Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
DA RICERCATORE A PROFESSORE ORDINARIO: L’ASCESA DI GIACOMO FRATI, FIGLIO CASUALMENTE DEL RETTORE DELLA SAPIENZA DI ROMA
Vi fareste operare al cuore da chi non ha «mai visto la cardiochirurgia» e si è impratichito solo con i
manichini?
Se la domanda vi sembra demenziale, sappiate che è già successo .
O almeno così dice, in un’intervista stupefacente, il figlio del rettore della Sapienza.
Che con una sfolgorante carriera si è ritrovato giovanissimo a fare il professore nella facoltà del papà , della mamma e della sorella.
Che per essere un grandissimo chirurgo si debba avere necessariamente un curriculum scientifico universitario, per carità , non è detto.
Ambroise Parè, il fondatore della moderna chirurgia, pare fosse figlio di una peripatetica e cominciò nella scia del padre facendo insieme il chirurgo e il barbiere.
E il capo-chirurgo dell’«èquipe» del primo trapianto di cuore in Sud Africa, nel 1967, al fianco di Christiaan Barnard, pare sia stato Hamilton Naki, che era un autodidatta con la terza media che essendo nero figurava assunto come giardiniere ma aveva le mani d’oro al punto di ricevere, finita l’apartheid, una laurea ad honorem e il riconoscimento di Barnard: «Tecnicamente era meglio di me».
Detto questo, il modo in cui Giacomo Frati si è ritrovato alla guida di un’Unità Programmatica di (teorica) avanguardia al Policlinico di Roma appare sempre più sbalorditivo.
Ricordate? Ne parlammo due settimane fa, dopo l’apertura di un’inchiesta giudiziaria. Riassumendo, il giovanotto riesce in una manciata di anni (ricercatore a 28, professore associato a 31, in cattedra a 36) a diventare ordinario nella stessa facoltà di medicina in cui il padre, il potentissimo rettore Luigi, è stato per una vita il preside e ha già piazzato la moglie Luciana Rita Angeletti (laurea in lettere, storia della medicina) e la figlia Paola, laureata in legge e accasata a Medicina Legale.
Un genio tra tanti «sfigati»? Sarà …
Ma certo gli ultimi passaggi della vertiginosa carriera di Giacomo sono sconcertanti. Prima l’esame da cardiochirurgo vinto grazie al giudizio di una commissione di due igienisti e tre dentisti: «Giusto? Forse no però questo non è un problema mio…».
Poi la chiamata a Latina dove era stata aperta una «succursale» di cardiologia della Sapienza presso la casa di cura Icot.
Poi il ritorno a Roma appena in tempo prima che le nuove regole contro il nepotismo della riforma Gelmini impedissero l’agognato ricongiungimento familiare.
Poi la creazione su misura per lui, togliendo un po’ di letti a un altro reparto, di un’«Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari» che gli consente di avere un ruolo equiparato a quello di primario, novità decisa dal direttore generale Antonio Capparelli.
Nominato poche settimane prima ai vertici del Policlinico proprio da Luigi Frati, il premuroso pap�
Troppo anche per un ateneo storicamente abituato a una certa dose di nepotismo.
Eppure, neanche un verdetto del Tar che dà ragione a quanti avevano presentato un esposto contro gli esiti della «gara» vinta da Giacomo («illogicità del criterio adottato», «irragionevole penalizzazione degli idonei», «danno grave e irreparabile») è riuscito a frenare l’irrefrenabile ascesa del giovanotto.
Anzi, il giorno dopo avere perso il ricorso in appello contro quella sentenza, l’università gli ha fatto fare un nuovo passo in avanti.
Nè sono riusciti a bagnare l’impermeabile scorza di Luigi Frati (dominus assoluto di un sistema trasversale alla destra e alla sinistra che sta benissimo a molti baroni) alcune contestazioni nel Senato accademico o una miriade di mugugni sul Web.
