Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
LE IPOTESI DEI PARAMEDICI… ASFISSIA E ARRESTO CARDIACO SONO TRA GLI EFFETTI DEL NOVICHOK
Sul corpo di Alexei Navalny sono stati trovati dei lividi. A riportarlo è la testata indipendente russa Novaya Gazeta citando a sua volta un paramedico medici dell’ospedale di Salekhard, la capitale del circondario autonomo Jamalo-Nenec, dove si trova Kharp, la città oltre il circolo polare artico in cui è situata la prigione di massima sicurezza in cui il dissidente politico di Vladimir Putin scontava una pena per «estremismo» fino alla sua morte, lo scorso 16 febbraio, ufficialmente attribuita a un’embolia dopo una «passeggiata» a 40 gradi sotto zero. Il paramedico afferma di non aver visto i lividi personalmente, ma di aver ascoltato la dettagliata descrizione dei medici legali che li hanno osservati, secondo i quali i segni non sarebbero il risultato di percosse, ma di convulsioni.
Compatibili con l’arresto cardiaco
«Come paramedico esperto, posso dire che le ferite descritte da coloro che le hanno viste sembravano derivare da convulsioni», ha dichiarato il paramedico alla Gazeta. «Se una persona ha le convulsioni e gli altri cercano di trattenerla ma le convulsioni sono molto forti, compaiono dei lividi. Hanno anche detto che aveva un livido sul petto, del tipo che deriva dal massaggio cardiaco indiretto».
Una versione, quindi, che almeno secondo la fonte di Novaya Gazeta non smentisce quella ufficiale fornita dalla Russia. Tuttavia, lo stesso paramedico solleva un dubbio: «Hanno provato a rianimarlo e probabilmente è morto per arresto cardiaco. Ma nessuno dice nulla sul motivo per cui ha avuto un arresto cardiaco».
Il Novichok e lo strano percorso del cadavere e l’autopsia che non c’è
Asfissia e arresto cardiaco sono tra gli effetti del Novichok, agente nervino con cui Navalny era stato avvelenato nel 2020 riuscendo a salvarsi, e con cui potrebbe essere stato avvelenato di nuovo secondo il giornalista investigativo di Bellingcat e amico del dissidente Christo Grozev.
Il corpo di Navalny si trova attualmente nell’obitorio dell’ospedale di Salekhard. Al momento non sarebbero state effettuate autopsie. La salma ha seguito un percorso insolito, scrive ancora Novaya Gazeta. Inizialmente portato nella città di Labytnangi, a 36 chilometri dalla colonia penale dove è morto nel villaggio di Kharp e trasferito venerdì a Salekhard. «Di solito i corpi delle persone che muoiono in prigione vengono portati direttamente all’ufficio di medicina legale in via Glazkova, ma in questo caso per qualche motivo sono stati portati all’ospedale clinico», ha detto ancora il paramedico del servizio di ambulanze dell’ospedale.
«Lo scambio di prigionieri che avrebbe liberato Navalny»
Alla già complicata vicenda si aggiunge quanto scrive oggi il quotidiano tedesco Bild. Secondo il tabloid berlinese, che cita «informazioni in proprio possesso», Navalny sarebbe morto «forse poco prima di una sua possibile liberazione» parte di uno «scambio di prigionieri» tra Usa, Russia e Germania. Ad essere coinvolte sarebbero Mosca, Washington e Berlino. Il leader del Cremlino, infatti, «voleva riavere l’assassino di Tiergarten (grande parco di Berlino, ndr)», Vadim Krasov, agente che aveva sparato a un oppositore del di Mosca a Berlino nel 2019. Putin aveva anche accennato pubblicamente alla cosa nell’intervista a Tucker Carlson. Gli Usa, invece, avrebbero chiesto il rilascio dell’ex marine Paul Whelan e del giornalista Evan Gershkovich.
(da Open)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
ORA IL GOVERNO ASSEGNERA’ IL PORTO ALLA NAVE DI MEDICI SENZA FRONTIERE A 500 MIGLIA DI DISTANZA, COME AL SOLITO?
Una nuova tragedia nel Mediterraneo. La Geo Barents, nave della ong Medici Senza Frontiere, ha soccorso 80 persone in due diverse operazioni. Il bilancio è pesantissimo: due persone sono morte, tre risultano disperse. “Ieri notte il nostro team ha assistito a una nuova tragedia nel Mar Mediterraneo”, si legge sul profilo social di Medici Senza Frontiere, che ha aggiunto: “Nella notte 80 persone assistite in 2 critiche operazioni di soccorso. Una persona è stata trovata morta, un’altra è morta a bordo della Geo Barents”.
Il team aveva ricevuto una segnalazione da Alarm phone per un gommone in pericolo, nelle vicinanze dal quale sono state soccorse 60 persone e su cui è stato purtroppo trovato un migrante morto. Un sopravvissuto in condizioni critiche è morto poco dopo il soccorso. Seguendo le istruzioni delle autorità italiane di coordinarsi con quelle tunisine, la nave Geo Barents ha proseguito verso una piattaforma petrolifera dalla quale sono state soccorse 19 persone in difficoltà. I 19 sopravvissuti hanno raccontato allo staff di Medici Senza Frontiere che la loro imbarcazione aveva iniziato a riempirsi d’acqua, quindi hanno nuotato fino alla piattaforma petrolifera per salvarsi. Tre persone che viaggiavano con loro sono rimaste sulla barca in difficoltà che è andata alla deriva.
