Destra di Popolo.net

I COMMENTI ALLE DIMISSIONI DELLA GOVERNATRICE

Settembre 25th, 2012 Riccardo Fucile

ALFANO PARLA DI “SCELTA DI DIGNITA’”, BERSANI LA INVITA A “NON FARE LA GIOVANNA D’ARCO”… PER RENZI “DOVEVA DIMETTERSI SUBITO”, D’ALEMA PARLA DI “VITTORIA DELL’OPPOSIZIONE”, PER CICCHITTO “DAL PD SOLO SPECULAZIONI”, STORACE SONO “UNA BANDA DI CACASOTTO”

E’ passata più di mezz’ora quando giunge il primo commento di un leader di partito alla notizia delle dimissioni di Renata Polverini da governatrice della Regione Lazio.
Si tratta di Angelino Alfano, segretario politico di quel Pdl che ha sostenuto la maggioranza della Polverini, ma l’ha anche trascinata nel fango con la disinvolta gestione dei fondi pubblici nelle disponibilità  del gruppo consiliare.
“Renata Polverini – afferma Alfano – ha compiuto una scelta di grande dignità  e di grande responsabilità , nonostante lei non abbia compiuto alcun atto nè immorale nè illegale e anzi abbia impresso un’accelerazione al percorso di riforma della Regione Lazio. Ha sfiduciato un Consiglio regionale che mai avrebbe potuto assicurarle la prosecuzione nel cammino intrapreso e che, in alcune sue mortificanti individualità , aveva tinteggiato la politica del peggiore colore possibile”.
“E’ questo il motivo – aggiunge il segretario del Pdl – per il quale anche oggi alle 13, quando ce lo ha comunicato, non abbiamo provato a trattenerla ma le abbiamo detto che le saremmo stati accanto qualunque fosse stata la decisione a lei suggerita dalla propria coscienza e dalla propria responsabilità “.
“Mi pare che la situazione sia arrivata a un punto insostenibile, credo che la Polverini stessa abbia fatto un gesto che va comunque sottolineato” riconosce il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
Che però aggiunge: “Ora non faccia la Giovanna d’Arco”.
Piuttosto, per Bersani la vicenda pone l’urgenza dell’adozione di “nuove regole”. “Se siamo arrivati a una situazione di quel tipo è anche perchè c’è stata una gestione di tutta quanta la vicenda che ha coinvolto il Pdl e non solo. Queste cose non possono succedere, bisogna mettere regole nuove”.
A Roma per la sua manifestazione elettorale, Matteo Renzi, ospite di Porta a Porta, non riconosce alla Polverini “nessun gesto eroico. Le dimissioni andavano date subito. Spero che il Pd faccia primarie per chi governerà  la Regione e spero che sia il Pd a governare il Lazio”. “Porto con me sul camper un obiettivo: il freedom of information act – aggiunge Renzi – Tutti devono sapere come vengono spesi i soldi mettendo i conti e le ricevute online”.
Molta amarezza nelle parole di Luciano Ciocchetti, vicepresidente della Regione Lazio e leader dell’Udc laziale, a cui Renata Polverini ha riconosciuto lealtà  e sostegno.
Ai microfoni di Rainews 24, l’esponente Udc afferma che non sono state le parole del cardinale Bagnasco nè “il mio partito a invitarla a dimettersi”.
“La sua decisione era già  presa da tempo – spiega Ciocchetti -. Abbiamo condiviso tutto con lei fino alla fine, anche la scelta finale”.
Polverini sapeva o meno dell’uso dei fondi?
“Il Consiglio regionale del Lazio dal 2003 è autonomo, la Giunta non ha alcuna competenza sulle decisioni del Consiglio. È come dire che se domani c’è uno scandalo alla Camera o al Senato è colpa di Monti”. Eppure è stato proprio il leader dell’Udc Casini, con la sua dichiarazione al Tg3, a far scendere il sipario sulla giunta Polverini.
