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ELEZIONI SICILIA: SEGGI DESERTI NELLE CARCERI, LA MAFIA SI E’ ASTENUTA

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

L’ESPRESSO RIVELA: “I MAFIOSI NON HANNO VOTATO IN QUESYTA TORNATA ELETTORALE: SU 7.050 DETENUTI HANO COMPILATO LA SCHEDA SOLO IN 46″… AL PAGLIARELLI DI   PALERMO SOLO 1 SU 1.300

“La mafia si è astenuta dal voto in questa tornata elettorale per eleggere il nuovo governatore e rinnovare il parlamento siciliano. Non sappiamo cosa possano aver fatto i mafiosi a piede libero.
Possiamo però affermare con certezza che i boss detenuti hanno preferito non votare. E di solito i mafiosi detenuti fanno ciò che viene indicato da quelli ancora liberi”.
Comincia così l’articolo pubblicato da L’Espresso in esclusiva a firma di Lirio Abbate che spiega: “L’astensione così massiccia in tutta la Sicilia non era mai avvenuta anche fra i detenuti, tanto che i seggi aperti nelle carceri sono andati deserti. Nessuno di loro si è presentato a votare”.
Su 7.050 detenuti hanno votato solo in 46: ma si tratta di carcerati comuni e non di mafia”, scrive il settimanale in edicola domani.
E al carcere di Pagliarelli a Palermo, “dove si trovano rinchiusi i mafiosi, su 1.300 detenuti solo uno si è presentato al seggio elettorale. Stesso identico atteggiamento a Catania, Agrigento e Caltanissetta”.
“Eppure in passato i mafiosi hanno sempre appoggiato il “cavallo vincente” — spiega il giornalista – Perchè gli uomini di Cosa nostra hanno sempre avuto l’intuito di puntare sul candidato che avrebbe potuto farcela. I pentiti hanno sempre spiegato che la mafia non ha colore, e sta con chi ha il potere in mano. Già  lo scorso maggio i detenuti delle carceri Pagliarelli e Ucciardone a Palermo si sono astenuti dal voto per eleggere consiglieri comunali e sindaco del capoluogo. Era il primo segnale lanciato nell’ultimo decennio dalla mafia a questa “nuova” politica. Adesso qualcosa sembra essere cambiato. E la cosa stupisce, perchè Cosa nostra non si arrende così facilmente. Forse questa volta i mafiosi hanno intuito che a vincere poteva essere Rosario Crocetta che fin da subito, anche per la sua storia personale, ha tuonato contro Cosa nostra, e allora forse non era il caso di avvicinarlo. Sta di fatto che a questa tornata elettorale dalle carceri è arrivato un segnale diverso. Stare lontani da questi politici”.

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L’IDV BARBATO ASSUME DUE ISCRITTI AL PARTITO PIRATA

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

NELLO STAFF DEL DEPUTATO ENTRANO DUE ESPONENTI CHE CONOSCONO LA PIATTAFORMA DI DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA… E SU DI PIETRO DICE: “NON LA RUBATO LE CASE, MA NON SI PUO’ PARLARE SOLO DI SENTENZE”

Dopo aver consigliato il campo di concentramento a Formigoni e Scopelliti, il parlamentare dell’Italia dei Valori Francesco Barbato fa parlare ancora di sè, ma senza sparare a zero sulla ‘casta’.
Il deputato Idv ha infatti aperto le porte a due esponenti del ‘Partito dei pirati’ come suoi assistenti, omologo italiano del ‘Piraten partei’ che in Germania alle elezioni dei lander tedeschi di aprile ha raccolto il 7,7% dei consensi.
I Pirati italiani si definiscono “antagonisti” del M5S con il quale, però, condividono molte battaglie.
“Ho già  inviato la richiesta alla Camera —   ha spiegato il parlamentare -. Voglio portare nel palazzo la loro piattaforma ‘liquid feedback’ per interrogazioni e proposte”.
Poi Barbato critica la decisione comunicata oggi dal suo partito di convocare l’assemblea per dicembre, per introdurre nuove regole sulla trasparenza del partito a seguito dell’inchiesta di Report.
”E’ una scelta democristiana — afferma — ma andrò. Il congresso? Non parteciperò. L’Idv è superata. La decisione dell’Ufficio di presidenza sembra, e dico sembra, accettare la linea Donadi sul congresso ma allo stesso tempo lascia Di Pietro alla guida”.
Il deputato paragona poi il suo partito alla ‘Balena bianca Dc’: ”Il partito sta diventando sempre più come il Pd e l’Udc. Io andrò all’assemblea ma non al congresso perchè i congressi sono legati ad una logica da partito, ormai superata”, aggiunge Barbato che punta il dito contro il capogruppo Massimo Donadi.
“Si deve dimettere dal suo ruolo: è lui che ha introdotto le correnti, contaminando l’Idv con pratiche democristiane. Io comunque mi sarei aspettato una riunione dei gruppi parlamentari ed invece hanno riunito l’ufficio di presidenza dove ci sono sempre gli stessi”.
Barbato non ha dubbi sulla provenienza delle case di Di Pietro, tema affrontato dal programma di Milena Gabanelli. “Non le ha ‘rubate’ nel modo più assoluto. La puntata di Report è roba trita e ritrita di soggetti che nutrono livore nei confronti di Di Pietro ma allo stesso tempo dico allo stesso Di Pietro che non si parla solo con le sentenze”.
Il deputato campano infine dopo Di Pietro e Donadi boccia anche i ‘dissidenti’ Orlando e de Magistris indicati come gli ‘anti-Di Pietro’: “Pensino a fare bene i sindaci e a non distrarsi”.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CRISI DELLA CANTINA EUROPA: ORA IL VINO NON BASTA PIU’

