Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
VIA ANCHE IL NOME DAL SIMBOLO, SI DECIDERA’ IL 15 DICEMBRE QUANDO SARA’ INDETTO IL CONGRESSO … SUI CASI SCOTTANTI NANNI E MURA: “NEL CASO FOSSE ACCERTATO UN USO IMPROPRIO DI DENARO PUBBLICO, IDV SI COSTITUIRA’ PARTE CIVILE”
“I partiti personali sono condannati in tempi brevi a finire. E anche l’Idv lo farà ”. Parole di Antonio Di Pietro tornato a ricucire la fiducia con il suo elettorato da Bologna dove, con il caso del dispendio dissennato di soldi pubblici del consigliere regionale Paolo Nanni per convegni e trasferte inesistenti, sembrava che l’Idv potesse implodere.
Botta fortissima che porta ancora con sè molte ombre e parecchie polemiche, ma che il leader molisano rintuzza con l’ipotesi di defilarsi dalla presidenza del partito: “Con l’assemblea nazionale del 15 dicembre avvieremo l’iter per togliere il mio nome dal simbolo, poi attraverso il percorso che deciderà il congresso, sono pronto a farmi da parte”.
La metafora di Di Pietro rientra nel repertorio contadino (“mi sento come quel padre che vede il figlio crescere, lo vede avere il raffreddore, e non vede l’ora che cammini da solo. Non lo abbandonerò mai, ma non ci sto con il cappello sopra per sempre”), ma rispecchia una possibile aria di cambiamento nell’Idv di certo non prima delle prossime elezioni di primavera.
“La data dell’election day la condividiamo soprattutto perchè ci permetterà di risparmiare denaro”, spiega l’ex magistrato, “ma ci vuole una legge elettorale come il Mattarellum per permettere agli elettori di scegliere direttamente chi votare. Poi certo Napolitano ha chiesto di votare prima la legge di stabilità , ma attenzione l’Idv voterà contro le leggi di quei tecnici in loden che facendo pagare sempre ai più deboli uccidono la democrazia”.
Di Pietro ne ha anche per l’annosa questione dei lacrimogeni piovuti dai tetti del ministero della Giustizia a Roma: “Non so se sono rimbalzati o da dove sono partiti, dico che il problema politica che ci sta alla base è una guerra tra poveri che non ha senso”.
Poi su Grillo che ha invitato i poliziotti a togliersi la divisa e mescolarsi con i manifestanti: “Sono stato poliziotti e magistrato, lo stato di diritto e la legalità vanno rispettate. Questo non vuol dire che sono contrario a quello che dicono Grillo e il Movimento 5 Stelle, anzi se come ha fatto Favia hanno bisogno di avvalersi di nostri deputati per far sentire la loro voce in Parlamento, prima di entrarci con i loro futuri deputati, ben venga”.
Infine si torna a parlare dell’affare Mura/Nanni, proprio mentre la tesoriera nazionale è assente per problemi di salute che l’hanno costretta in ospedale da giorni: “Piena fiducia a Silvana Mura, sono orgoglioso di lei. E poi l’Idv, come gli altri partiti, non aveva obblighi di legge, titoli giuridici e tecnici, per controllare le spese di Paolo Nanni. I fondi venivano gestiti direttamente dal consigliere regionale e ora la magistratura fa bene ad accertarne l’utilizzo improprio. Il mio partito si costituirà parte civile e nel caso otterrà indietro un risarcimento lo devolverà in beneficienza”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
ALLA SUA FRASE, COLTI DA LAPSUS FREUDIANO, SI SONO ALZATI, PER TRIBUTARGLI UNA STANDIND OVATION, GASPARRI, LA RUSSA, RAVETTO E CARFAGNA, GLI INDIZIATI NUMERO UNO
Per Angelino Alfano la “battaglia” in vista delle politiche è “difficile, ma si può vincere”.
“La battaglia” che ha davanti il Pdl “è difficile, ma si può vincere: certo ci devono essere facce pulite, perchè non sarà possibile andare avanti se le nostre idee saranno rappresentate da facce impresentabili”.
E’ l’avvertimento lanciato da Alfano, nel suo intervento all’incontro ‘Sempre con gli italiani mai con la sinistra’ organizzato da alcuni esponenti ex an nel cortile di Palazzo Lombardia. “Queste sono battaglie – ha aggiunto – in cui mi impegnerò nel Pdl”.
