Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
CHI E’ RIMASTO CON FINI E CHI STA CON SILVIO: ORA TUTTI RISCHIANO DI SCOMPARIRE
Se Sparta piange (ma sì, no bilitiamo un po’ le nostre miserie politiche), Atene non ride.
Tempo tre lustri, e l’aver voluto cambiare indiriz zo e ragione sociale, ha signifi cato per gli ex missini del tem po che fu ritrovarsi senza fissa dimora. Sfrattati.
Quelli che si illusero con Fi ni, rischiano di scomparire co me partito alle prossime elezio ni (a meno che non scompaia no addirittura prima, nascosti e/o riciclati in una qualche coa lizione). Quelli che restarono con Ber lusconi, pagano lo scotto di chi si ritrova a contemplare il tra monto di un regno: ciascuno per sè, nessun vincolo nè pietà per i più deboli.
Più numerosi dei transfughi del Fli, qui natu ralmente ci saranno più «salva ti » rispetto agli «ex amici» desti nati a essere «sommersi», ma il quadro d’insieme non muta:la fine di un mondo e di un’eti chetta politica, la destra.
Ironia della storia, nemme no vent’anni dopo essere stata sparata in orbita, la destra si ri trova dunque dispersa nello spazio politico italiano, ma il paradosso è che il moderati smo tenacemente perseguito in quest’arco di tempo per ripu lirsi e proteggersi da quel l’estremismo «nero» così tanto rinfacciato e, va riconosciuto, spesso e volentieri così avvilen te, le si ripresenta oggi come un boomerang.
Non è moderato il nuovo sog getto che ha nome Movimento Cinque stelle e che minaccia di fare sfracelli; non è moderato l’odiato-amato ex alleato leghi sta; non è moderato il fronte elettorale astensionista, ovve ro quella parte del popolo italia no che se avesse fra le mani un parlamentare, senatore o depu tato non fa differenza, lo pren derebbe tranquillamente a cal ci, ma intanto come protesta ha deciso di non andare a vota re.
Per molti versi, è una situazio ne che ricorda quella di Tan gentopoli e del tracollo della Prima Repubblica, solo che chi era allora estraneo, del tutto o in parte, al disastro istituziona le precedente, ora si ritrova, di fatto, corresponsabile e il non aver pensato per tempo a un ri cambio e/o una successione è ciò che maggiormente ne con diziona la sua classe dirigente.
Di questo, i «forza-italioti» so no destinati a pagare ovvia mente il prezzo, ma si può dire che il loro legame con il capo fondatore era tale da rendere difficile, se non impossibile, co me le rare eccezioni hanno di mostrato, una logica che non fosse di mera sudditanza.
È qui però che i difetti di quel la che allora era una destra «an tisistema », si rivelano ancora più impietosi.
Perchè con tutte le sue pecche ideologiche e le sue incapacità umane, c’era dietro di essa una storia, un pa trimonio anche morale, un ba cino elettorale, una certa idea del’essere e del vivere.
Si preferì invece un appiatti mento sul più potente alleato e, al proprio interno, uno sbri gativo regolamento dei conti con chi non si mostrava entu siasta quanto al nuovo corso.
Ancora: ci si cullò sull’idea del delfinato, ovvero il passaggio più o meno spontaneo del ba stone del comando, ma non si ebbe nemmeno la pazienza e l’intelligenza di condurla sino in fondo. Fallito anche questo, chi comunque rimase dentro il più grande contenitore, lo fece per meglio disperdersi, non cer to per distinguersi.
Il resto è sto ria di questi ultimi, miseri tem pi, la messa all’incanto di tutto ciò che c’era stato prima.
Fatti salvi casi individuali, dif ficilmente nel Polo della liber tà post-berlusconiano ci sarà dunque posto per una destra or mai senza identità nè storia nè dimora.
Certo, in una logica di liste civiche e di nuovi soggetti politici,ci può anche stare l’en nesima rifondazione, ma va te nuto conto che un partito che si chiama Destra, frutto anch’es so di una Fiuggi digerita fuori tempo, già esiste e per quanto di dimensioni ridotte e di scar so e discutibile appeal, appare più credibile, come collocazio ne, di una nuova costola fuoriu scita sulla destra del Pdl.
Certo, ci potrebbe essere una fusione fra questi due soggetti, ma i rancori fra gli ex colonnelli di quella che un tempo fu Alle anza nazionale, ricordano quelli dei Duellanti del raccon to di Joseph Conrad.
Continua no a odiarsi anche se non si ri cordano più il perchè.
Stenio Solinas
(da “il Giornale“)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
DONADI E PALMISANO SE NE SONO ANDATI… MANCANO TRE NOMI PER ASSICURARE LA SOGLIA DEI VENTI… DA FINI NO A DEROGHE
Alla fine di tutto Massimo Donadi è nel suo ufficio a preparare gli scatoloni.
«Questo gruppo l’ho costruito pezzo per pezzo. L’Idv è la mia storia, sono dodici anni di battaglie, successi, sconfitte che rivendico. La cosa triste è la sensazione di essere rimasto fermo al mio posto, mentre gli altri hanno cambiato strada».
È successo tutto in 24 ore: la sua linea isolata all’assemblea di mercoledì notte.
La scelta di passare al gruppo misto, insieme al deputato Aniello Formisano, e di andare sul territorio a cercare quel consenso che «era impossibile trovare nei gruppi parlamentari a cinque mesi dalle elezioni».
Rispetta i suoi colleghi, Massimo Donadi.
Chiarisce di non aver cercato di convincere nessuno. E di avere invece ricevuto centinaia di telefonate da iscritti che chiedono di convocare riunioni in ogni angolo d’Italia.
Pensa a una lista di «riformisti radicali» che possa allearsi con il Pd e Sel, per ricucire quel che è possibile della sbiadita foto di Vasto.
Punta a federare i movimenti e le associazioni che gravitano, con gli stessi obiettivi, intorno al centrosinistra.
La presenterà a fine mese, ci saranno nomi importanti.
Nei prossimi giorni, andrà anche al Colle a parlarne con Napolitano.
Dell’Idv, pensa che abbia voluto confinarsi in un «radicalismo minoritario, ideologico».
Che voglia essere «il partito della Fiom», il che non può bastare.
«Siamo partiti con la baldanza di chi voleva sovvertire il mondo, ci ritroviamo su un binario morto sparati a 200 all’ora contro un muro di cemento».
Quanto a Di Pietro: «Le sue conclusioni alla riunione sono state: tutto va bene madama la marchesa. Credo nella sua onestà , ma dopo Report ho sentito che tra noi si spezzava un rapporto di verità . Alcune cose non tornavano, non doveva limitarsi a ribattere con delle sentenze».
Chiede risposte politiche anche Fabio Evangelisti.
Ha dato le dimissioni da vicecapogruppo, da deputato e da responsabile del partito in Toscana. Non torna indietro, ma non va con Donadi.
Nervosi e trionfanti, arrivano invece in sala stampa il presidente dei senatori Idv Felice Belisario e il nuovo capo dei deputati Antonio Borghesi.
Comunicano che il gruppo parlamentare non rischia di morire anche se ora ha 18 deputati, 17 se l’Aula accetterà le dimissioni di Evangelisti.
Per formarne uno ne servono 20.
Il presidente Fini ha fatto capire che non è aria di deroghe. Per questo, ieri è partita la caccia del deputato.
È già tornato all’ovile Giuseppe Vatinno, subentrato a Leoluca Orlando, ma in forza al gruppo misto.
«Altri verranno», promette Borghesi.
Come, dopo che avete parlato tanto male delle compravendite in Parlamento? — chiedono i cronisti.
«Non è la stessa cosa, sarebbero ritorni di gente eletta con noi».
Si parla di Carmelo Lo Monte, ora all’Mpa di Lombardo, benchè a domanda Borghesi neghi.
Di Antonio Razzi, che a chi glielo chiede risponde: «Vadano a cagare».
Perfino di Domenico Scilipoti, che apre perchè non vorrebbe «che il partito scomparisse dalla Camera», ma sul quale Belisario è netto: «Non è il momento delle barzellette».
Poco elegantemente, il presidente dei senatori dice anche: «È un giorno di festa, libero dalle scorie l’organismo vive meglio».
Più o meno il concetto espresso da Ivan Rota e Ignazio Messina. Un clima astioso che ha portato alla cacciata di Aniello Formisano da un’assemblea locale a Napoli al grido di «Vergogna, vergogna».
Antonio Di Pietro continua a parlare di calunnie contro di lui e delle responsabilità del Pd: «Per loro siamo come il brutto anatroccolo».
Non chiarisce nulla, tranne che il congresso sarà dopo le elezioni.
Luigi de Magistris gli chiede di «mettere a disposizione la sua storia per un progetto politico più grande».
E rivela: «Nel colloquio franco che abbiamo avuto gli ho detto che deve capire che alle sue spalle c’è un’onda, che può diventare uno tsunami, di chi non vuole stare nel recinto di un partito».
Parla di «scatoletta Idv» il sindaco di Napoli.
Le prove di dissoluzione sono solo all’inizio
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
E LO INVITA AD “ALLONTANARSI DALLA DEMAGOGIA ESTREMISTA E POPULISTA DI TANTI ESPONENTI DEL SUO PARTITO E DELLA LEGA”… ALFANO: “TRA ME E SILVIO C’E’ UN RAPPORTO DI LEALTA’ E RISPETTO ASSOLUTI E RECIPROCI”
Dopo lo scontro fra Angiolino Alfano e Berlusconi al vertice del Pdl, il presidente della Camera Gianfranco Fini apre al segretario del Popolo delle Libertà .
“Il vero banco di prova per Alfano – ha detto il presidente della Camera – non è nella definizione delle regole per le primarie, ma nel far chiarezza sul rapporto col governo Monti e soprattutto sulla necessità per l’Italia di continuarne l’azione riformatrice anche dopo le elezioni. Solo se ciò accadrà si potrà davvero aprire una pagina nuova per tutti i moderati italiani. E personalmente ne sarò lieto”.
“L’aspro confronto in corso nel Pdl – ha sottolineato Fini in una nota – va seguito con interesse per capire se emergerà una identità politica veramente in sintonia con il Ppe e quindi, in quanto tale, alternativa in termini programmatici alle Sinistre e mille miglia lontana dalla demagogia estremista, populista e antieuropea di tanti esponenti del Pdl e della totalità della Lega”.
Il confronto non è stato “aspro”, ha replicato Alfano.
“Quanto al presidente Berlusconi e a me, il nostro è un rapporto di lealtà e di rispetto assoluti e reciproci. Come capita nella normalità della vita di una famiglia, nelle discussioni appassionate che accadono nelle case di ciascuno di noi, possiamo permetterci di ragionare e di cercare insieme le soluzioni migliori, ma sempre sicuri di farlo con affetto e sostegno vicendevole”, ha puntualizzato.
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
A LUI STAREBBE PENSANDO BERLUSCONI PER LANCIARE IL NUOVO PARTITO…”ALFANO? SERVE UN CAPO DI GOVERNO, NON UN SEGRETARIO AMMINISTRATIVO”
La scalata alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna finì un anno fa in un corpo a corpo di carte bollate e accuse incrociate, di cui ancora adesso porta addosso i segni: «Indagato? C’è un’indagine sulla base della denuncia inoltrata contro di me dalla Banca per presunto accesso abusivo al processo informatico in concorso con ignoti, ma dimostrerò che non c’è nulla di vero».
La scalata a quel che resta del Pdl, se mai scalata sarà , è invece ancora in fase embrionale («Sono pronto a scendere in politica, ma sulle primarie aspetto di conoscere le regole»), tra proclami («Ci vuole una rivoluzione») e timidezze («Sono un mignon rispetto a Berlusconi»).
Gianpiero Samorì, 55 anni, una figlia e due nipoti, è avvocato e consulente finanziario con il pallino degli affari: un professionista votato all’assalto (a sentire gli amici), un po’ troppo spregiudicato (secondo i nemici).
Uno che se la passa bene, comunque.
Modenese di Montese, terra di castelli. E pure la sua residenza, con mega studio nel centralissimo corso Vittorio Emanuele, raccontano sia una sorta di castello, tanto è ampia e lussuosa.
A dir la verità , su di lui c’è una vasta letteratura all’ombra della Ghirlandina. Dicono che quando arriva in Mercedes, sembra che si muova un ministro quanto a scorta e portaborse (Ma lui: «Esagerazioni! Ho solo due autisti e qualche collaboratore»).
Che ha mani in pasta in tv, giornali, banche e assicurazioni («Faccio parte di una holding con partecipazioni in varie società »).
Che vanta un pacchetto clienti di tutto rispetto, a cominciare da Romano Minozzi, gran patron dell’Iris ceramiche.
Qualcuno gli ha fatto anche dire di essere «il terzo uomo più ricco d’Italia». Cosa che l’ha fatto terribilmente arrabbiare, ma solo perchè non è vero: «Magari…».
Samorì sogna la rivoluzione.
E già questo è abbastanza rivoluzionario per uno che si è fatto le ossa nella Dc, nella sinistra sociale di Donat Cattin: «Poi non sapevo come mantenermi e ho fatto altro». Ora, con il suo movimento Mir (Moderati italiani in rivoluzione: «Abbiamo già decine di migliaia di simpatizzanti in tutta Italia»), l’avvocato non nasconde di voler tentare il colpo della vita: «Offrire al centrodestra un nuovo programma e nuove persone». Nega di essere quel «Mister X», mandato in avanscoperta da Silvio Berlusconi per sparigliare le primarie, come temono Angelino Alfano e notabili vari.
Però non nega di essere «in ottimi rapporti» con il Cavaliere.
E poco importa se proprio ieri l’ex premier ha detto «di aver incontrato una sola volta un certo signor Samorì».
L’interessato non fa una piega: «Berlusconi ha rappresentato nel ’94 un momento di rottura, poi però si è circondato di persone inadeguate, che lo hanno frenato».
Su Alfano va come un trattore: «Dalle primarie deve uscire un capo di governo, non un segretario amministrativo…».
È ora di fare piazza pulita, insomma, ma non dategli del rottamatore: «Credo che ogni generazione abbia diritto al suo spazio: il problema, in Italia, è che c’è la stessa gente da 30 anni…».
Gli attribuiscono un canale privilegiato con Marcello Dell’Utri, di cui condividerebbe la filosofia programmatica dei circoli stile Publitalia: «L’ho conosciuto nel 2005, poi gli ho dato una mano nel 2007 sul territorio». Se è per questo, pure con Denis Verdini gli viene accreditato un ottimo rapporto: «Ma l’avrò incontrato tre volte!».
Una vecchia volpe come Carlo Giovanardi, che pure con Samorì si alleò al congresso modenese del Pdl, sconfiggendo Isabella Bertolini, invita l’amico a volare basso: «Un conto è dare un contributo, altra cosa è proporsi premier».
Ma l’avvocato è già lontano: «Mi scusi, ho un aereo in partenza…».
Francesco Alberti
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
ATTACCA MONTI E BOCCIA LE PRIMARIE: “CI VORREBBE IL ME DEL 1994”
Certe volte sembra di guardare un tergicristallo. Primarie sì. Primarie no. Primarie sì. Primarie no.
Quando si dimise da presidente del Consiglio, ormai un anno fa, Silvio Berlusconi annunciò in colloquio con la Stampa che non avrebbe più offerto la propria candidatura alla guida del paese.
Si cominciò a discutere di primarie. Di tavolo delle regole. Chi c’è e chi ci sarà e chi no.
Del ruolo di Angelino Alfano che ancora aveva il quid e che invece da un certo punto in poi il quid non ce l’aveva più.
In un altro colloquio, stavolta col Corriere della Sera, Berlusconi disse che invece sì, forse gli toccava di ricandidarsi.
Quindi niente primarie. Se si candida lui non c’è discussione nè tantomeno avversario. Niente primarie, niente tavolo delle regole.
E però non era chiaro: è sicuro che si candida o è soltanto un’ipotesi? Cioè, ha detto mi candido o ha detto adesso decido?
In attesa di delucidazioni (attesa lunga) applausi generalizzati. È un grandissimo. Fa bene a tornare. Se lo vuole lui tutto il partito è contento.
Quindi torna? No, non torna.
Facciamo le primarie, dice in conferenza stampa. Faccio un passo indietro. O di lato. Però faccio un passo. Davvero? Splendido. Un genio. Una mossa geniale. Ottimo, organizziamo le primarie. Il tavolo delle regole.
Primarie di coalizione? No, perchè non c’è coalizione.
Allora primarie di partito? Sì, certo primarie di partito.
Però queste primarie di partito a Berlusconi non piacciono. Sono tristi. Sono inutili. Lo ha detto ieri. Anzi, poi si è corretto: non inutili, sono un po’ vane. Un po’ insufficienti. Ci vorrebbe altro. «Ci vorrebbe un me del ’94».
Fatica, eh? Molta.
Il problema è che Berlusconi parla coi romani e dice una cosa, parla coi milanesi e ne dice un’altra.
Sente un falco e sputa fuoco, sente una colomba e porta fiori.
Legge i sondaggi e i sondaggi gli dicono che il Pdl con lui perde consensi.
Allora lancia Alfano, dice che gli vuole bene come a un figlio, e i sondaggi gli dicono che il Pdl con Alfano perde ancora di più.
Allora ci si rimette lui e dopo un po’ i sondaggi gli dicono che può anche tornare ma si sono persi altri consensi ancora.
Riproviamo con Alfano? E i sondaggi giù.
Torno io? Sempre più giù?
Idea: mettiamo le liste civiche. Le liste degli imprenditori. Sì ma dei giovani imprenditori. E poi le liste degli onesti. Le liste degli animalisti. Le liste della società civile. Le liste delle amazzoni. Le liste della Santanchè che randella e la lista di qualcun altro che concilia.
Smembriamo il Pdl. Anzi cambiamogli nome. Cambiamogli simbolo.
Che nome? Purchè ci sia la parola Italia. Rifacciamo Forza Italia. Con lo spirito del ’94. Peccato che non c’è un me del ’94.
Poi facciamo la lista dell’anima liberale, la lista dell’anima democristiana, la lista dell’anima socialista, la lista dell’anima anarchica, la lista dell’anima nordista, la lista dell’anima sudista.
Ognuna di queste liste non arriva all’uno per cento?
Allora non facciamo le liste. Teniamo il partito unito.
Ma il partito mi fa schifo. Se la veda Alfano. Anzi no, Alfano non l’è minga bun.
E poi bisogna vedere qual è la legge elettorale. Perchè se è il Porcellum è una cosa. Se cambiamo il Porcellum ci vuole il premio di maggioranza.
Non vogliamo le preferenze. Vogliamo il sistema spagnolo. Meglio il proporzionale puro.
Dunque con chi discutono quelli del Pd? E su che basi? Che cosa dirà il capo domani? Settimana prossima? Stasera? E il governo che dirà ?
Il governo? Arriverà in fondo alla legislatura, dice Lui. Però adesso vediamo la legge di stabilità . E sarebbe bello se Monti facesse il leader dei moderati. Però non lo vogliamo perchè è servo della Merkel.
E chi lo mandò a Bruxelles? E chi lo accettò a Roma? E lui e le banche? E lui e i poteri forti?
Mario sì… Mario no… Silvio sì… Silvio no…
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
COSI’ IL PDL CHE LO OSANNAVA E’ DIVENTATO UNA GABBIA
Dice, tace, ridice, smentisce, sparisce (in Africa), si sfoga, si pente, ritorna a parlare con i giornalisti a tarda sera, ma tanto ormai è lo stesso.
«Adesso dobbiamo salvare la storia di tutti noi» pare abbia fatto presente il povero Alfano, ma rispetto alla Storia, che pure scorre senza chiedere il permesso ad alcuno, occorre riconoscere che c’è qualcosa di grandioso nel modo in cui neanche quattro anni fa Silvio Berlusconi ha creato il Pdl e adesso lo va distruggendo. Sempre. Tutto. Da solo.
L’altro giorno sul Giornale, sotto l’occhiello «Le mosse del Cavaliere », si è potuto leggere il seguente titolo: «Silvio fa contento Alfano: domani sarà al vertice del Pdl».
Capito? Al fianco al Cavaliere, in effetti, ogni giorno più cereo, è comparso infine lo pseudo-figlioccio «che mi ricambia», una figurina che pure ieri ha osato l’inosabile evocando le barzellette, tema assai sensibile a Palazzo Grazioli, anche se poi non s’è capito se nella sua temeraria perorazione Alfano abbia paventato il rischio di fare la figura dei «barzellettari» o dei «barzellettati», là dove nel primo caso sarebbe un oltraggio a Sua Maestà e nel secondo un mezzo affronto, e non solo alla lingua italiana.
Chissà se all’ex Guardasigilli, fra i tanti miracolati di una remota stagione, è tornato in testa che agli esordi del Berlusconi quater il Foglio assicurò che sarebbe stato «il governo del Buonumore».
Ecco, nel malanimo e fra i rancori del cupio dissolvi si consuma la «rivoluzione carismatica», come intese a suo tempo designarla il senatore Quagliariello, che tanto si è dedicato a de Gaulle. Acclamato nel marzo del 2009 presidentissimo a vita e salutato dalle note congressuali di «Meno male che Silvio c’è», adesso Berlusconi vuole chiudere gli uffici di via dell’Umiltà e soprattutto si rifiuta di scucire i quattrini per delle primarie che ritiene del tutto inutili, anzi dannose.
Già alcuni mesi orsono gli avevano attribuito frasi tipo: «Il Pdl non c’è più, esiste solo nella testa dei nostri dirigenti».
Riguardo a questi ultimi, è sempre il Giornale di casa ad aver indicato, sia pure senza virgolette, lo stato d’animo del fondatore: fatico a sopportarli, quando vengono a casa mia mi viene voglia di andarmene.
Così, stanco di adattarsi alle continue richieste, esausto di quelle facce, oltre che delle ingrate miserie che ogni volta regolarmente gli gettano addosso coordinatori, capigruppo, ex ministri e maggiorenti, Berlusconi ha preso a scavalcarli rivolgendo le proprie residue speranze ad amazzoni, fidati buontemponi, sospetti millantatori, più o meno ignoti e talvolta ignari imprenditori, ad esempio quei «gelatai» rispetto a cui Alfano ha riaffermato il primato della «politica», nientemeno.
In dodici minuti – e allora fu un vanto – venne sciolta Forza Italia per dare vita a quel «Popolo» della libertà che Berlusconi volle battezzare con un finto referendum.
In mancanza di un impossibile se stesso ringiovanito, a 76 anni per la nuova Forza Italia il Cavaliere pensa ora ad arruolare Briatore, di cui deve aver dimenticato certe cosette niente affatto simpatiche che diceva di lui al telefono; e addirittura s’incanta con l’idea di Montezemolo, che tutte le volte gli ha sempre detto no e che poche settimane prima della caduta del 12 novembre 2011, a un passo dal dileggio, fermò l’automobile come per entrare a Palazzo Grazioli; e quando vide che attorno a sè cresceva l’agitazione dei giornalisti di colpo fece dietro front e risalì in macchina ridacchiando.
Su un tovagliolo di un’enoteca di Montecatini, dove è andato a farsi curare con il laser, l’uomo che ha cambiato l’arte del potere in Italia ha scritto del «suo» nuovo soggetto ancora desolatamente senza nome: «Nuovo e pulito» per andare «oltre il 50 per cento», che forse non ci credeva nemmeno il proprietario ultraberlusconiano del locale, che pure ha promesso di mettere quell’impegnativo reperto di stoffa dietro una teca.
Ma il pensiero più triste rubricato nei progetti del tardo berlusconismo al tramonto gli è sfuggito di bocca come un sospiro: «Se fossero ancora vivi, ci metterei dentro Vianello e la Mondaini». E c’è ormai un aria mortifera da quelle parti, un rincorrersi di ombre a loro modo tenebrose, un accavallarsi di immagini sempre più perturbanti come quella di lui che estrarrà dal cilindro un dinosauro, e nessuno giustamente ride più, e tutto precipita in rovina, come ampiamente preannunciato.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
FORTE SCONTRO TRA SILVIO E IL SEGRETARIO: IL TESORIERE CRIMI SI DIMETTE… BERLUSCONI ORMAI PENSA A UN NUOVO PARTITO CON I FEDELISSIMI E TANTI VOLTI NUOVI PER LANCIARE L’IMPRENDITORE-BANCHIERE SAMORI’
Le “perle” in realtà , sono state parecchie. Ma quelle che segneranno — nella memoria di molti — la storia del Pdl all’ultimo atto delle primarie, sono senza dubbio due.