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

NONOSTANTE IL CALO DELLA PRODUZIONE MONDIALE DEL 6%, L’ITALIA E’ DIVENTATO IL PRIMO PAESE PRODUTTORE AL MONDO DI VINO

Meno vino prodotto. Meno vigneti sparsi in giro per il mondo. E consumi in calo ma con la speranza di mantenerli almeno a livello stabile rispetto al 2011. L’organizzazione internazionale del vino (Oiv) disegna un settore che nel 2012 farà  un passo indietro a livello mondiale toccando il livello più basso dal 1975.
Federico Castellucci, il direttore, analizzando gli elementi di congiuntura presentati l’altro ieri a Parigi, mette in evidenza come il trend negativo sia legato alle performance dell’Europa mentre i dati dei nuovi produttori, quelli del Sud del mondo, sono in crescita.
Ma quel che è certo è che i «produttori saranno costretti, anzi lo hanno gia fatto, a mettere mano alle scorte».
Il motivo? Semplice: ci sono almeno trenta milioni di ettolitri che sono destinati alla produzione industriale: brandy, vermouth e aceti.
Una quota che deve essere sottratta dalla produzione complessiva.
L’Oiv prevede che a livello mondiale si dovrebbero raggiungere i 248,2 milioni di ettolitri, la media tra le previsioni più negative (243,5 milioni) e quelle più ottimistiche (252,9 milioni). In ogni caso nettamente inferiore ai 265 milioni di ettolitri del 2011.
E in ogni caso insufficiente per far fronte ad un consumo previsto in 243 milioni.
Ma che cosa sta succedendo? La superficie mondiale del vigneto continua a diminuire, soprattutto in Europa.
E questo nonostante che il periodo di tre anni nel quale l’Ue ha proposto dei premi di abbandono definitivo del vigneto si sia concluso.
Nell’emisfero Sud e negli Stati Uniti continua la crescita delle superfici, ma con una frenata sulla tendenza riscontrata fino al 2000.
E anche la Cina ha rallentato. Riduzione della superficie viticola e condizioni climatiche poi hanno influenzato il livello di produzione 2012, soprattutto in Europa.
E se il calo italiano è limitato al 3% (da 42,3 milioni di ettolitri a 40,5) la Francia fa registrare una diminuzione significativa di oltre 9 milioni di ettolitri, il 19% in meno dell’anno scorso.
Scende anche la Spagna. E in Sud America, l’Argentina potrebbe perdere il 24%.
La crescita di Cile, Sudafrica, Australia e Stati Uniti, anche se fa registrare percentuali in netta progressione, non compensa il calo europeo.
Nel vecchio continente solo Grecia e Portogallo dovrebbero aumentare la propria quota.
Castellucci poi è preoccupato per il ruolo crescente della logistica avanzata che «sta prendendo piede anche nel mondo del vino» e che ha fatto balzare Germania ed Olanda ai primi posti mondiali come esportatori.
Certo, anche il vino italiano continua a giocare un ruolo trainante nell’export agro-alimentare, come spiega Alessandro Regoli, direttore di «Winenews.it», il sito che ha anticipato le previsioni dell’Oiv, ma resta da capire che cosa succederà  dal punto di vista dei prezzi.
Da qui il grido d’allarme di Castellucci: «All’interno della filiera ognuno degli attori deve trovare la sua parte di guadagno perchè altrimenti i viticoltori, se devono produrre in perdita, prima o poi abbandonano».