Non appena il segretario del Pdl ha pronunciato questa frase i partecipanti all’evento, tra cui Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Mara Carfagna e Laura Ravetto, si sono alzati in una standing ovation.
“C’è gente che non dovrebbe essere in consiglio comunale e si trova in Parlamento”, ha proseguito Alfano, che ha invitato nuovamente a rinnovare il processo di selezioni dei dirigenti che devono essere, a suo giudizio, “rappresentati dal basso e non nominati dall’alto” (come lui insomma…n:d.r..).
Per il segretario Pdl, “non immaginabile un nuovo governo con la sinistra” perchè persegue “una ricetta economica dettata dalla Cgil” fatta di più spese e più tasse. “Non intendo immaginare un altro governo con la sinistra, che non ha una visione europea” ha detto aggiungendo che nelle riunioni della “strana maggioranza” sostenute da Mario Monti si è “accorto che le differenze esistono intatte”.
Secondo la sinistra, a suo dire, per spendere di più occorre mettere più tasse “se la scelta spetta a noi – ha concluso – diremo sempre no ad aumentare le tasse ma diminuiremo lo spreco”.
Anche perchè, ha continuato, “Bersani ha votato i provvedimenti di Monti e Vendola fa i referendum contro: non sono idonei a governare questo Paese”.
Quella tra il Pd e Sel, ha aggiunto il segretario del Pdl, è “una coalizione che farà assolutamente tutti quei disastri che hanno fatto le coalizioni di centrosinistra che hanno governato in questo Paese”.
Vendola e Bersani, ha proseguito Alfano, “non hanno un progetto chiaro di governo, non saranno loro a farci uscire da questa crisi economica”.
Alfano ha detto di “non essere più disponibile” ad accettare sacrifici “se capiremo, come stiamo iniziando a capire, che non ce li chiede l’Europa, ma ce li chiedono Francia e Germania per legittimi interessi francesi e tedeschi”.
In quel caso, ha proseguito, anche noi “faremo gli interessi nazionali” e comunque è necessario chiedere all’Unione europea “di cambiare rotta” sennò saranno i popoli europei stessi a imporre il cambiamento.
Che la sinistra non sia in grado di governare sono “parole che sembrano tratte da una gag di ‘Scherzi a parte'”, ha replicato Nichi Vendola.
“Siamo alla fine di quindici anni di berlusconismo che per devastazione morale, economica e sociale rappresentano davvero un unicum nella storia d’Italia. Alfano e gli altri abbiamo perlomeno il pudore di tacere e di andare al diavolo”, ha continuato il presidente della Regione Puglia e Leader di Sel, candidato alle primarie del centrosinistra. Vendola ha partecipato a Bologna a una riunione con i militanti del suo partito.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DI “ITALIA FUTURA” ANNUNCIA IL SUO INGRESSO IN POLITICA E LANCIA MONTI: “NESSUNO MEGLIO DI LUI”…DA SCIOGLIERE IL NODO DEI RAPPORTI CON FINI E CASINI
Dopo quasi due anni di tattica e calcoli, Luca Cordero di Montezemolo rompe gli indugi e annuncia il suo ingresso in politica. “Mai più accetteremo di vedere l’Italia derisa e disonorata, per questo scendiamo in campo”, dice il presidente di Italiafutura lanciando la convention ‘Verso la terza Repubblica’.
“Basta stare in tribuna: i cittadini e le eccellenze che costituiscono il nerbo della nostra azione abbandonino le tribunale e riportino a giocare in attacco a e vincere”, aggiunge l’ex presidente di Confindustria.
“Siamo qui – prosegue – perchè vogliamo che inizi finalmente un capitolo nuovo della nostra vita civile e democratica, che metta al centro questa Italia, l’Italia che rema. Dobbiamo aprire la strada verso la terza Repubblica”.
Resta da capire se l’iniziativa di Montezemolo è in sintonia o piuttosto in concorrenza con le forze di centro che si stanno organizzato attorno alle figure di Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini.
