Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
IL VANTAGGIO DEL LEADER PD SCENDEREBBE A 12 PUNTI SE AL VOTO ANDASSERO OLTRE 2,5 MILIONI DI ELETTORI
C’è un dato di fatto verificato a risultati acquisiti al termine di numerose consultazioni primarie.
E cioè, conferma Carlo Buttaroni presidente dall’istituto di ricerca Tecnè, che «c’è un tasso di corrispondenza molto elevato tra gli elettori delle politiche e quelli delle primarie» e che «circa un elettore su quattro partecipa, presumibilmente, ad entrambe le consultazioni con un voto coerente».
Di conseguenza è particolarmente interessante il sondaggio condotto da Tecnè che fornisce i dati su quale candidato si accingono a scegliere gli elettori che in questi giorni stanno richiedendo il certificato elettorale.
Il campione, raccolto su tutto il territorio nazionale e composto da soggetti maggiorenni, è rappresentativo per sesso, classi di età , area geografica ed è stato estratto in modo casuale dagli elenchi telefonici.
Le interviste realizzate dal 6 al 9 novembre hanno riguardato duemila soggetti più un sovracampionamento di mille elettori di centrosinistra.
FOTOGRAFIA DI UN FENOMENO
«L’indagine fotografa il fenomeno» dice Carlo Buttaroni. Per farlo i riflettori sono stati puntati su quel 5,2 per cento che «sicuramente» o «molto probabilmente» si recheranno al seggio per partecipare alle primarie.
C’è anche un «probabilmente sì» al 2,1 per cento e un «più si che no» all’1,8.
Gli altri sono «meno analizzabili» perchè il loro livello di mobilitazione è destinato a cambiare nell’avvicinarsi della scadenza e gli attuali «incerti» potrebbero andare a rendere più pesante la dote di voti di ogni singolo candidato.
Gli incerti sono infatti una variabile e aumentano con il crescere dei votanti.
Se alle urne si recheranno 1 milione e quattrocentomila elettori Bersani dovrebbero incassare il 40 per cento dei voti, Renzi il 26 per cento, Vendola il 19, Puppato il 3 e Tabacci l’1 con gli indecisi all’11 per cento.
Scende di due punti il segretario Pd se al voto vanno in 2,5 milioni, Renzi sale di un punto, scende Vendola di due mentre Puppato resta fissa così come Tabacci e gli incerti passano al 14 per cento.
Se cresce la partecipazione (consulta la scheda) Bersani registra uin calo e Renzi aumenta i consensi.
Crescono anche gli indecisi.
La stima con due milione e mezzo di votanti, facendo una distribuzione in prercentuale degli incerti, porterebbe Bersani al 44 per cento, Renzi al 31, Vendola al 20 per cento, Puppato al 4 e Tabacci all’ uno.
Rispetto ad altri sondaggi condotti nei giorni precedenti a quest’ultimo c’è da registrare, man mano che ci si avvicina al voto, un maggiore impegno dell’elettorato di centrosinistra, innanzitutto del Pd, mentre si allontanano gli elettori di centrodestra, pur interessati in precedenza ad esprimere la loro opinione.
Questo avviene perchè le primarie sono viste dall’elettore, comunque si collochi, come uno strumento positivo di partecipazione collettiva.
Questa volta poi a incoraggiare un già verificato atteggiamento di distacco c’è anche la possibilità , per ora confermata, di possibili primarie nel centrodestra.
Questo per quanto riguarda il primo turno.
Se nessuno dei candidati supererà il 51 per cento si andrà al ballottaggio.
Presumendo anche sulla base delle risposte al sondaggio, che si svolgerà tra Bersani e Renzi e limitandosi sempre a quel 5,2 per cento di campione, il segretario del Pd dovrebbe arrivare al 42 per cento mentre il sindaco di Firenze è accreditato di un 30 per cento.
Gli incerti sono molti: il 28 per cento.
Marcella Ciarnelli
(da “l’Unità “)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
ALLO STUDIO L’IDEA DI ACCORPARE REGIONALI E NAZIONALI IN CHIAVE ANTI-ASTENSIONISMO
E adesso la macchina del voto anticipato si rimette in moto.
I partiti sono tornati nel giro di poche ore in fibrillazione, i vertici istituzionali in allerta, calendari alla mano, domeniche “utili” cerchiate in rosso, tra fine febbraio e fine marzo, comunque prima del preventivato 7 aprile.
I giudici amministrativi aprono a sorpresa un nuovo spiraglio per l’accorpamento delle regionali con le elezioni politiche.
Se, col secondo grado sul caso Lazio, i loro colleghi del Consiglio di Stato dovessero confermare il vincolo per la Polverini – a fare quel che, a 45 giorni dalle dimissioni, si ostina a non voler fare – allora Palazzo Chigi e il Quirinale faranno scattare la stretta. È un count-down che a questo punto non coinvolge solo la giunta della Pisana e con essa quelle della Lombardia del disarcionato Formigoni e del Molise e poi ancora del Friuli – almeno lì per scadenza naturale in primavera – ma coinvolge lo scioglimento dello stesso Parlamento.
Tutto giocato in punta di diritto, ma con ricadute politiche pesanti, tutto giocato nell’arco di poche ore: le prossime.
Tanto il Colle quanto la presidenza del Consiglio sono contrari all’escalation elettorale.
L’ipotesi di indire il voto nel Lazio sotto Natale (entro il 90 giorni dalle dimissioni) non è presa seriamente in considerazione.
Si è parlato con insistenza, per Roma e Milano, dell’ultima domenica di gennaio, il 27. Ma per ragioni di “opportunità “, sia Napolitano che Monti non sembrano inclini a far scattare proprio da gennaio ad aprile una convocazione a tappe degli elettori.
Per almeno due motivi ritenuti imprescindibili e già portati a conoscenza delle segreteria dei tre partiti di maggioranza.
Il primo di natura finanziario, legato alla crisi: evitare che centinaia di milioni di euro vadano perduti in elezioni multiple.
Ma il timore avvertito soprattutto dal Quirinale è quello di alimentare la disaffezione di quei milioni di italiani che risultano già seriamente tentati dal disertare le urne.
Si moltiplicherebbe sulle politiche l’effetto dirompente dell’astensionismo.
Già la scorsa settimana, negli ultimi contatti intercorsi tra il presidente Napolitano e il premier Monti era stata presa in considerazione l’ipotesi election day e domenica 7 aprile, a quanto trapelato, era risultata la scadenza più probabile.
Anche alla luce delle festività a quel punto superate, la Pasqua cristiana del 31 marzo e quella ebraica del 28.
Ma quel timing è stato accantonato con la stessa rapidità con la quale era stato partorito.
Il Partito democratico non accetta per il Lazio un rinvio tanto prolungato del voto, teme di vedere attutito nel tempo l’effetto dello scandalo che ha sconquassato il Pdl in Regione costringendo la Polverini e la sua giunta a dimettersi.
Il pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale riapre la partita.
E anticipa i tempi. Ma bisognerà conciliare le “esigenze” di tutti.
Il presidente della Repubblica Napolitano resta fermo nel suo proposito di non essere king maker, quando si tratterà di insediare il futuro governo.
E poi ci sarebbe lo spettro che assedia Pd, Pdl e Udc.
E la loro, di esigenza: arginare il consenso crescente di Grillo e del suo M5s, lievitato ulteriormente in tutte le regioni dopo l’exploit siciliano.
Ed è così che in queste ore si è fatta sempre più concreta la prospettiva di anticipare le politiche e accorpare il voto nelle quattro regioni in ballo in una domenica di marzo. Quella che precede la Pasqua, il 24 marzo, è “indiziata” più di altre.