Maurizio Tropeano

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IL WELFARE COSTA ALLE FAMIGLIE ITALIANE 22 MILIARDI

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

VARIE LE TIPOLOGIE DELLA SOLIDARIETA’ PER FRONTEGGIARE LE EMERGENZE SOCIALI

Le famiglie italiane spendono ogni anno tra i 20 e i 22 miliardi di euro per aiutare i propri membri in difficoltà .
Le tipologie di spesa sono le più diverse, si va dall’aiuto economico a fondo perduto (10,1%) alla compagnia a persone sole o malate (15,9%), dal fare la spesa o portare pasti pronti (9,9%) ai prestiti senza interessi (8,2%), dall’assistenza agli anziani (9,8%) a tenere i bambini (17,3%) fino al trasporto di persone bisognose (7,8%).
In molti di questi casi la solidarietà  familiare scatta per la natura diseguale del reddito tra le generazioni ma più in generale svolge una funzione di supplenza di un sistema di protezione sociale in profonda crisi.
Il dato emerge dal progetto «Welfare, Italia» l’indagine annuale promossa dal Censis e dall’Unipol, che punta ad analizzare strumenti e strategie che le famiglie italiane adottano per fronteggiare il presente e attrezzarsi per il futuro.
Altrettanto interessante è quanto accade nella spesa sanitaria: cresce la tendenza a pagare direttamente – in gergo si dice out of pocket, prendendo i soldi dalla tasca – una serie di prestazioni.
In sostanza gli italiani risparmiano sui beni durevoli facendo slittare la decisione di acquisto ma sulla salute non transigono e infatti la spesa out of pocket cresce del 2,8% l’anno (un’eccezione nel campo dei consumi).
Il 78,2% del campione di famiglie indagato da Censis e Unipol ha pagato nel corso dell’ultimo anno per ticket sui farmaci o acquistati a prezzo intero mentre più del 60% ha sostenuto costi per prestazioni di specialistica ambulatoriale.
A questi va aggiunto il 38,6% di famiglie che ha sostenuto nell’ultimo anno costi per visite o prestazioni odontoiatriche private.
Commenta Giuseppe Roma, direttore del Censis: «Si tratta di un’autogestione e autoregolazione familiare che in molti casi risulta efficace ma che mostra due grandi criticità : da un lato è destinata a non poter tenere più in futuro quando i redditi dei pensionati saranno sensibilmente più contenuti e dall’altro rimangono fuori da questo meccanismo di ridistribuzione di risorse le famiglie più vulnerabili sotto il profilo socio-economico».
Insomma, se il welfare familiare sostitutivo ancor oggi funziona è comunque un modello a termine.
La spesa più onerosa risulta il mantenimento dei figli maggiorenni che non studiano e non lavorano (i Neet), spesa stimata in media attorno a 4 mila euro l’anno e indicata circa dal 7% delle famiglie mentre un valore molto simile viene fuori a proposito del mantenimento dei figli che fanno l’università  fuori casa, che costano mediamente 3.865 euro l’anno.
Un altro costo diffuso è quello legato all’acquisto di prestazioni assistenziali private (badanti) per parenti non autosufficienti, indicato dal 6,6% delle famiglie e che richiede una spesa di circa 3 mila euro l’anno.
Per rimanere nel campo dei costi annui la ricerca segnala come l’out of pocket valga mediamente 1.156 euro l’anno ma sale a 1.829 euro per chi non vuole rinunciare – come pure inizia ad accadere – alle cure odontoiatriche.
Ma se le famiglie intervengono così ampiamente a surrogare il welfare pubblico (pescando dai risparmi) e se nel medio termine questo modello non è protraibile che cosa dobbiamo fare?
Negli anni passati la strategia che è andata per la maggiore è stata quella della cosiddetta «seconda gamba», in sostanza si è tentato di mettere in equilibrio il sistema sviluppando pensioni e polizze integrative.
Questa strategia però non sembra aver conquistato gli italiani: solo il 20% degli occupati ha aderito alle pensioni integrative e solo il 12,1% degli interpellati da Censis-Unipol possiede uno strumento previdenziale o assicurativo integrativo. Manca l’informazione (nonostante il legislatore abbia puntato molto sulla seconda gamba) ma anche la fiducia verso gli operatori di mercato.
«La cultura assicurativa da noi stenta ancora a decollare» commenta Giuseppe De Rita. Poi la crisi ha complicato il quadro, infatti se solo un anno fa prevaleva una specie di preclusione ideologica a integrare il welfare pubblico, oggi scatta un niet perchè la spesa aggiuntiva è insostenibile per il budget familiare. In tutte queste decisioni pesa un’incertezza sull’ammontare futuro della propria pensione. Aumenta infatti in modo consistente il numero dei capifamiglia che vorrebbe conoscere l’importo del reddito di cui potrà  disporre nella fase di ritiro dal mondo del lavoro.
C’è dunque necessità  di sbloccare la situazione prima che la crisi scavi ancor di più nel disagio sociale e mettendo in difficoltà  le famiglie mini le reti di protezione.
La tesi del Censis è che quei 20-22 miliardi di euro che le famiglie tirano fuori per le cure odontoiatriche, per mantenere gli studi dei figli e assistere gli anziani, sono una spesa disorganizzata e inefficiente.
Ci sarebbe molto da guadagnare da una (sua) migliore organizzazione e da economie di scala più favorevoli rispetto all’acquisto in prima persona sul mercato.
«Il bisogno sociale è diventato una costellazione e richiede nuove policy» sostiene De Rita.
La prima si chiama welfare aziendale, la seconda potrebbe passare per casse mutue territoriali, la terza tramite interventi e accordi con le categorie.
Il welfare quindi si autoriforma dal basso «industrializzando» quanto le famiglie già  oggi spendono.
Non si parte da zero, anzi la straordinaria diffusione degli accordi di welfare aziendale, a partire dall’esperienza pilota di Luxottica alla quale Unipol ha fornito know how e prodotti, indica proprio una nuova strada che magari rinunci alla pedagogia capitalistica dall’alto e crei invece le condizioni di una contrattazione dal basso. Il welfare quindi si ridisegna partendo dalla periferia.
Ma il mondo assicurativo è pronto a questa discontinuità ? «Il capitalismo collaborativo fa parte del nostro Dna – risponde Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol – e per rispondere ai nuovi bisogni sociali non abbiamo paura di innovare».

Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera”)

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LA CRISI DEGLI ISTITUTI TECNICI. QUANDO LO SPREAD COMINCIA IN CLASSE

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

PARADOSSI ALL’ITALIANA: TUTTI AL LICEO, MA MANCANO 100.000 PERITI

«Uscivi dal Pacati e avevi un posto di lavoro. Per decenni è stata fucina di tecnici e periti», ricorda con la dignità  del Prof di provincia Francesco Moioli, ex preside in pensione.
L’istituto nasce a Clusone negli Anni Sessanta quando i comuni della Val Seriana si consorziano per creare una scuola orientata alle professioni. Il territorio è in espansione e le ditte bergamasche finanziano i laboratori.
Con il tempo si aggiungono corsi di elettronica, informatica e tessile-moda, per soddisfare la domanda di aziende come Radici e Zambaiti.
Nel 2000 la scuola tocca il record di 640 studenti, ma è l’inizio della fine: esplodono altri indirizzi, va in crisi il tessile che delocalizza e nelle famiglie cresce la mania del liceo.
Nel 2010 gli alunni scendono sotto i 400. L’anno dopo il Pacati viene assorbito dall’Istituto Fantoni che comprende liceo scientifico, geometri e ragionieri.
Addio specializzazione di una volta.
Nel mitico Nordest l’Itis Galilei di Conegliano Veneto ha fornito per decenni quadri e tecnici alla Zoppas.
Negli anni d’oro l’azienda che ha inventato la «stovella» occupava quattromila operai, stipendi buoni e Golf Gti.
«Oggi usiamo le rette per riparare i laboratori», allarga le braccia il dirigente scolastico Aldo Tonet.
«Le iscrizioni crescono, le famiglie tornano a scommettere sui mestieri, ma lo Stato non ha soldi».
A Bologna invece «si faceva la fila all’alba davanti all’Istituto tecnico Aldini Valeriani.
Trent’anni fa c’era il numero chiuso», sorride il preside Salvatore Grillo.
«Ogni due anni arrivavano 150 milioni per i laboratori, dal 2007 invece più nulla». Eppure i ragazzi del Valeriani sono diventati imprenditori di successo nel distretto del «packaging» e nella «motor valley» conosciuta nel mondo.
«L’Italia è un Paese cresciuto grazie a geometri e periti industriali», s’inorgoglisce Grillo.
Se prendiamo le tabelle Istat, storicamente quando crescono le iscrizioni agli istituti tecnici (il record nel 1990 con 1,3 milioni di studenti) aumenta il Pil nazionale e viceversa (il Paese è fermo da 15 anni e le iscrizioni sono crollate alle 900 mila del 2010).
Solo un caso?
Tra gli spread italiani quello sulla scuola è il meno raccontato.
«I 30 punti di competitività  persi in 15 anni sulla Germania nascono anche in aula: formazione e mondo del lavoro restano entità  separate», spiega Gianfelice Rocca, presidente di Techint, curatore insieme all’associazione Treellle della ricerca «I numeri da cambiare» sui deficit della scuola italiana: una primaria priva di selezione per insegnanti e presidi; le medie buco nero; i pochi investimenti sull’università  (1% del Pil contro 1,4 di media Ue) ma soprattutto la debolezza della seconda «gamba» professionalizzante, la vera forza della Germania dove il 14% dei giovani consegue diplomi su mestieri richiesti dalle imprese (in Italia 0,5%).
Gaffe o meno del ministro Fornero, da qui bisogna partire.
In passato non era così.
«Negli anni del boom c’erano imprenditori alla guida degli istituti tecnici», ricorda Claudio Gentili di Confindustria. Non c’era pregiudizio artigiano. «È con gli Anni Settanta che nella scuola secondaria prevale il modello dello studio teorico», trasformando in senso comune l’idea che la cultura sia solo quella umanistica e il sapere tecnico serie B.
«In realtà , grazie all’esplosione dei diplomi nel periodo 1985-1998, l’Italia si è allineata agli standard Ue sulla scolarità  secondaria: 85 giovani su 100 hanno conseguito un diploma o una qualifica contro una media Ocse dell’80%», spiega Carlo Barone, ricercatore all’università  di Trento, autore del saggio «La trappola della meritocrazia» (Il Mulino).
«Il mercato del lavoro non ha bisogno di più diplomati», destinati ad avvitarsi nella spirale liceo-laurea debole-disoccupazione, «bensì di giovani capaci di svolgere con professionalità  i lavori manuali».
«I ragazzi e le famiglie chiedono i licei; il mercato del lavoro anche in tempi di crisi tecnici di laboratorio, informatici, progettisti elettronici e meccanici, responsabili di produzione», calcolano da Unioncamere.
Solo nel 2009 c’è stato un gap di 84.269 diplomati tecnici, nel 2010 di 109.826, nel 2011 di 99.500.
Paradossale, con una disoccupazione under 24 arrivata al 36,2%.
Gli esperti di scuola lo chiamano «strabismo italiano».
Negli ultimi 20 anni per competere le Pmi hanno aumentato dal 12 al 22% la quota di tecnici sul totale occupati, contemporaneamente sui banchi di scuola è avvenuto il sorpasso dei licei su Itis e professionali (nel 1990 il 46,6% degli iscritti alle secondarie frequenta le tecniche e il 31,3% i licei; nel 2010 la percentuale si è rovesciata: 41,5 a 33,5%).
Il rischio è disperdere quel patrimonio di manualità  che fece la fortuna dei distretti.
In Germania la formazione professionale è più valorizzata.
Prevede l’alternanza di lezioni in classe, laboratori e tirocini in azienda. In Italia è ancora vista «come un vicolo cieco per studenti svantaggiati e tutti i rami delle superiori (licei, tecnici, professionali) offrono percorsi poco professionalizzanti – continua Barone -, privilegiando una formazione generalista che non chiuda le porte dell’università , anche se poi questo sistema “aperto” scatena una feroce selezione informale tramite bocciature e abbandoni».
Qualcosa si è mosso con la nascita dei percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (Ifp), gli eredi dei corsi regionali di formazione.
Nel 2008 il 6,5% dei 14-17enni frequentava un Ifp. «Un dato in crescita, peccato che le Regioni non abbiano soldi da investire…».

