Destra di Popolo.net

OGGI E’ LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ORSO POLARE, IL RE DI UN MONDO CHE STA MORENDO A CAUSA DELL’UOMO

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

MAGNIFICI ANIMALI CONDANATI ALL’ESTINZIONE A CAUSA DELLO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI, DEL RISCALDAMENTO GLOBALE E DELL’IMPATTO DI COMBUSTIBILI FOSSILI… TUTTI EFFETTI CHE AI SOVRANISTI NON FREGANO UN CAZZO, IMPEGNATI A ELARGIRE CONTRIBUTI AGLI INQUINATORI

Oggi, martedì 27 febbraio 2024, ricorre la Giornata Internazionale dell’Orso Polare (International Polar Bear Day), un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sul drammatico impatto del cambiamento climatico su questa iconica specie.
Il maestoso plantigrado, le cui popolazioni sono principalmente distribuite nella regione artica / circumpolare tra Alaska, Canada, Isole Svalbard e Russia, è infatti fortemente minacciato dalla progressiva e inarrestabile perdita del ghiaccio marino, che equivale letteralmente alla distruzione del suo habitat naturale.
La durata e l’estensione delle piattaforme di ghiaccio marino, del resto, sono crollate sensibilmente negli ultimi decenni e continuano a diminuire, rendendo la vita per questi meravigliosi animali un vero e proprio incubo.
Una delle principali conseguenze dello scioglimento del ghiaccio è la difficoltà per gli orsi polari (Ursus maritimus) di andare a caccia delle proprie prede preferite, le foche, costringendoli a viaggi sempre più lunghi – e a estenuanti nuotate – per raggiungere le fonti di cibo.
§Questo notevole dispendio di energia ha un impatto particolarmente significativo sulle femmine con piccoli, che non riescono più a produrre latte a sufficienza – o di qualità – per sfamare i propri figli.
Nei casi più estremi le madri sono costrette a scegliere se preservare le riserve e salvarsi (condannando i piccoli) oppure sacrificare se stesse per continuare ad alimentarli, fino alla fine.
È quanto emerso da un recente studio guidato dalla professoressa Louise Archer dell’Università di Toronto Scarborough, che ha collaborato con colleghi dell’Alaska Science Center di Anchorage e dell’Università di Toronto.
Secondo i ricercatori, il calo del latte materno ricco di grassi causato dalla riduzione del ghiaccio sarebbe tra i responsabili del crollo della popolazione di orsi polari nell’area occidentale della Baia di Hudson (Canada), dimezzata rispetto ad alcuni decenni fa.
La carenza del ghiaccio rende anche più difficile l’incontro tra potenziali partner e la possibilità di trovare tane valide dove partorire e allevare i cuccioli nei primi mesi di vita.
La mancanza di cibo, inoltre, rende anche più aggressivi i grossi maschi affamati, che possono trasformarsi in un pericolo significativo per le femmine con i cuccioli. Che la fame sia diventata un enorme problema per gli orsi polari è stato ben evidenziato in una recente indagine condotta nel Parco nazionale Wapusk (Canada) da scienziati dello US Geological Survey – Alaska Science Center.
I ricercatori hanno seguito per tre anni con radiocollari dotati di videocamera 20 esemplari durante l’estate artica, evidenziando che 19 di essi hanno perso peso. Gli animali affamati sono stati visti mentre rosicchiavano i palchi dei caribù, fare incetta di bacche e divorare carcasse di uccelli, un rischio enorme a causa dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità, che ha recentemente ucciso il primo orso polare in Alaska.
Nonostante il riposo prolungato e le (poche) proteine ingerite attraverso queste fonti alternative, la perdita di peso è stata significativa per la quasi totalità degli animali studiati: la media è stata di 1 chilogrammo in meno al giorno.
Poiché a causa del riscaldamento globale il ghiaccio marino continuerà a ridursi nei prossimi anni, i giorni privi del candido manto – e quindi di digiuno – continueranno ad aumentare inesorabilmente, fino a diventare insostenibili per le popolazioni di orsi polari residue, che saranno condannate all’inevitabile estinzione.
Secondo uno studio del WWF, entro il 2060 circa il 30 percento delle popolazioni di questi animali (ce ne sono 19) rischia di sparire. Ma con l’attuale curva di riscaldamento gli esiti potrebbero essere ancora più catastrofici.
Una ricerca dell’Università di Toronto dell’Università di Toronto – Scarborough prevede infatti l’estinzione della specie entro il 2100. Con un riscaldamento di 3,3 °C (al momento siamo proiettati verso i 2,7 °C), secondo gli esperti, non ci sarà più la possibilità di procurarsi cibo per i piccoli. E una popolazione senza cuccioli è una sentenza di condanna alla scomparsa.
L’orso polare è classificato come Vulnerabile (Codice Vu) nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), ma non ci sono stime precise sul numero di esemplari attualmente presenti. Si stima che ad oggi ne vivano tra i 22.000 e i 30.000. Se riusciremo a contenere le emissioni di CO2 e altri gas a effetto serra c’è la speranza che la specie possa riprendersi e prosperare in futuro, ma se non faremo nulla per combattere l’impatto dei combustibili fossili condanneremo questi e molti animali all’estinzione, oltre a provocare “sofferenze indicibili” a noi stessi.
Un simbolo della precarietà della vita degli orsi polari è la meravigliosa foto “Ice Bed” del fotografo naturalista Nima Sarikhani, nella quale un esemplare è immortalato mentre riposa delicatamente su un piccolo iceberg alla deriva. È una scialuppa di salvataggio in un mondo destinato a sparire a causa nostra.
(da Fanpage)