“Ci stiamo prendendo cura dei sopravvissuti e dopo queste e esperienze traumatiche. Abbiamo chiesto di sbarcare nel luogo sicuro più vicino possibile per garantire una sepoltura dignitosa alle persone decedute e cure adeguate e rapide ai sopravvissuti”, ha fatto sapere su X la ong Medici Senza Frontiere, facendo un resoconto delle due diverse operazioni di salvataggio.
(da Fanpage)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
PER IL PERITO DEI GIUDICI LA GESTIONE DEL GRUPPO FONDATO DALLA MINISTRA FA CAPO ALLA CONCESSIONARIA, SRL CONTROLLATA AL 75% DALLA SENATRICE DI FRATELLI D’ITALIA… I SOCI DI MINORANZA: “DA OLTRE UN ANNO E MEZZO VISIBILIA EDITORE CONTINUA A OPERARE “IN TOTALE CONTINUITÀ CON LA PRECEDENTE GOVERNANCE”
Uscita formalmente dalla porta con le dimissioni, Daniela Santanchè resta però sempre saldamente centrale in Visibilia, il disastrato gruppo quotato editoriale e pubblicitario da lei fondato. La senatrice di Fratelli d’Italia, oggi ministro del Turismo del governo Meloni, lo governa ancora di fatto attraverso Visibilia Concessionaria Srl. La stessa società perla quale il5 ottobre scorso la Procura di Milano ha ritirato l’istanza di liquidazione giudiziale (il “vecchio” fallimento).
Lo attesta la relazione ispettiva decisa dal Tribunale di Milano: Concessionaria è il motore di Visibilia Editore, società quotata della quale Santanchè è stata presidente fino al gennaio 2022 che, con il disimpegno del socio di maggioranza Sif Italia, ormai è ridotta a una scatola vuota senza dipendenti.
Per la Editore, di cui è amministratore unico Francesco Maggioni, la Concessionaria gestisce contabilità, amministrazione, sede, telefoni, internet, elettronica. Per la gemella Visibilia Editrice gestisce tesoreria, pagamenti ai creditori e rapporti con le banche. In una parola, tutto. Ma chi decide in Concessionaria? L’amministratore unico è Paolo Giuseppe Concordia, manager di lungo corso di Visibilia che, proprio insieme a Maggioni, appare nelle registrazioni sulla vicenda dei dipendenti messi in Cassa integrazione Covid a zero ore mentre in realtà erano in servizio.
Ma il padrone è sempre lei, Daniela Santanchè. Nonostante le dimissioni sventolate anche a luglio nella sua autodifesa in Senato, la ministra detiene sì direttamente appena lo 0,006% del capitale della Concessionaria, ma Immobiliare Dani ne controlla il 74,99%, con l’altro 25% della Alevi di Paola Ferrari De Benedetti. E Immobiliare Dani è posseduta al 95% proprio da Santanchè, con il restante 5% in mano al figlio Lorenzo Mazzaro che ne è anche amministratore unico.
GLI INTRECCI azionari e gestori che dimostrano il ruolo centrale della Concessionaria in ciò che resta del gruppo emergono dalla relazione ispettiva consegnata il 31 gennaio al Tribunale di Milano dal perito Daniela Ortelli.
In una memoria depositata in Tribunale a Milano dal loro avvocato, i soci di minoranza capitanati da Zeno sostengono così che da “oltre un anno e mezzo” Visibilia Editore continua a operare “in totale continuità con la precedente governance” e “continua a gravitare verosimilmente nell’orbita del vecchio gruppo gestorio” visto che “tutta la gestione contabile e amministrativa è nelle mani della Concessionaria e, quindi, sotto il controllo del precedente gruppo, facente capo a Santanchè”.
Ora il Tribunale dovrà pronunciarsi, visto che nei sei mesi dopo il suicidio di Ruffino la sua società Sif Italia, che ha tentato il salvataggio di Visibilia, ha perso metà della capitalizzazione di Borsa, 18 milioni, al punto che gli eredi hanno deciso il disimpegno totale. Visibilia dunque rischia grosso.
Contattati, né Santanchè né i manager di Visibilia hanno risposto al Fatto.
(da Fatto Quotidiano)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
IN PRIMAVERA SONO PREVISTI NOMINE IN SOIETA’ DI PESO, DA CDP A FERROVIE DELLO STATO E MELONI E SALVINI GIA’ LITIGANO
Aggiungi un posto nei cda, che c’è un amico in più. Tra profili di spicco del passato e alcuni meno noti, catalogabili alla voce peones, sono decine e decine i nomi di politici piazzati nei consigli di amministrazione delle società pubbliche. A dispetto di curriculum quasi sempre poco attinenti ai compiti richiesti. Perché, come spesso accade in Italia, conta più la tessera di partito, la presenza negli organi dirigenziali, per ottenere una poltrona.