Nota del segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa.”Apprezziamo la scelta di buonsenso della presidente Polverini di fronte a una situazione che si era resa insostenibile. L’Udc ha partecipato con grande impegno e lealtà  al lavoro della sua giunta, che in questi anni ha fatto cose importanti per i cittadini del Lazio”.
“Una banda di cacasotto si fa soggiogare dalla propaganda. Ridicolo”.
E quanto dichiara Francesco Storace, capogruppo de La Destra in Regione Lazio, ringraziato per il sostegno da Renata Polverini (“ha sofferto più di altri per questa decisione perchè gli sembrava ingiusto andare via senza aver fatto nulla”, ha raccontato l’ormai ex governatrice). Poi, in diretta a Tgcom24, Storace aggiunge: “Renata Polverini è stata una protagonista di una bella stagione politica. E’ una risorsa per la politica. Ci sono i malfattori del Lazio che si rubano i soldi di partito e poi quelli di tutt’Italia che prendono le tangenti, ma lì nessuno si dimette”.
Massimo D’Alema, ospite a Otto e Mezzo su La7: “Le dimissioni di Polverini sono un atto dovuto, un successo dell’opposizione che le ha chieste e un segno del fallimento del centrodestra. I fatti che le hanno generate richiedono una riflessione seria da parte di tutti i partiti”.
Alla lettura di D’alema non ci sta Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera: “Vanno respinte nel modo più netto le speculazioni che sta facendo il Pd sulla vicenda, visto che ha condiviso tutte le decisioni assunte in materia di contributi ai gruppi prese sia nell’ufficio di Presidenza sia nella commissione bilancio per cui l’ipocrisia e la doppiezza costituiscono il tratto distintivo del comportamento del Pd in tutta questa vicenda”.
Per Ignazio La Russa, “dal punto di vista del Pdl, Polverini ha dato una lezione a tutti”. In un’intervista a Sky Tg24, il coordinatore del Pdl sottolinea che la governatrice ha fatto “benissimo” a separare il proprio ruolo da chi “come Idv e Pd, ha pensato di speculare minacciando dimissioni”, mentre tutti usufruivano di fondi “che erano sbagliati nella loro entità ” e venivano dati “senza controlli”.
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ieri chiedeva un “azzeramento” nel centrodestra, dopo le dimissioni della Polverini invoca, “dopo tante settimane amare” uno sforzo di tutti “per una nuova stagione della politica. Non solo il centrodestra ma tutta la politica italiana”.
E ribadisce che “le dimissioni di Renata Polverini sono l’epilogo inaccettabile di una bruttissima vicenda.
Un Presidente di Regione, eletto dal popolo, senza neppure un avviso di garanzia, viene costretto a dimettersi dalle faide interne di partiti e da un’opposizione che, ancora una volta, ha dimostrato tutta la sua ipocrisia nello strumentalizzare una vicenda su cui il Presidente della Regione non ha responsabilità “.
“Bene ha fatto Renata Polverini a dimettersi. Questo è solo l’inizio” afferma Daniela Santanchè del Pdl.
Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l’Italia ed ex sindaco di Roma, via twitter: “Ben al di là  delle doverose dimissioni della Polverini, è ormai in discussione l’idea stessa di questo regionalismo-devolution, che ha tradito l’idea dei costituenti, è andato fuori controllo e va superato”.

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DOPO LAZIO E LOMBARDIA ADESSO TOCCA ALLA CALABRIA

Settembre 25th, 2012 Riccardo Fucile

SPRECHI E MAFIA, CAOS PDL IN CALABRIA

Non sono sole, Lazio e Lombardia.
Non sono le uniche regioni del centrodestra in cui tutto rischia di saltare per un connubio sciagurato di malapolitica, truffe e corruzione.
La Calabria è la prossima bomba pronta esplodere nel Pdl. Angelino Alfano lo sa.
Lo sanno tutti i notabili del partito, che per questo stanno facendo pressione sul governo Monti.
Pressione, soprattutto, sul ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri.
Al Viminale sono arrivate carte che scottano, 400 pagine di relazione prefettizia sulle infiltrazioni mafiose del comune di Reggio Calabria.
Sono secretate, per ora non può averle neanche la commissione parlamentare antimafia, ma in base a quelle carte – nelle prossime settimane, e comunque entro fine ottobre – il consiglio dei ministri dovrà  decidere se sciogliere il comune di Reggio.
Sarebbe la prima volta, per un capoluogo di provincia. E però, sarà  difficile scegliere altre strade.
Nel mirino ci sono i 10 anni di governo dell’attuale presidente della Calabria Giuseppe Scopelliti, sindaco dal 2002 al 2010, ancora influente, a dir poco, sull’attuale amministrazione di Demetrio Arena.
Sono gli anni del modello Reggio, delle assunzioni facili, di soldi sperperati in feste sul lungomare, dirette televisive, dj e tronisti da asporto, megaconcerti pop. «Un’operazione di marketing volta al finanziamento continuo di tutto quello che non serve alla città », dice oggi l’ex vicesindaco dell’era di centrosinistra Demetrio Naccari.
Ma soprattutto, sono gli anni chiusi con 170 milioni di euro di buco di bilancio (lo hanno certificato gli ispettori del ministero dell’Economia) di cui 80 milioni «sicuro oggetto di azioni illecite», come ha scritto la procura.
Alcune di queste azioni le ha commesse Orsola Fallara, persona di fiducia di Scopelliti messa a capo del settore Finanze e Tributi.
Si era liquidata come dirigente del comune un milione e mezzo di euro in consulenze. E nello stesso modo aveva pagato altri sodali dell’allora sindaco. Scoperta, è stata abbandonata al suo destino. Si è uccisa davanti al mare il 17 dicembre del 2010 bevendo acido muriatico.
Su questa vicenda, Scopelliti è indagato per falso.
Alla Camera, qualche tempo fa, spiegava al cronista che lui di bilanci non ha mai capito nulla, che della Fallara si fidava, che firmava trenta delibere al giorno senza leggerle tutte.
Insomma, che poteva non sapere.
Forse non sapeva neanche che Pino Plutino, consigliere comunale pdl, ex Udc, era il referente in comune della cosca Caridi, alla quale faceva favori (interveniva per assunzioni) in cambio di voti.
Che Dominique Suraci, altro consigliere comunale dell’era Scopelliti, poi assessore con il reggente Peppe Raffa, arrestato per concorso in associazione mafiosa e bancarotta fraudolenta, era proprietario di fatto di sei supermercati e garantiva la pax mafiosa sullo scaffale: dalla carne, al latte, ai cartoni, tutti i clan venivano accontentati.
Non sapeva che Manlio Flesca, in giunta con lui, aveva fatto pressioni per far assumere la moglie di uno dei Barbieri: è a processo per corruzione aggravata dal metodo mafioso.
Oppure che il consigliere regionale pdl Santi Zappalà  è stato condannato a 4 anni in primo grado perchè pizzicato a chiedere voti in casa del boss Giuseppe Pelle.
Che l’altro consigliere Franco Morelli è in carcere perchè nominò dirigente la moglie del giudice Vincenzo Giglio – secondo un’inchiesta milanese – in cambio di informazioni sulle indagini che riguardavano il boss lombardo Lampada.
O che Antonio Rappoccio prometteva posti di lavoro attraverso cooperative fittizie. Aveva anche fatto fare gli scritti ai candidati.
L’orale, era previsto dopo le elezioni.
Ma soprattutto, Arena e Scopelliti potevano non sapere che la Multiservizi – società  partecipata dal comune per tutte le manutenzioni pubbliche – era infiltrata dalla ‘ndrangheta tramite il direttore operativo? Giuseppe Rechichi, arrestato, era anche socio occulto per conto dei Tegano.
Se il comune di Reggio Calabria venisse sciolto per mafia, come suggerirebbe la logica, Scopelliti non potrebbe non pagarne il prezzo.
E la bufera travolgerebbe la regione.
Per questo il Pdl, e l’Udc, che in Calabria lo sostiene ovunque, sono entrati in agitazione.
Ma c’è un’altra spada che pende sugli amministratori del centrodestra. Reggio è di fatto in bancarotta, aspetta i soldi delle aree metropolitane per tappare i buchi, ma il prefetto potrebbe decidere di dichiararne il dissesto.
Se sarà  così, partirà  un procedimento in Corte dei Conti sia su Arena che su Scopelliti. In caso di condanna, scatta l’ineleggibilità .
E quindi, la decadenza dal mandato.
Si continua a ballare sul Titanic, nello Stretto.
Non è detto però che l’orchestrina possa continuarea lungo.

