Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONI CONTRO I CENTRI PER MIGRANTI, DOVE ANCHE IL GOVERNO ITALIANO CONTINUA A FAR ENTRARE, ALLA SPICCIOLATA, GLI STRANIERI RECLUSI NEI CPR ITALIANI – I SOSTENITORI DI BERISHA ACCUSANO RAMA DI COMPRARE IL VOTO
L’esito delle elezioni dicono si sia deciso stanotte, in Albania. La tradizione resiste ai cambiamenti e nelle ultime ore, soprattutto nelle periferie delle città industrializzate dopo il socialismo, dentro le case degli albanesi non ancora baciati dalla tumultuosa e decennale crescita del Pil – gli stipendi medi sono sotto gli 800 euro al mese ma il costo della vita è ormai europeo – lì sono arrivate le squadre con i soldi in una mano e i santini nell’altra. Si gioca anche così la sfida elettorale in questo Paese che oggi va al voto con un copione che ha subito pochissime alterazioni dal 1992.
Quando rassegnò le dimissioni, dopo una breve e poco credibile glasnost, Ramiz Alia, l’ultimo e unico erede del dittatore Enver Hoxha. Gli succedette un cardiochirugo quarantaseienne, Sali Berisha. Oggi ha 80 anni ed è ancora lui, leader del Partito democratico, lo sfidante del premier in carica, il socialista Edi Rama, dato per favorito.
Cercando in tutti i modi, in una nazione devota agli Usa, di legarsi a Donald Trump – il suo stratega è Chris LaCivita, lo stesso del presidente americano – Berisha continua a riempire le piazze: venerdì sera un serpentone infinito di gente si è concesso ai droni nel viale principale di Tirana. Stracolme anche le adunate di Rama, che in più è riuscito – complice l’amicizia con il governo Meloni – a prorogarsi di un giorno la campagna elettorale, ospitando fino a ieri il giro d’Italia.
«Propaganda alla vigilia delle elezioni», accusa Damiano Borin, della rete contro la detenzione dei migranti. Gli attivisti ieri hanno manifestato lungo il percorso del giro, a Tirana e a Gjader, il centro di permanenza e rimpatrio dove anche il governo italiano continua a far entrare, alla spicciolata, gli stranieri reclusi nei Cpr italiani, ai quali una sentenza della Cassazione ha equiparato ora anche il centro albanese.
Girano elenchi dei cittadini che hanno votato, per capire in tempo reale chi non è ancora andato ai seggi e accompagnarlo. «Cavolate – ha replicato Rama – chiacchiere da bar». Il suo governo, però, ha deciso un gigantesco condono delle sanzioni – comprese quelle per inottemperanza alle misure anti-Covid – comminate agli albanesi negli ultimi dieci anni.
L’opposizione non contesta più di tanto la misura: «Molte multe erano abusive – dice il deputato Viktor Tushaj – il guaio è che non hanno colpito le grandi compagnie che evadono». Ma a Diber, a nord di Tirana, venerdì sera il Pd ha denunciato la presenza, a comizi chiusi, di un furgone dei socialisti con materiale elettorale e soldi per comprare il voto.
(da agenzie)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
SCONTRO SUL REFERENDUM: LANDINI ATTACCA LA RUSSA
«Il voto e la partecipazione politica sono la base senza la quale non c’è né la democrazia
né la libertà: Sergio Mattarella il 25 aprile ha detto esattamente
l’opposto di quanto sostiene Ignazio La Russa», spiega Maurizio Landini. Il segretario generale della Cgil replica così alle parole del presidente del Senato, che due giorni fa aveva invitato a disertare le urne per i quesiti referendari dell’8 e 9 giugno, imperniati sul tema del lavoro (più tutele per i lavoratori) e della cittadinanza.
«La loro riforma madre è il premierato, continuano a dire che così saranno i cittadini a decidere chi li governa. E poi quando c’è un referendum in cui i cittadini possono decidere su di loro, tu gli dici che non devono andare a votare, ci state prendendo per il c…?», continua sempre Landini.
