Novembre 12th, 2009 Riccardo Fucile
NELLE ULTIME QUATTRO LEGISLATURE SONO STATE RESPINTE LE RICHIESTE DI ARRESTO DI 12 DEPUTATI….SOLO IN QUATTRO CASI FURONO CONCESSI: MORANINO, SACCUCCI, TONY NEGRI ( FUGGITI ALL’ESTERO) E ABBATANGELO…LA SOLIDARIETA’ DELLA CASTA EQUIVALE A INTOCCABILITA’ GARANTITA
Ci risiamo: nelle 351 pagine del faldone recapitato alla presidenza della Camera, relativo all’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il sottosegretario del Pdl Nicola Cosentino per “concorso esterno in associazione mafiosa” da parte della procura di Napoli, risiede l’ultimo capitolo, in ordine temporale, delle svariate richieste di arresto nei confronti di parlamentari da parte della magistratura.
Si assisterà al solito gioco delle parti: chi lo difenderà e chi lo inviterà a dimettersi, salvo poi fare in modo che la richiesta di arresto venga respinta. Una prassi consolidata di intoccabilità garantita: anche perchè vige la morale “oggi tocca a me, ma domani può toccare a te”, quindi meglio solidarizzare. Sulla custodia cautelare, Cosentino potrà dormire sonni tranquilli, per il suo arresto si è pronunciato solo l’Idv, fedele alla linea che le richieste della magistratura vanno sempre appoggiate.
Al massimo si discuterà sull’opportunità che Cosentino si dimetta dalla carica di sottosegretario, decisione che verrà lasciato alla sua coscienza. Ovviamente non entriamo nel merito della vicenda, ci limitiamo a segnalare i precedenti significativi.
Come nel passato, ci sarà chi farà finta di indignarsi davanti alle telecamere, ognuno interpreterà il proprio ruolo, chi farà il boia e chi il garantista, ma alla fine la musica è sempre la stessa.
Nell’intera storia repubblicana per 64 volte la magistratura ha chiesto di poter arrestare un deputato, ma solo in quattro casi la Camera li ha concessi.
Il primo fu Francesco Moranino e la richiesta si riferiva alla fucilazione ordinata come capo partigiano di sette persone.
Al momento giusto Morarino scappò in Cecoslovacchia dove visse beato prima di ricevere la grazia da Saragat.
Toccò poi al missino Sandro Saccucci, accusato di “concorso esterno” in omicidio, mentre si allontanava da Sezze dopo essere stato aggredito nel corso di un comizio.
Anche Saccucci fuggì prima in Sudamerica.
Terzo caso quello di Toni Negri, fatto eleggere nelle liste radicali da Marco Pannella.
Mentre Pannella garantiva in aula che Negri si sarebbe consegnato, il professore scappò via mare in Francia.
Ritornerà dopo vari anni e sconterà un minimo periodo in carcere. Continua »
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Novembre 12th, 2009 Riccardo Fucile
NON CI INTERESSA LO SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE DI UN PROCESSO RAPIDO, OCCORRE SOLO UN PROCESSO GIUSTO… UNA DESTRA SERIA NON FA SALTARE 100.00 PROCESSI PER ELIMINARNE DUE…IL PROCESSO BREVE E’ INCOSTITUZIONALE: SI DISCRIMINA TRA CHI E’ INCENSURATO E CHI NO, TRA CHI E’ IMMIGRATO E CHI NO…E FAVORISCE L’OSTRUZIONISMO DEGLI AVVOCATI PER ANDARE IN PRESCRIZIONE
La nuova legge sul processo breve non ci convince per due aspetti.
Il primo è squisitamente politico: può una coalizione di destra, per definizione stessa del suo “essere” e del retroterra culturale e ideologico cui dovrebbe fare riferimento, non rappresentare il “partito della legalità “?
Può rappresentare interessi particolari e non avere come orizzonte il bene comune e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge?
E’ normale che di fronte ai gravi problemi operativi e strutturali che mortificano il funzionamento della giustizia in Italia, una coalizione di centrodestra si interessi a proporre riforme in tale ambito, esclusivamente nell’intento di cancellare due processi che riguardano il premier della coalizione?
E’ producente aver abbandonato la bandiera ( che fu ancora di An) della lotta alla corruzione, al malgoverno, ai politici e ai dirigenti corrotti, per lasciarla (almeno a parole e nel sentire comune) al partito di Di Pietro?
Le vicende personali hanno di fatto spostato l’asse della “destra garantista ma legalitaria” in una coalizione condizionata perennemente nel suo procedere dalla necessità di rimuovere artificiosamente i paletti che la giustizia pone sulla strada del suo massimo esponente.
Sono mesi che forze, intelligenze, energie vengono concentrate, come se fosse l’unico scopo della vita politica di questo governo, per trovare una via idonea a evitare che i processi Mills e quello sui diritti Tv possano arrivare a conclusione.
