegato della società Pietro Ciucci, con lo scopo di renderlo, quel che si dice un ‘pensionato d’oro’.
Negli ultimi giorni, l’attenzione e la discussione della politica si sono concentrate sul primo comma dell’articolo 15 della bozza del decreto omnibus, che il governo dovrà varare nell’ultimo Cdm, prima della pausa estiva. È il cavillo con cui si stabilirebbe che il tetto massimo di 240mila euro per gli stipendi pubblici non si applica alla Stretto di Messina Spa. Si tratta della società costituita nel 1981, con l’obiettivo di realizzare il ponte tra Sicilia e Calabria. E che è stata riportata in vita dal ministro Salvini, per rilanciare il progetto, dopo essere rimasta in liquidazione, per più di 10 anni.
La possibile eliminazione dei limiti agli stipendi della Stretto di Messina Spa è stata duramente contestata dalle opposizioni e ha suscitato perplessità, anche all’interno della maggioranza di governo. Fonti vicine alla società hanno però precisato che il provvedimento non riguarderebbe i top manager, ma i dipendenti, così da potersi dotare di “personale con professionalità ingegneristiche, legali ed economiche, adeguate a gestire la sfida di uno dei più grandi progetti infrastrutturali mai realizzati”.
Il comma salva-pensionati
Eppure, nello stesso decreto che potrebbe far saltate il tappo alle retribuzioni, c’è un altra norma, che sembra contraddire questa versione. Il testo fa riferimento a una regola fissata nel 2013, per cui i pensionati della Pa non possono ricevere da amministrazioni ed enti pubblici emolumenti che – sommati ai loro trattamenti pensionistici – eccedano il limite della retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione. Tradotto, per chi viene richiamato dalla quiescenza, il totale cumulato di pensione e stipendio non può essere superiore a 240mila euro lordi.
Il decreto in procinto di essere varato dal governo stabilirebbe, se le bozze saranno confermate, che questo limite non varrà più per le “cariche negli organi sociali delle società controllate da amministrazioni centrali dello Stato, che hanno come scopo unicamente la realizzazione di un progetto di preminente interesse nazionale”. Un progetto come il ponte sullo Stretto, per l’appunto.
Ora, si dà il caso che uno dei soggetti che potrebbe usufruire di questa deroga è Pietro Ciucci, il nuovo amministratore delegato della Ponte di Messina Spa. Storico boiardo di Stato, prima dirigente dell’Iri, poi gran capo di Anas, dove, per un certo tempo, ha cumulato le posizioni di direttore generale, amministratore delegato e presidente.
Grazie al ruolo nella società che gestisce le reti stradali, Ciucci aveva ottenuto la carica di ad nella società Stretto di Messina, già a cavallo degli anni ’10, quando l‘ex premier Berlusconi sembrava deciso a realizzare il ponte. Il suo mandato era cessato nel 2012, dopo il naufragio del progetto. Più di dieci anni dopo, il ministro Salvini lo ha richiamato nello stesso ruolo. Con un piccolo dettaglio, in mezzo alla storia, cioè che nel frattempo, nel 2013, Ciucci è andato in pensione.
Già al momento del ritiro, la vita da semplice pensionato doveva essere sembrata stretta al manager, che infatti, anche da pensionato, era rimasto per altri due anni presidente e amministratore delegato di Anas, con annesse polemiche. Ora, dopo essere stato lambito (ma mai indagato), dall’inchiesta sul crollo del ponte Morandi, Ciucci ritorna in grande stile, per provare a mettere in piedi il progetto, su cui Salvini ha puntato tutto il suo mandato, da ministro delle Infrastrutture. Di fronte a un obiettivo del genere, evidentemente, non si può badare a spese. E allora, via i tetti a stipendi e cumuli con le pensioni. In attesa del ponte, questa è la prima grande opera.
(da Fanpage)

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IL MESSAGGIO DEI «BARCHINI» ESPLOSIVI

Agosto 6th, 2023 Riccardo Fucile

GLI ATTACCHI CON I DRONI MARITTIMI SUL MAR NERO SONO UNA STRATEGIA PRECISA DEGLI UCRAINI: VOGLIONO FAR CAPIRE A PUTIN CHE IL FRONTE SI ALLARGA E CHE KIEV È IN GRADO DI COLPIRE ANCHE OBIETTIVI MOLTO DISTANTI

Una nave da guerra, poi una petroliera. Sono target di valore presi di mira dagli ucraini per ribadire un doppio messaggio: il fronte di guerra è sempre più ampio e la resistenza è decisa «a contestare» la supremazia di Mosca in Mar Nero. Sebastopoli, il ponte di Kerch, la base di Novorossiysk sono obiettivi distanti.
Kiev è riuscita ad allungare il raggio d’azione dei droni marittimi — quasi 800 chilometri — dando grande profondità alla sua attività.[…] Ha aggiornato le sue armi, ne ha protetto le comunicazioni, li ha resi più devastanti con cariche fino a 450 chilogrammi d’esplosivo. Tutto questo senza avere una Marina, visto che le poche unità che aveva sono state affondate.
Da mesi Kiev ha provato a colpire le unità nemiche nei porti e in Mar Nero. Una progressione compiuta con una serie di passi attraverso lo sforzo congiunto dell’intelligence militare, dei tecnici, di chi ha studiato le tattiche per aggirare le protezioni.
Sono quasi una mezza dozzina i sistemi creati dall’industria nazionale: uno simile a un siluro, alcuni analoghi ai barchini-esplosivi usati dagli italiani — con pilota — nel secondo conflitto mondiale, altri con un profilo più basso, per finire con dei jet ski modificati per trasportare un ordigno. Il Magura V5, per esempio, è lungo quasi 6 metri, raggiunge una velocità massima di 42 nodi, ha un raggio d’azione di 800 chilometri e una «testata» da 320 chilogrammi. Un nuovo tipo di «scafo» — sempre guidato in remoto — ha invece una carica da 450 kg, dunque più potente.
(da Corriere della Sera)

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