Nè poteva infastidirlo, pochi giorni fa, il professor Antonio Sili Scavalli, segretario regionale della Fials e responsabile aziendale dello stesso sindacato, che ha mandato una diffida a Renata Polverini chiedendo come fosse possibile che Giacomo Frati, chiamato al Policlinico per attivare una guardia medica di cardiochirurgia, sia stato quattro mesi dopo promosso e contestualmente abbia chiesto, da primario, di essere esentato dalle noiose guardie notturne.
Ma le domande più fastidiose poste dal sindacato, che preannuncia un esposto alla magistratura, sono altre. È vero che in un anno e mezzo i dati sulla produttività dell’unità di Giacomo Frati «fornirebbero un numero pari a zero»?
Ed è vero che in questo periodo il giovine chirurgo ha fatto in tutto 5 interventi «peraltro di cardiochirurgia classica» che dunque non c’entrano niente con la creazione su misura del reparto di «avanguardia»?
E soprattutto: qual era la mortalità di quella dependance di cardiochirurgia a Latina dove si era impratichito?
Il punto più delicato è questo.
Lo dicono nemici di Frati come il senatore Claudio Fazzone, che mesi fa ironizzò sull’«alta qualità portata a Latina» dal rettore: «Penso si riferisca alla cardiochirurgia che ha effettuato 44 interventi in un anno, di basso profilo, col più alto indice di mortalità del Lazio».
Ma lo dice soprattutto un decreto della Regione del 29 settembre 2010. Dove si legge che nonostante a Latina fossero stati fatti «zero» interventi chirurgici «di alta complessità , i risultati all’Icot erano pessimi.
Tanto da spingere la Regione Lazio a chiudere la dependance universitaria, a costo di dover pagare alla casa di cura dove stava un risarcimento milionario: «La disattivazione dei posti letto di cardiochirurgia dell’Icot di Latina è sostenuta da valutazioni relative ai volumi di attività estremamente ridotti e alla bassa performance. Nel 2009, la struttura ha effettuato 44 interventi cardiochirurgici (pari all’1% del totale regionale) ed è ultima nel Lazio per capacità di attrazione, con una percentuale di ricoveri a carico di residenti fuori regione intorno al 2% (valore medio regionale del 9%). L’indice di inappropriatezza d’uso dei posti letto è 3 volte più elevato rispetto alla media regionale».
Quanto «bassa» fosse la performance, lo dice una tabella riservata del «PReValE», il Programma regionale di valutazione degli esiti, recuperata da Sabrina Giannini, di «Report».
Tabella dove, alla voce «Bypass aorto-coronarico» per il 2008-2009 sulla mortalità nei primi 30 giorni dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, risulta che non ce la fece il 2,25% degli operati (su 356) al Gemelli, lo 0,46% (su 656) al San Camillo-Forlanini, il 2,67% (su 225) all’Umberto I, il 3,01 (su 632) all’European hospital e via così. Risultato finale: una media di mortalità , per quanto queste statistiche vadano prese con le pinze, intorno al 2,5%.
Bene: in un servizio per «Reportime» di Milena Gabanelli, Sabrina Giannini mostra quella tabella a Giacomo Frati: come mai all’Icot c’era una mortalità del 6% e cioè più che doppia?
Il giovane «astro nascente» della famiglia del rettore sbanda. E si avvita in una risposta strabiliante: «Cioè, la cardiochirurgia qui è partita da zero. Faccio presente che quando noi abbiamo iniziato tutto il personale, anche infermieristico, era un personale che non aveva mai visto la cardiochirurgia. Abbiamo fatto simulazione in sala anche con i manichini. Anche per il posizionamento dei devices della circolazione extracorporea».
Fateci capire: «tutto il personale» (tutto, compresi dunque i chirurghi) era così a digiuno di cardiochirurgia che prima di operare dei pazienti si era addestrato coi manichini?
Che storia è questa?
Si sono impratichiti via via sui malati che avevano affidato loro la vita?
Per difendere quel reparto, mentre la Regione decideva (troppi reparti) di rinunciare ad aprire nuove cardiochirurgie a Viterbo, Frosinone e Rieti, Luigi Frati disse in un’intervista a «La Provincia»: «Mi chiedo perchè mai uno di Latina non abbia il diritto di farsi operare nella sua città ».
Ma da chi, signor rettore? A che prezzo?
In quale altro paese del mondo, dopo tutto ciò che è emerso, potrebbe restare ancora imbullonato al suo posto?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO DEL PARTITO DI DI PIETRO REO DI UN’INFRAZIONE AMMINISTRATIVA… UTILIZZO INDEBITO DEL PERMESSO DI ENTRARE IN ZONA ZTL INTESTATO A UN DISABILE MORTO DA DUE ANNI
C’è anche un politico, Paolo Nanni, consigliere provinciale Idv, fra i nomi eccellenti finiti nelle carte dell’inchiesta sui pass per invalidi della procura di Bologna.
Non bastavano i calciatori rossoblu. Il suo nome è spuntato grazie alle indagini condotte dalla polizia municipale, coordinata dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, che ha verificato tutti i casi sospetti di utilizzo dei pass invalidi per l’accesso e la sosta in centro.
Nanni, presidente del gruppo Italia dei Valori a Palazzo Malvezzi, non è indagato, perchè il caso è un presunto utilizzo indebito di permesso H, e si tratterebbe quindi di una violazione amministrativa.
Le targhe del politico e di alcuni suoi stretti familiari sarebbero agganciate a un tagliando di un disabile, che però è morto da circa due anni.
Nanni non ha mai restituito il pass e non ha mai comunicato al Comune di Bologna la morte del parente.
Gli accessi di Nanni e dei suoi familiari in zona Ztl risultano da accertamenti della polizia municipale.
Gli investigatori stanno verificando i numeri degli accessi, diverse decine.
Il consigliere provinciale ora dovrà spiegare il motivo per cui non ha riconsegnato il tagliando, e perchè la sua famiglia ha continuato ad utilizzarlo.
Nel caso in cui non dovesse convincere gli inquirenti potrebbe essere costretto a pagare le multe, così come hanno fatto i calciatori del Bologna per un totale di 93 mila euro che la polizia municipale gli ha contestato.
L’indagine sui pass invalidi e sui pass T7 di residenza temporanea usati in modo irregolare, condotta dal procuratore aggiunto Giovannini, si avvia verso le battute conclusive.
A breve sarà sentita la factotum del Bologna Fc, Marilena Molinari.
Ma i casi scoperti di utilizzo improprio del pass sembrano solo la punta dell’iceberg. “Un pozzo senza fondo” lo aveva definito Giovannini.
Intanto, giorno dopo giorno, la polizia municipale individua nuovi casi.
Un Suv, ad esempio, sarebbe passato circa cento volte su preferenziali, con un tagliando H riferito però ad un defunto.
In un altro caso, invece, ci sono 330 passaggi in un anno in preferenziale, difficili però da contestare, poichè il titolare potrebbe sempre giustificare il suo passaggio col trasporto del disabile.
Un altro caso sospetto riguarda poi un tagliando associato a dieci targhe, tutte riferite ad auto d’epoca.
Esempi questi sui quali la procura sta continuando a scavare.
In tutto sono circa venti gli indagati. Dodici calciatori per uso di atto falso: Marco Di Vaio, Gaby Mudingay, Vangelis Moras, Andrea Esposito, Gabriele Paonessa, Nicola Mingazzini, Vlado Smit, Martins Bolzan Adailton, Daniele Portanova, Emiliano Viviano, Massimo Mutarelli e Archimede Morleo.