“Sentiremo i richiami valoriali e le loro priorità , ma è evidente che delle convergenze ci sono, quella che salta più agli occhi è che coloro che operano nella società civile, così come fanno gli amici dell’Udc e facciamo noi nella politica, è il fatto che si parta da un dato: dopo il voto serve un governo politico ma con Mario Monti come presidente del Consiglio”, commenta a distanza il presidente della Camera.
Fini insieme aI leader dell’Udc è tornato oggi a chiedere un impegno politico al presidente del Consiglio Mario Monti, e anche l’ex presidente di Confindustria si dice convinto che “Monti può fare il lavoro di ricostruzione in Italia e in Europa meglio di chiunque altro. Ammetterlo non è un segno di debolezza ma un’assunzione di responsabilità “.
Dal premier, che proprio oggi ha celebrato il suo anno di governo con un lungo bilancio pubblicato online, è arrivata però l’ennesima frenata.
“Nessuno mi domanda impegni oggi, e oggi non do nessun impegno”, ha ribadito Monti interpellato sulla possibilità di un suo ruolo futuro in politica dopo il termine del suo governo.
Ma Montezemolo sembra non avere fretta.
“Non chiediamo al premier di prendere oggi la leadership di questo movimento politico – dice – Ciò pregiudicherebbe il suo lavoro e davvero non ce lo possiamo permettere. Ci proponiamo di dare fondamento democratico ed elettorale al discorso iniziato dal suo governo perchè possa proseguire”.
Secondo Montezemolo “se non ci sarà una novità sostanziale nell’offerta politica il risultato delle elezioni potrebbe portare alla guida del paese uno schieramento eterogeneo e confuso, una riedizione di governi i cui ministri scendevano in piazza contro i provvedimenti varati dal loro esecutivo. Una compagine governativa ostaggio di populismi che rifiutano gli impegni internazionali sottoscritti dal nostro paese”.
“Già vediamo il riformarsi di alleanze che contengono tutto e il contrario di tutto – avverte il leader di Italiafutura – ma che soprattutto avranno l’effetto di ridare peso e potere di condizionamento alle componenti più ideologiche e populistiche” uno scenario che porterebbe al Paese “danni irreparabili”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO LA PERIZIA DEL REPARTO SCIENTIFICO DEI CARABINIERI IL COLPO SAREBBE PARTITO DA PONTE GARIBALDI E NON DALL’INTERNO DEL MINISTERO, SPACCANDOSI IN TRE
I lacrimogeni a via Arenula che si vedono nel video girato durante la manifestazione del 14 novembre scorso sarebbe in realtà un solo colpo sparato dall’esterno e rimbalzato sulla facciata del dicastero della Giustizia spaccandosi in tre pezzi.
E’ quanto emerge dalla relazione che i Carabinieri del Raggruppamento Investigazioni Scientifiche (Racis) hanno consegnato al Guardasigilli Paola Severino e alla Procura di Roma che stanno indagando su quanto accaduto.
“La gittata degli artifizi è dell’ordine di 100-150 metri, coincidente con il posizionamento delle Forze di polizia all’altezza di Ponte Garibaldi, come osservabile dal video acquisito”, si legge nel referto. Il video, secondo i carabinieri, “riproduce un impatto su cornice superiore della quarta finestra (a partire dallo spigolo sinistro), sita al quarto piano del ministero, di un solo artifizio lacrimogeno poi fratturatosi in tre parti”.
Una spiegazione molto simile a quella fornita ieri dal questore di Roma Fulvio Della Rocca.
Ma che, se anche fosse confermata, non spiega un quarto lacrimogeno che si vede partire qualche istante dopo da una finestra più lontana (al secondo 23 del filmato) .
IL REFERTO DEL RACIS
A valutare la credibilità della versione autoassolutoria fornita dalle forze dell’ordine sarà ora il pubblico ministero Luca Tescaroli, titolare dell’inchiesta sugli episodi di mercoledì scorso. Il pm ha iscritto nel registro degli indagati un agente di polizia per l’aggressione ai danni di un manifestante, nei pressi del Lungotevere.
Si tratta di un poliziotto identificato grazie a un filmato dove lo si vede colpire con il manganello sul volto uno dei manifestanti caduto a terra.
A cercare di fare luce sull’inquietante episodio di via Arenula è inoltre l’indagine interna ordinata dal ministro della Giustizia Paola Severino.
Per avere totale chiarezza sull’accaduto, si lavora per visionare i filmati registrati mercoledì scorso dalle telecamere posizionate presso i vari ingressi del dicastero. Intanto, sull’eventualità che qualcuno, da fuori, possa essere entrato nel palazzo, le testimonianze raccolte negano finora che ciò sia accaduto: il responsabile del reparto di Polizia Penitenziaria operante al ministero, Bruno Pelliccia e il capo di gabinetto, Filippo Grisolia, hanno riferito al Guardasigilli di non aver autorizzato l’ingresso di nessun esterno.
Anche gli impiegati sentiti hanno affermato di non aver visto nessuno sporgersi o lanciare qualcusa dalle finestre del piano in questione.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
OSPITE IN TV SU LA7, L’EX GOVERNATORE DA’ IL PEGGIO DI SE’
Scenataccia di Roberto Formigoni, dietro le quinte del programma pomeridiano de La7, in onda poi oggi, venerdì, alle 14.
La trasmissione di solito va in diretta, ma occasionalmente è stata registrata in mattinata, proprio per impegni del governatore della Lombardia.
Terminata l’intervista con Cristina Parodi e i giornalisti della sua squadra, Formigoni è uscito furente dallo studio.
E – davanti almeno a una decina di persone – si è rivolto alla sua addetta stampa, Gaia Carretta, gridando: «Tu adesso stai qui e spacchi la faccia a Cristina Parodi e a questa banda e a questi giornalisti!»
Rivolto poi ad un’autrice del programma, Francesca Filiasi, ha aggiunto: «Avete fatto solo cagate!».
Ancora rivolto alla sua addetta stampa: «E se non lo fai, sei licenziata!».
SIPARIETTO
Il governatore era visibilmente adirato poichè, secondo lui, troppo parte dell’intervista era stata dedicata alle vicende giudiziarie della Regione, mentre – secondo presunti accordi – sarebbe dovuta essere sulle vicende del Pdl e sulle elezioni in Lombardia. Insomma secondo Formigoni troppo tempo era stato dedicato alle inchieste che lo vedono coinvolto a vario titolo.
I «giornalisti» a cui si riferiva il governatore, sono i protagonisti della rubrica «Fratelli D’Italia» (giornalisti stranieri che fanno domande all’ospite di turno, insieme alla Parodi) e in questa occasione erano: Constanze Reuscher (tedesca), Ivan Carbalho (Usa) e la soprano (non giornalista) cinese Sofia Hui Zou.
La puntata è andata regolarmente in onda.
Quando Cristina Parodi è stata avvisata dell’insolito siparietto nei camerini, ha sgranato gli occhi davvero sbalordita. Aveva fatto solo il suo mestiere.
PARODI: «SORPRESA»
Dopo che Cristina Parodi è venuta a conoscenza dell’accaduto, ha così commentato: «Non ho assistito alla scena, ma cio che mi è stato riferito mi ha lasciato sorpresa. È stata una reazione eccessiva, anche perche l’intervista si era conclusa con una stretta di mano e un sorriso».
Nessuna trappola dunque. «Ma no, solo domande naturali di giornalisti stranieri. Mi ha davvero stupito perchè tutti noi abbiamo solo fatto il nostro lavoro».
Le era mai capitato prima? «No, solo qualche tensione in studio, per esempio con Sgarbi o con la Biancofiore, ma fuori dallo studio mai nulla. Io ho massimo rispetto per Formigoni e il suo ruolo istituzionale, ma se lui accetta di sottoporsi a domande da parte di giornalisti, è ovvio che poi si debba rispondere a tutto. Non ci sono stati nè tranelli nè imboscate. Ci sono rimasta proprio male».
La verità è che forse ormai molti politici non hanno più voglia di confrontarsi e di rispondere alle domande di giornalisti.
«Beh certo l’opinione che i politici hanno dei giornalisti non è alta. Invece è importante che la gente ascolti quello che hanno da dire i politici. La teoria di Grillo per cui non si va a parlare in tv mi pare assai poco democratica. Ha fatto bene il Formigoni politico navigato a venire: è doveroso confrontarsi».
Maria Volpe
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
UNA NORMA PREVEDE IL TAGLIO, MA NON VALE PER CHI HA GIA’ DECISO
Mai più vitalizi regionali a cinquant’anni, era la promessa.