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È GIÀ PARTITA LA CANTILENA VITTIMISTA DI MELONI E DEI SUOI “FRATELLI”: LA DUCETTA E FDI NON RIESCONO AD AMMETTERE DI ESSERE STATI SCONFITTI E ADDOSSANO LA COLPA ALLA LEGA DI SALVINI CHE, CON IL VOTO DISGIUNTO, AVREBBE AFFOSSATO TRUZZU IN SARDEGNA

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

SORA GIORGIA E’ FURIOSA CON IL “CAPITONE” E ADDIRITTURA CON SERGIO MATTARELLA PER LA SFURIATA SULLE MANGANELLATE… SALVINI, DOPPIATO IN SARDEGNA DA FORZA ITALIA, SI PREPARA A FAR BALLARE LA MELONA SU OGNI DOSSIER

Come guidata da un’inarrestabile forza di gravità, il rischio di una disfatta sarda piomba in consiglio dei ministri. È primo pomeriggio, ma a Palazzo Chigi già si fanno spazio cattivi pensieri.
Raffaele Fitto, che di Giorgia Meloni è fedelissimo e amico, duella con Matteo Salvini. Con un’asprezza inedita, figlia di ore concitate. Volano parole pesanti. Il leghista gli imputa di aver finanziato alcune opere del Pnrr tagliando i progetti di ponti, strade e ferrovie, a lui cari da ministro delle Infrastrutture.
Alla fine, Salvini lascia la sala prima del tempo. «Così non va, proprio non va», si infuria. Distanze sul merito, certo. Ma è ovviamente la politica a guidare. E a far prevedere che la battaglia, nel centrodestra, è appena cominciata.
Dallo spettro di una prima sconfitta della presidente del Consiglio bisogna partire. La reazione a caldo della leader è quindi: comunque vada, non è successo niente.
A chi la ferma dedica al massimo una smorfia di indifferenza. Uno scudo indossato per non pagare da sola il prezzo politico di un candidato debole imposto personalmente a Salvini, a costo di pubblica mortificazione.
Per mettere in sicurezza la situazione, fa anche di più: riunisce a pranzo il segretario della Lega e Antonio Tajani. E lo fa impostando questo messaggio: «Se Truzzu perde, significa che ha perso tutto il centrodestra — il senso dei suoi ragionamenti, riferiscono — Non ditemi che Solinas avrebbe fatto meglio». Calmi e niente polemiche, insiste.
Fin qui, la propaganda. Certo, Salvini annulla la partecipazione alla trasmissione di Nicola Porro, prevista per la sera. Ma la realtà è che Meloni è più che irritata: è nello stesso tempo furiosa con l’alleato e preoccupata dall’imminente futuro.
Il voto disgiunto non spiega da solo un risultato deludente, ma certo a Palazzo Chigi prevale la convinzione che i leghisti abbiano votato per Todde. È quella «lealtà» che aveva chiesto a porte chiuse ai partner. E che rinfaccia al vicepremier durante il pranzo, senza sconti: alla fine, Truzzu avrà almeno cinquemila voti in meno rispetto ai consensi raccolti dalle liste. Uno scarto risultato decisivo.
Ma c’è di molto peggio. La destra si prepara alla battaglia intestina. Salvini, sospinto dai suoi, imposta a tavolino una strategia di logoramento ben precisa. Con un’escalation che dovrebbe durare fino alle Europee.
Il primo assalto sarà ovviamente lanciato sul terzo mandato, quello caro a Luca Zaia per ottenere la riconferma da governatore. Quello che Salvini ha preteso per settimane, inascoltato.
Tra qualche giorno l’Aula del Senato deve esprimersi sull’emendamento padano. Palazzo Chigi ha già deciso come reagire: se la Lega non dovesse frenare, il governo metterà la fiducia sull’intero provvedimento, impedendo che i senatori del Carroccio possano esprimersi. Uno schiaffo, una sfida al cuore del Carroccio.
Questa è l’aria che tira. Per non parlare del dibattito sulle ragioni del risultato. Nella prima cerchia meloniana, l’idea diffusa — che nessuno nasconde, e anzi in diversi veicolano — è che anche la vicenda delle manganellate di Pisa agli studenti abbia inciso, in qualche modo. Spostando consenso.
Meloni sarebbe irritata, dunque. E lo sarebbe non per l’incidente di piazza, ma per le parole pronunciate da Sergio Mattarella a poche ore dall’apertura delle urne, nel giorno del suo primo G7 presieduto da presidente del Consiglio.
Tensione alta, altissima. E la sensazione che qualcosa stia cambiando. La prima preoccupazione arriva dalle prossime regionali. Il 10 marzo si vota in Abruzzo — dove corre un meloniano come Marco Marsilio — poi in Basilicata: sembravano due partite chiuse, ma adesso?
E poi c’è la corsa più importante: quella di Meloni alle Europee. Il vantaggio della premier è quello di aver già comunicato ai suoi che non scioglierà la riserva prima di aprile. Potrà pesare i sondaggi, nel frattempo.
E valutare i contraccolpi del voto sardo. La verità è che Meloni teme di sbilanciare ulteriormente il governo, scendendo in campo. E ha paura di non ottenere le percentuali sperate per potere cantare vittoria. Ma di una cosa si dice certa: se Salvini alzerà il tiro, se nei prossimi tre mesi proverà a colpirla, se giocherà al logoramento, lei reagirà candidandosi. Poi, conti alla mano, deciderà se proseguire a Palazzo Chigi. E soprattutto, come ridisegnare gli equilibri dell’esecutivo. Non certo a favore di Salvini.
(da agenzie)