Marco Alfieri
(da “La Stampa”)

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CINQUESTELLE, LA SALSI A GRILLO: “SEI VITTIMA DELLA CULTURA BERLUSCONIANA”

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CRITICATA DAL LEADER PER ESSERE APPARSA IN TV, LA CONSIGLIERA COMUNALE DI BOLOGNA REPLICA A MUSO DURO: “GRILLO E’ UNA DELUSIONE, UN MASCHILISTA COME ALTRI”

”Beppe Grillo? Una delusione. Ha mostrato di essere vittima della cultura berlusconiana di questi anni. E’ stato veramente sgradevole. Un maschilista come altri. Dare una connotazione negativa ad una qualità  delle donne è roba da Medioevo. Veramente degradante”.
Dopo due giorni di silenzio, è arrivata la replica di Federica Salsi, consigliera comunale del Movimento Cinque Stelle a Bologna, finita nel mirino di Beppe Grillo dopo la sua partecipazione a Ballarò.
“I talk show sono il vostro punto g”, aveva affondato il comico-leader del Movimento, parole che hanno amareggiato profondamente la Salsi: “Non ha contestato il merito di quello che ho detto. Ha contestato me in quanto persona. Mi dispiace che non ci sia la volontà  di un confronto alla pari”, ha ribattuto la Salsi, in un’intervista ad Affari Italiani, a firma di Antonio Amorosi, ex assessore della giunta Cofferati, al fianco della stessa Salsi in alcune battaglie politiche locali degli scorsi mesi.
“Non c’è la possibilità  di un confronto alla pari quando l’altro pensa di essere dieci gradini sopra”, ha proseguito la consigliera comunale, aggiungendo: “Anche Grillo ha il suo punto G: i giornali”.
Oltre allo scontro personale tra Federica Salsi e Beppe Grillo la rottura è anche politica.
Alla consigliera comunale di Bologna, infatti, non è andato giù l’endorsement verso Antonio di Pietro: “Ma l’avete visto Report? Mi sento tradita. Ha sempre detto che non ci saremmo alleati con i partiti. Dopo il quadro che si è visto di Di Pietro, adesso lo propone come Presidente della Repubblica?”, spiega la Salsi in un’intervista al sito ‘Affari Italianì.
Tanto da chiedersi: “Era contaminata l’acqua dello Stretto di Messina? Se farà  qualcosa con Di Pietro valuterò cosa fare”.
”Le regole per le candidature delM5S alle politiche 2013 sono state calate dall’alto, decise dallo staff con un comunicato politico sul blog, in assenza di confronto con gli iscritti e di votazioni”.
Torna a puntare il dito sulla democrazia interna al Movimento il consigliere comunale ferrarese Valentino Tavolazzi, il primo espulso via blog da Beppe Grillo ma rimasto col cuore a 5 Stelle.
Le nuove primarie per scegliere i candidati al Parlamento fra i non eletti in comuni o regioni?
Sono “un’operazione verticistica, che viola l’art.4 del Non Statuto e che ha escluso i tanti gruppi M5S sul territorio, gli attivisti non candidati e che pare non prevedere possibilità  di condivisione e discussione. Non esistono, inoltre, garanzie di controllo e trasparenza sulle operazioni di voto e sui risultati elettorali, gestite dalla Casaleggio ed Associati, che non di rado ha censurato post o commenti nel blog e nel portale”.
Così, “in Parlamento andranno i nominati cinque stelle” magari non più attivi, bloccando “la candidatura a cittadini M5S, che pur dedicando tempo e impegno al progetto, per ragioni varie non hanno potuto o voluto candidarsi” e così, inoltre, “molti territori non potranno presentare liste M5S”.
”Ora viene agitato l’alibi del ritardo — prosegue Tavolazzi — e si danno quattro giorni per accettare una candidatura al Parlamento, graziosamente offerta tramite mail personale a firma dello staff”, mentre il non statuto “riconosce alla totalità  degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo”.
“Abbiamo creduto al progetto politico in cui uno vale uno — ricorda — ed alle promesse di democrazia diretta del non statuto. Abbiamo atteso per anni un portale che consentisse di votare programma e candidati. Ci ritroviamo invece in un Movimento che, in nome di uno straordinario risultato elettorale, calpesta i più basilari principi democratici”, “trascura qualsiasi progetto formativo” e “allontana le persone che si dimostrarono preziose nella costruzione del M5S quando aveva zero elettori, ma ora, raggiunti i numeri elettorali, diventano superflue per parlare alla pancia degli italiani”.
Il riferimento, esplicito, è anche ai due consiglieri regionali dell’Emilia Romagna bacchettati più volte dal blog — Andrea Defranceschi e Giovanni Favia (sfiduciato ma non espulso da Grillo) — e al nuovo bersaglio bolognese del fondatore del M5S, la consigliera comunale Federica Salsi rea di essere andata a un talk show.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL SALTO DEL GRILLO DOPO L’OPA SUI DIPIETRISTI: BEPPE PUNTA SU PALAZZO CHIGI

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CANDIDATO PREMIER SE RESTA IL PORCELLUM, VIA ALLE LISTE…DA DIECI GIORNI I CINQUESTELLE TESTANO IN RETE L’ASSE CON L’IDV