Anche i governatori si erano dichiarati d’accordo. Malgrado il clima apertamente ostile che si respirava in Parlamento, dove il Partito delle Regioni era pronto alla battaglia, come ha dimostrato l’accoglienza glaciale riservata al decreto legge per tagliare finalmente sprechi e abusi locali con una clamorosa bocciatura della commissione bicamerale per gli affari regionali.
Dove il relatore Luciano Pizzetti, democratico e bersaniano, ex consigliere regionale della Lombardia, ha contestato duramente il via libera dato dai governatori, che a suo parere «non appaiono in grado di salvaguardare le proprie prerogative costituzionalmente riconosciute».
Traduzione: vanno salvati da loro stessi.
Messaggio inequivocabile per i 280 (tanti ne ha contati Carmine Gazzanni sul sito Infiltrato.it) suoi colleghi di Camera e Senato che come lui sono ex consiglieri regionali.
E per spiegare come mai la norma voluta da Monti per impedire inaccettabili privilegi pensionistici si sia magicamente dissolta alla Camera non si può che partire da qua.
«Stop alle pensioni prima dei 66 anni, come invece sarebbe toccato a Er Batman», annunciava l’Ansa il 4 ottobre scorso, dando notizia del provvedimento.
Il giro di vite, in effetti, si presentava pesante.
Nessun ex consigliere regionale avrebbe avuto diritto alla pensione senza aver fatto almeno dieci anni di mandato nè prima di aver compiuto 66 anni.
Pareva studiata apposta per impedire che personaggi come l’ex capogruppo del Pdl nel consiglio regionale del Lazio, Franco Fiorito, alias «Er Batman» di Anagni, 41 anni di età , accusato di essersi appropriato dei fondi pubblici generosamente assegnati al suo partito, potessero riscuotere il vitalizio dopo nemmeno tre anni di incarico e già al compimento dei cinquant’anni. Soprattutto, però, questa norma avrebbe avuto il vantaggio di mettere ordine in una giungla indescrivibile.
Ogni Regione ha infatti sempre avuto norme previdenziali proprie, differenti dalla Regione accanto.
Appena però il decreto legge del governo di Mario Monti è arrivato in Parlamento con questa tagliola, ecco le bordate. Da tutte le parti.
Chi ostinatamente proponeva di dimezzare il numero degli anni di mandato sufficienti a godere della pensione regionale, portandolo da dieci a cinque.
Chi esortava ad abbassare l’età , da 66 a 60 anni.
Chi chiedeva di prevedere il riversamento dei contributi previdenziali al consigliere regionale nel caso di impossibilità a godere della pensione.
Chi, non contento, non cessava di invocare la soluzione più radicale di tutte: il colpo di spugna.
E alla fine l’ha spuntata, anche se in un modo davvero singolare, come si capisce rileggendo le modifiche scaturite dall’intervento sul testo originario dei due relatori: Chiara Moroni, parlamentare del Fli, e Pierangelo Ferrari deputato del Partito democratico nonchè ex consigliere regionale della Lombardia.
E’ stato sufficiente inserire alla fine della lettera “m” dell’articolo 2, quello che stabilisce i limiti minimi dei 66 anni di età e dei 10 anni di mandato, questa frase: «Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle Regioni che abbiano abolito i vitalizi».
Siccome tutte le Regioni hanno già abolito i vitalizi, ecco che la regola del 66+10 non si può applicare a nessuna.
Direte: ma è logico. Che senso ha mettere un tetto alle pensioni quando le pensioni non ci sono più? Perfetto.
Ma se le pensioni non ci sono più, che senso ha precisare in una legge che non si applica il tetto?
Ricapitoliamo.
Tutte le Regioni hanno già abolito i vitalizi, come si è detto, in linea di principio. Ma non tutte hanno fatto come l’Emilia-Romagna, che li ha cancellati e basta.
La legge prevede infatti che i vitalizi possano essere sostituiti, dalle Regioni che intendono farlo, con trattamenti pensionistici alternativi basati sul sistema contributivo.
Una di queste è appunto la Regione Lazio, che ha demandato a un futuro provvedimento (se ne occuperà il prossimo consiglio) il passaggio dal vitalizio alla pensione per i suoi consiglieri.
E qui sta evidentemente la furbizia di quella frase che esclude dall’applicazione della tagliola del 66+10 chi ha già abolito i vitalizi, cioè tutti.
Perchè questo consentirà alle Regioni che li vorranno sostituire con pensioni contributive, di aggirare le regole più rigide che avrebbe voluto introdurre Monti, consentendo la corresponsione dell’assegno contributivo magari già a sessant’anni, o forse ancora prima, e con soli cinque anni di mandato anzichè dieci. Saranno tutte libere di farlo.
Non bastasse, anche i consiglieri ora in scadenza potranno così andare in pensione prima di 66 anni d’età e con neanche 10 di mandato.
Perchè quel colpo di spugna tanto originale quanto provvidenziale ha vanificato pure la norma, contenuta nel provvedimento, con cui viene esteso sulla carta il tetto del 66+10 agli attuali consiglieri che avrebbero già maturato il diritto al vecchio vitalizio e si stanno apprestando a lasciare l’incarico.
Di chi parliamo?
Di quelli della Regione Lazio, per esempio: i quali, grazie al vecchio sistema abolito ma ancora in vigore per gli attuali eletti, possono pensionarsi a cinquant’anni.
Proprio coloro che sembravano il bersaglio della legge, a cominciare da Batman. Geniale, no?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
E’ VINCENZO FRENI, FONDATORE DELLA LOGGIA LYTHOS
C’è anche un massone tra i 25 grillini bresciani che corrono per le primarie in vista delle elezioni Regionali.
Si chiama Vincenzo Freni, ha 50 anni, origini siciliane, è medico al Pronto Soccorso della clinica San Rocco di Ome (Bs), un ospedale del gruppo Rotelli.
Dopo essersi dimesso un anno fa dalla Gran loggia regolare d’Italia (Glri) è tra i fondatori della neonata loggia massonica Lythos, con sede in Valcamonica.
La sua appartenenza alla loggia massonica non figura nella biografia del candidato del movimento consultabile su www.brescia5stelle.it.
E il nome di Freni rischia di trasformarsi in una bomba mediatica controproducente per il movimento di Grillo, che fa della lotta ai poteri forti (e tra questi il leader massimo più volte ha citato la massoneria) un baluardo di eticità .
Una «svista» che potrebbe costare in termini di popolarità al movimento, che ribadisce in una nota stampa: «Il Movimento 5 Stelle è l’unica forza politica che offre la possibilità di candidarsi a tutti i cittadini che abbiano i requisiti base richiesti: essere residenti nel territorio di riferimento, incensurati, non aver svolto due mandati in carica pubblica, di non possedere tessere di partito».
Quindi nessuna incompatibilità con l’appartenenza alla massoneria?
Come coniugare Movimento 5 stelle e massoneria?
«Non tutta la massoneria è un male – taglia corto Freni -. Il problema è che nell’immaginario collettivo la si associa subito alla Loggia P2, ad un sistema delinquenziale. Ma ci sono logge che perseguono fini solidaristici, ad esempio la raccolta fondi per i terremotati. Come fa la Lythos. E’ lo stesso meccanismo che succede in politica: per colpa dei cattivi politici adesso la gente pensa che tutta la politica sia una porcheria».
I 5 stelle bresciani sapevano della sua appartenenza alla massoneria?
«Grillo e i suoi sostenitori hanno una grande dimestichezza con la rete, con internet. Io su Facebook ho un profilo pubblico, dove riporto la mia appartenenza alla loggia Lythos. Non ho nulla da nascondere, amo la trasparenza, perchè non ho mai fatto nulla di male».
Freni ribadisce che dalla massoneria non ha mai ricevuto favori: «Non facciamo di tutta un’erba un fascio; io non ho avuto il posto da primario, nè raccomandazioni nè benefit economici».
E difende la sua storia, le sue umili origini, la sua gavetta. Figlio di un bidello di Messina, «mi sono mantenuto agli studi facendo il portiere di notte, ho studiato all’estero, a Madrid e Cambridge» per poi tornare in Italia dove ha fatto anni di guardie mediche, notti, sostituzioni».
Perchè ha deciso di candidarsi per il movimento di Grillo?
«Quando vedi che il tuo Paese va in fiamme, anzichè chiacchierare dovremmo impegnarci a spegnere l’incendio. Grillo propone ricette efficaci e subito applicabili, a partire da un miglior utilizzo delle risorse pubbliche e dal taglio dei costi della politica. Sono molto d’accordo anche sulle tematiche ambientali».
E’ presumibile che Grillo la chiami….
«Non vedo quale sia il problema; gli spiegherò le ragioni per cui mi sono candidato. Non facciamo dietrologie: non è una mossa della Massoneria per tentare di creare caos nel movimento».
Pietro Gorlani
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PUNTA TUTTO SUL DOPO FORMIGONI, MA I BOSSIANI SI STANNO RIORGANIZZANDO… L’INCIUCIO CON IL PDL, SE DOVESSE ANDARE MALE, APRIREBBE LA STRADA ALLA RICHIESTA DI DIMISSIONI
Pirellone o morte. Per la Lega è tempo di scelte definitive. Che, però, stanno spaccando il partito.
La candidatura di Maroni in Lombardia ha fatto capire con chiarezza quale sia il vero obiettivo politico del Carroccio; conquistare la Regione e in questo modo costruire, seppur virtualmente, la vera macroregione europea attraverso la costituzione dell’asse di controllo politico con Piemonte, Veneto e anche Friuli Venezia Giulia.
Ecco perchè, d’ora in poi, tutti gli sforzi dei maroniani saranno puntati al coronamento di questo “sogno” a cui manca, appunto, solo un tassello, quello della poltrona che fu del “celeste” Formigoni. Solo che l’obiettivo non convince tutti.
Soprattutto lascia perplessi il fatto che per ottenerlo si debba tornare indietro sulla scelta di rompere l’alleanza con il Pdl.
Senza il quale, tuttavia, la conquista del Pirellone appare impossibile.
Maroni, dunque, potrebbe essere costretto a tornare indietro rispetto a quei proclami del “mai più con Berlusconi”, portato avanti a colpi di ramazza e serviti anche ad allontanare la parte bossiana del partito che con il Pdl aveva costruito 18 anni di regno.
Ed è questa parte della Lega che, in questo momento, è in forte fibrillazione.
I bossiani, che non si sentono affatto sconfitti, hanno tutte le intenzioni di mostrare apertamente il proprio dissenso dalla linea del segretario.
Soprattutto nei lidi dei Palazzi romani. Dove Maroni sta meditando di portare via dagli scanni parlamentari deputati e senatori per farli concentrare sulla campagna elettorale lombarda (senza, per altro, farli dimettere, quindi continuando a fargli prendere lo stipendio da parlamentare) e questa ipotesi proprio non piace ad un nutrito drappello di “onorevoli” leghisti della vecchia guardia e ancora potenti sul territorio.
Il drappello sta costruendo una fronda interna insospettabilmente numerosa con idee, però, ancora non del tutto chiare.
Alcuni minacciano di seguire Angelo Alessandri, presidente della commissione Ambiente della Camera (che si è dimesso dal gruppo del Carroccio in netto dissenso dal nuovo corso maroniano), altri puntano a costruire una corrente interna per esercitare «pressione politica».
La scissione pare alle porte.
«Diciamolo subito – ammette Paola Goisis, qualche legislatura alle spalle sotto le insegne del Sole delle Alpi, come riporta il Quotidiano Nazionale – che per noi sarà dirimente vedere cosa sceglierà di fare Maroni nella corsa alla Regione Lombardia; dopo aver gettato a colpi di ramazza tutta la nostra storia giurando che mai più saremmo stati alleati del Pdl, adesso l’idea che possa riallearsi con Berlusconi per la Regione ci può allontanare definitivamente».
La parola «allontanare» non è usata a caso.
Perchè, come si diceva, le sensibilità sono diverse.
L’idea di creare una corrente interna alla Lega (il cui nome potrebbe essere “Fratelli sul libero suol”) in verità , non è recente. In estate, Carolina Lussana, volto televisivo molto noto del Carroccio, organizzò una cena con alcuni dissidenti (invitati al tavolo, Corrado Callegari, Fabio Meroni, Massimo Bitonci, Giacomo Chiappori e Paola Goisis) proprio con l’idea di creare una corrente interna alla Lega.