Annalisa Cuzzocrea

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AL SENATO I BILANCI RESTANO SEGRETI: MISTERO SUI 22 MILIONI DESTINATI AI GRUPPI

Settembre 25th, 2012 Riccardo Fucile

BOCCIATE LE PROPOSTE PER RENDERE PUBBLICI E CERTIFICARE I CONTI

La prima diga è dunque stata abbattuta e non è stato facile.
I gruppi parlamentari della Camera dovranno rendere pubblico il bilancio, che sarà  certificato da un soggetto esterno.
Per la prima volta sapremo come viene spesa anche questa fetta di finanziamento pubblico dei partiti.
Ci si attende adesso il crollo della seconda diga. Quella del Senato.
Che cosa farà  la Camera alta?
L’assemblea di Palazzo Madama si è sempre tenuta accuratamente alla larga da questo problema, del quale il suo attuale presidente, a differenza di Gianfranco Fini, ha esperienza diretta.
Per otto anni Renato Schifani è stato infatti il capo del gruppo parlamentare di Forza Italia a Palazzo Madama.
E negli ultimi tempi, da presidente dell’assemblea, non ha lesinato appelli alla trasparenza.
«La politica» ha dichiarato pubblicamente il 26 maggio scorso alla festa della polizia a Padova, «deve saper ricomporre il divario con la gente e non soltanto a parole. Essere vicina agli italiani significa soltanto un verbo: fare presto e bene, uscendo dal tunnel nebuloso e mostrando di aver capito, di voler andare avanti nel pieno rispetto delle norme e della trasparenza».
Finora, però, nessuno è riuscito a fare breccia nel muro impenetrabile che copre i finanziamenti ai gruppi parlamentari del Senato.
Il 3 agosto dello scorso anno, durante la discussione sul bilancio interno, sette senatori del Partito democratico fra i quali, oltre al tesoriere del gruppo Vidmer Mercatali c’era anche quello della Margherita Luigi Lusi finito poi nei guai giudiziari per la distrazione dei rimborsi elettorali del partito di Francesco Rutelli, presentarono un ordine del giorno che avrebbe condizionato l’erogazione dei contributi «alla presentazione del bilancio, alla sua certificazione in forme opportune e alla sua pubblicità  sul sito internet del Senato».
Respinto.
Come bocciato fu pure un altro ordine del giorno analogo presentato dai dipietristi che mirava a obbligare i gruppi alla «rendicontazione annuale dei contributi loro assegnati» e alla «pubblicità  di tale rendicontazione».
Il primo agosto scorso, un ordine del giorno simile a questo, partorito sempre dall’Italia dei Valori, ha invece avuto il parere favorevole dei questori.
Ma poi non è successo niente.
I bilanci sono così rimasti segreti. E non parliamo di pochi denari.
Nel 2012 le previsioni assestate indicano una cifra superiore a quella pubblicata ieri dal Corriere.
Si è arrivati a 38 milioni 350 mila euro, 750 mila euro in più rispetto al 2011. È una somma superiore anche a quella stanziata dalla Camera (quest’anno circa 35 milioni) ma perchè a differenza di Montecitorio comprende anche 16,2 milioni destinati ai collaboratori, che a Palazzo Madama vengono assegnati ai gruppi.
I soldi utilizzati per il funzionamento dei gruppi parlamentari del Senato ammontano così quest’anno a 22 milioni 150 mila euro, vale a dire 69 mila euro in media per ogni seggio, compresi i senatori a vita, contro i 55.550 euro della Camera.
Con quei denari si pagano per esempio i dipendenti.
Ma anche, e qui sta uno degli aspetti forse di maggiore sensibilità , le indennità  aggiuntive per i senatori che ricoprono cariche all’interno del gruppo: il presidente, i suoi vice, i componenti del direttivo e altri ancora.
Senza un bilancio, siccome ogni formazione politica decide in autonomia il livello di questi bonus, non se ne possono conoscere pubblicamente le entità .
Nè sapere in quali forme queste indennità  vengono erogate.
E la cosa, trattandosi di fondi pubblici distribuiti a persone che ricoprono cariche elettive, è francamente curiosa.
Di più. I gruppi parlamentari sono di fatto vere e proprie associazioni, assimilabili a quelle private non registrate.
Per le quali, è vero, la pubblicazione del bilancio non è obbligatoria.
C’è solo un piccolo particolare, sempre lo stesso: maneggiano soldi dei contribuenti. Il che rende ancora più impellente la necessità  di far cadere il velo che finora non consente di sapere come quei gruppi impiegano i contributi.
Soprattutto dopo quello che è saltato fuori al consiglio regionale del Lazio, dove con quei soldi non si pagavano soltanto i conti astronomici del ristorante o si acquistavano lussuose Bmw X5, ma c’era perfino chi ci comprava un quintale e mezzo di mozzarella di bufala, a giudicare dalle ricevute di un caseificio sulla via Casilina.
Ecco perchè ora ci aspettiamo che dopo la Camera anche il Senato imponga la trasparenza dei bilanci dei gruppi parlamentari.
Con la stessa regola del controllore esterno, per favore.
Come dimostra il caso di Montecitorio, la storia che questo lederebbe l’autodichìa, cioè il principio di autonomia del Parlamento, non sta in piedi.
La cosiddetta autodichìa riguarda l’istituzione, non associazioni private al suo interno. La dimostrazione?
Spiegano gli esperti, che mentre le controversie fra i dipendenti del Parlamento e l’amministrazione delle due Camere viene regolata da organi interni, le cause fra il personale dei gruppi parlamentari e i gruppi stessi finiscono davanti al giudice ordinario.
Più chiaro di così…

Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)

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TERREMOTO EMILIA: LA BUROCRAZIA E LE NUOVE LEGGI BLOCCANO I NOVE MILIARDI STANZIATI

Settembre 25th, 2012 Riccardo Fucile

MECCANISMI VARATI DOPO LO SCANDALO DELLA CRICCA E LA MANCATA RICOSTRUZIONE DELL’AQUILA… ERRANI: “NON CI SONO BACCHETTE MAGICHE”

Sulla carta 9 miliardi di euro, ai terremotati poco o nulla.
A 4 mesi dal sisma le popolazioni gridano: «Siamo stati dimenticati».
È davvero così?
O, come dice il presidente dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, «va velocizzata qualche procedure: bacchette magiche non ce ne sono»?
Il primo stanziamento è stato immediato, ma ridotto.
Cinquanta milioni di euro, gestiti dalla Protezione civile, per il soccorso e l’assistenza alle popolazioni.
Dovevano bastare per i primi due mesi. È l’effetto del dopo Bertolaso.
La nuova legge, varata dopo lo scandalo della «Cricca», che fece emergere le criticità  di una gestione in deroga, prevede allo scadere dei 60 giorni (in questo caso ricalcolati a partire dal 29 maggio, giorno della seconda scossa) il passaggio dalla fase dell’emergenza a quella del regime ordinario: nella quale a gestire i fondi sono direttamente le Regioni coinvolte, in proporzione ai danni subiti. A seconda dei provvedimenti, per l’Emilia oltre il 90%, la Lombardia per il 4-8%, il Veneto per l’1%.
Il meccanismo ha funzionato?
«Problemi ce ne sono stati, malgrado l’impegno del presidente Errani – ammette il capo della Protezione civile Franco Gabrielli -. Ma ritardi e discrasie in questi tempi sono comprensibili».
Il realtà  qualche lamentela c’è.
Quei 50 milioni di euro sono finiti troppo presto.
Addirittura venti giorni prima dello scadere dei 60 giorni.
Le amministrazioni locali hanno dovuto provvedere in proprio per riaprire le scuole e mettere in sicurezza edifici pubblici pericolanti.
Dovranno rifarsi sul primo stanziamento effettivo.
Sono 2 miliardi e mezzo di euro sulla carta. Segnano la fase due, dal soccorso alla ricostruzione.
È stata stanziata solo la prima tranche da 500 milioni di euro (finanziata dalle accise sulla benzina).
La promessa di stanziamenti ulteriori, 6 miliardi di euro, è arrivata il 29 maggio, giorno della seconda scossa, che ha raggiunto Vasco Errani sul treno per Palazzo Chigi.
È legge da luglio. Prevede un meccanismo per la ricostruzione più snello di quello usato all’Aquila: i danneggiati ottengono il via libera dal Comune, si recano nelle banche convenzionate che, grazie all’anticipo della cassa depositi e prestiti, erogano l’80% della stima del danno, che andrà  a credito d’imposta.
Un meccanismo «totalmente trasparente», sottolinea Errani, ma che costa 900 milioni di euro in due anni (sottratti ai 2,5 miliardi iniziali che così diventano 1,4).
Annunciati dall’Unione Europea 670 milioni di euro (dovrebbero arrivare a gennaio, ma si teme che slittino a marzo).
Attesi anche 100 milioni di euro per la ricerca industriale, 80 milioni di euro dell’Inail per la sicurezza sul lavoro e alcune centinaia di milioni di euro per l’agricoltura.
Errani anticipa: «Stiamo cercando un meccanismo per evitare che da novembre si torni a pagare le tasse. Come è accaduto per altri terremoti la sospensione deve durare di più».
E sull’arrivo dei fondi assicura: «I soldi ci sono. Entro poche settimane dovremmo liquidare tutti i Cas, i contributi di autonoma sistemazione. E cerchiamo di accelerare il problema della liquidità  per far ripartire la ricostruzione: perchè se il problema principale dell’Italia è la crescita, è urgente far ripartire subito una zona che dà  il 2,5% del Pil».
«Basterebbe un euro» estremizza l’assessore regionale lombardo Carlo Maccari.
E spiega: «Non vogliamo 500 milioni subito. Ma chiediamo al governo di attivare questo conto, versando anche lo 0,1%. Così partiamo. Altrimenti la Corte dei Conti non ci dà  il via libera. Ma bisogna fare presto. Prima che venga a piovere».