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A DESTRA HANNO SCOPERTO DI ESSERE “ARROGANTI” DOPO UN ANNO E MEZZO DI “IO SO’ GIORGIA E VOI NON SIETE UN CAZZO”.

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

L’EDITORIALE DI AUGUSTO MINZOLINI SUL “GIORNALE” DI SALLUSTI (BIOGRAFO DELLA DUCETTA): “PER VINCERE LA COALIZIONE DI GOVERNO DEVE METTERE DA PARTE INNANZITUTTO L’ARROGANZA CHE L’HA CONTAGIATA FATALMENTE DOPO LA VITTORIA ALLE ULTIME POLITICHE”

Non è la prima volta che lo scrivo, ma come dicevano i latini«repetita iuvant». Un mese prima di morire Silvio Berlusconi mi affidò questa analisi sulla politica italiana: «Giuseppe Conte mi ha spiegato che fino alle elezioni europee Pd e 5stelle saranno divisi, ma dopo è ineluttabile che ci sia un’intesa.
Per cui alla fine, la distanza tra i due schieramenti resta quella di sempre 2-2,5%. Se vuoi vincere, o va rilanciata Forza Italia o devi portare dalla tua parte qualcuno che è nel mezzo».
Non è passato neppure anno e la premonizione del Cav si è avverata, le elezioni in Sardegna offrono più o meno questo quadro: il centrodestra d`ora in avanti avrà di fronte un`alleanza Pd-5stelle e, se non corre ai ripari, dopo le europee una sorta di Unione, cioè uno schieramento che vedrà tutti gli altri insieme.
Un orizzonte problematico perché se già solo l`alleanza tra Pd e 5stelle si è assicurata la vittoria in una regione che il centrodestra ha governato fino a ieri, immaginate che margine di successo avrebbe avuto uno schieramento che avesse messo insieme tutti dai «centrini», alla sinistra, ai grillini.
Quindi, per vincere la coalizione di governo deve mettere da parte innanzitutto l`arroganza che l`ha contagiata fatalmente dopo la vittoria alle ultime politiche. Osserva la vecchia volpe di Maurizio Gasparri: «Abbiamo vinto le elezioni politiche ma questo non significa che abbiamo vinto per sempre. Ci vuole meno arroganza e una maggiore attenzione nella scelta dei candidati. Non puoi sostituire Solinas che nella classifica del Sole 24 Ore sul gradimento dei governatori era ultimo, con Truzzu che era terzultimo nella graduatoria dei sindaci. Forza Italia aveva candidati più competitivi ma non ha più le percentuali di voto di una volta, solo che il problema della qualità del candidato dovrebbe porselo l`intera coalizione. Ecco perché sulla vicenda Zaia bisogna essere cauti».
Magari ci vorrebbe davvero una salutare bagno d`umiltà collettivo nel centrodestra per evitare che, come in Sardegna, quella che doveva essere una passeggiata si trasformi prima in un patema d`animo e poi in una tragedia.
Che avrà degli strascichi dolorosi visto che è cominciato il processo alla Lega con l`accusa di aver praticato il voto «disgiunto». Accuse che non puoi riportare al governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, astro nascente del Carroccio, perché altrimenti si inalbera. «Prendersela ora con Salvini – ragiona – è un altro errore. Abbiamo toccato con mano i rischi del cesaro-papismo, altroché! Qui tutti debbono convincersi che gli elettori hanno un`anima. Nessuno può decidere sulla testa dei territori. Questa non è politica, è solo arroganza».
Ed ancora: «Se vogliono ripetere la stessa esperienza in Veneto, mettendo in discussione Zaia, allora rischiano davvero di rompersi la testa”.
Anche perché l`errore commesso in Sardegna potrebbe costare caro: potrebbe far da volano per la costruzione di uno schieramento competitivo alternativo. Ora sull’altro fronte si sono accorti che insieme possono vincere».
È un altro dei problemi che si porranno d’ora in avanti a Meloni e soci. Com’è successo nel centrodestra anche nell’arcipelago del centrosinistra la vittoria potrebbe appianare le diversità, aprire la strada al pragmatismo e al compromesso.§
Alla fine, però, torniamo al punto di partenza. Quella parola «arroganza» ricorre spesso a destra come a sinistra. È il limite che Vincenzo De Luca ha rimproverato alla premier: «Non sa vincere». Tradotto: la difficoltà ad interpretare lo spirito di coalizione che è un requisito essenziale per il leader un`alleanza e a confrontarsi con l`opposizione.
«La verità è che non ci risparmiamo le sofferenze – confida il forzista Giorgio Mulè -, ci piace soffrire. Vedrete tra poco più di un mese ci sono le elezioni in Basilicata e ci sarà di nuovo il derby interno su chi dovrà essere il candidato. Si ricomincerà da capo: puro masochismo».
Augusto Minzolini
(da il Giornale)