La Cgil è il principale promotore dei quesiti e da settimane denuncia l’oscuramento mediatico del referendum, dove — anche per questa ragione — la strada per raggiungere il quorum del 50 per cento degli aventi diritto è in salita. Non solo, perché il sindacato denuncia che a Roma in più occasioni alcuni iscritti sono stati identificati dalle forze dell’ordine mentre facevano volantinaggio. «Veri e propri atti intimidatori», secondo Nicola Fratoianni di Alleanza verdi sinistra.
Dopo la sortita di La Russa, i 5 Stelle hanno invece lanciato la loro campagna online con gli hashtag #nonfatecomelarussa #iovoto. «Vogliono che la gente rimanga a casa, che non eserciti il proprio diritto di voto, che dilaghi l’astensionismo. E invece con il nostro voto possiamo fermare i licenziamenti illegittimi, possiamo dare più tutele ai lavoratori delle piccole imprese, possiamo ridurre il lavoro precario, possiamo creare più sicurezza sul lavoro e più responsabilità negli appalti», dicono dal M5S. Fra le altre cose, Giuseppe Conte si è sbilanciato anche sul quesito della cittadinanza, che ne facilita l’ottenimento per chi vive in Italia. «Noi diamo libertà di voto ma io personalmente voterò sì», annuncia l’ex presidente del Consiglio.
Posizione accolta con favore da Riccardo Magi di +Europa, presidente del comitato promotore del referendum sulla cittadinanza, che invita ad una maggiore mobilitazione: «È una questione di dare i diritti a chi oggi non li ha per colpa di una legge vecchia 30 anni, in un momento in cui in tutto il mondo i diritti vengono compressi; ma è anche una questione di partecipazione democratica, in un Paese in cui le massime cariche istituzionali e di governo
invitano a non andare a votare. Una gravissima responsabilità». La convinzione delle opposizioni è che l’intervento a gamba tesa di La Russa sortirà l’effetto opposto a quello sperato.
«Sarà un boomerang, convincerà molte persone ad andare a votare», assicura Angelo Bonelli (Avs). «Abbiamo il sesto motivo per andare a votare al referendum: le dichiarazioni di La Russa», ironizza l’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti.
(da agenzie)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO ERA VESCOVO IN PERU’ PREVOST NON ESITO’ A CONDANNARE L’AGGRESSIONE RUSSA
Parole nette, senza ambiguità. In un’intervista rilasciata al media peruviano Expresión il 13 aprile 2022, a pochi giorni dalla strage di Bucha, l’allora vescovo di Chiclayo Robert Francis Prevost, oggi salito al soglio pontificio con il nome di Papa Leone XIV, aveva espresso un giudizio chiaro sulla guerra in Ucraina: un’invasione imperialista da parte della Russia, motivata da interessi di potere. Intervistato dalla direttrice Rosa Chambergo Montejo, il futuro Papa rifletteva su un mondo incapace di fermare la violenza, pur in un’epoca di avanzamenti tecnologici e culturali.
«Un’invasione imperialista» e «un’aggressione ingiusta»
Nel passaggio più duro dell’intervista, Prevost descrive la guerra in Ucraina come «una vera e propria invasione imperialista, dove la Russia vuole conquistare un territorio per motivi di potere e per un vantaggio proprio. […] E si stanno commettendo, è già stato dimostrato, crimini contro l’umanità in Ucraina». Si tratta, ovviamente, di una condanna netta rilasciata ben prima della sua elezione a Papa, priva delle cautele diplomatiche che solitamente
accompagnano le parole degli alti prelati in questioni geopolitiche, in difesa di «tante persone innocenti vengono uccise e muoiono a causa di questa aggressione ingiusta».
L’appello ai politici e all’opinione pubblica
Il messaggio di Prevost non era rivolto solo alla comunità cattolica, ma a tutta l’opinione pubblica e alle istituzioni: «Credo che dobbiamo anche essere più chiari noi, persino alcuni politici nel nostro Paese non vogliono riconoscere gli orrori di questa guerra e la malvagità della Russia».