Quando Alfano, ridotto all’angolo in riunione dopo che Berlusconi aveva smontato ferocemente l’idea stessa delle primarie, lo ha guardato negli occhi e ha tirato fuori tutto quello che aveva dentro: “Non siamo mica barzellettieri..”.
E la seconda, sullo stesso tenore, sempre quando il segretario ha puntato dritto al cuore del Cavaliere accusandolo platealmente di “rincorrere gelatai”, forse dimentico che oltre ad aver lusingato come volto nuovo del partito il giovane proprietario della nota gelateria Grom di Torino, sulle navi da crociera Berlusconi suonava il piano, raccontava barzellette, ma soprattutto offriva gelati alle signore.
Più tardi il segretario ha chiarito di aver detto “barzellettati” (ovvero oggetto di barzellette) anzichè promotori delle medesime (appunto “barzellettieri”), ma nessuno ci ha creduto.
C’è stato uno scontro, negato da Berlusconi perchè “con Alfano c’è la massima sintonia”.
Invece è stato davvero “da brivido”, come ha raccontato a caldo un’ancora scossa Daniela Santanchè.
Lungi, dunque, dal credere che quelle di Alfano possano essere state semplici gaffe o cadute di gusto; tra Angiolino e Silvio c’è stato un corpo a corpo di inusitata violenza verbale, “da accapponare la pelle” per dirla con un ex fedelissimo come Giuliano Cazzola.
Alla fine, la linea Alfano sembra aver prevalso, perchè il Cavaliere, visti i toni più aspri e incontrollabili del previsto, ha preferito “mettersi a disposizione”, convinto tuttavia che per far risorgere il partito ci voglia “una rivoluzione” oppure “uno come me nel ’94”, ma tanto ormai aveva perso la partita di far saltare le primarie.
Insomma, alla fine Silvio ha alzato bandiera bianca.
Ben sapendo che le primarie non potranno che rappresentare un vero e proprio bagno di sangue per il partito.
Non solo perchè — come felicemente intuito dallo stesso Cavaliere — metteranno in evidenza tutte le vere spaccature e i livori personali usciranno allo scoperto.
Ma, soprattutto, perchè a votare ci andranno veramente in pochi.
Come ha confermato Berlusconi durante l’ufficio di presidenza, ci sono sondaggi sulle primarie di Alessandra Ghisleri che parlano di un misero 8% dell’elettorato convinto ad andare a mettere la scheda nelle urne delle primarie Pdl. Un bagno.
A cui si è aggiunto anche un altro elemento di divisione e di rottura: si è dimesso, improvvisamente, il tesoriere storico del partito, Rocco Crimi.
Lo ha fatto subito dopo un’intemerata di Sandro Bondi (nell’ufficio di presidenza) che ha chiesto l’azzeramento di tutte le cariche interne per favorire il rinnovamento. In molti sanno che covava la decisione da tempo, lo aveva già detto a Berlusconi portandogli i preventivi dei costi delle primarie, circa 3 milioni di euro che in cassa non ci sono e che, a questo punto, dovrà sborsare direttamente il Cavaliere.
Crimi, insomma, si è sottratto dalla responsabilità di portare il Pdl allo sfascio anche economico ed ha gettato platealmente la spugna.
Altro guaio per il Cavaliere.
Che, comunque, ora assapora la possibilità di togliersi di torno un partito morto attraverso delle primarie che si riveleranno un’ecatombe di consenso e un boomerang mediatico; un’emozione che, in fondo, non ha prezzo.
C’è già un nuovo soggetto politico, infatti, in rampa di lancio.
E’ una lista di industriali ed imprenditori che al Senato potrebbe anche essere capitanata da Briatore, ma che avrà nell’industriale Giampiero Samorì la vera “punta di diamante”.
Nel partito hanno l’idea che sia lui l’uomo che Berlusconi userà per spacchettare il Pdl in più liste, probabilità che trova la netta contrarietà di Alfano. Samorì, però, è davvero un intimo di Berlusconi, anche se lui ha negato in pubblico persino di conoscerlo: “Mi è stata attribuita una ricerca di volti nuovi, un certo signor Samorì che ho incontrato una sola volta nella vita e che non ritenevo nemmeno fosse interessato alla politica”.
Macchè. Samorì è stato braccio destro di Dell’Utri negli anni ’90, ai tempi dei circoli del Buongoverno.
Oltre che a Marcello, Samorì è anche vicino al fratello Alberto, ma soprattutto è un uomo che conosce come se stesso il bel mondo della finanza, anche quella più cattiva.
Banchiere, imprenditore, esperto in scalate bancarie, ultimamente Samorì ha inanellato una serie di colpi.
È entrato nell’editoria — nel gruppo Monti Riffeser, che edita Giorno e Nazione e Carlino — e soprattutto nel salotto della finanza che conta, acquisendo, lo scorso 25 ottobre, lo 0,40% del capitale di Mediobanca tramite Modena capitale.
La chiave del suo successo di oggi è la vicinanza a Denis Verdini, con il quale i lavori per la nuova lista sono già in fase avanzata.