È il salto del Grillo. Quello atteso da tanti e da tempo, quello temuto dai partiti.
Il leader abbandona il movimento astratto e virtuale, lancia via web la sua candidatura a premier “favorita” dal Porcellum e, con l’opa di queste ore sul partito in rotta di Antonio Di Pietro, entra nella fase due.
È il salto di qualità .
Parte la corsa alle candidature, ma anche la distribuzione dei ruoli di potere istituzionale. E dunque di poltrone.
La nomination dell’ex pm alla Presidenza della Repubblica sembra una mezza provocazione, è la stretta su un partito strutturato, dotato di gruppi parlamentari, di sedi e amministratori locali, sindaci di Napoli e Palermo, centinaia di consiglieri.
E cammina di pari passo con il lancio in rete di un’altra proposta, ben più seria e pesante, quella dello stesso comico genovese alla presidenza del Consiglio.
Col terremoto in corso «tutto è possibile », se ne sono ormai convinti al quartier generale della Casaleggio Associati.
L’exploit del Movimento 5 stelle divenuto primo partito in Sicilia ha segnato la prima vittoria sul campo su vasta scala, dopo Parma.
Il segnale che Beppe Grillo e GianRoberto Casaleggio attendevano, prima di lanciarsi alla conquista di Montecitorio e Palazzo Madama.
Il secondo, la «mente raffinata» del duo, continua a predicare la «natura di movimento» del Cinque stelle e a tagliare corto: «Noi non abbiamo bisogno di indicare un premier».
Ma il primo passaggio avviato adesso e neanche tanto sotto traccia è proprio la scalata a Palazzo Chigi.
«Io devo essere il capo politico del movimento, ma il mio è un ruolo di garante, vedere chi entra e chi esce» scrive l’ex comico nel “Comunicato politico numero cinquantatre” pubblicato il 29 ottobre.
Nelle stesse ore di lunedì in cui tutti erano assorbiti dai commenti sulla loro vittoria in Sicilia, Grillo era oltre, dettava le regole per le candidature in Parlamento e affermava la sua leadership. Lo scenario ora si fa meno nebuloso.
Anche in caso di elezioni anticipate, la macchina è pronta, già  in corsa.
«Sarà  lui il capo della coalizione, che in linguaggio non tecnico significa candidato premier» ha già  spiegato Giovanni Favia, consigliere regionale M5s in Emilia-Romagna e finito in rotta di collisione coi i due guru del movimento, dopo averli accusati in un fuori onda di scarsa trasparenza interna.
Ma su quello che sta accadendo il giovane consigliere (rimasto comunque dentro) ha le idee chiare. «Grillo è il capo della coalizione e il capo della coalizione è di fatto il candidato premier». Il muro contro muro sulla legge elettorale, Berlusconi che rimette in discussione il quasi-accordo raggiunto al Senato, rischia di salvare il Porcellum.
E col sistema in vigore, anche il terzo comma dell’articolo 14 della norma-Calderoli.
Che recita: «Contestualmente al deposito del contrassegno, i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica ».
Capo destinato a essere il candidato premier, come avvenuto con Prodi e poi Berlusconi.
E sarà  un caso, ma guarda caso in quel “Comunicato cinquantatre” sul blog, è proprio così che il leader si definisce e si presenta ai suoi: «Il MoVimento 5 Stelle (M5S) promuove la presentazione alle prossime elezioni politiche del 2013 di liste di candidati che si riconoscano nel Programma del MoVimento e nel suo capo politico Beppe Grillo»
Definita la candidatura, ecco l’abbraccio «mortale» al “Tonino” ferito dalle inchieste giornalistiche e dalle divisioni interne di questi giorni.
È la lettura che ne fanno in queste ore molti preoccupati dirigenti Idv.
Del resto è da dieci giorni che il leader del M5s sonda in rete l’asse con l’Italia dei valori, partito che vacilla pericolosamente a cavallo della soglia di sbarramento.
E lo ha fatto utilizzando tutta la sua potenza di fuoco sul web.
Il fortino di Casaleggio vanta il supporto di almeno dieci internauti capaci di un indice klout superiore a 75 (indice che valuta da 1 a 100 la capacità  di influenza sui social network).
Vuol dire che ciascuno di quei dieci “megafoni” è in grado di contattare, influenzare, condizionare almeno 100 mila persone, centomila elettori.
Dunque un milione, giusto per capire di che numeri parliamo.
E di quanto il virtuale stia acquisendo nel giro di poche settimane peso politico reale, si stia trasformando in consensi e voti.
Il deputato Pd Mario Adinolfi – tra i più attenti osservatori e frequentatori del web – racconta di aver avvertito già  un mese fa Bersani di quanto si stava muovendo in rete.
Ovvero del fatto che «Grillo e l’Idv andavano verso la fusione, ma sono stato ignorato dai più». E ora ragiona: «La candidatura avanzata per Di Pietro al Quirinale, l’avvio del percorso di scioglimento dell’Idv, alcune mobilitazioni in area Fiom, tutti i processi in atto in queste ore erano ampiamente annunciati sul web».
L’ala estrema della Cgil, la ridotta “legalitaria” dipietrista e il popolo dell’antipolitia grillino, la miscela esplosiva per far saltare il Palazzo.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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BERLUSCONI RICAMBIA LINEA: NIENTE CAMPAGNA ANTI-MONTI

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

IN UN CLIMA DI CAOS TOTALE, CON UN PDL DIVISO IN TIFOSERIE, SILVIO VOLA A MALINDI E SI LASCIA LE POLEMICHE ALLE SPALLE

Dopo il suo incontro di mercoledì sera con Alfano, presenti anche Letta, Cicchitto, Verdini e il tesoriere Crimi, l’aria che tira nel Pdl resta agitatissima.
Siano più verosimili le parole di chi descrive la serata come di scontro tra presidente e segretario (Berlusconi smentisce seccamente) o di sostanziale presa d’atto che per ora si va avanti così, con tutte le difficoltà  economiche che assillano il Pdl, la verità  è che nel partito nessuno ha certezze su quali siano le reali intenzioni dell’ex premier
Alla continua ricerca della formula per tornare vincente – come appare anche da uno schemino disegnato su un tovagliolo di carta a Montecatini nel quale individua come l’unione tra il «nuovo» e il «pulito» la chiave per arrivare al 50% –, Berlusconi è indeciso tra varie opzioni: se limitarsi a rimanere fuori dal gioco di primarie nelle quali continua a non credere, se operare per costruire nel frattempo una lista personale che si affianchi al partito, se far saltare in aria tutto per ricostruire da zero, magari mettendone in campo addirittura tre di liste: una al femminile, una di imprenditori guidata dal banchiere modenese Samorì – che ha già  pronto il suo movimento «Moderati italiani per la rivoluzione» –, una per la vecchia Forza Italia.
«La verità  – dice un big del Pdl – è che cambia opinione ogni giorno… Che voglia fare la sua lista si sa, che la faccia è un’altra cosa».
Con che linea poi?
Anche qui, grandi avanzate e ritirate: ieri sono state diffuse anticipazioni di una sua intervista (sembra concessa lunedì scorso) per l’ultimo libro di Bruno Vespa: «Non faremo una campagna elettorale contro Monti. Siamo però convinti che l’austerità  imposta dall’Unione Europea, a noi come ad altri Paesi, su pressione di una Germania che svolge un ruolo da Paese egemone, con un’egemonia non solidale ma egoista, abbia immesso l’economia in una spirale recessiva senza fine».
Parole che suonano come una marcia indietro rispetto a quelle di Villa Gernetto.
Non solo: il Cavaliere dice la sua anche sulla legge elettorale, esprimendosi a favore del «modello spagnolo, mentre il Pd vuole mantenere il Porcellum» e dicendosi contrarissimo alle preferenze: «Sono un’anomalia italiana. Io sono letteralmente terrorizzato dal voto di scambio. Non si dimentichi che Fiorito nel Lazio e Zambetti in Lombardia sono stati eletti con le preferenze».
Mentre gli ex An tornano a innervosirsi e che si arrivi davvero a una nuova legge elettorale è tutto da vedere.
Tanto più, visto che è Alfano a rilanciare la proposta, già  fatta da Casini, di anticipare il voto per le Politiche «di una cinquantina di giorni», dunque a febbraio, per permettere l’election day con Lazio e Lombardia.
Una presa di posizione che renderebbe ancora più difficile il cammino verso una nuova legge elettorale e che, in chiave interna, avrebbe l’effetto di far coincidere le primarie del Pdl con l’apertura della campagna elettorale.