La preghiera per la pace e il rifiuto delle armi
Il futuro Papa parlò anche della necessità di una tregua, auspicando un momento di pace almeno per la Settimana Santa del 2022, lanciando un messaggio universale, rivolto a tutti: «Oggi non si può più ricorrere alle armi per risolvere i problemi. Dobbiamo cercare altri metodi. […] Dobbiamo insistere molto su ciò che significa promuovere la pace, abbandonare le armi».
La trascrizione completa
Ecco la trascrizione completa dell’intervento sull’Ucraina:
Rosa Chambergo Montejo: «Stiamo anche affrontando un grande problema a livello mondiale, questa guerra che non riusciamo a comprendere tra Russia e Ucraina. Quale messaggio ci lascia, Monsignore, quando gli esseri umani, con così tanti progressi tecnologici, con tutte le situazioni che vediamo giorno dopo giorno, in questo ciclo in cui viviamo, in questo anno 2022, possono ancora distruggersi a vicenda?»
Prevost: «Certo, questo è un problema gravissimo che sta colpendo tutto il mondo. Ci sono molte analisi sul conflitto, sulla guerra che si sta vivendo attualmente in Ucraina, ma dal mio punto di vista si tratta di una vera e propria invasione imperialista, dove la Russia vuole conquistare un territorio per motivi di potere e per un vantaggio proprio, data la posizione strategica, così come per il grande valore culturale, storico e produttivo che l’Ucraina rappresenta per la Russia. E si stanno commettendo, è già stato dimostrato, crimini contro l’umanità in Ucraina. Bisogna pregare molto Dio per la pace, ma credo che dobbiamo anche essere più chiari noi, persino alcuni politici nel nostro paese non vogliono riconoscere gli orrori di questa guerra e la malvagità che la Russia
sta portando avanti con le sue azioni in Ucraina. È davvero una situazione che grida al cielo, che cerca una soluzione, e credo che tutti noi dobbiamo insistere molto su ciò che significa promuovere la pace, abbandonare le armi. Oggi non si può più ricorrere alle armi per risolvere i problemi, dobbiamo cercare altri metodi e, se Dio vuole, che si arrivi almeno in questo periodo a una tregua, a una pausa in tutta questa violenza, magari per la Settimana Santa, ma anche perché tante persone innocenti vengono uccise e muoiono a causa di questa aggressione ingiusta».
(da agenzie)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
VOGLIONO FAR NAUFRAGARE LA CONSULTAZIONE REFERENDARIA SENZA NEANCHE OPPORRE RAGIONI
Il quorum ai referendum è un miraggio, da anni e con pochissime eccezioni (quello
sull’acqua pubblica) vanno a votare in pochi, sempre di meno. Chi insiste lo fa per un atto di fede nella democrazia che va comunque rispettato e incoraggiato, anche in considerazione del fatto che milioni di firme sono state raccolte dai comitati promotori, e dunque non si tratta dello sfizio di una minoranza disturbatrice, ma di un movimento di popolo che chiederebbe, anche solo per educazione, una delle due risposte previste: un SI o un NO.
Dunque è bello e giusto fare propaganda, con poco ottimismo ma molta buona volontà, per i cinque referendum dell’8 e 9 giugno: quattro, indetti dalla Cgil, vogliono abrogare altrettanti “pezzi” del Jobs Act del 2014 per rafforzare i diritti dei lavoratori dopo tanti anni di arretramento; il quinto punta alla concessione più rapida della cittadinanza agli stranieri in regola per averla. Specie quest’ultimo è molto coinvolgente, ho visto e sentito parlare giovani attiviste di origine straniera (ma più italiane di molti italiani) che ci mettono passione e speranza, impossibile non sentirsi al loro fianco a meno di nutrire fobie per il ringiovanimento della nostra stracca comunità nazionale.
Tra coloro che sono legittimamente contrari ai cinque quesiti, si deve constatare l’aumento di quelli che invitano a non andare a votare piuttosto che votare NO, così da far naufragare la consultazione popolare senza nemmeno fare la fatica di replicare ai promotori. Si tratta, usando un eufemismo, di un espediente di non alto profilo. Che sia la seconda carica dello Stato a indicare questa via mortificante, ma, come dire, non ci aspettavamo altro.