Soprattutto, al Cavaliere Samorì serve perchè è ricco.
Pensa di accollargli tutte le spese della prossima campagna elettorale, visti i tempi di magra che corrono ad Arcore.
E questa, di certo, non sarà la rivoluzione, come la intendeva Alfano, ma di sicuro per Berlusconi è l’ultima occasione “per non lasciare il Paese in mano alla sinistra.”
Comunque, nessun sentimento di rivalsa o di rivincita nei confronti di Alfano definito come “un figlio” (e sono sicuro che lui mi consideri come un padre, ha spiegato il Cavaliere nel vertice di palazzo Grazioli), ma per Silvio il futuro è altro.
“Avevo pensato a un’altra proposta — ha concluso Berlusconi — e cioe’ far votare la scelta del nostro leader agli iscritti del Pdl attraverso dei call center in 10-12 giorni’, ma le primarie del Pdl sceglieranno il nostro candidato premier qualora si dovesse andare a votare con questa legge elettorale”.
Ma tanto ormai sono tutti in attesa di verderlo tirare fuori “un dinosauro dal cilindro”.
Lui stesso, forse?
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
ENTRO IL 31 DICEMBRE LE REGIONI DOVRANNO INDICARE DOVE E COME RIDURRANNO
Trentamila letti in meno negli ospedali italiani. Assume concretezza la prospettiva, delineata dal decreto sulla revisione della spesa (spending review) della scorsa estate.
Entro il 31 dicembre le Regioni dovranno indicare dove e come effettueranno la riduzione.
Si dovrà passare nel prossimo triennio 2013-2015 a un rapporto di 3,7 letti ogni mille abitanti dall’attuale 4,2, la media nazionale.
Lo 0,7% devono essere dedicati a riabilitazione e lungodegenza di malati che hanno superato la fase acuta.
Alcune Regioni, come Emilia Romagna, Veneto, Toscana o Lombardia, hanno già avviato questa operazione, altre invece devono cominciare quasi da zero e non a caso sono quelle con maggior deficit, sotto piano di rientro.
Il Molise è quella che deve ridurre di più (-33,2%), seguita dalla Provincia autonoma di Trento (-20,9%) e Lazio (-19,9%).
Si marcia dunque verso un sistema più moderno. Le parole chiave: meno ospedali (molto costosi e fonte di sprechi), più servizi territoriali, più appropriatezza.
I criteri in base ai quali procedere sono indicati in uno schema di regolamento sugli «standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera». Salvo sorprese verrà esaminato la prossima settimana dalla Conferenza Stato-Regioni, per l’approvazione.
Il documento è pronto, frutto del lavoro del ministero della Salute attraverso l’agenzia per i servizi sanitari (Agenas) diretta da Fulvio Moirano, che ha in mano anche il cosiddetto programma per la valutazione delle performance delle singole strutture.
Più che di sforbiciata, è corretto parlare di riconversione visto che i letti non verranno aboliti ma riutilizzati per funzioni diverse ad esempio residenze per anziani, lungodegenza.
Il taglio non sarà attuato attraverso tanti piccoli interventi, un posto in meno lì, due in meno lì, secondo la logica della mediazione, specie nelle università .
Spariranno interi primariati-doppione (oggi si chiamano unità operative complesse) selezionati in base al bacino di utenza e al rendimento.
Questo a garanzia dei pazienti. Più una struttura accumula esperienza e casistica, più è sicura, soprattutto per quanto riguarda le alte specialità .
Centri trapianti, cardiochirurgia, neurochirurgia. In molte realtà sono troppi e lavorano poco perchè devono spartirsi i malati, a discapito della qualità .
Per alcune specialità (ad esempio by pass coronarico) vengono fissati dei limiti al di sotto dei quali non si dovrebbe scendere: almeno 150 l’anno.
A Roma, tanto per fare un esempio, solo una cardiochirurgia delle 8 presenti rispetta questo ritmo. In Lombardia 10 su 18.
«Chiudere i primariati? Un’impresa, spesso non ci si riesce, si incontrano molte resistenza politiche», racconta Giuseppe Zuccatelli, oggi subcommissario della Sanità abruzzese, intervenuto su questo tema al convegno organizzato a Roma da «Meridiano Sanità » sulla salute in Italia in tempo di crisi economica.
«Bisogna raggiungere l’indicatore sui letti stabilito dal ministero attraverso l’eliminazione di reparti interi, unico modo per ottenere risultati duraturi ed efficaci sul piano economico e di recupero di personale. Infermieri e ausiliari da utilizzare altrove e per coprire il turn over», analizza Zuccatelli.
Dunque non tagli lineari, ciechi o effetto di spinte e pressioni.
Lo schema di regolamento suddivide gli ospedali in tre categorie (hub, spoke e integrativi) in base a grandezza e strutture.
Si insiste sull’indice di occupazione dei posti letto che deve attestarsi su 80-90%: in reparti di 30 posti, ne devono essere occupati in media 26.
Le misure antisprechi funzionano così.