Nella lista dei ripescati dalla politica ci sono per esempio l’ex sottosegretario berlusconiano, Gioacchino Alfano, che ha trovato posto in una società del ministero della Difesa e l’ex sindaco di Lecce, Paolo Perrone, vicino al ministro Raffaele Fitto, ora al timone dell’Istituto poligrafico e zecca dello stato.
Così come sventola sul ponte, è il caso di dire, la bandiera del commissario regionale in Calabria della Lega, Giacomo Saccomanno (25mila euro annui lordi), componente del consiglio di amministrazione della società Ponte sullo Stretto, il progetto-bandiera di Salvini.
E sempre il leader leghista ha incassato la nomina di Davide Bordoni – consigliere comunale della Lega a Roma e leader del partito nel Lazio – ad amministratore unico (per 120mila euro annui, non fruiti almeno fino all’ultimo aggiornamento) della Rete autostrade mediterranee (Ram), società in house del ministero di Salvini, con le quote detenute dal Mef di Giancarlo Giorgetti. Tutto in casa Lega.
IL BRACCIO DI FERRO
Sono solo alcuni esempi, tra i tanti, di una destra che nel 2023 ha piazzato vecchie glorie, amici in politica, spesso ex peones, nelle varie società controllate o partecipate pubbliche. La galleria dell’amichettismo potrebbe allungarsi con il prossimo giro di nomine. In primavera scadono, infatti, decine di consigli di amministrazione, tra cui alcuni molto appetiti come Cassa depositi e prestiti e Ferrovie dello Stato.
Il braccio di ferro tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini è già in atto sulla tempistica. La premier vuole fare con calma, il leghista prima delle Europee. Teme che l’esito del voto porti la premier a fare bottino pieno.
La partita è già iniziata. Da febbraio, alla guida della Ales (146mila euro era il compenso del precedente presidente e ad), società del ministero della Cultura, è finito il meloniano, Fabio Tagliaferri, fresco di dimissioni da assessore comunale a Frosinone, uomo forte di Fratelli d’Italia in Ciociaria. Prima si occupava di tutt’altro, adesso gestirà, tra le varie cose, le Scuderie del Quirinale. A capo dell’Ismea è invece appena arrivata la nomina dell’ex deputato di Alleanza nazionale, Livio Proietti, dirigente di FdI nel Lazio.
PROSSIME SCADENZE
Nei prossimi mesi sono in scadenza varie poltrone. È il caso del cda del Gse (Gestore servizi energetici), che si occupa della promozione e dello sviluppo delle fonti rinnovabili. Il presidente in carica (27mila euro) è Paolo Arrigoni, senatore leghista dal 2013 al 2022. Alle ultime elezioni non è stato rieletto e dal marzo dello scorso anno è al vertice della controllata dal Mef. Nello stesso cda siede, da componente semplice (13.500 euro), Roberta Toffanin. Anche lei è stata senatrice, ma di Forza Italia, nella scorsa legislatura e non è tornata in parlamento.
Mandato agli sgoccioli poi per la società Cinecittà, dove è arrivata qualche mese fa, come consigliera di amministrazione (14mila euro), Isabella Ciolfi, con un cursus honorum politico da segretaria organizzativa della Lega nel Lazio. Nel curriculum non ha esperienze parlamentari ma vanta collaborazioni con due big della Lega: i sottosegretari Claudio Durigon e Federico Freni. Dagli uffici di una segreteria e una produzione cinematografica il salto è stato notevole.
Finora i nomi in attesa di conferme nel prossimo giro di nomine. Altri, però, si sono già accaparrati un posto nel 2023 con il governo Meloni e hanno davanti a sé prospettive pluriennali.
È il caso di Gregorio Fontana, eletto a Montecitorio con Forza Italia per cinque legislature, fino a guadagnarsi i galloni di deputato-questore: da ottobre scorso è finito nel cda di Infratel (soggetto attuatore della strategia nazionale per la banda ultralarga), società di Invitalia che a sua volta fa capo al Mef.
A Infratel Fontana ha trovato un compagno di partito, Donato Toma, ex presidente della regione Molise, non ricandidato dal centrodestra: adesso è a capo del collegio sindacale della società. Il presidente del cda di Infratel è Alfredo Maria Becchetti, notaio di professione con la passione della politica, già coordinatore romano della Lega e candidato non eletto alla Camera, nel 2022, sotto le insegne salviniane.
DIFESA DEL POSTO
Una collocazione ambita dai reduci del parlamento è la società Difesa e Servizi, controllata dal ministero della Difesa. Il presidente (80mila euro) è Gioacchino Alfano, deputato dal 2001 al 2018, prima con Forza Italia e poi nel nuovo Centrodestra, fondato dal suo illustre omonimo (non sono parenti), Angelino Alfano. Nei governi Renzi e Gentiloni è stato sottosegretario alla Difesa. Almeno, in questo caso, c’è qualche competenza acquisita nella materia.