Virginia Piccolillo
(da “Il Corriere della Sera”)

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EMILIA, LA RICOSTRUZIONE POST-TERREMOTO E’ SEMPRE FERMA

Settembre 25th, 2012 Riccardo Fucile

 CENTRI STORICI, TENDOPOLI E LE DIFFICOLTA’ DELLE IMPRESE

C’è qualcosa di strano nella passeggiata lungo le viuzze del centro storico di Mirandola. Qualcosa di sinistro.
Saranno le macerie e le crepe che si vedono ancora qua e là .
Oppure saranno le transenne e i ponteggi piazzati ovunque a ricordare pericoli di crolli… Quando gli occhi planano su quel che resta del duomo tutto diventa più chiaro: è il silenzio, quel qualcosa di strano.
Un silenzio irreale che fa risuonare il rumore dei passi nell’aria come fossimo in una stanza vuota.
Visto dai piedi della Chiesa sventrata di San Francesco o dai mille portoni rinforzati con travi di legno, il cuore di Mirandola è un’enorme stanza vuota.
È uno dei problemi più gravi del dopo terremoto.
La ricostruzione dei centri storici sfregiati dalle scosse del 20 e 29 maggio è il capitolo di un libro ancora tutto da scrivere e non c’è nemmeno un segnale che faccia sperare in un’accelerata.
«Se andrà  bene, ma proprio tanto bene, forse potremo parlare al passato fra cinque anni» azzarda il direttore della Confindustria di Modena Giovanni Messori. Ed è fra i più ottimisti.
«Ricostruzione» per adesso è una parola grossa.
Da Cavezzo a Concordia, da Medolla a Finale Emilia, da Camposanto a Cento, la necessità  del momento è dare una casa chi vive ancora nelle tende o nelle roulotte prima che arrivi l’inverno.
Oppure pagare il promesso contributo per la sistemazione autonoma a chi si è organizzato per conto proprio e ha trovato casa in affitto o si fa ospitare da amici e parenti.
Il fatto è che nessuno ha avuto ancora un solo centesimo. «Io sono viva per miracolo e quindi mi ritengo fortunata» premette Renza Golinelli davanti alla sua casa di Camposanto che è una collezione di crepe.
«Sono fortunata anche se alla bell’età  di 69 anni, da pensionata, ho cominciato a pagare un affitto di 400 euro più le spese. E ho dovuto pagare anche 300 euro per la recinzione di sicurezza. Nessuno mi ha dato ancora un soldo».
Inutile spiegarle che l’ordinanza è stata emessa, che deve pazientare ancora un po’.
«Io devo vivere e mangiare adesso» interviene la sua amica Annamaria, pensionata pure lei e alloggiata da amici «dopo venti giorni in una tenda che poteva anche andare, ma se lei avesse visto l’indecenza del bagno…».
Nelle tendopoli il freddo si fa già  sentire, soprattutto di notte.
Nei dodici Comuni terremotati dell’Emilia ci sono ancora tendopoli aperte per 3.061 sfollati.
Altri 88 sono ospiti in un residence e 1.467 vivono in alberghi.
Le persone che aspettano il contributo per la sistemazione autonoma programmato dalla Protezione civile sono 39.327.
«Io sto qui dentro con mio marito, i miei due bambini e due cani» annuncia Anna Persino, bidella precaria, casa con danni gravi e marito con lavoro stagionale.
Esce dal campo allestito a Rovereto sulla Secchia (frazione di Novi di Modena) perchè l’ingresso è vietato ai giornalisti.
«La mia famiglia è in una tenda da sola ma c’è gente che vive e dorme sotto quei tetti di tela con perfetti sconosciuti. Una cosa assurda. Chi ci aiuterà  se qui ci hanno tolto perfino la cucina? Dicono che non ci sono soldi e ci portano i piatti già  pronti che costano meno. I moduli dove dovremo vivere arriveranno a fine dicembre. E comincia a far freddo».
Il sindaco di Novi, Luisa Turci, capisce che «la gente ha ragione, i soldi non sono arrivati».
E spiega che «noi siamo i primi ad essere arrabbiati.
Ci sarebbe da chiedersi come mai la Protezione civile non ha dato denaro per finanziare le sistemazioni autonome.
Lo sta anticipando la Regione…
Capisco che nel comune sentire tutti pensino “se non mi danno nemmeno 500-600 euro come faccio a credere che arriveranno i soldi della ricostruzione?”».
Per quattro mesi la parola d’ordine è stata «arrangiarsi».
Per tutti, commercio e aziende in testa. L’Emilia che produce l’uno e mezzo per cento del Pil, il polo biomedicale eccellenza di queste zone, il settore tessile, le imprese meccaniche.
Tutti a lavorare come si poteva, sotto tensostrutture o in capannoni in prestito, stringendosi nelle fabbriche dei colleghi o emigrando qualche chilometro più in là  per rimettere in piedi la fabbrica.
Adesso si fa spazio la rabbia, c’è un problema nuovo ogni giorno e cresce la sensazione di essere indietro su tutto. Troppo indietro.
I negozi, per esempio.
Non sono ancora pronti (se non in forma improvvisata) i centri commerciali temporanei da mettere in piedi con i container.
Nè si è visto un euro nemmeno in questo caso.
Le promesse parlano di 15 mila euro di risarcimento per chi dovrà  comprare un container e pagare gli oneri di urbanizzazione ma per ora i più se la cavano aprendo bottega in un garage, con una bancarella, magari in una cantina oppure online. «Stiamo lavorando con i soldi delle donazioni private» confessa Cristina Ferraguti, assessore alle Attività  produttive di Cavezzo. «E per non farci mancare niente abbiamo anche una questione legale che blocca lo sgombero delle macerie dalla piazza centrale».
C’è anche questo, nel dopo terremoto: le lungaggini giudiziarie dove ci sono contenziosi aperti o nei luoghi sequestrati perchè teatro di feriti e vittime.
E poi, ultimo dei problemi in ordine di tempo, si è scoperto che buona parte dei tetti delle aziende danneggiate o crollate sono di Eternit.
Dove, come e con quali finanziamenti smaltire quindi le fibre d’amianto cancerogene?
«Ci arrivano ogni giorno segnalazioni di persone che si sentono umiliate perchè sono in difficoltà  e nessuno le considera» rivela Clarissa Martinelli di Radio Bruno, la più ascoltata dell’Emilia, diventata radio di servizio nei giorni dell’emergenza.
Quattro mesi passati a ricordare che «gli emiliani tengono botta, sempre e comunque» sarà  servito.
Ma non è bastato e non basta.

Giusi Fasano
(da “Il Corriere della Sera“)

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