RENZI GIÀ COL PALLOTTOLIERE: AL SENATO RISCHIA GROSSO
L’ORAZIONE DELL’AUTOINCORONAZIONE, POI LA LUNGA NOTTE TRA TRATTATIVE E PROPOSTE… VENDOLIANI FUORI DAI GIOCHI, ALFANO PRESSA PER RESTARE
Renzi avrebbe addirittura accarezzato il progetto di sganciarsi dagli alfaniani per “autonomizzarsi a sinistra” mettendo insieme i sette senatori di Sel e almeno dieci dissidenti grillini, se non quindici.
Ma la spaccatura a rischio scissione nel partito di Vendola ha bloccato tutto. In cambio il premier in pectore aveva già assecondato la principale richiesta di Sel: il reddito di cittadinanza.
Giovedì 13 è un film dell’horror ammantato di poesia.
È pur sempre la vigilia di San Valentino, che oggi Renzi festeggerà da sindaco a Firenze.
Il Rottamatore spara versi come crisantemi sulla tomba politica di Enrico Letta. Una citazione banale dall’Attimo fuggente: “Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta”.
La direzione del Pd si tramuta in esecuzione e funerale allo stesso tempo.
Il metodo di “Matteo” è spietato, per usare l’aggettivo scelto da Civati, e fa coniugare all’imperfetto tutti gli interventi di stampo comunista nordcoreano.
D’improvviso Letta “governava” anzichè governa. La bara è vuota perchè il premier assente è un morto che cammina.
I grazie si sprecano e si trasformano in un gigantesco amen, che per Renzi si trasfigura in un potente “vento in faccia”, altra lunga citazione poetica.
Sangue e poesia alle tre del pomeriggio.
Il segretario del Pd completa la conversione del partito al suo vangelo. Adesso dopo Shining (sempre Civati) o Giovedì 13 c’è l’Oceano Mare, antico titolo di Baricco, autore neorenziano.
Cioè la navigazione tra i flutti e le trappole della Capitale.
Subito fallita l’operazione per allargare a Sel
La prima incognita è il perimetro della maggioranza. Che garanzie e numeri offrirà Renzi a Napolitano per arrivare al 2018?
Il rischio è che la maggioranza sia la stessa di Letta perchè l’operazione Vendola è fallita.
I due, “Matteo” e “Nichi”, hanno parlato lunedì, prima che il leader del Pd andasse a cena da Napolitano al Quirinale. Al di là della Camera, dove i numeri non sono un problema, la discussione è stata tutta sul Senato.
Renzi avrebbe addirittura accarezzato il progetto di sganciarsi dagli alfaniani per “autonomizzarsi a sinistra” mettendo insieme i sette senatori di Sel e almeno dieci dissidenti grillini, se non quindici.
Ma la spaccatura a rischio scissione nel partito di Vendola ha bloccato tutto.
In cambio il premier in pectore aveva già assecondato la principale richiesta di Sel: il reddito di cittadinanza. Nulla da fare.
Anche se i renziani assicurano che almeno tre senatori vendoliani (Stefà no, Uras, De Cristofaro) più una grillina voteranno la fiducia, tra mercoledì e giovedì della prossima settimana.
La voglia di fare a meno di Angelino
A questo punto sarà determinante il sostegno del Nuovo Centrodestra di Alfano, partito governativo per vocazione altrimenti all’opposizione morirebbe appena nato. La tentazione del futuro premier è quella di escludere Alfano, già delfino berlusconiano poi tra i ministri più inefficienti e “scandalosi” di Letta.
Un esempio per tutti: il caso Shalabayeva.
A Ncd dovrebbero andare due ministri, Lorenzin e Lupi, ma è in corso una serrata trattativa per far rientrare Alfano dalla finestra.
In ogni caso non con i gradi da vicepremier. A Palazzo Chigi Renzi non vuole vice.
Obiettivo: asfaltare subito il Movimento cinque stelle
Alle dieci di ieri sera il cerchio magico renziano confidava: “La cosa che più fa godere Matteo in queste ore non è la dipartita di Letta ma il silenzio dei grillini. Sono trentasei ore che non si sentono”.
I primi cento giorni di Renzi a Palazzo Chigi coincidono con la scadenza delle elezioni europee e il suo obiettivo sarà “asfaltare il Movimento 5 Stelle”.
Altrimenti il rischio è che dalle urne di maggio escano Grillo e Berlusconi con più del cinquanta per cento.
Ma se c’è una cosa “che fa arrapare Matteo quella è la parola rischio, lui è abituato a strafare e a forzare, ci saranno tanti fuochi d’artificio, vedrete”.
Chi non la pensa così è quella maggioranza silenziosa del Pd convinta che Renzi si vada a schiantare.
E con una sonora sconfitta alle Europee la sua “dalemizzazione”, in senso negativo, cioè di dimissioni, sarebbe fin troppo evidente.
La solita telefonata al forzista Verdini
Ieri Renzi è riuscito a sentire per telefono anche il concittadino Denis Verdini, lo sherpa di Berlusconi, per il patto sulle riforme.
Il Condannato è stato rassicurato sul rispetto degli accordi anche se l’Italicum probabilmente subirà altre modifiche.
Tipo l’abbassamento delle soglie di sbarramento.
Il leader del Pd vuole arrivare alle elezioni solo dopo le dimissioni di Napolitano, non prima del 2015, alla fine del semestre italiano alla presidenza europea.
Il premier in pectore vuole al Quirinale un presidente diverso quando si tratterà di votare: “Non voglio sorprese sull’incarico dopo i risultati”.
L’ennesima conferma che sarà questo Parlamento a eleggere il successore di Re Giorgio.
Ma cosa succederà se l’ultima spiaggia renziana si impaluderà a sua volta, facendo ritornare lo spettro del voto a ottobre?
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply