PRIMARIE A NOVEMBRE, IL PD SALVA L’AUTUNNO DEL GOVERNO LETTA
LA DIREZIONE ANNUNCIA LE TAPPE PER IL CONGRESSO, MA SOLO A VOCE… NEL COMUNICATO LA DATA NON C’È E POI: SI ELEGGE IL SEGRETARIO O L’ASPIRANTE PREMIER?
La paura fa 24 (novembre): giorno di primarie, giorno di Matteo Renzi.
E le facce un po’ in tensione e un po’ in apprensione di Enrico Letta e Guglielmo Epifani non fanno intuire chi sia più spaventato: il presidente del Consiglio, immobile e braccato dal Quirinale o il segretario traghettatore, inquieto per il partito che prende la strada di Firenze.
Ora che c’è una scadenza (teorica, nulla di ufficiale), e la direzione nazionale l’ha partorita con fatica e celerità , ci sarà soltanto una domanda con un immenso interrogativo: il governo, che non vuole tirare a campare, sopravviverà ?
I renziani non esultano perchè i cunicoli burocratici sono infiniti e sarà l’assemblea, fissata per il 21 settembre (san Matteo), a deliberare regole aperte o socchiuse, procedure inclusive o esclusive.
La fiducia non abita fra i democratici: ci si guarda con sospetto e l’agguato non è soltanto una tecnica per impallinare Romano Prodi.
Quando Renzi s’è fermato a discutere con Epifani aveva un viso tirato, nervoso e molto, davvero molto, diffidente.
Perchè i reduci Ds non vogliono consegnare il Pd a un ex popolare e sono pronti, in un gioco di masochismo collettivo, a decapitare l’esecutivo di Letta pur di salvare la struttura.
Sarà pure sconfitto e un po’ titubante, ma Pierluigi Bersani non farà mai un favore a Matteo.
Il rivale che, appena può, lo sfotte con il giaguaro ancora da smacchiare.
I democratici, miracolo, non hanno pronunciato mai la parola Berlusconi. No, non prendono le distanze: la vicinanza è asfissiante e chi siede a palazzo Chigi non vuole irritare l’alleato.
Enrico Letta ha sorvolato le questioni interne, e non per vanità o cabale, ma perchè voleva ricordare con quel tipico monito, tipico per il Quirinale, che il voto va spinto più in là : “Occorre stabilità o non saremo credibili e il debito finirà per strozzare l’Italia. Il semestre europeo è un appuntamento fondamentale”.
Ecco, il benedetto semestre europeo che angoscia Giorgio Napolitano e frena la corsa di Renzi.
L’ex (?) amico Enrico — la stretta di mano con Matteo è stata rapida e gelida — ha tirato su la testa.
Messaggio: io non mi faccio schiacciare. Il sindaco conosce il campo e conosce un avversario fra Firenze e palazzo Chigi, il Colle: deve avere pazienza, almeno per una decina di mesi.
Però, non rimarrà in silenzio: domenica giunta in Comune, dieci giorni di vacanza, e poi riprenderà il giro fra le feste democratiche, le apparizioni televisione, le interviste ai quotidiani.
Epifani ha anticipato l’intervento di Letta, ma — per osmosi, forse — ha copiato il tono, quasi drammatico, e la cautela, quasi artificiale: “Dobbiamo dare un segnale di maggiore unità . Questo è un governo di servizio, non di pacificazione. Evitiamo fibrillazioni”.
Un infortunio verbale, però, all’esperto Epifani è scappato: non di pacificazione.
Vuol dire niente sconti a Berlusconi e senza sconti a Berlusconi — questo è il dilemma-cantilena nel Pd — per Letta comincia un lancinante stillicidio verso la fine. Forse Epifani ha provato quel sentimento che Anna Finocchiario ha espulso con fastidio: “Renzi non sarebbe un buon segretario per il mio partito”.
Cioè il partito di Bersani, ex democratici di sinistra, ex comunisti un pochino nostalgici, messi in riga da un democristiano moderno.
Ora che c’è quel 24 novembre — senza sottovalutare l’assemblea del 21 settembre — Letta dovrà incollare il governo e il partito col rischio di rimanere attaccato a se stesso mentre Renzi può battere un po’ di qua e un po’ di là : “Dobbiamo sfruttare la finestra di ottobre per riformare la legge elettorale”, ha sospirato il premier.
La logica di rinviare per stancare è ormai la bussola di Letta.
Il Pd va in ferie con una promessa: il 21 di settembre ratificheremo le primarie per il 24 di novembre (compreso il corredo di cavilli che spargeranno fuoco).
Chissà se il governo di larghe intese avrà la ventura o la sventura di assistere all’evento oppure sarà vacanza, allora sì, forzata.
Ma la confusione e l’approssimazione di proprietà democratica: a ogni mossa, ci si chiede quale sia il trucco; a ogni accelerata, ci si chiede quale sia il percorso.
E se ci fosse un’immagine da tenere in archivio con fierezza sarebbe quella di Franco Marini, un uomo che ha sfiorato il Quirinale, che sgattaiola dietro le spalle di Anna Finocchiaro.
Oppure, se le immagini fossero due, Renzi che entra da destra mentre i giornalisti aspettano a sinistra.
A destra, l’ingresso o l’uscita è proprio lì.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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