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TRUZZU, LO «SCHIAFFO» DI CAGLIARI E I QUATTRO PUNTI DI DIFFERENZA DECISIVI CON LA COALIZIONE

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

PERCHÉ HA PERSO LE ELEZIONI IN SARDEGNA

Lo spettro del voto disgiunto avrà agitato i pensieri di Paolo Truzzu (e forse, navigando verso il continente, pure quelli di Giorgia Meloni). Evocato a più riprese in campagna elettorale si è materializzato alle urne. Anzi, smaterializzato: nelle circa cinquemila schede che mancano all’appello per il candidato di centrodestra.
Truzzu ha raccolto circa 327 mila voti (quando lo spoglio è a 1.822 sezioni su 1.844); le liste di centrodestra che lo sostengono, insieme, 333 mila. Tra il suo 45% e il 49 della coalizione ci sono quattro punti di differenza. Oltre cinquemila elettori sulla scheda hanno scelto una lista di centrodestra, ma hanno tracciato la X sul nome di un altro candidato presidente. Chi? Alessandra Todde, Renato Soru? Entrambi hanno preso più preferenze delle loro coalizioni. Ma sembra sia Todde ad aver beneficiato di più dai voti in libera uscita: per lei oltre 40 mila preferenze più della coalizione. La differenza per Mr. Tiscali è di oltre 8 mila voti.
Il vantaggio di Todde ovviamente non si spiega tutto con il voto disgiunto: a differenza di Truzzu, lei è stata capace di attrarre migliaia di preferenze di cittadini che hanno votato solo per lei.
«L’evidenza più netta di questa elezione è che c’è un candidato giusto e uno sbagliato», commenta Salvatore Vassallo, politologo, presidente dell’Istituto Cattaneo: «Meloni ha un problema, quello del reclutamento della classe dirigente».
Ma la mappa politica della Sardegna mostra anche una netta distinzione tra il voto delle città, dove vince il centrosinistra, e quello dei piccoli Comuni, dove è in vantaggio il centrodestra.
«Nei Comuni capoluogo Todde è in vantaggio anche di 10-15 punti, negli altri centri prevale invece Truzzu, di circa 5 punti», è quanto nota, a spoglio ancora in corso, Lorenzo Pregliasco, cofondatore di YouTrend .
Lo smacco di Cagliari. La città dove Truzzu è sindaco uscente adesso fa da traino al centrosinistra. Qui Todde arriva al 53% mentre il centrodestra si ferma sotto al 35. Cinque anni fa Truzzu aveva vinto al primo turno, oltre il 50%. Meno di un anno e mezzo fa, alle politiche, il centrodestra sfiorava il 40, con FdI oltre il 23. «Da un lato è uno smacco notevole perdere di quasi 20 punti nella città dove hai amministrato. Dall’altra parte è una città che, anche quando la Regione andò a destra, votava per Zedda», commenta Pregliasco. Di certo il dato di Cagliari sarà centrale, nei vertici di partito, nelle discussioni sul post voto.
(da La Stampa)

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MARIO SECHI, FINALMENTE “LIBERO” DAI FAZZOLARI E DALLE SCURTI CHE LO CACCIARONO DA PALAZZO CHIGI, SI PRENDE LA SUA RIVINCITA: “TRUZZU È IL PRIMO VERO ERRORE DI VALUTAZIONE FATTO DA GIORGIA MELONI DA QUANDO È PREMIER”

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

SIAMO ALL’INIZIO DI UN BIG BANG: “I CICLI POLITICI SONO ACCELERATI, GLI ANNI PASSANO VELOCI, IL CENTRODESTRA DOVRÀ TROVARE UN ASSETTO DIVERSO DA QUELLO CHE ABBIAMO VISTO FINORA. GLI ELETTORI HANNO SUONATO LA SVEGLIA”