Non di solo Lazio, loro malgrado, decideranno i giudici del Consiglio di Stato.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
AVREBBE PRELEVATO 700.000 EURO IN DUE ANNI, DIROTTANDOLI SU DIECI CONTI PERSONALI… L’ARRESTO MOTIVATO DAL PERICOLO DI INQUINAMENTO DELLE PROVE
Vincenzo Maruccio, ex capogruppo dell’Italia dei valori in Regione Lazio, è stato arrestato dal nucleo nucleo di polizia Valutaria della Guardia di Finanza.
L’accusa è di peculato per essersi appropriato di circa 700mila euro di fondi destinati al partito.
L’ordine di custodia richiesto dal procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi e dal sostituto Stefano Pesci, è stato emesso dal gip Flavia Costantini.
L’arresto arriva in un momento molto difficile per il partito, segnato da scissioni e dalla discussione sulla questione morale che, in particolare dopo le accuse di Report, investe anche il fondatore — ed ex pm di Mani pulite — Antonio Di Pietro. Pochi giorni fa si è saputo dell’inchiesta che a Bergamo coinvolge Gabriele Cimadoro, parlamentare del partito e cognato di Di Pietro.
Maruccio — che dopo aver appreso di essere indagato si era dimesso dal partito e dal consiglio regionale — è il secondo capogruppo del Consiglio regionale del Lazio a finire in carcere, dopo quello del Pdl Franco Fiorito, anche lui accusato di uso privato dei fondi di partito.
Uno scandalo che ha determinato la caduta della giunta Polverini e il ritorno alle urne, in data ancora da stabilire e oggetto di polemiche tra l’ex governatrice e il ministero dell’Interno.
Salvatore Vincenzo Maruccio avrebbe sottratto i 700mila euro dai fondi pubblici messi a disposizione del gruppo consiliare Idv tra l’aprile del 2011 e il giugno del 2012.
Il denaro sarebbe stato prelevato da due conti correnti aperti dall’Idv sulle banche Cariparma e Credito Artigiano e poi trasferito, secondo l’accusa, dallo stesso Maruccio su dieci conti correnti di cui risulta titolare presso alcune banche. Sette di questi conti sono personali mentre altri tre in codelega.
L’ex capogruppo si è difeso spiegando di essere stato costretto ad anticipare soldi per sostenere le spese della politica quando il partito era in crisi di liquidità per i ritardi dell’amministrazione negli accrediti, e gli eventi incalzavano.
Una spiegazione che non ha convinto la procura e la Guardia di Finanza.
Il gip ha convalidato l’arresto ravvisando “il pericolo di inquinamento delle prove”.
Il provvedimento ha suscitato la protesta del legale di Maruccio, Luca Petrucci, che definisce l’arresto uno “strumento di pressione” sul suo assistito: “Vincenzo Maruccio si è dimesso, ha lasciato tutti gli incarichi, si è presentato spontaneamente agli inquirenti”, spiega il legale. “Ha offerto la massima collaborazione. Malgrado tutto ciò arrivano oggi gli arresti. La custodia cautelare dovrebbe essere l’extrema ratio, ma in questo modo appare come uno strumento di pressione sull’indagato”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
AVANZA IL PD, SI CONSOLIDANO I GRILLINI, CROLLANO PDL, LEGA E IDV, CRESCONO UDC E SEL
Pdl e Lega azzerati, Idv dimezzato e il M5S che diventa il secondo partito: questo è lo scenario politico della Liguria tratteggiato da un sondaggio Ipsos effettuato pochi giorni fa.
Vediamo i vari partiti nel dettaglio.
Centrosinistra
Il Pd dal 28,4% delle Regionali 2010 sale al 33,8%.
Sinistra e Libertà sale dal 2,4% al 5,9%
L’Idv scende dall’8,4% al 4,8%
Prc-Pdci scende dal 3,9% al 3,5%
Tra i partiti minori Radicali al 2,1%, Verdi all’ 1,7%, Psi all’ 1,4%
Centrodestra
Il Pdl scende dal 29,4% al 13,2%
La Lega scende dal 10,2% al 5,5%
La Destra sale dallo 0,4% alll’1%
Centro
L’Udc sale dal 3,9% al 5,%
Futuro e Libertà è al 2,5%
Altri
Il Movimento Cinque Stelle è al 18,1%
Sempre nello stesso sondaggio emerge che i problemi più sentiti e urgenti per i Liguri sono l’occupazione e il lavoro.
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
A COSA SERVONO LE PRIMARIE SE IL NUOVO PREMIER SARA’ POI SCELTO DAI PARTITI?
Primarie perchè? Se (vista la materia, questo se occorre sottolinearlo e ripeterlo) la riforma del Porcellum di cui si discute in questi giorni al Senato dovesse veramente vedere la luce, non si capisce a che pro bisognerebbe chiamare i cittadini a scegliere il loro candidato premier.
La nuova legge, infatti, produrrebbe un sistema simil-proporzionale che, alle condizioni date, non consentirebbe a nessuno di vincere.
Nemmeno a Pier Luigi Bersani, il cui partito risulta il primo in tutti i sondaggi.
Impossibile per il Pd raggiungere la soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza, anche mettendo in piedi un’alleanza ingestibile che vada dall’Udc ai comunisti italiani di Oliviero Diliberto.
Già può apparire un’anomalia la pratica delle primarie in un Paese dove non c’è l’elezione diretta nè del capo dello Stato nè del Presidente del Consiglio, ma utilizzare questo strumento quando si ha un sistema elettorale che non consente ai cittadini di scegliere governo e premier appare quanto meno paradossale.
Se con la nuova legge, qualsiasi sia l’esito delle elezioni, i partiti saranno costretti a una piccola o grande coalizione da costruire a tavolino dopo il voto, potrebbe sembrare una presa in giro degli elettori convocarli per le primarie.
Difficile dire, come pure fa qualcuno, sia a destra che a sinistra, che comunque con questo tipo di consultazioni si riavvicinano gli italiani alla politica.
Semmai è vero il contrario: il cittadino si sentirebbe turlupinato a essere chiamato a esprimere un voto inutile.
ppure, nel Pd come nel Pdl nessuno, o quasi, sembra nutrire dubbi di sorta.
Le primarie si hanno da fare, quale che sia la legge elettorale che verrà .
Il leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, che le vuole, sostiene che sono utili perchè il candidato premier dell’alleanza o del partito vincente sarà poi il presidente del Consiglio anche di un eventuale governo di coalizione.
Ma nessuno può assicurare che vada a finire veramente così e che le altre forze politiche si acconcino a fare da comprimarie del vincitore.
Il segretario del Pdl Angelino Alfano ne ha bisogno come il pane: le primarie gli servono per affrancarsi definitivamente da Silvio Berlusconi.
Questa è una valida ragione. Per lui, non per il cittadino elettore che aspirerebbe a poter decidere almeno il proprio candidato premier, visto che da qualche anno in qua, grazie all’attuale sistema elettorale, gli è stata negata la possibilità di scegliere chi mandare in Parlamento.
Non tutti hanno la libertà di Matteo Renzi, che, archiviando per un momento l’amato dialetto fiorentino e utilizzando il più efficace romanesco, afferma: «E allora “tenemose” il Porcellum».
Scherza, ma fino a un certo punto, il sindaco di Firenze.
Lui però non ha un partito da dirigere e può consentirsi il lusso di dire certe cose.
Gli altri possono solo pensarle.
Il vero rischio, comunque, è che si finisca per modificare la legge elettorale cambiando solo le norme che regolano il premio di maggioranza e lasciando invece le liste bloccate.
Per il povero cittadino elettore sarebbe una doppia beffa.
Potrebbe partecipare alle primarie per dare un voto – inutile – al candidato premier, ma non a quelle per scegliere chi mettere in lista, onde evitare di avere per l’ennesima volta un Parlamento di nominati.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
NEL NUOVO FORMAT SFIDANTI ALL’ATTACCO… IL SEGRETARIO PD EDUCATO MA NERVOSO
Atteso e annunciato come un grande evento della storia, e quindi forse con enfasi eccessiva, il confronto di ieri sera su Sky probabilmente non sarà determinante per scegliere il candidato premier del centrosinistra.
Ma difficilmente si potrà più tornare indietro da un modo di fare politica, o meglio propaganda politica, che ieri sera ha avuto una sorta di battesimo nel nostro Paese. Quanto sono sembrati già vecchi, al confronto della sfida all’Ok Corral di ieri, i confronti tra Prodi e Berlusconi da Vespa.
Su questo nuovo ring gli sfidanti più a loro agio sono sembrati i più giovani, Matteo Renzi e Nichi Vendola, anche se Vendola ha 54 anni.
Come cambierà il sistema fiscale? Come garantirà un posto di lavoro ai giovani?
Mi dica la sua visione del mondo in un minuto e mezzo; per quella dell’Europa invece ha solo sessanta secondi.
Mah, devono aver pensato Bersani e Tabacci, che vengono da altre scuole, Piazza del Gesù e Botteghe Oscure, riunioni notturne in nuvole di fumo, centralismo democratico e convergenze parallele.
Quando la politica era fatta di dettagli, di distinguo.
Difficile valutare i cinque sfidanti di ieri sera sui contenuti, quando i tempi di risposta erano più stretti che a «Chi vuol essere milionario».
Quanto interesse suscita un dibattito così fatto?
Scendendo dal ponte della metropolitana di Assago, avevamo avuto l’impressione che tanta aspettativa fosse motivata.
Una grande folla era infatti in coda.
Solo avvicinandoci abbiamo visto, sulla testa di alcune ragazzine, il berretto dedicato a Gigi D’Alessio, in concerto lì al Mediolanum Forum, a fianco del Teatro della Luna dov’era in programma il confronto sulle primarie.
Per il quale il vero pubblico, ovviamente, era a casa propria davanti alla tv.
I cinque sfidanti – anzi, «competitor» – si presentano sul palco alle 20,25, appena cinque minuti prima dell’inizio della diretta.
Matteo Renzi è in mezzo: il sorteggio gli ha assegnato il terzo posto nel giro di risposte.
Ha rinunciato alle maniche di camicia: meglio dare un segnale di rispetto che di diversità o, peggio, di giovanilismo (o, peggio ancora, di americanismo).
È in giacca e cravatta come tutti gli altri maschi; Laura Puppato ha un abito scuro. Renzi pare quello più a suo agio.
È anche il più alto, cosa che non guasta, specie se sei al centro.
È anche quello che prende più applausi, anche se i supporter in sala sono stati divisi con il bilancino.
Bersani sembra il più nervoso. Muove le gambe, cerca una posizione. Gianluca Semprini, il conduttore, sta seduto in fronte a loro.
Quando alle 20,30 scatta la diretta, Renzi si mette le mani in tasca.
La prima domanda è per Tabacci, vecchio democristiano cui non par vero di non poter cominciare con un preambolo. Poi c’è Laura Puppato, quindi ecco lui, Renzi, il più atteso.
Quando parte la domanda, allarga un po’ le gambe facendo pensare che le mani in tasca se le è messe per prendere i revolver.
D’altra parte tra tutti i duellanti il più duellante è lui.
È del Pd, ma gioca fuori casa. Ha il pregio di essere se stesso.
Se Tabacci aveva appena invocato la patrimoniale, lui attacca la burocrazia, «non pensiamo di aumentare le tasse», insomma dice cose che piacciono tanto a molti del centrodestra ma pochissimo alla maggioranza del suo partito.
Però tutti sono se stessi: lo è Vendola quando invoca Hollande e «più tasse per i ricchi», lo è Bersani quando accetta di essere il più lento nelle risposte, parla come ha sempre parlato, per qualcuno può sembrare un po’ il Ferrini di «Quelli della notte» ma è pulito, educato, finisce addirittura quasi sempre con qualche secondo di anticipo.