Tra gli altri indagati ci sono anche alcune mogli e compagne degli sportivi, Gianluca Garetti (ex impiegato della Coopertone) e Marilena Molinari, la factotum dei rossoblu.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
SI E’ RAGGIUNTA LA CIFRA RECORD DI “MOBILITA’ PASSIVE” DI 417 MILIONI DI EURO, PRIMATO NAZIONALE… OLTRE 100 MILIONI IN PIU’ DEL BUCO DI 311 MILIONI DEL 2010…. SONO 89.000 I CAMPANI IN USCITA E SOLO 26.000 QUELLI IN ENTRATA
E’ il circolo vizioso per eccellenza. Il debito sanitario della Campania è immenso, insieme a quello del
Lazio incide per il 69% sull’intero debito nazionale.
E se i tagli alla spesa pubblica sanciti dal piano di rientro intaccano la qualità dei servizi sanitari i malati si vanno a curare fuori regione.
E così i costi delle loro terapie incidono ulteriormente sui disastrati e commissariati conti campani.
Dando il là a nuovi tagli alla spesa. E così via all’infinito.
Nell’anno appena trascorso il saldo negativo delle “mobilità passive” della Campania, ovvero le prestazioni sanitarie effettuate presso altre regioni è salito a 417 milioni di euro. Primato nazionale.
Oltre cento milioni in più del buco di 311 milioni calcolato nel 2010 sulla base di un saldo migratorio negativo di circa 63.000 pazienti (89.000 campani in uscita e solo 26.000 in entrata da altre regioni).
Anch’esso record italiano.
Campania leader in quelli che secondo una metafora un po’ abusata sono chiamati “i viaggi della speranza”.
Tutto questo mentre Maurizio Scoppa, il commissario dell’Asl Napoli 1, la più indebitata d’Europa (altro record), esulta per aver dimezzato il debito corrente a 298 milioni di euro, circa il 55% in meno dei 460 milioni del 2010.
“Un risultato — dice Scoppa, nominato dal governatore Pdl Stefano Caldoro — ottenuto oltre ogni più rosea aspettativa, senza fare tagli alla spesa sanitaria, ma eliminando gli sprechi, riducendo le spese inutili, senza incidere sulla qualità ”.
“Cifre taroccate — replica il gruppo Pd in consiglio regionale guidato da Giuseppe Russo — che sono state raggiunte grazie a tre fattori: le maggiori entrare Irap e Irpef, grazie alle aliquote più alte d’Italia; il blocco del turnover; il decremento della spesa farmaceutica di circa 46 milioni, dovuto alla scadenza di alcuni brevetti e all’aumento del ticket. Il piano di rientro non ha comportato una modifica strutturale del sistema sanitario regionale e non ha posto le premesse per un sistema più equo e più moderno. Stiamo solo assistendo a tagli indiscriminati, a cominciare dai pronto soccorso del San Gennaro, dell’Ascalesi, del Cto, che decrementano gravemente la qualità dell’assistenza sanitaria. In mancanza di alternative tutta l’utenza si scarica sul Cardarelli, diventato un barellificio. Non era prevedibile”?
Eppure non si possono dimenticare le responsabilità del Pd dell’ex governatore Antonio Bassolino e del suo principale alleato Ciriaco De Mita nella lievitazione del debito.
Dieci anni del loro governo ininterrotto della sanità campana hanno prodotto le cifre che vediamo e sulle quali ora è chiamato a lavorare il Pdl.
E senza intervenire su alcune voci che secondo il Pd andrebbero sfoltite.
Secondo una loro relazione, le Asl spendono svariati milioni di euro in convenzioni con le Università . In particolare l’Asl Napoli 2 che spende 6 milioni di euro con le strutture accreditate e un milione e trecentomila euro per prestazioni di emodinamica in convenzione con Università e Monaldi “dove — afferma Russo — esiste un palese conflitto di interessi del senatore Pdl Raffaele Calabrò”, docente universitario di cardiologia, consulente di Caldoro per la sanità , e ispiratore, secondo le opposizioni, di politiche che puntano a salvaguardare lo status quo del Monaldi, centro cardiologico di eccellenza in Campania.