Dove eravamo rimasti? A Francesco Cossiga che ricordava: «La Sardegna è un laboratorio politico». Le elezioni hanno confermato le parole del Presidente, i dettagli locali diventano quadro nazionale.
Il primo fatto è la dimostrazione della legge dell’alternanza sarda, quando gli elettori dell’isola non sono convinti, i calcoli sono vani, la lista Soru doveva consegnare una facile vittoria al centrodestra e invece abbiamo visto una sfida serratissima.
Il secondo fatto è una conseguenza del primo, Paolo Truzzu è stato bocciato a Cagliari, il capoluogo della Regione di cui era primo cittadino, ha preso meno voti della coalizione che lo sosteneva. Doveva essere una corsa in scioltezza e invece…
Il terzo punto è un passaggio di logica politica, la scelta del candidato del centrodestra è stata comunque sbagliata. Errore nel metodo, nell’analisi e nella qualità della scelta.
Il quarto elemento discende dal terzo, la candidatura di Truzzu è, in ogni caso, il primo vero errore di valutazione fatto da Giorgia Meloni da quando è premier.
Il quinto punto è un bagliore dal futuro: l’arrivo di Meloni a Palazzo Chigi ha innescato una semplificazione della mappa politica, la sua guida favorisce un modello bipolare, la riforma del Premierato va in questo senso, la conseguenza è che “il campo largo” è destinato a saldarsi, nonostante Schlein e Conte. Divisi hanno perso le elezioni politiche, insieme hanno corso bene in Sardegna.
Siamo all’inizio di un Big Bang, ci sarà un consolidamento della mappa politica che passerà per le elezioni europee, fino ad atterrare nel voto nazionale, quando ci sarà. I cicli politici sono accelerati, gli anni passano veloci, il centrodestra dovrà trovare un assetto diverso da quello che abbiamo visto finora. Gli elettori hanno suonato la sveglia.
Mario Sechi
per “Libero quotidiano”

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“I SARDI HANNO RISPOSTO AI MANGANELLI CON LE MATITE”

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

IL GIORNO DOPO DI ALESSANDRA TODDE: “SONO CONTENTA DI ESSERE LA PRIMA PRESIDENTE DONNA DELLA MIA TERRA, QUI LA MELONI E’ STATA VERGOGNOSA, L’ARROGANZA AI SARDI NON PIACE”

E’ un giorno dopo di orgoglio quello di Alessandra Todde, eletta governatrice della Sardegna con una battaglia all’ultimo voto contro il sindaco uscente di Cagliari, Paolo Truzzu. Todde, ex deputata ed ex vicepresidente del Movimento cinque stelle, parla di Sardegna ma non disdegna la dimensione nazionale: «Sono orgogliosa di essere la prima presidente della Sardegna, dopo 75 anni siamo riusciti a rompere un altro tetto di cristallo», dice in conferenza stampa.
E sul fatto che la Sardegna sia il primo tentativo andato a segno del Campo largo che unisce M5s, Pd e Avs, risponde: «La Sardegna non è un laboratorio, i sardi non sono delle cavie. Ma sono felice di condividere questa vittoria con Giuseppe Conte ed Elly Schlein, sono contenta che la Sardegna sia il luogo in cui si dimostra che questa alleanza può funzionare. Mi ha molto colpito quello che è successo a Pisa, città dove io ho studiato, sono felice che i sardi si siano ricordati della loro storia e abbiano risposto ai manganelli con le matite».
Todde dice anche che andrà in Abruzzo a fare campagna elettorale: «Andrò, c’è stata generosità con me e voglio fare altrettanto. Sono convinta che anche a livello nazionale e negli altri territori ci vogliano progetti solidi e progetti che coinvolgono un popolo che vuole unità». L’attacco più duro è per Giorgia Meloni e la sua campagna elettorale in Sardegna: «La sua è stata una passeggiata, un’apparizione vergognosa, i sardi non si meritano il cabaret, strafottente. La risposta è stata delle grandi città ma anche delle piccole realtà. L’arroganza ai sardi non piace».
I temi nazionali sono tanti, anche se Todde ribadisce di aver fatto una scelta di campo e di non temere la tagliola pentastallata che dopo due mandati le imporrà di lasciare le cariche elettive (e quindi di rinunciare a tentare al bis). E per Flavio Briatore che ha detto «se vince Todde non vado più in Sardegna», la stoccata è spietata: «E’ un problema suo, noi stiamo bene anche senza».
(da agenzie)

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CAMILLA E RENATO SORU: LA VITTORIA DELLA FIGLIA SUL PADRE E IL FALLIMENTO DEL TERZO POLO IN SARDEGNA