(da repubblica.it)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
I MEDICI INTERNISTI: “UN RICOVERO SU TRE E’ EVITABILE, I PAZIENTI FINISCONO NEI CORRIDOI”
Letti occupati ben oltre la capienza tanto che la metà dei reparti è in overbooking, personale allo stremo e pazienti sempre più fragili, spesso costretti a restare in corsia per giorni solo perché il territorio non riesce a prendersene cura. È la fotografia che emerge dalla nuova indagine Fadoi (Federazione dei medici internisti ospedalieri), condotta su 216 reparti di medicina interna in tutta Italia, quelli dove viene assistito il 40% dei ricoverati, sovente anziani con più patologie.
In oltre la metà dei reparti (58%) si supera regolarmente il 100% di occupazione dei posti letto. Non è raro che i pazienti vengano assistiti su una barella in corridoio, con un separé a garantire una parvenza di privacy. Non va meglio sul fronte del personale: l’85,6% delle unità operative denuncia carenze croniche di medici e infermieri. Un quadro che diventa ancora più preoccupante se si considera che in questi reparti transitano quasi la metà dei ricoverati ospedalieri, in gran parte anziani, cronici, fragili, con bisogni assistenziali complessi.
Eppure, circa un terzo dei ricoveri potrebbe essere evitato con una presa in carico territoriale più efficace. Un dato che pesa, se si considera che i reparti continuano a reggere sulle spalle di operatori sempre più in affanno e con strumenti limitati. Per il 32,8% dei reparti, tra il 10 e il 20% dei posti letto sarebbero liberi con un territorio più reattivo; per il 37% si sale al 21-30%, mentre quasi il 19% stima di poter evitare addirittura tra il 31 e il 40% dei ricoveri.
A mancare è tutto l’ecosistema dell’assistenza di prossimità: cure domiciliari, Rsa, reparti di post-acuzie. Ma anche i medici di famiglia, sempre più soli e sovraccarichi, schiacciati da un carico burocratico che sottrae tempo ai pazienti. Situazione tanto più grave se poi non si lavora in team con infermieri e specialisti e se gli studi restano aperti in media 14 ore a settimana come oggi avviene. La riforma della Sanità territoriale, con Case e Ospedali di comunità pur prevista dal Pnrr, stenta a decollare, proprio perché i medici fanno resistenza ad andarci a lavorare per un numero congruo di ore. E così il sistema si inceppa proprio lì dove dovrebbe funzionare meglio: nella gestione dei malati cronici fuori dall’ospedale.
Non va meglio sul fronte della prevenzione. L’Italia investe meno di tutti in Europa per la salute preventiva. I risultati si vedono: stili di vita scorretti, scarsa adesione agli screening e basse coperture vaccinali fanno sì che, in media, un quarto dei pazienti arrivi in ospedale per malattie che si sarebbero potute evitare. È un bollettino di guerra che parla di fragilità ignorate, diagnosi tardive e medicina di iniziativa ancora in larga parte teorica.
Uno spiraglio arriva dalla fase post-dimissione: nel 44% dei casi viene attivata l’assistenza domiciliare integrata, il 27% dei pazienti viene accolto in Rsa, il 21% in altre strutture intermedie. Solo il 7,9% torna a casa senza alcun tipo di presa in carico. Ma è un dato che non bilancia le inefficienze a monte.
Sul tavolo ci sono i due miliardi del Pnrr destinati alle nuove Case e Ospedali di Comunità, da realizzare entro giugno 2026. La speranza è che queste strutture possano finalmente sgravare i reparti da pazienti impropri e rafforzare il filtro tra ospedale e territorio. Ma i medici restano scettici: per oltre il 72% degli internisti queste realtà potrebbero funzionare, ma solo se ben realizzate e ben connesse con gli ospedali. Resta il nodo del personale: senza medici e infermieri, nessuna riforma può camminare e i reparti di medicina interna (ancora classificati come «a bassa intensità di cura») hanno una più scarsa dotazione tanto degli uni che degli altri. Una distorsione che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, intervenendo al Congresso Fadoi di Torino si è impegnato a sanare con il prossimo decreto ministeriale sugli standard ospedalieri.