Nel cda, come consigliere (32mila euro) c’è un’altra vecchia conoscenza della Camera, Mauro Fabris, deputato dell’Udeur di Clemente Mastella per due legislature (dal 1996 al 2008). Sempre in Difesa e Servizi spunta Anna Carmela Minuto, ex senatrice di Forza Italia, con una storia singolare: è stata a Palazzo Madama per soli tre anni. Nel 2021 è decaduta, perché il seggio spettava in realtà al compagno di partito Michele Boccardi. C’è pure un nome meno noto alla platea nazionale: Francesca Gerosa, esponente di spicco di Fratelli d’Italia a Trento, vicepresidente della giunta Fugatti.
Discorso diverso in un altro settore, quello di Sport e Salute, che annovera nel cda Maria Spena (16mila euro), già deputata di Forza Italia dal 2018 al 2022. Si era occupata di agricoltura a Montecitorio, in passato era stata assessora ai Lavori pubblici nella giunta Alemanno a Roma. Poi la folgorazione verso lo sport, finendo in una società decisamente a trazione berlusconiana, almeno nei nomi.
Nell’ambito di FI, invece, compare il nome di Giuseppe Moles, ex parlamentare di Forza Italia e sottosegretario all’editoria del governo Draghi, ora ad di Acquirente Unico (120mila euro) che è emanazione del Gse. Anche qui, prima i problemi dei giornali – nelle vesti di politico, poi l’energia da tecnico. Nonostante nel suo curriculum non compaia mai la parola energia.
RITORNI AL PASSATO
Spiccano inoltre profili rampanti del centrodestra del passato, spariti dai radar da qualche tempo. In particolare, il berlusconiano Antonio Martusciello, ex viceministro ai Beni culturali e deputato di FI dal 1994 al 2008, attuale presidente di Grandi stazioni, società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce il patrimonio immobiliare delle principali stazioni.
Il manager-politico è il fratello di Fulvio Martusciello, eurodeputato di Forza Italia e deus ex machina dei forzisti in Campania. L’ex finiano Andrea Ronchi, ministro degli affari europei del governo Berlusconi e più volte parlamentare (dal 2001 al 2013), è invece alla presidenza di Ferservizi, che interviene sulla gestione operativa delle società del gruppo Fs. Nel cda di Trenitalia trova spazio Federica Zanella, deputata nell’ultima legislatura, ex Forza Italia passata nella Lega nel 2020.
All’Istituto poligrafico e Zecca dello stato non figura solo l’ex sindaco di Lecce Perrone (31mila euro). Come consigliera (16mila euro) spicca un’altra esponente pugliese del partito di Meloni: Stella Mele, già capogruppo di FdI al consiglio comunale di Barletta e candidata con il partito di Meloni al Senato nel 2022.
Nello stesso organismo ha trovato posto Stefano Corti, senatore di rito leghista. Di lui si ricorda l’anomalia di aver messo piede a Palazzo Madama con oltre un anno di ritardo: un seggio ottenuto solo grazie al riconteggio dei voti. La candidatura alle ultime elezioni è andata male. E non c’era riconteggio che tenesse. Il paracadute è stato aperto per un posto in un cda.
CONSAP AMBITA
Altra roccaforte di politici è la Consap, che si occupa dei servizi assicurativi di rilievo pubblico. Alla presidenza (86mila euro) è approdato Sestino Giacomoni, parlamentare fedelissimo di Berlusconi per quattro legislature. Almeno lui si è occupato spesso di finanza nei trascorsi a Montecitorio.
Nell’organo di vertice spiccano due leghisti di diversa estrazione: Antonio Zennaro, eletto nel 2018 con il Movimento 5 stelle e passato poi alla Lega. Candidato in una posizione ineleggibile, ha dovuto rinunciare al Transatlantico ma ha incassato successivamente il ruolo di consigliere alla Consap (16mila euro), insieme a Francesca Ceruti, ex consigliera regionale in Lombardia della Lega.
E ancora: nel cda di Leonardo (80mila euro) c’è Nuccio Altieri approdato alla Camera, nel 2014, in quota Forza Italia. Dopo si è trasferito nel gruppo della Lega. Curriculum da leghista doc quello del presidente (27mila euro) della Sogesid (società di servizi in ambito ambientale ed economico), Roberto Mantovanelli, golden boy leghista a Verona: spesso è stato indicato come possibile candidato sindaco.
A chiudere il cerchio, nella Sogin (19mila euro), chiamata a smantellare le centrali nucleari in Italia, figura Jacopo Vignati, punto di riferimento e già segretario a Pavia della Lega. Perché, parafrasando uno sketch di Corrado Guzzanti, bisogna ricordarsi sempre degli amici.
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
NON CI SARA’ IL SORTEGGIO DEGLI. STUDENTI, MA NESSUNO ACCETTA… “SENZA ADESIONI VOLONTARIE NON PARTIRA'”
Ufficialmente non c’è ancora una comunicazione, dopo la lettera inviata ai genitori. Ma, forse per le polemiche e le proteste sollevate, la marcia indietro è stata almeno annunciata.