Una campagna che sta già  angustiando il partito, in preda a una crisi di risorse: in cassa, ha spiegato al vertice Crimi, praticamente non c’è più un euro di liquidità  dopo il dimezzamento dei rimborsi elettorali.
E se si rischia di dover chiudere sedi e non pagare stipendi, si capisce come sia pesantissimo finanziare campagne elettorali che, a partire da quelle per le primarie, avranno bisogno di parecchi fondi.
Come hanno detto a Berlusconi i suoi, ormai la vecchia strategia delle apparizioni in tivù e nei talk show «non paga più», bisogna trovare un mix tra il nuovo linguaggio della Rete e la vecchia politica del porta a porta, dei banchetti, dei comizi.
Tutte cose costosissime che, assieme alle primarie, necessiterebbero di un apporto di Berlusconi, il quale però non ha intenzione di aprire la borsa.
Ma Alfano è decisissimo a tenere l’appuntamento nonostante le difficoltà .
Non ultime le proteste degli altri candidati per regole troppo rigide: «Sono primarie truffa – denuncia Daniela Santanchè, raccogliendo anche i malumori di altri candidati come Galan e Crosetto – non si possono raccogliere 10 mila firme in una settimana, va posticipata la data».
Richiesta che cade nel vuoto: «Non si tocca nulla», è secco Cicchitto.

Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)

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SI E’ SPENTO PINO RAUTI, EX SEGRETARIO DEL MSI

Novembre 2nd, 2012 Riccardo Fucile

ADDIO PINO, GRAZIE DI AVERCI FATTO SOGNARE

Nei momenti di addio non contano le cose che dividono, le strade diverse che si intraprendono, le contraddizioni che ci si può rimproverare.
Prevalgono l’emozione e i ricordi di una stagione irripetibile, fatta di militanza e di sacrifici, di viaggi e speranze, di discussioni portate all’alba, di condivisione e di vera comunità  umana.
Con Pino se ne vanno venti anni della mia vita politica, tante battaglie vinte partendo dal nulla, tanti ragazzi della mia generazione nei cui occhi coglievi il desiderio di cambiare il mondo, prima che un partito.
Nella storia del Msi mai un gruppo umano fu più coeso fino al traguardo: e non potrò mai dimenticare quella notte in cui travolgemmo il passato, quel congresso che vide centinaia di delegati inneggiare alla svolta sociale del partito, quei giovani che, come me, si tenevano per mano e urlavano la propria gioia ogni voto in più che ti consacrava segretario.
In quel momento dimenticammo anni di emarginazione, di colpi bassi subiti, irrisi dalla vecchia nomenklatura nostalgica perchè parlavamo di ambiente, di musica , di campi hobbit, di diritti al femminile, di sfondamento a sinistra, di cultura di destra, di confronto politico, di centri librari, di presenza nel sociale.
E mai dimenticherò la tua frase che mi ha fatto da guida: “Cosa sono la vita e la politica senza un pizzico di lucida, raziocinante utopia?”.
Nell’Italia moderna della corruzione, del pragmatico arrivismo, del compromesso quotidiano, della politica spettacolo, non si possono che rimpiangere i politici veri che facevano vibrare i cuori.
Grazie Pino per averci fatto sognare.

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