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

VOTI BRUCIATI, L’EX GOVERNATORE NON ENTRERA’ IN CONSIGLIO… E LA SFIDA GENERAZIONALE LA PERDE MALISSIMO

«Ci è stato detto: “O la candidata del M5s o morte. Evidentemente non c’era la volontà di tenere assieme i riformisti». Il giorno dopo le elezioni regionali in Sardegna Carlo Calenda tiene il punto sulla strategia di Azione e del Terzo Polo nonostante i risultati non l’abbiano premiata. Eppure l’ex governatore Renato Soru nell’isola era sostenuto (tiepidamente) anche da Italia Viva.
Mentre Matteo Renzi ha detto sì alla lista di scopo per gli Stati Uniti d’Europa proposta dalla leader di +Europa Emma Bonino. Ma anche su questo il leader di Azione sembra irremovibile: «Noi ci presenteremo, ma io non farò più l’errore di allearmi con Renzi». Il dato di fatto però è che Soru non ha superato la soglia del 10%. Quella che serve per entrare in consiglio regionale. E quindi tutti i voti del Terzo Polo sono stati buttati.
Il Campo Largo
In più, dalle parti del Terzo Polo è necessario anche ingoiare la prima vittoria in una Regione del Campo Largo. La candidata grillina Todde è stata appoggiata da Elly Schlein, che si è spesa per la sua vittoria come Giuseppe Conte. Il Pd ora è il primo partito in Sardegna mentre l’accoppiata con +Europa ha restituito ad Azione poco più di diecimila voti e l’1,5%. Certo, più di quelli di Rifondazione Comunista che appoggiava, chissà perché, l’ex governatore. Ma comunque un risultato risibile per le ambizioni di Calenda & Co.
E a simboleggiare una sconfitta indiscutibile – peraltro ammessa dal candidato – c’è anche la sconfitta in famiglia per l’imprenditore di Tiscali: la figlia Camilla entrerà in Consiglio, lui no. Per lei è stata anche una liberazione, come spiega oggi a Repubblica: «Sono contenta che mio padre non finirà per essere ricordato come il responsabile della sconfitta del centrosinistra».
Staffetta generazionale
«Spero stia bene, in campagna elettorale non ci siamo mai incontrati», aggiunge lei. Che poi rinuncia a rigirare il coltello nella piaga: «Ha perso un sindaco che è stato bocciato senza appello dai suoi cittadini, anche perché in una campagna elettorale da grande assente si è notato solo per le sue offese ignobili a Michela Murgia, mentre Todde andava casa per casa. Ha perso chi l’ha scelto e un governo che ha politicizzato la sfida locale, e inizia a deludere pure i suoi elettori».
Anche per lei il voto nell’isola è un buon viatico per il Campo Largo: «Spero il voto sardo lo imponga, di rilanciarlo. Noi l’abbiamo provato sul campo, non è più stagione di autosufficienza nel Pd, e mi auguro la Sardegna dimostri anche al M5s che l’unica strada percorribile è quella comune. L’alternativa c’è, quando fanno squadra le forze del campo e si condividono i programmi».
(da agenzie)

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GIORGIA MELONI FURIOSA: “LA LEGA HA TRADITO”. MA IL FLOP E’ TUTTO SUO