Invece di elaborare strategie di medio e lungo periodo per erogare servizi migliori contenendo i costi, la politica ha preferito tramutare la sanità in serbatoio di clientele e terreno di caccia di consenso elettorale.
Fa riflettere ascoltare il consigliere regionale Pd Antonio Valiante che propone una legge per far scegliere a commissioni di docenti universitari e su criteri predeterminati i direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere.
E’ lo stesso Antonio Valiante, per più di un lustro vice di Bassolino, che il 28 dicembre 2005 si recò a Nusco, a casa di De Mita, con l’assessore regionale alla Sanità Angelo Montemarano e il presidente della Provincia di Salerno Angelo Villani — lo scrisse il giorno dopo Giuseppe Del Bello su Repubblica — per un summit di politici targati Margherita in cui si discussero e si decisero con la benedizione dell’ospite le nomine dei manager che sarebbero state deliberate in giunta Bassolino due giorni dopo. Passato all’opposizione, si è ravveduto.
Di quella stagione, che pochi rimpiangono, è sopravvissuta la Soresa, una partecipata al 100% della Regione.
Aveva lo scopo di gestire il debito sanitario e di centralizzare le forniture.
Ma ha sostanzialmente fallito.
Dice di essa Tommaso Cottone, procuratore regionale della Corte dei conti, in un’intervista a Gianluca Abate del Corriere del Mezzogiorno: “La Soresa è una questione aperta. L’inchiesta è ancora in corso, quindi posso dire davvero poco. Ma resta il fatto che una società nata per gestire il debito della sanità , non è in grado a tutt’oggi di definirlo. Non solo. Non sono riusciti a chiudere i contenziosi con i creditori. Con un’aggravante: la Regione non conosce cosa fa la Soresa”.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LO SCAMPATO PERICOLO DELLA SENTENZA MILLS, IL CAVALIERE PRONTO A RIDISCENDERE IN CAMPO ACCORDANDOSI CON MONTI
Tra la primavera e l’estate del fatidico 2013, Giorgio Napolitano avrà 88 anni, Silvio Berlusconi 76, Romano Prodi 73, Mario Monti “appena” 70.
All’indomani delle elezioni politiche (le prime della Terza Repubblica o le ultime della Seconda?), sarà questa la griglia per il nuovo settennato del Quirinale.
E la novità principale riguarda il ritorno di B. nella rosa degli aspiranti dopo il triennio a luci rosse degli scandali sessuali.
Il Giornale di famiglia (Sallusti direttore, Paolo Berlusconi editore) ha messo l’imprimatur a quella che è ormai più di una suggestione: “E adesso il Cavaliere può pensare al Quirinale”. Firmato Paolo Guzzanti.
È il primo effetto del dopo Mills, che rilancia il Cavaliere salvato dalla prescrizione nel ruolo di padre nobile del centrodestra
Chi ha parlato con lui in queste ore spiega: “Da sabato la strada è di nuovo in discesa. Il processo Mills era la pistola fumante per farlo fuori, con l’accusa infamante di corruzione. Adesso resta solo Ruby che in confronto è davvero poco”.
Senza contare che, ieri, un altro giornalista berlusconiano di punta, Giuliano Ferrara sul Foglio, ha profetizzato che B. uscirà indenne anche dal processo per la “nipote di Mubarak” e a quel punto “il cerchio sarà definitivamente quadrato”.
In che senso? Nel senso che Berlusconi farà di tutto per riappropriarsi del suo ruolo di statista senza macchia, alla fine caduto per lo spread e non per il bunga bunga.
A sentire i suoi fedelissimi tutto porta in questa direzione, compresa la strategia delle interviste a getto continuo alla stampa straniera.