Crema, Istituto Munari, una delle scuole in Italia che ha attivato la possibilità per gli studenti di iscriversi al ‘liceo del Made in Italy’, la novità fortemente voluta dal governo Meloni che – come si legge sul sito del ministero dell’Istruzione, “offre un percorso formativo nuovo e completo, integrando scienze economiche e giuridiche con le scienze matematiche, fisiche e naturali. Con il nuovo liceo gli studenti potranno, in particolare, acquisire gli strumenti necessari per la ricerca e l’analisi degli scenari storico-geografici e artistico-culturali, nonché della dimensione storica e dello sviluppo industriale ed economico dei settori produttivi del made in Italy”.
Ma nonostante il battage di questi mesi, al momento delle iscrizioni tra i futuri studenti del Munari solo 1 ha scelto il nuovo percorso (e in tutta la Lombardia sono solo 31 gli allievi di terza media che l’hanno opzionato), mentre 48 hanno preferito l’indirizzo alternativo al Made in Italy, il liceo delle scienze umane opzione economico sociale (Les). A tutte le famiglie dei 48 ragazzi nei giorni scorsi è arrivata una comunicazione dalla scuola che offriva due possibilità: scegliere volontariamente di spostarsi all’altro corso o partecipare al sorteggio con cui sarebbero stati estratti a sorte i 24 studenti necessari per far partire la classe del Made in Italy, così da avere due classi, una di Les e una di Made in Italy.
Proteste dei genitori e dei sindacati – che parlano di “operazione forzata ed ideologica” – hanno portato però in serata, ieri, a una parziale retromarcia del dirigente scolastico Pierluigi Tadi che alla Provincia di Cremona ha inviato una nota: “Stiamo terminando la fase di valutazione delle domande, prevista alla conclusione delle iscrizioni online. Confermo che, senza adesioni volontarie da parte delle famiglie, il liceo del Made in Italy non partirà, ma attiveremo due classi di liceo economico-sociale, come richiesto dalle famiglie”. Niente più sorteggio, quindi, ma una classe che si formerà soltanto in presenza di adesioni spontanee di studenti che dopo aver indicato l’opzione economico sociale dovrebbero cambiare idea e passare al Made in Italy. Forse le proteste, ma più probabilmente il timore di ricorsi al Tar e trasferimenti in massa in altri licei della zona, hanno convinto il preside a tornare sui suoi passi.
Tadi ha aggiunto che, dopo aver ricevuto poche adesioni al liceo Made in Italy, “ho scritto ai genitori degli alunni di economia informandoli che il corso sarebbe andato a morire e che, nel caso, avrebbero potuto trasferire i figli al Made in Italy anche a iscrizioni già chiuse. I genitori non hanno accettato e così tutti restano nell’indirizzo economico e per il Made in Italy se ne riparlerà”.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
L’OPPOSITORE DI PUTIN SAREBBE MORTO IL 15 FEBBRAIO E NON IL 16… GLI STRANI MOVIMENTI NOTTURNI NEL CORTILE DEL CARCERE E L’FSB CHE DUE GIORNI PRIMA AVEVA MESSO FUORI USO LE TELECAMERE
Molte cose non tornano nella ricostruzione fatta dalle autorità russe della fine di Alexey Navalny. Se si può parlare di ricostruzione. Perché per ora ci sono solo risposte balbettanti e contraddittorie e da alcune testimonianze raccolte da media e organizzazioni autorevoli emergono fatti che, se confermati, potrebbero creare qualche imbarazzo anche a un regime come quello di Putin. Che degli imbarazzi sembra da tempo infischiarsene e comunque non ha problemi a rispondere a ognuno di questi con le menzogne più spudorate.
“Ormai al Cremlino non hanno più alcuna remora”, dice a Fanpage. it Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle. “Lo dimostra il fatto che non gli importa che tutto questo accada solo un mese prima delle elezioni presidenziali. Danno versioni diverse perché non c’è un coordinamento efficiente. Ma tutti diranno sempre e solo che è stata una morte naturale. Cosa a cui è impossibile credere”.
Spiegazioni di comodo
“Sindrome da morte improvvisa”, recita il referto verbale consegnato dalla colonia penale di Kharp alla madre e a un avvocato di Alexey Navalny, rende noto la storica portavoce del leader dell’opposizione russa Kyra Yarmysh. Una sindrome rara, dicono i medici rianimatori sentiti da diverse testate russe. Soprattutto se, come nel caso di Navalny, non ci fosse una predisposizione ereditaria o non avesse avuto precedentemente arresti cardiaci. E poi con questa sindrome si perde conoscenza e si muore subito. Non si ha prima “un malore”, come recitava l’annuncio ufficiale.