Qualcuno ci rimprovera di non tenere conto dell’accanimento giudiziario che certi settori della magistratura dimostrerebbero verso il premier.
Diamo per scontato che sia vero, ma ricordiamo tre semplici concetti.
In primo luogo che la Cassazione ha in passato reso giustizia al premier in relazione a talune accuse, segno che avere fiducia nella magistratura alla lunga può anche pagare.
In secondo luogo che davanti ai giudici anche prevenuti ci si presenta, non si cercano scappatoie che sono solo segno di debolezza, soprattutto quando si hanno in mano i media per ribattere alle contestazioni che possono formulare.
In terzo luogo che il capo responsabile di una coalizione, sapendo di essere attaccabile sul fronte giudiziario, deve allora avere anche il coraggio di scegliere un ruolo meno esposto e non presentarsi candidato premier. Perchè o si fa politica per tutelare se stessi e basta, o ci si sacrifica per le idee che si rappresentano.
Nessuno ha obbligato il premier a proporsi come tale, il centrodestra deve liberarsi dalla paturnia “dopo Silvio, il diluvio”, un altro potrebbe fare peggio ma anche meglio di lui.
Esiste poi un altro elemento da considerare a fondo: la pochezza giuridica e gli errori pacchiani che continuano a commettere i presunti esperti giuridici del premier in questa battaglia a sciabolate per garantirgli l’immunità processuale. Dopo il lodo Alfano (errore politico e giuridico), dopo le varie ipotesi farneticanti che si erano succedute ( prescrizione breve, far spostare i processi a Roma e colpi di spugna vari), siamo arrivati alla mediazione sul “processo breve”.
Un disegno di legge che si è già incartato ieri su mille contraddizioni, citiamo solo le più evidenti.
In primo luogo per far saltare due processi, si finirà per annullarne 100.000, tra cui alcuni di forte impatto civile come quello della Thyssen, il caso Eternit, i morti di Marghera, i casi Parlamat e Cirio, quelli sulla politica e il malaffare, sugli appalti truccati e sulla corruzione nella Pubblica Amministrazione, sullo scandalo rifiuti a Napoli.
Ne beneficeranno personaggi come Tanzi, Cragnotti, Geronzi, Bassolino, Fazio. Tutti i crack finanziari godranno di impunità . Continua »
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Novembre 12th, 2009 Riccardo Fucile
SI TORNA A RICHIEDERE IL RIPRISTINO DELL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE… PERALTRO GIA’ ESISTE ANCORA OGGI PER ARRESTI, PERQUISIZIONI E INTERCETTAZIONI….ADESSO SI VORREBBE DI NUOVO ESTENDERE ANCHE ALL’APERTURA DI UN PROCEDIMENTO PENALE….CON LA SCUSA DEL “PARTITO DELLE TOGHE”, LA CASTA SA SOLO PRETENDERE PRIVILEGI
Erano gli ultimi giorni di aprile del 1993: quelli dell’assedio al Raphael, del lancio di monetine, del drammatico discorso di Craxi alla Camera, delle sedi socialiste e democristiane presidiate dalla polizia, delle manifestazioni di piazza, delle occupazioni di protesta delle Università .
Giorni che segnarono, insieme alla fine della Prima Repubblica, l’abolizione della immunità parlamentare.
Dopo decenni di governo del centro o del centrosinistra, gli italiani si accorsero che in Parlamento sedevano un po’ troppi disonesti e imposero a furor di popolo la fine di questo privilegio.
Ad agitarsi erano anche esponenti dell’attuale Pdl (soprattutto gli ex missini) e i leghisti al grido di “ladri di regime” e “mafiosi”.
Si arrivò fino allo scontro fisico in Parlamento.
Fu Giorgio Napolitano, in veste di presidente della Camera, a officiare la cerimonia che diede il colpo di scure all’art. 68 della Costituzione, ovvero che cancellò la famosa autorizzazione a procedere da concedersi dopo aver vagliato un possibile “fumus persecutorio” dei magistrati.
I padri costituenti lo avevano inserito per evitare non solo che la magistratura potesse ridurre i poteri del parlamento, prevaricandone i diritti, ma soprattutto per garantire a ogni deputato la libera espressione di opinione.
Si veniva da un periodo di dittatura e assicurare la libertà di parola ai rappresentanti del popolo era un segnale indispensabile.
Ma è anche vero che la immunità parlamentare nei primi anni serviva giusto a garantire alle minoranze qualche eccesso verbale, senza per questo essere indagati per reati di opinione.
Fu col passare del tempo che invece di imputazioni “politiche”, il parlamento vedeva recapitate ai propri uffici, da parte delle Procure, richieste di autorizzazione a procedere per reati comuni o a sfondo corruttivo.
I tempi stavano cambiando e la politica non seppe anticipare l’indignazione dei cittadini verso i reati della Casta. Continua »
argomento: denuncia, Giustizia, governo, Parlamento, Politica | Commenta »