Nell’ultima, allo svizzero Corriere del Ticino, rifila il copione delle ultime settimane: sostegno a Monti, difesa del bipolarismo (a parole), Alfano successore, disponibilità verso la Lega.
E lui? Padre nobile che dispensa consigli, mai più candidato-premier. E che assiste compiaciuto ai vari endorsment a suo favore per il Quirinale.
In origine, e un po’ a sorpresa, è stato il sottosegretario all’Economia (tecnico ma anche ex-socialista vicino a Cicchitto) Gianfranco Polillo a sdoganare le voci sulle rinnovate ambizioni di B. per il Quirinale: “Spero vada al Quirinale”.
Giovedì scorso è toccato al segretario del Pdl Angelino Alfano esprimersi: “Io voterei Silvio Berlusconi al Quirinale, ma oggi non lo candido. Sarebbe un gesto di imprudenza farlo oggi e poi mancherei di rispetto verso l’attuale Presidente della Repubblica”. Attenzione.
Le parole di Alfano precedono di due giorni la notizia sulla prescrizione per Mills.
Poi, appunto, il sabato della “strada in discesa” e l’articolo di ieri del Giornale.
Qual è dunque la strategia del Cavaliere per il Quirinale?
La prima opzione è dichiaratamente inciucista (o bipartisan come nello spirito di Onna del 2009, traduzione del dialogo berlusconian-veltroniano) e prevede una riscrittura delle regole istituzionali ed elettorali con il Pd.
In realtà una trappola per il centrosinistra perchè secondo i falchi del Pdl, oggi convertiti tatticamente alla sobrietà , il patto tra Berlusconi e Monti sull’articolo 18 fa sperare nell’implosione del partito di Bersani.
In base a questo schema, i sostenitori della Grande Coalizione (dal Pdl al Pd passando per Casini), sancita da un sistema proporzionale molto tedesco e poco spagnolo, otterrebbero il ritorno di Monti a Palazzo Chigi dopo le elezioni del 2013.
In cambio il Cavaliere farebbe il padre della patria dal Quirinale.
Ci sono due indizi da non sottovalutare in questo scenario descritto da molti nel Transatlantico di Montecitorio.
Il primo: il Professore è un uomo di centro e non accetterebbe mai di fare il candidato di un solo polo.
L’unica condizione che avrebbe posto per continuare il suo impegno a Palazzo Chigi, stavolta con un governo politico non tecnico, è proprio questa: un nuovo esecutivo di solidarietà o salvezza o unità nazionale.
Il secondo indizio conduce alla deflagrazione dei democrat, divisi tra riformista e laburisti, tra Grande Coalizione e foto di Vasto.
E a pagare il prezzo maggiore sarebbe Bersani, ipotetico candidato premier.
Così come dall’altro lato il sacrificato sarebbe Alfano.
Nei piani dei berlusconiani, però, c’è anche una seconda opzione per il Cavaliere al Quirinale: il metodo Napolitano.
Cioè l’elezione a maggioranza, senza accordi, come avvenne con l’attuale capo dello Stato nel 2006.
Dicono: “Il precedente c’è già ”.
In questo caso, il contesto sarebbe diverso: Porcellum ritoccato e bipolarismo intatto. Insomma, c’è un Berlusconi al Colle per tutte le stagioni.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 29th, 2012 Riccardo Fucile
CALO DEL GOVERNO NEL SUO COMPLESSO, MA LA FIDUCIA AL PREMIER PASSA DAL 57% AL 59%…. TRA I MINISTRI SPICCANO CANCELLIERI, RICCARDI E PASSERA
Il passaggio prima del decreto fiscale e poi delle liberalizzazioni, quindi la strada in salita, ancora da
percorrere fino in fondo, della traduzione in leggi della manovra hanno fatto oscillare ma non indebolito il governo agli occhi degli italiani.
Anzi, in particolare per la figura del premier la fiducia è persino aumentata alla fine di questo mese di febbraio.
E’ calata quella nella compagine governativa ma rimanendo comunque a livelli altissimi.