Per il Senato, il gruppo voleva contare sull’appoggio del senatore Giovanni Torri, ex autista fedelissimo di Maroni, ultimamente polemico su alcune scelte.
Poi però non se ne fece niente; c’era ancora da celebrare il congresso, valeva la pena di capire come sarebbe andata a finire.
Nei mesi, tuttavia, la linea maroniana di pensare “solo al proprio tornaconto personale, dunque a fare il governatore lombardo, piuttosto che al bene della Lega” — è la voce di una dissidente della prima ora — non solo non è cambiata. «E’ peggiorata – sostiene stavolta Giacomo Chiappori – ma io lo dico in faccia a Maroni, così come penso che Alessandri abbia sbagliato ad andarsene; si combatte da dentro.
Maroni in Lombardia è obbligato a vincere, ma il nostro timore è che finisca come a Verona.
Dove ha vinto Tosi, ma nei posti che contano non c’è neppure un leghista vero».
«Certo – aggiunge Fabio Meroni, il più tiepido nella contestazione al segretario – se davvero farà l’alleanza con il Pdl per vincere in Lombardia, poi più che a noi dovrà spiegarlo a tutti quei sindaci che hanno perso la poltrona perchè ci ha mandato alle elezioni da soli».
E’ una crepa, dunque, che si allarga ogni giorno di più. «Simpatizzano», seppure a distanza di sicurezza, anche Marco Desiderati e Marco Reguzzoni, anche se quest’ultimo si muove alla luce del sole: «Vogliamo un chiarimento – ha intimato a Maroni – l’apertura non è al Pdl, ma alle forze vive della società ; Maroni e Salvini stessi hanno più volte dichiarato che non è possibile alcuna intesa con il Pdl; come si fa a pensare di fare un’alleanza con quelli che abbiamo appena mandato a casa?».
Scissione alle porte, allora? Un maroniano di ferro, davanti a questi annunci, sogghigna sotto i baffi: «E’ tutta gente, questa qui, che Maroni considera delle nullità ; se se ne vanno in blocco, ci fanno solo che un gran favore…».
Può darsi che sia davvero così, ma di certo ora Maroni ha bisogno di tutto, tranne che di una scissione interna, proprio mentre la possibile, rinnovata alleanza con la Lega provoca uno smottamento anche nel Pdl, con il candidato Albertini che è andato giù duro: “Se Berlusconi appoggerà Maroni, io restituirò la tessera del Pdl”.
Dunque, la guerra — a destra – è appena iniziata, mentre gli errori “tattici” del segretario leghista si affastellano.
Come quello accorso in Senato sul ddl per cambiare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa e salvare dal carcere il soldato Alessandro Sallusti, direttore del Giornale.
E’ stato per colpa di un emendamento della Lega, vergato materialmente dall’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, fatto firmare al senatore Mazzatorta e quindi avvallato dal capogruppo Bricolo, se la Lega è finita di nuovo sulla graticola mediatica come partito forcaiolo e vendicativo verso i giornalisti che hanno fatto emergere il caso Belsito e, quindi, fatto crollare il Carroccio.
Di quello che stava accandendo al Senato, Maroni pare non ne sapesse nulla, sostengono alcuni dei suoi.
Ma una volta combinato il “pasticcio”, il segretario ha prima tentato (senza grossa credibilità ) di parlare di “provocazione” portava avanti dalla Lega, quindi — in una intervista concessa al Giornale — ha ammesso che si è trattato di un errore e che, in qualche modo, si cercherà di rimediare quando il ddl tornerà , martedì prossimo, in aula a Palazzo Madama.
L’incidente ha tuttavia messo ulteriormente in evidenza come Maroni non controlli in alcun modo i suoi parlamentari, dando dimostrazione della sua fragilità di leader. L’assalto al Pirellone, in queste condizioni, potrebbe quindi rivelarsi esiziale per la Lega. Se mancasse la conquista della ex poltrona di Formigoni, il Carroccio ne uscirebbe a pezzi. Soprattutto, ne uscirebbe a pezzi Maroni.
Che non potrebbe far altro che lasciare anche la segreteria di via Bellerio.
E c’è qualcuno, nella fronda leghista, che sta lavorando anche per questo obiettivo.
Con grande convinzione.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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