Il rischio è che tutto si trasformi in una nuova ondata di burocrazia, scollegata dai bisogni reali. Come avverte Dario Manfellotto, presidente della Fondazione Fadoi, «manca una vera regia che coordini le nuove strutture con gli ospedali. Le centrali territoriali che alcune Regioni stanno attivando rischiano solo di aggiungere un ulteriore strato burocratico».
E mentre si discute di riforme, il tempo dedicato alla ricerca evapora. Il 48,6% degli internisti non riesce più a trovare spazio per l’attività scientifica; il 43% la pratica molto meno di quanto vorrebbe. Eppure è proprio nei reparti di Medicina interna, dove si trattano pazienti complessi e multispecialistici, che la ricerca clinica trova il suo terreno più fertile. «Fare ricerca migliora anche la
qualità dell’assistenza», ricorda Francesco Dentali, presidente Fadoi. «Ma serve tempo, personale e visione. Tutte cose che, oggi, mancano».
(da lastampa.it)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
NON VA AL VERTICE UCRAINO, L’OPPOSIZIONE: “DANNO ALL’ITALIA”
Mentre i leader di Francia, Germania, Regno Unito e Polonia sono a Kiev da
Volodymyr Zelensky, Giorgia Meloni è a Roma. Alla call sull’Ucraina partecipa, ma da remoto. E non prende dunque parte alla chiamata, successiva al summit, tra i quattro big europei presenti nel paese e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La premier era stata invitata nella capitale ucraina: non esserci è stata una scelta. Non indolore, viste le polemiche che si sono rincorse per tutto il giorno ieri, con l’opposizione a ranghi serrati, dal Pd ai 5S, che l’hanno accusata di avere relegato ai margini il Belpaese. Visto anche il precedente con Mario Draghi, fotografato nel giugno 2022 proprio sul treno per Kiev con Emmanuel Macron e Olaf Scholz.
Durante il summit la premier tenta un rilancio, riproponendo il vertice previsto in estate a Roma sulla ricostruzione dell’Ucraina. Nella nota che diffonde Palazzo Chigi al termine della call è descritto come «il grande appuntamento a sostegno di Kiev che verrà ospitato dall’Italia a luglio con la conferenza a livello capi di Stato e di governo per la ricostruzione» del paese invaso dalla Russia. Il resto del comunicato ribadisce che per l’Italia è necessaria «una pace giusta e duratura, che assicuri la sovranità e la sicurezza» dell’Ucraina. E si
allinea alla posizione di Donald Trump: per Meloni c’è «urgenza di un cessate il fuoco totale e incondizionato di 30 giorni», per questo la premier «rinnova l’aspettativa che la Russia risponda positivamente all’appello fatto dal presidente Trump e dimostri concretamente, come già fatto dall’Ucraina, la volontà di costruire la pace».
Più che per le considerazioni della premier, l’opposizione attacca sull’assenza al summit. Per il Pd è «grave la mancata partecipazione in presenza della premier», così dice Piero De Luca, capogruppo dem nella commissione Politiche Ue della Camera. Per il senatore dem Filippo Sensi ora «il posto dell’Italia è in panchina». Critico anche il presidente del M5S, Giuseppe Conte: «Il fatto che Meloni si colleghi da remoto conferma una strategia fallimentare». Per l’ex premier è «il trionfo dell’ipocrisia, perché non sono stati capaci, Meloni per prima e gli altri governanti, di impostare una svolta negoziale. La abbiamo affidata a Trump e non tocchiamo palla».