Sono questi i segnali più evidenti che giungono dalla rilevazione mensile di Ipr Marketing. Rispetto al monitoraggio di febbraio 2012, infatti, la rilevazione evidenzia che la fiducia in Monti è in aumento di ben due punti.
Arriva così al 59%, tornando a sfiorare la invidiabile “quota sessanta” che il premier raggiunse e superò tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio nel momento più alto della sua popolarità . Seguì il primo impatto con la manovra e la conseguente, netta discesa di consensi durante il mese di dicembre, fino al 52% – alto, ma di dieci punti in meno del precedente – dell’inizio del mese scorso.
Poi, però, passato l’impatto immediato dell’annuncio della manovra, la fiducia è tornata a salire di ben 5 punti (al 57% di fine gennaio).
Specularmente era calata al 34% la percentuale dei poco convinti delle mosse del premier, e continua a calare – in questo rilevamento di febbraio – fino al 33%.
Critiche e dubbi, dunque, sembrano concentrarsi più sulla compagine dei ministri che sulla figura del premier. la fiducia complessiva nel governo scende di due punti fino al 53%.
Un livello – fanno notare i ricercatori – decisamente molto alto, ma va pur sempre notato che il governo non ha invece beneficiato del “ritorno di fiducia” a manovra conclusa.
Infine i singoli ministri.
La percezione dei ricercatori è che per la maggior parte di loro si continuino a registrare livelli di conoscenza da parte dei cittadini molto bassi.
Tra loro la vera eccezione sembra essere il ministro della Cooperazione internazionale Andrea Riccardi che mantiene il secondo posto (crescendo nei consensi) anche a fronte di una visibilità mediatica decisamente ridotta rispetto a molti suoi colleghi.
In cima alla classifica di febbraio c’è il Ministro dell’Interno Cancellieri, la cui popolarità sembra essere stata addirittura rafforzata dai dati sui suoi redditi, ma anche sul livello di tasse pagate.
Al terzo posto Passera che precede Severino e Giarda.
I dati, però, sono chiari.
Dal giorno dell’affidamento dell’incarico (era il 16/11/ 2011) a oggi la fiducia in Monti è salita di 2 punti percentuali.
In calo, certo, rispetto a quell’inizio di dicembre scorso in cui fece segnare un 62% restato picco mai più raggiunto.
Ma era prima della manovra e questo può bastare a spiegare il calo, di 10 punti, registrato il 7 gennaio di quest’anno.
Altro aspetto significativo sono le ricadute sui partiti che sostengono il governo.
Tenuto in piedi da una maggioranza “anomala”, Terzo Polo, Pdl e Pd, l’ex commissario della commissione europea, non si nasconde le difficoltà legate alla tenuta delle formazioni politiche schierate al suo fianco.
Se si esclude il Terzo polo, imbarazzi e tensioni sono visibili in parte nel Pd ma soprattutto nel Pdl.
E proprio dal partito del Cavaliere si sono levate voci che chiedono di staccare la spina all’esecutivo e andare al voto.
Non a caso, scorrendo la tabella, solo il 30% degli elettori del Pdl dicono di avere fiducia in Monti. Una percentuale di poco superiore al 28% del carroccio.
Con una differenza significativa: la lega è all’opposizione, il Pdl sostiene il governo.
Ben più convinto il sostegno di Terzo Polo e Pd.
L’85% degli elettori dei centristi dichiara di avere fiducia nel premier, così come il 78% dei sostenitori democratici.
L’Idv, invece, resta nel guado. Nonostante Di Pietro abbia negato il sostegno al governo, il 60% degli elettori dell’Idv dichiarano di avere fiducia in questo esecutivo.
E anche tra chi si dice indeciso nella preferenza elettorale, la percentuale di chi dice di appreazzare la compagine governativa è alta: ben il 53%.
Angelo Melone
(da “La Repubblica“)
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