VIA COL VANTO: IL RENZIANO DOC, OSCAR FARINETTI
SILENZIO, PARLA FARINETTI, IL MERCANTE DI UTOPIE
Arieccolo, il bru-bru di Leo Longanesi, quello che entra nel salotto politico solo perchè “un giorno a colazione trovò lo slogan per lanciare un’acqua minerale o un tipo extra di pasta all’uovo”.
Farinetti Oscar, figlio di partigiano, fondatore di Eataly (“il più grande centro enogastronomico del mondo”) e fidatissimo di Renzi, è la faccia nuova di un’Italia che mima la risalita.
Si vocifera di dicasteri, colpo di coda del nominismo porcellino ai tempi dell’accordo inter eos sulla legge elettorale.
Farinetti ci crede tantissimo: espugna città , costruisce Las Vegas stile Leopolda all’odor di alici di Cetara e soldi pubblici; rilascia interviste schiette, da macellaio che ha fatto il miliardo ma ti mette da parte i pezzi migliori; autarchico del futuro, loda l’Italia bio e schernisce l’altra.
Da imprenditore-guru, sa il fatto suo e lo va a dire in Tv pensando sia anche il nostro.
Dà consigli a metà tra il passante e il ministro in pectore.
Cavaliere per investitura, elogia il tempo che fu, la crostata come una volta, ma nel lavoro è rapido, sbrigativo, diretto.
I dipendenti, araldi della flessibilità con cappellino bordò, li paga un po’ poco, ma beato chi ha un presente in questa morta gora.
Farinetti piace a Renzi, forse perchè è il contraltare imprenditoriale perfetto della sua filosofia politica, fatta di riforme-Ikea, ruvide, anti-burocratiche e refrattarie alle cose vecchie di pessimo gusto come i servizi di nonna Speranza, la Costituzione, l’ideologia. Al posto della teleologia dell’avvenire, qui c’è la religione del km 0.
In luogo dell’integrità , la purezza di una farina macinata a pietra.
Certo quella di Renzi è un’altra sinistra rispetto a quella che subiva una “attrazione fatale per il capitale” (come la chiamò Robecchi sul Fatto ), e allo yacht di Bazoli preferisce la trafilatura a bronzo dei fusilli artigianali.
Dalla razza alla terrazza padrona, versione light di un elitismo più sottile, fatto più di comunicazione che di borsa, di spuntini bio in stanze vero-finto-rinascimentali più che di lunghi pranzi democristiani da Fortunato, e si va spicci e dritti verso soluzioni efficaci. Slow food e politica fast.
Pochi fronzoli, zero discussioni da vecchia sezione di partito. La sinistra terremotata si è fatta prendere da un rottamatore, e ha trovato un manovratore abile a far della politica non il connubio di teoria e prassi, ma un gioco di incastri e equilibri.
L’avanguardia di Renzi mette l’urgenza di disintegrare le gerarchie fossili del potere, quello dei banchieri compreso.
Le banche non sono alleate ma zavorre al desiderio collettivo di ripresa (tra Farinetti e un forcone c’è l’ineffabile fascino di una spremitura a freddo). Ma poi lo stesso Renzi vota sì al favore-Bankitalia da 7 miliardi e mezzo.
Perciò largo alla qualità di ciò che mangiamo, che poi secondo il compagno Feuerbach era ciò che siamo. “Alti cibi”, mica patate da assedio di Stalingrado.
Se di capitale si tratta, è quello sano delle sue facce più cool: Apple, Eataly. Stay fresco, stay hungry: il pranzo al sacco, metonimia manco tanto suggerita di una contingenza da guerra, è diventato sexy.
Sfamaci tu, Farinetti, con soli 13 euro e un occhio all’eccellenza.
È il momento giusto, se pure Obama loda Letta perchè in Toscana si mangia bene: la cultura del cibo sposa i milioni e sfonda in politica liberandosi delle “vecchie liturgie”, a cui si preferisce la sapienza pratica del maneggione con le mani in pasta tutto il giorno con contratti e vertenze, prezzi delle merci e malumori dei sindacati.
A ogni epoca il suo guru. Venti anni fa ci piaceva pensare che un palazzinaro intrighino esperto di creste sui VHS potesse far uscire il paese dalla palude della Prima Repubblica. Uno è un bravo gestore del suo, e a noi ci pare già il conte di Cavour.
E al solito, di un ricco non pensiamo che voglia fregarci: è già ricco di suo!
Parlare di conflitto d’interessi ci annoia, è roba Anni 90, e proprio non vediamo conflitto tra amministrare milioni per le politiche agricole e costruire cattedrali “multifunzionali” di arance e tortelli in ogni città .
Silenzio, parla Farinetti. Siamo tutti in attesa.
Ora ci spiega lui come si fa, come si rimette in sesto l’Italia.
Buon senso, visionarietà , pragmatismo: il “mercante di utopie” (così la sua biografia) conosce il Paese palmo a palmo, vitigno per vitigno. Ariecco pure il territorio.
Macina applausi come grano duro di Altamura. Si lamenta di tasse, propone riforme. È un miliardario che geme e (sempre Longanesi) “l’anima dei ricchi geme a sinistra”.
Altro che petrolio: negli occhi gli brillano riflessi di olio EVO Armonico.
Ci sentiamo un po’ in colpa, a disagio, come se ci fossimo presentati a una cena in ambasciata col cappellino di McDonald’s.
Siamo superstiti di un mondo che sta scomparendo, che parla ancora di popolo, diritti e lavoro e non sa nemmeno cos’è uno scalogno, un’oliva taggiasca.
Daniela Ranieri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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