Quella di Kharp sembra una versione di comodo. Le autorità, nel Paese di Putin, tendono ad andare nel pallone quando hanno a che fare con compiti dai quali può dipendere il futuro professionale o semplicemente il futuro del funzionario interessato. Una fonte citata dal canale televisivo propagandistico Rt aveva invece indicato come causa della morte un “coagulo sanguigno”. Una trombosi, insomma. Strano, vista anche la dieta delle carceri russe: due piatti di polentina d’avena o di grano saraceno al giorno, acqua e poco altro. Ma, si sa, “queste cose succedono”, come ha subito detto il presidente della Commissione esteri del Senato russo Vladimir Dzhabarov.
Interessante quello che ha scritto su X Nadya Tolokonnikova, componente delle Pussy Riot che ha passato qualche anno nelle galere di Putin per aver tentato di cantare una canzone punk in una chiesa ortodossa di Mosca: “Dalla mia purtroppo notevole esperienza nelle prigioni russe — scrive Nadya — so bene che ‘coagulo sanguigno’ è la dicitura utilizzata dalle autorità carcerarie quando non hanno intenzione di investigare sulle cause della morte”. Secondo Tolokonnikova, è la firma sotto quello che ritiene senza dubbio “un omicidio politico”.
Un viaggio inutile
Molto più aperta la diagnosi post-mortem dell’obitorio di Salekhard, che si trova non lontano dal carcere di Navalny. “Non conosciamo la causa della morte”, ha detto candidamente il comitato investigativo alla madre e all’avvocato di Navalny. Poi, un’oretta più tardi, ha spiegato che comunque non era stato riscontrato alcun reato durante l’ispezione sul corpo. All’inizio, avevano premesso che il cadavere comunque non si trovava lì. Roba da far girar la testa. “Mentono ogni volta, girano in tondo e coprono le loro tracce”, è stato il commento di Kyra Yarmysh su X.
Il viaggio dell’anziana signora Lyudmila Navalnaya e dell’avvocato (sorvoliamo sul nome perché tutti i precedenti legali di Navalny sono stati arrestati, fuorché una che si è rifugiata all’estero) nel remoto carcere siberiano conosciuto come “Lupo Solitario” non è servito a molto. Non hanno potuto vedere il corpo di Alexey. Sarà restituito ai parenti “solo quando sarà stata completata l’autopsia e l’indagine”, è stato detto ai due a Salekhard. Quindi tra poco. Forse. Perché, come ha riferito un detenuto alla Novaya Gazeta Europe, “all’obitorio di Salekhard c’è un forno crematorio: se portano lì il corpo, in genere è perché le autorità hanno qualcosa da nascondere e vogliono far sparire ogni traccia nel fuoco”.
Chi sta investigando davvero sulla morte di Navalny è proprio Novaya Gazeta Europe. Un compagno di prigione del dissidente defunto ha detto al giornale che con ogni probabilità la morte risale al 15 e non al 16 febbraio. Servivano alcune ore per organizzare qualcosa o per coprire qualche evento che non doveva diventare noto, secondo la fonte.
Auto misteriose nella notte
Questo il racconto fatto dal detenuto: “Un inspiegabile subbuglio è iniziato la sera del 15 febbraio”. In particolare, l’ispezione serale è stata notevolmente accelerata, poi tutti sono stati chiusi nei dormitori e la sicurezza è stata aumentata. “Abbiamo sentito alcune macchine entrare nella ‘zona’ (il cortile esterno, nel gergo carcerario russo, ndr) per tre volte la sera tardi e in piena notte”, ha detto la fonte. “Ma cosa esattamente abbiano fatto non sono riuscito a vederlo dalla mia finestra”.
La mattinata del 16 febbraio è iniziata nella più totale confusione. I secondini della colonia penale hanno perquisito i detenuti e sequestrato telefonini (illegali, ma grazie alla diffusa corruzione molti carcerati li hanno, ndr), carte di credito e persino pentole. Dalle frasi delle guardie si è pensato che ci fosse un’ispezione ministeriale in arrivo. Però di solito le ispezioni vengono annunciate un mesetto prima e preparate con cura. Non certo come accaduto in questo caso.
La fonte della Novaya Gazeta ha aggiunto che la mattina del 16 febbraio nella colonia penale non sono arrivate ambulanze: ne è apparsa una solo nel pomeriggio, dopo che si era già saputo della morte di Navalny. Il Fsin, l’ente carcerario russo, sostiene che l’ambulanza è arrivata la mattina, sei minuti dopo il malore di Navalny e che per mezz’ora medici e paramedici abbiano tentato di rianimarlo. “Penso che Navalny sia morto molto prima dell’ora annunciata ufficialmente”, conclude il detenuto sentito dal giornale russo. “Molto probabilmente ieri sera”. Ovvero il 15 e non il 16 febbraio.
Telecamere sparite o fuori uso
Il sistema carcerario russo deriva dai lager nati in Sudafrica al tempo delle guerre boere, messi a punto nell’ Urss di Stalin e perfezionati dalla Germania nazista. Il regime è più severo che non nelle attuali carceri europee. E le strutture sono fisicamente diverse. Tra le “baracche” dove dormono i detenuti, l’area punitiva dove si trova la micro-cella che ospitava Navalny, e le recinzioni murarie esterne, c’è la cosiddetta “zona”, dove i prigionieri non in punizione possono circolare per buona parte della giornata. Naturalmente, la “zona” è piena zeppa di telecamere.