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

INUTILE PRENDERSELA CON IL VOTO DISGIUNTO SE IMPONI UN CANDIDATO CHE PRENDE IL 4% IN MENO DELLA PROPRIA COALIZIONE

Il dato più importante delle elezioni regionali in Sardegna è il confronto tra i voti di lista e quelli per il candidato del centrodestra Paolo Truzzu. Mentre i partiti che lo appoggiavano hanno ottenuto il 49% dei voti, lui si è fermato al 45%. Ma c’è anche l’incredibile sconfitta di Cagliari: nonostante fosse il primo cittadino, Trux è arrivato al 34,54% mentre la sua sfidante Alessandra Todde ha portato a casa più del 53%. Ce n’è abbastanza per dire che il centrodestra nell’isola ha sbagliato il candidato. Ma quel candidato l’ha voluto fortissimamente Fratelli d’Italia, rifiutando il bis a Christian Solinas e facendo arrabbiare la Lega. Eppure Giorgia Meloni è furiosa. E i circa cinquemila voti che mancano a Truzzu sono il numero che la fa gridare al complotto.
La strategia della Lega
L’idea è che ci sia stata una strategia di Matteo Salvini per boicottare Truzzu. Se ne parlava sui giornali alla vigilia del voto, sostenendo che la ripicca del Carroccio fosse legata al niet di Fratelli d’Italia sul terzo mandato.
Secondo questa prospettiva i leghisti (e i loro alleati nell’isola) avrebbero deciso di punire il sindaco di Cagliari con la “complicità” del Partito Sardo d’Azione: per la defenestrazione di Solinas e per l’intenzione di tarpare le ali ai governatori del Nord rifiutando loro la terza corsa. Un dato arriva a dare consistenza a questa lettura: la differenza tra le liste che appoggiavano il candidato governatore e i voti a Truzzu è di circa cinquemila voti, che ammontano a poco più del 3% del totale: ovvero proprio la percentuale presa dalla Lega alle urne. La Stampa riporta anche il commento di un dirigente sardista: «Andate a vedere l’effetto del voto disgiunto a Cagliari e Quartu».
Il voto disgiunto
E ancora: «A Roma devono capire che non possono imporci nulla a casa nostra». E a questo punto dentro FdI e nel governo crescono i timori per i prossimi appuntamenti elettorali. Come per le regionali in Abruzzo, dove corre un altro candidato di FdI: Marco Marsilio. E dove la Lega aveva fatto un po’ di resistenza sul nome. Anche se qui i sondaggi gli attribuiscono un grande vantaggio, potrebbe non bastare a lasciare tranquilla la premier il 10 marzo. Da qui l’accusa di «tradimento» alla Lega, riportata oggi dal Fatto Quotidiano. Ma anche un appello: «Comunque vada, dobbiamo stare uniti». Anche per fronteggiare l’emorragia nel suo partito: FdI era la prima realtà della Sardegna alle elezioni politiche, adesso è stato superato dal Partito Democratico.
Il flop di Meloni
Ma in realtà il fallimento è tutto della premier. Se è vero che la giunta Solinas aveva deluso l’elettorato e quindi era giusto cambiare cavallo, è lei che ha imposto il candidato presidente scegliendo Truzzu a discapito di altri. Una critica velata in questo senso arriva da Forza Italia, dove il senatore Maurizio Gasparri nota il buon risultato degli azzurri ma aggiunge anche che la regola nella scelta del candidato non deve essere quella di lasciar scegliere chi ha più voti. Serve invece il candidato giusto a prescindere dal partito di appartenenza. La presidente del Consiglio, è il ragionamento sotteso, si è incaponita su quello sbagliato. E ha anche sottovalutato la potenza di fuoco della Lega andando a scontrarsi con il Carroccio sul terzo mandato alla vigilia delle urne.
Le elezioni e le lezioni
Una prospettiva ribadita da Fi anche attraverso Giorgio Mulé in un’intervista a Repubblica: «Non si devono fare prove di forza pesando i voti su elezioni differenti e non si deve arrivare a ridosso delle elezioni per scegliere i candidati. Il centrodestra quando fa le cose in fretta va male: vedasi quello che è accaduto a Roma. La lezione del voto sardo è questa». E non solo. Come ha ricordato Youtrend, con la vittoria di Todde in Sardegna il M5s conquista per la prima volta una regione, il centrosinistra strappa una regione al centrodestra e non accadeva dal 2015 (con Vincenzo De Luca in Campania), il centrodestra perde la sua prima elezione regionale dal 2020. Le lezioni sono tante. La premier le avrà imparate?
(da Open)

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“IL VENTO E CAMBIATO”: IL COLPO IN SARDEGNA DI SCHLEIN E CONTE PUO’ TOGLIERE SICUREZZE ALLA MELONI

Febbraio 27th, 2024 Riccardo Fucile

L’ARROGANZA DI CHI HA VOLUTO IMPORRE UN CANDIDATO CHE A CAGLIARI NESSUNO PUO’ VEDERE

Ce n’hanno messo di tempo. I leader del centrosinistra questa volta riescono nel miracolo: la foto l’hanno fatta dopo il voto e non prima. Le immagini di gruppo “di Vasto” e poi “di Narni” e infine “di Campobasso“, che nessuno comprensibilmente si ricorderà, furono buone solo ad anticipare il disastro e farsi additare per mesi.
Ora la foto di Cagliari, a cose fatte e fatte bene: nello scatto entrano Elly Schlein e Giuseppe Conte che, insieme ad Alessandra Todde, neopresidente della Regione Sardegna, sorridono di una vittoria per certi versi insperata, o comunque solo sognata, dopo anni di delusioni, waterloo, ripartenze e paziente e sfibrante lavoro di cucitura tra anime a volte così vicine e a volte così lontane.
Chissà come va chiamato questo rinnovato tentativo di centrosinistra – o campo progressista, o campo largo che largo non è, o schieramento alternativo alla destra – ma almeno per oggi i leader di questa coalizione che somiglia al cantiere della Sagrada Familia vedono la prima piccola contropartita di questo sforzo immane che è la risalita dalla valle delle lacrime, cominciata il 25 settembre 2022, quando il centrodestra ha fatto del Parlamento un sol boccone.
Ora la coalizione di governo che stava dritta sul cassero sente il moto ondoso in aumento, il blocco di marmo si presenta incrinato, il monolite sembra all’improvviso un po’ basculante: il candidato di centrodestra che a guardare i sondaggi aspettava solo questa barbosa formalità delle elezioni per essere intronato dopo un trionfale ingresso a cavallo esce sconfitto a sorpresa. Di poco, ma sconfitto, dopo essere stato imposto a suon di spintoni da Fratelli d’Italia – il partito imbattibile, primissimo, fortissimo – e dalle mani presidenziali della premier Giorgia Meloni, la leader che non sbaglia mai, dicevano, che studia ogni mossa, che parla quando deve parlare e sta zitta quando le conviene, che parla d’altro quando ci sono problemi.
In questo caso invece la presidente del Consiglio, pur di fare spazio a uno dei suoi, ha preso a spallate il governatore uscente – il sardista Christian Solinas – e soprattutto il suo socio elettorale Matteo Salvini.
Per Truzzu ha perso la voce in una campagna elettorale col turbo. E’ finita a carte quarantotto e intorno ora le si faranno incontro gli alleati pronti a rinfacciarle come si fa la leader di una coalizione, come ci si comporta, Berlusconi non faceva così, a segnalarle l’errore atavico di chi crede che per vincere sia sufficiente comandare, a rammentarle che al 30 per cento – e pure oltre – ci sono arrivati Renzi, Salvini, Di Maio e guarda ora.
Alla prima prova del percorso che porta alle Europee il centrodestra inciampa ed è costretto a ritrovare l’equilibrio prima che sopraggiunga l’Abruzzo, dove si vota il 10 marzo, praticamente domani, e dove corre un altro fratello patriota, Marco Marsilio, e in quel caso non ci sarà nemmeno un Solinas come antistress al quale dare la colpa all’occorrenza perché Marsilio è il governatore uscente. Se Meloni vede cadere il suo pedone e con lui le sicurezze dell’ultimo anno e mezzo e scruta l’orizzonte per capire se ora deve temere l’effetto trascinamento sulle altre Regioni, non si può non mettere a verbale lo psicodramma della Lega che in Sardegna fa il 3 per cento (partendo dall’11 di 5 anni fa quando qui era secondo partito) e viene doppiata da Forza Italia, costringendo il Capitano-ministro a battere in ritirata rinviando a data da destinarsi un’intervista già programmata in prima serata su Rete4, da Nicola Porro.
Sarebbe stato un po’ complicato spiegare come mai proprio in Sardegna – dove aveva difeso quasi col suo corpo la ricandidatura di Solinas – l’alleanza ha smesso di vincere le Regionali, come succedeva ininterrottamente dal 2020.
“Cambia il vento, c’era chi non scommetteva neanche che arrivassimo fino a qui” dice Schlein. “I cittadini sardi hanno chiuso la porta a Meloni e soci e l’hanno aperta all’alternativa. L’aria è cambiata” aggiunge Conte. E’ chiaro a tutti che la Sardegna è un po’ pochino perché faccia da manica a vento. C’è lì la matematica, severa guastafeste, a segnalare che le liste del centrodestra tutto insieme ha fatto comunque di nuovo la bellezza del 49 per cento mentre il campo largo non è ancora abbastanza largo e al massimo è arrivato al 42.
Il rischio di adagiarsi sulle coste dolcissime della Sardegna è dietro l’angolo: potrebbe essere un caso isolato, potrebbe essere davvero solo tutta colpa di Truzzu o di Solinas. Ma anche no. Per esempio: l’ultima volta che il centrosinistra ha tolto il controllo della Regione al centrodestra è stato nel 2015 (c’era riuscito De Luca che sfrattò Caldoro). L’apparente immagine di un punto di svolta in una trama che sembrava sotto incantesimo – l’invincibile centrodestra che l’opposizione se la fa soltanto per conto suo – passa da un tweet di Dario Franceschini, come noto soprannominato Ohio, lo swing state che fa da barometro.
L’ex ministro della Cultura non faceva parlare i suoi social dal 22 settembre, 5 mesi fa, e ora scrive: “La Sardegna indica che la strada imboccata tra mille difficoltà nel settembre 2019 era quella giusta. Ora va percorsa con convinzione e generosità”. Il riferimento è all’inizio del governo Conte 2. C’è una luce in fondo al tunnel e quella speranza la dà una grillina del corso governativo, una ex viceministra che si occupava di crisi industriali, una ingegnera con due lauree che di lavoro fa la manager, che conosce 4 lingue, ha vissuto e lavorato in mezza Europa e negli Usa.
Intanto la Sardegna sarà la prima Regione guidata da una governatrice espressa dai 5 Stelle, che però prendono un po’ più della metà dei voti del Pd, ed è troppo presto per dire se questo significa forza o fragilità. E’ una rivincita per Conte che ha l’ha spuntata al tavolo delle candidature, si è fatto dire di sì da Schlein e ha conquistato una tappa storica per il Movimento, sempre perdente alle Regionali.
E’ la riscossa della segretaria che, proprio al rintocco di un anno da leader del più grande partito della coalizione, sventola questo risultato davanti al naso dei vedovi di Renzi e della corrente di minoranza guidata da Stefano Bonaccini che l’avevano appena minacciata brandendo nientemeno che il terzo mandato, un tema che – c’è da crederci – qualsiasi elettore di centrosinistra ha al centro del suo cuore.
Alessandra Todde diventa la prima presidente donna della Regione Sardegna e porta in dote 40mila voti in più del totale delle liste che la appoggiavano: i sardi hanno scelto lei più dei simboli e questa può essere la lesson number one per il centrosinistra o come si chiama. Non è un caso che sia Conte che Schlein sottolineino che questo era un “progetto serio e credibile“: l’unione fa la forza ma non fa necessariamente la differenza, non è sempre sufficiente per rispondere a tutte le domande degli elettori che cercano alternativa e cambiamento, rispetto alla destra e rispetto a ciò che la sinistra è stata fino a ieri.
(da ilfattoquotidiano.it)

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