LE DIECI BABY BULLE CHE A SIENA TERRORIZZAVANO LE COETANEE SONO 14-15ENNI DI BUONA FAMIGLIA, CON UN DISCRETO LIVELLO DI AGIATEZZA E ISTRUZIONE
NON C’ERA UNA RAGIONE, SOLO LA VIOLENZA FINE A SE STESSA
Le protagoniste di questi episodi di violenza che, per più di un anno, hanno sconvolto Siena, sono dieci insospettabili ragazzine di buona famiglia di età compresa tra i 14 e i 15 anni: ora dovranno rispondere di atti persecutori, lesioni, minacce, pubblicazione e diffusione di materiale violento, in un caso anche il reato di atti persecutori aggravato dall’odio razziale per l’aggressione a una coetanea di origini straniere.
Le adolescenti sono state individuate dalla squadra mobile dopo una lunga indagine coordinata dalla procura minorile del capoluogo toscano. Tutte frequentano le scuole superiori della città e la maggior di loro non ha alle spalle contesti familiari difficili, un buon livello di agiatezza e di istruzione.
Gli inquirenti sono riusciti a identificarle passando al setaccio i social network, dove le giovani diffondevano i video delle loro imprese. Secondo gli investigatori, i filmati servivano a dare una sorta di perversa credibilità al gruppo, che nel tempo acquisiva sempre nuovi elementi. A dare il via alle indagini, a dicembre, è stata la denuncia di una coetanea, ma gli agenti hanno individuato almeno una decina di episodi – tra il 27 giugno del 2020 e il 19 febbraio scorso – e sono in corso le indagini per appurare se siano state commesse altre violenze.
La mattina, zainetti in spalla, frequentavano la stessa scuola come brave studentesse. Ma, al suono della campanella, dieci ragazzine tra i 14 e i 15 anni si trasformavano in spietate picchiatrici.
La loro parola d’ordine era violenza. Da far esplodere ovunque, nel mondo reale e in quello virtuale. Scegliendo accuratamente i luoghi (alcuni ribattezzati ring), vicoli del centro storico, sottopassaggi, piccole piazzette periferiche, un’antica fortezza, nei quale adescare e aggredire le loro vittime. E poi c’era Internet, per diffondere i video dei loro blitz.
Non mancava la chat che la capo banda, 15 anni ancora da compiere, aveva battezzato «baby gang», una sorta di quartier generale per programmare i raid punitivi, decidere le prede da spaventare o picchiare e reclutare nuove bulle.
Lo scopo della «squadraccia»? La violenza fine a se stessa. «Non c’erano furti, nessuna di loro si appropriava delle cose degli altri. Quello che contava era la spettacolarizzazione delle aggressioni», raccontano gli investigatori della Mobile di Siena.
La gang aveva un’organizzazione quasi militare. Con una leader indiscussa ma anche ragazzine che avevano compiti ben precisi. C’era chi doveva scegliere i luoghi degli agguati, chi garantire la sicurezza, chi proporre quali coetanee aggredire.
E c’era persino l’addetta alle riprese video con lo smartphone, veri e propri trofei da visionare sulla chat e diffondere sui social. Una tecnica mediatica per umiliare le «prede» e dimostrare la potenza e la crudeltà della banda alla quale si doveva rispetto e ubbidienza. All’interno della banda sembra ci fosse anche una sorta d’improbabile tribunale che impartiva punizioni a chi, per esempio, decideva di abbandonare la banda.
La baby gang è stata sgominata dopo mesi di indagini dalla squadra mobile senese coordinata dalla Procura dei Minori diretta da Antonio Sangermano. Le indagini sono partite dalla denuncia di una delle vittime.
È stata lei, dopo essere stata aggredita per la seconda volta, a rompere il muro del silenzio per paura di altri agguati, e a presentare denuncia. Almeno una decina le aggressioni fino ad oggi accertate dalla polizia, molte delle quali nel centro di Siena, ma anche nelle aree periferiche dei comuni limitrofi. Quando gli agenti della mobile hanno perquisito le loro abitazioni, alcune ragazzine si sono messe a piangere.
Altre, compresa la capo banda, sono rimaste impassibili. Sono accusate di atti persecutori (in un caso aggravato dall’odio razziale), lesioni, minacce, pubblicazione e diffusione di materiale violento.
(da il Corriere della Sera)
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