I redattori della Novaya Gazeta che, come ci dice il direttore Kirill Martinov, “purtroppo hanno una vasta esperienza nella lotta contro le autorità per il rilascio dei corpi di giornalisti e politici assassinati”, hanno subito chiesto accesso alle registrazioni video per poter capire cosa è davvero successo tra il 15 e il 16 febbraio nella colonia penale di Kharp. Ma, ovviamene, c’è un problema. Vedi caso, nelle ore precedenti e seguenti la more di Alexei Navalny molte delle telecamere del Fsin in quella struttura carceraria non funzionavano, secondo quanto afferma la Ong russa specializzata in diritti dei detenuti, Gulagu.net. Che ha potuto visionare un rapporto in merito redatto dalla direzione del Fsin della regione autonoma di Yamal-Nenets, dove si trova la colonia penale di Kharp.
Secondo una fonte di Gulagu.net, due giorni prima della morte di Navalny sono arrivati nel carcere agenti dell’Fsb, il servizio di sicurezza interna erede del Kgb sovietico, ed hanno spento o smantellato i dispositivi di ascolto e le telecamere “che avrebbero potuto registrare quello che è successo ad Alexei Navalny tra il 15 e il 16 febbraio”.
(da Fanpage)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
LA “PASSEGGIATA” A – 40 GRADI, LE TELECAMERE ROTTE E IL CORPO NASCOSTO
Fino a due giorni prima di morire, Alexei Navalny li ha trascorsi in una cella di massimo isolamento del carcere di Kharp, oltre il circolo polare artico. L’Ik3 è l’istituto penitenziario russo più a Nord, ricostruito nel 1961 sulle rovine di un gulag di Stalin. Viene chiamato «Lupo polare», intorno solo tundra ghiacciata da un lato e gli Urali dell’Artico dall’altra. Nella vicina città di Kharp ci sono quasi solo famiglie di dipendenti del carcere, tra guardie e impiegati. Nella cella di massimo isolamento Navalny era finito per la ventisettesima volta da quando è stato arrestato, secondo il conteggio dei suoi collaboratori citato dal Messaggero. Il dissidente russo aveva passato 295 giorni in punizione, su 1126 passati in carcere. Lo scorso dicembre, lo stesso Navalny aveva fatto dei cenni a quel loculo ghiacciato e umido che in inverno non ha mai luce: «Quando guardo dalla finestra è notte – aveva scritto sui social quando ha fatto sapere di essere stato trasferito – poi sera, poi di nuovo notte». Lo scorso 14 febbraio è tornato in cella, dopo 15 giorni di isolamento.
Le telecamere fuori uso
Fino al giorno prima, Navalny veniva descritto in buona salute. Il giorno dopo, il 16 febbraio, secondo le autorità russe sarebbe stato colpito da «sindrome da morte improvvisa». Ai suoi collaboratori, ricorda il Corriere della Sera, aveva raccontato che l’ora d’aria gli veniva concessa alle 6.30 del mattino, cioè il momento più gelido della giornata a Kharp. La versione ufficiale indica invece le 13 come l’ora del malore, avvenuto «durante la passeggiata» nel minuscolo cortile di 12 metri quadri a -40, con addosso al massimo un cappotto. Un detenuto ha confidato a Novaya Gazeta che già nella notte tra il 15 e il 16 febbraio nel carcere c’era un certo via vai. Come se fosse successo qualcosa di grave, con i detenuti riportati tutti nelle loro celle. Difficile che emergano altri dettagli, visto che anche le telecamere di sorveglianza da giorni pare fossero fuori uso.à
L’avvelenamento
C’è anche l’ipotesi avanzata da più parti dell’avvelenamento, come già accaduto ad altri dissidenti politici e nemici giurati di Vladimir Putin. Lo ribadisce anche il sito di opposizione, Sota, secondo cui da almeno quattro mesi Navalny era vittima di un lento avvelenamento. Un’eventuale conferma pare al momento improbabile, visto che a svolgere l’autopsia saranno esclusivamente operatori sotto gli ordini del Cremlino. E il corpo di Navalny non sarà restituito alla famiglia fino alla fine delle indagini, come hanno ribadito le autorità russe. Sempre che venga mai consegnato.
(da repubblica.it)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
L’IPOCRISIA DELLA LEGA SUL CASO NAVALNY
Sono scarso in dietrologia, ma sarei curioso di capire perché la Lega, con un dispaccio Ansa di mezza riga, annuncia che manderà una sua delegazione alla manifestazione romana in memoria di Navalny.
Colpo di mano dei “moderati” contro il Salvini? Mossa del Salvini per darsi una patina di rispettabilità democratica?
Visti i precedenti, non sarebbe più onesto rivendicare la simpatia per l’autocrate, l’equidistanza (eufemismo) sul conflitto con l’Ucraina, l’indifferenza di fronte alla repressione dell’opposizione e della libertà di stampa in quel grande e infelice Paese, il cui regime avvelena e uccide i nemici interni come nelle corti medievali?