Matteo Renzi sui social piazza un trittico di foto: in una c’è lui con Merkel e Hollande dopo la Brexit, la seconda è il famoso scatto sul treno per Kiev con Draghi, Macron e Scholz, l’ultima è quella di ieri con i leader di Germania, Francia, Regno Unito e Polonia. Per il capo di Iv, «con Meloni l’Italia si è persa: non siamo più nel gruppo di testa». Lo stesso ripete Ivan Scalfarotto, senatore renziano presente a Kiev proprio ieri. Per il segretario di Azione, Carlo Calenda, «è incomprensibile la decisione di Meloni. C’è un rischio di spostamento dell’asse forte dell’Europa da Italia-Francia-Germania a Germania-Francia e Polonia».
(da La Repubblica)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRI 55 MIGRANTI ARRIVATI DALLA LIBIA SU UN ALTRO GOMMONE
I cadaveri di tre migranti, un uomo e due bambini di circa due anni, sono stati trasferiti a Lampedusa da nave Nadir della ong tedesca Resqship che ha soccorso ieri altri 57 migranti. Tra le persone in salvo ci sono 13 donne e due minori. La guardia costiera aveva evacuato nella serata di ieri sei migranti, fra cui 3 donne e 2 minori con ustioni.
Le salme sono state già portate alla camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana, dove verranno sottoposte ad ispezione cadaverica: sarebbero morti di fame e di sete, visto che, a quanto pare, il gommone salpato dalla Libia è rimasto alla deriva per diversi giorni.
Il gommone, ieri pomeriggio, dopo la segnalazione di Frontex, è stato intercettato dall’equipaggio del veliero dall’organizzazione non governativa tedesca ResQship.
Stando ai primi racconti dei sopravvissuti, un uomo durante la traversata si sarebbe gettato in acqua per cercare refrigerio (forse aveva delle ustioni procurate a causa del contatto con il carburante), e a causa del mare agitato non sarebbe riuscito più a risalire sul gommone. L’uomo si sarebbe tuffato in mare ieri mattina, in area Sar maltese
Cinquantacinque migranti (2 sono minori e non sono stati ascoltati) hanno riferito d’essersi imbarcati, pagando 1.500 dollari a testa, sul gommone di 8 metri, che è partito da Zawia, in Libia, mercoledì notte.
(da agenzie)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA “STATISTA DELLA GARBATELLA” HA DECISO DI RESTARE A ROMA ED È RIMASTA FUORI DALLA SCENA, ANCORA UNA VOLTA… LA STAMPA”: “I DIPLOMATICI ITALIANI RACCONTANO DI RIMANERE DISARMATI DA COME UNA MANCATA SINTONIA PERSONALE VERSO MACRON POSSA GUIDARE LE SCELTE DI MELONI. VADO O NON VADO?”
Ancora una foto, ancora un’assenza. Tre leader attorno a un tavolo, su un treno diretto
a Kiev. Si guardano, sorridono. È un’immagine che suona familiare a tanti. Giugno 2022: Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi.
I leader di Francia, Germania e Italia andavano a mettere il mantello dell’Europa sulle spalle di Volodymyr Zelensky, quattro mesi dopo i primi bombardamenti russi sull’Ucraina.
Sono passati tre anni meno un mese. Di nuovo un treno, di nuovo una foto, di nuovo tre leader attorno a un tavolo. Oggi, 10 maggio 2025. Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Keir Starmer. Non c’è più l’Italia, ma c’è il Regno Unito, un Paese che è Europa solo per geografia ma non più per status.
Il “momento Churchill” del primo ministro laburista britannico ha riportato il Regno Unito al centro di un’iniziativa europea a garanzia dell’Ucraina, alla testa di un gruppo di Volenterosi che vuole difendere il principio di libertà delle democrazie. In quella foto Londra ha preso il posto dell’Italia.
Dove era seduto Mario Draghi non c’è Giorgia Meloni. Ma la premier italiana è assente anche dall’immagine allargata di tutti i leader che si stringono attorno a Zelensky, a Kiev.
Meloni si è collegata da remoto, restando fuori da uno scatto che racconta il formato delle alleanze. In attesa della formazione del governo tedesco che incoronasse Merz, e rilanciasse l’asse franco-tedesco, Macron ha stretto un patto con Stermer, ha costruito un piano, battezzandolo dei Volenterosi, e delineato una missione con decine di migliaia di militari pronti a partire per Kiev, a fare da scudo ai futuri attacchi della Russia.