Margherita De Bac
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO SCIOGLIE LA RISERVA: SI’ A UN PROGETTO CIVICO PER EVITARE LE PRIMARIE… L’EX SINDACO SI CANDIDA A CAPO DI UNA LISTA CIVICA E CON L’APPOGGIO DI FORMIGONI… MA NEL PDL C’E’ ANCORA QUALCUNO CHE VUOLE PERDERE CON LA LEGA
La battaglia elettorale in Lombardia entra nel vivo. Quasi in contemporanea, Umberto Ambrosoli e Gabriele Albertini hanno rotto gli indugi e – su schieramenti opposti – hanno dato la disponibilità a candidarsi alla presidenza della Regione.
“Accetto la candidatura che mi viene proposta”, ha spiegato Albertini, ex sindaco di Milano, che accarezza il progetto di riunire chi al parlamento europeo fa parte del Partito popolare, coinvolgendo anche movimenti come ‘Fermare il declino’ di Oscar Giannino e Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo.
Ambrosoli in campo. “Dichiaro ora la mia disponibilità “, ha annunciato in un comunicato Ambrosoli, che solo lo scorso 21 ottobre aveva rinunciato a correre per il Pirellone, spiegando che c’era poco tempo per preparare un progetto. Ma al figlio di Giorgio Ambrosoli, ucciso nel 1979 per il suo lavoro come commissario liquidatore della Banca privata italiana, sono arrivati appelli a non tirarsi indietro da parte di un “ampio e qualificato elenco” di persone.
Il comunicato dell’avvocato.
“Renderò noto a breve l’ampio e qualificato elenco di coloro che – preliminarmente – mi hanno sollecitato con spirito civile a dichiarare disponibilità a candidarmi alla presidenza della Regione Lombardia per consentire un cambiamento vitale per le condizioni democratiche di questa istituzione”, si legge nel comunicato di Ambrosoli.
“Si comprenderà che si tratta di istanze molto significative, cui si vanno aggiungendo figure rappresentative del quadro istituzionale soprattutto territoriale, in un arco di posizioni che appare fin da ora ampio, importante, plurale. Ampio anche più di ciò che ha fin qui rappresentato la connotazione tradizionale, cioè dei partiti, di “centrosinistra”.
Comunque con il mio apprezzamento di ciò che nei partiti sta emergendo per promuovere rinnovamento. Dichiaro ora la mia disponibilità . Disponibilità ad assumere un’iniziativa politica.
A verificare le condizioni di aggregazione di rappresentanze sociali e forze politiche in un nuovo patto civico.
A presentare linee di programma che consentano ai più di convergere unitariamente”.
L’incognita primarie.
Al centro del progetto a cui vuole lavorare Ambrosoli, quindi, c’è un “nuovo patto civico”.
Al centro di quello di Albertini – che verrà ufficializzato il 24 novembre – c’è una lista civica.
E in entrambi i loro schieramenti c’è l’ipotesi di primarie (nel centrosinistra già fissate per il 15 dicembre con una serie di candidati ufficiali, fra cui il consigliere pd Fabio Pizzul e la ginecologa Alessandra Kustermann).
Resta da vedere se a questo punto qualcuno farà un passo indietro.
Proprio perchè vuole che il suo sia un progetto aggregante l’ex sindaco Albertini frena sulle primarie.
“Le primarie non sono nella condizione di farle – ha rimarcato a Tgcom 24 – Non perchè io sia contro, ma perchè nel caso che ci riguarda la candidatura nasce dal collegamento con movimenti legati al territorio, come quello di Giannino e Montezemolo. Se io fossi il candidato del Pdl non potrei tenere insieme le altre componenti ispirate al cosiddetto centro. Le cose stanno insieme se c’è un fulcro di garanzia”.
Le polemiche Pdl-Lega.
Se nel Pdl ci sono entusiasti della candidatura di Albertini (a partire dal governatore Roberto Formigoni, che dopo l’annuncio ha invitato a “scaldare i cuori” perchè “chi ama la Lombardia sa che la campagna è iniziata”), c’è chi è più tiepido e guarda soprattutto all’alleanza con la Lega Nord.
Prima dell’annuncio dell’ex sindaco di Milano, il coordinatore regionale pdl Mario Mantovani ha spiegato che il nome del candidato sarà fatto solo dopo che si conoscerà con più certezza la data del voto.
E comunque sarà “indispensabile” un faccia a faccia fra Silvio Berlusconi, Angelino Alfano e il segretario leghista Roberto Maroni.
Insomma – al di là degli insulti fra il Carroccio e Formigoni – il Pdl non chiude la porta all’alleanza.
“Senza la Lega – ha ribadito Mantovani – consegniamo la Lega alla sinistra. In Lombardia non credo al centro: ci crederò in Sicilia, dove l’Udc ha il 10 per cento, ma non qui”.
E nemmeno Maroni chiude completamente al Popolo della libertà , tanto che definisce le ipotetiche primarie di coalizione una “soluzione utile e intelligente” , anche se spiega che non c’è alcuna paura ad andare da soli.
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