Non è mica obbligatorio, essere democratici. Il Salvini e i suoi sottoposti (in prima fila il Crippa) danno la netta impressione di fingersi tali solo per convenienza o per ipocrisia, o peggio perché non hanno la forza morale, politica e culturale di sostenere a viso aperto: la democrazia non ci piace, l’Europa non ci piace, l’Occidente è decadente e vizioso, meglio la vigorosa figura di un Capo che rimette le cose a posto, alzando la croce della Tradizione contro la deriva morale.
Più schietto del Salvini è il prete Cirillo, che dice a chiare lettere che chi entra in Europa sarà obbligato a celebrare il gay-pride, e lancia il suo anatema senza fare finta di essere tollerante, o addirittura democratico.
Bravo Calenda che, su questo punto, non arretra di un passo, e rinfaccia al Salvini nient’altro che le sue idee politiche professate lungo gli anni.
Nella manifestazione in morte di Navalny, la presenza della delegazione leghista sarà una specie di curiosità esotica. Gli allibratori pagheranno quotazioni altissime per chi scommette sulla presenza del Salvini in persona.
(da repubblica.it)
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Febbraio 18th, 2024 Riccardo Fucile
LE MICRO-IMPRESE SONO PIU’ AVANTI E NON VIVONO DI SUSSIDI: “LA TRANSIZIONE ECOLOGICA E’ GIA’ DENTRO IL NOSTRO LAVORO”
Siamo forse abituati a pensare l’agricoltura come unica entità, ma le proteste in atto nelle strade italiane in questi giorni svelano quanto in realtà il mondo agricolo sia composito.
Gli agricoltori che hanno deciso di scendere in strada coi trattori appartengono al circuito agricolo industriale. Si tratta di quelle produzioni intensive, orientate allo sfruttamento dei terreni in modo da massimizzare le produzioni, quella che oggi chiamiamo “agricoltura convenzionale”. Per oltre 50 anni le politiche agricole nazionali ed europee hanno incoraggiato questa modalità di coltivazione e allevamento, che all’epoca doveva sembrare innovativa e all’avanguardia e che oggi ha rivelato tutti i suoi limiti, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, della salute dei suoli e della salubrità del cibo prodotto. Questi agricoltori protestano perché le nuove norme scombineranno via via le regole del gioco a cui sono abituati e non sono pronti. Per tutti questi anni le loro principali fonti di formazione e aggiornamento professionale sono stati corsi e consulenze erogati da aziende produttrici di mangimi, fertilizzanti e pesticidi con precisi interessi commerciali e non particolarmente inclini alla transizione ecologica
Nondimeno, sebbene i finanziamenti legati alla PAC abbiano indubbiamente supportato il settore fino ad ora, hanno anche avuto l’effetto collaterale di drogare il mercato dei beni agricoli, consentendo di soprassedere ai prezzi iniqui dettati dall’industria e lasciando le aziende agricole prive di quella cultura imprenditoriale che permette alle imprese di altri settori di far fronte ai cambiamenti con maggiore elasticità. Il risultato è una protesta reazionaria contro il Green Deal e le politiche agricole comunitarie.
Poi ci sono quelli che in silenzio sono rimasti a guardare, non condividendo del tutto le ragioni della protesta. Sono l’agricoltura di quelle micro-imprese rispettose dell’ambiente e degli animali, che non sono interessate dalla transizione ecologica perché il loro approccio è già dentro quei cardini.
Per capire meglio il sentire di queste piccole ma numerose realtà sparse in tutto il territorio, ho sottoposto ai membri dell’Associazione delle Casare e dei Casari di Azienda Agricola un breve sondaggio. Dall’indagine è emerso che queste aziende, pur appartenendo al mondo agricolo, per il 94% non si sentono rappresentate dalla protesta in corso o lo sono solo in parte. In particolare circa l’80% si dichiara in disaccordo con le istanze contro il Green Deal, è quindi favorevole alla riduzione dei pesticidi e alla transizione ecologica. Alle micro-imprese agricole di filiera corta sembrano interessare maggiormente incentivi alle produzioni sostenibili, l’attenzione alla concorrenza sleale derivata dalle importazioni da paesi con regole diverse e soprattutto la riduzione del carico burocratico.
La percezione generale è che nonostante le ingenti risorse economiche destinate ai grandi produttori, il settore agricolo sia stato a lungo “trascurato” sia dalle politiche che dalla nostra cultura in generale. A partire dall’idea che il mestiere dell’agricoltore potesse essere adatto anche a chi non aveva particolare inclinazione allo studio fino al valore economico che siamo disposti a dare al cibo. Oggi come non mai tutti noi abbiamo bisogno di invertire questa tendenza: la produzione di cibo necessita di persone formate e capaci, in grado di far fronte alle sfide che il settore deve affrontare.
Se dovessi formulare richieste all’Unione Europea, chiederei politiche orientate a gratificare le aziende virtuose, un sistema di conoscenze condiviso e strumenti utili alle imprese per procedere nella transizione verde con consapevolezza.
(da agenzie)
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