Il piano è cambiato, si parla meno (per ora) di soldati, ma il formato delle alleanze è rimasto, rafforzato ora anche dalla presenza di Merz e di Donald Tusk, primo ministro di un Paese europeo, la Polonia, che adesso può certamente ambire a prendere il posto dell’Italia. Meloni non ci ha mai creduto.
Ha sempre tenuto una distanza, si è mostrata fredda sin dal primo vertice, organizzato a Parigi, dal detestato Macron. Vado o non vado? È stato sempre questo il suo dilemma. In quel caso si presentò, ma al tavolo la sua perplessità – un’altra foto – trasparì potente dalla sua espressione facciale. Vado o non vado? A Londra, dal mite Starmer, andò senza troppo nascondere i dubbi, ma almeno non era a casa del francese.
I diplomatici italiani raccontano di rimanere disarmati a volte da come l’emozione negativa di una mancata sintonia personale verso Macron possa guidare le scelte di Meloni. Vado o non vado? A Kiev non è andata di persona ma si è videocollegata.
E lo ha fatto, ha confermato all’ultimo la sua presenza ma a distanza, anche perché questa volta l’iniziativa di una tregua di 30 giorni proposta alla Russia, sotto minaccia di nuove sanzioni se non accetterà, ha anche il patrocinio degli Stati Uniti, nella cui scia resta il governo della destra italiana.
E se c’è una foto dove Meloni non vuole mai mancare è quella con Donald Trump. Ecco perché non ha gradito quello scatto dentro la Basilica di San Pietro, del presidente americano con Macron, Starmer, Zelensky, durante i funerali di Papa Francesco, un attimo prima che Trump si sedesse di fronte all’ucraino, in un’immagine diventata subito iconica. Una fotografia che fa da backstage della storia, a casa sua, e lei non c’era.
(da La Stampa)
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Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA CONDANNA DEL PD: “IL CANTO FASCISTA NON HA NULLA A CHE VEDERE CON QUANTO STIAMO CELEBRANDO IN QUESTI GIORNI. È UN INSULTO ALLA MEMORIA” … OGNI ANNO UN PROBLEMA: DALLE MOLESTIE DI UBRIACHI AI CANTI NOSTALGICI
Alla 96esima Adunata nazionale degli alpini, che fino a domenica 11 maggio richiamerà a Biella circa 400 mila persone da tutta Italia, scoppia anche la polemica. Nella notte tra venerdì 9 e sabato 10 maggio in via Gramsci, a Biella, un gruppo di alpini ha intonato «Faccetta nera» a tutto volume facendo il saluto fascista
È la segreteria biellese del Partito democratico a reagire per prima al video circolato sui social. «L’Adunata si è aperta con la presentazione di un libro sulla partecipazione degli alpini alla Resistenza – scrivono Andrea Basso ed Elisa Francese – Il canto fascista risuonato nella notte non ha nulla a che vedere con quanto stiamo celebrando in questi giorni e ancor più in questa nostra città è un insulto alla memoria».
Interviene anche Giuseppe Paschetto del Movimento 5 Stelle. «Condanniamo con forza i canti fascisti risuonati in via Gramsci. Le note di Faccetta nera sono una vergogna per la città medaglia d’oro per la Resistenza.
L’Associazione degi alpini prende le distanze da quanto accaduto. “L’Ana è una associazione di volontari apartitica per statuto e si dissocia perciò da qualunque forma di propaganda politica”, ha detto il presidente nazionale Ana Sebastiano Favero. In una nota l’Ana nazionale precisa “che le note in questione provenivano da un altoparlante di un locale privato e non dall’impianto di servizio dell’Adunata”. Ma la polemica intanto è montata.
“E’ un insulto alla memoria che non si può accettare – rincara la dose la segretaria Dem Elly Schlein da Perugia – mi chiedo quando dovremo aspettare per avere parole di condanna forti e nette da parte di tutte le forze politiche, tutte le istituzioni e di chi governa”.
(da agenzie)
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