Sono tutti loro stessi anche quando si toccano i tasti più delicati, come il matrimonio gay.
Non si nasconde Vendola, che cita Oscar Wilde, e non c’è da stupirsi.
Ma sono coraggiosi anche Tabacci, Renzi e Bersani che non cercano l’applauso politically correct: non dicono di sì alle adozioni alle coppie gay e distinguono fra coppie di fatto e matrimonio.
Non è forse troppo lungo, questo confronto?
Non c’è contrasto fra le risposte lampo e la trasmissione fiume?
Perfino le pause per gli spot sono solo dei flash.
I «fantastici cinque» (copyright sito del Pd) hanno solo il tempo di andare dietro le quinte a bere un bicchier d’acqua e a farsi consigliere dai propri spin doctor.
Difficile restare compressi tanto a lungo.
I più carichi di energia, Renzi e Vendola, a volte non si trattengono.
Renzi qualche battuta sui vecchi (Tabacci e Bersani) che hanno fatto il loro tempo se la lascia scappare.
Vendola cede un po’ al vendolese («La precarietà è il buco nero in cui è precipitata un’intera generazione»; «La cultura berlusconiana per la quale tutto ha un prezzo e niente ha un valore») e cerca di sforare sui tempi.
Renzi gli dà una pacca affettuosa. Ieri sera hanno vinto loro due.
Ma Bersani sa che la partita si giocherà su un altro terreno, che gli è più congeniale.
Michele Brambilla
(da “La Stampa“)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO BERSANI APRE A CASINI… “IL MIO RIFERIMENTO E’ PAPA GIOVANNI”
A Vendola chiedono «Se non vince, chi voterebbe poi al ballottaggio? ».
E il leader “rosso” dice «no, non ce la faccio, è una domanda cattiva, siamo alla crudeltà », e non indica nessuno degli altri sfidanti, suscitando le risate di Renzi.
Il clima è tranquillo, non sono volati gli stracci ma neppure ha trionfato la noia, come qualcuno temeva.
Il conduttore Gianluca Semprini incalza, i candidati sforano tutti il tempo di ogni risposta che è di un minuto e 30 secondi.
La “csxfactor” – la sfida tv su Skytg24 nello studio di X Factor – di Bersani, Renzi, Tabacci, Puppato e Vendola è un successo, quantomeno su twitter.
Il piatto forte arriva alle fine quando dalle scaramucce e dalle ricette non lontane su fisco, anti evasione e lotta alla precarietà – si passa allo scontro.
È sul finanziamento ai partiti e poi sulle alleanze.
Bersani difende il patto con Casini, insieme a Tabacci.
Gli altri tre, a cominciare da Renzi, non ne voglio sapere
Il “rottamatore” sui soldi alle forze politiche cala l’asso, attaccando «chi pur avendo governato», non ha varato la norma contro il conflitto di interessi e «ha preso in giro gli italiani con una legge sul finanziamento pubblico ai partiti».
È un punto per il sindaco, che però di “rottamazione” questa volta non parla.
Bersani rimonta sulle ricette concrete.
Quando dice: «Mai più paradisi fiscali, perchè la ricchezza sa dove scappare … e poi in Italia serve una parola chiara, mai più condoni, mai più».
Serve piuttosto una patrimoniale per alleggerire l’Imu.
Via l’Imu sulla prima casa – anche per Vendola – e una tassa sui redditi del 75% «da un milione in su».
Subito Renzi rimbrotta: «La patrimoniale per chi ha più di un milione di euro va bene, ma in Italia sono solo 786».
La massima distanza è tra Vendola e Renzi e, in subordine, tra Vendola e Tabacci. Però le differenze tra i candidati si accorciano quando si parla delle riforme Fornero e di Marchionne.
I 5 sfidanti per la premiership del centrosinistra esprimono sostanzialmente 5 no. Certo, la riforma delle pensioni piace a Renzi.
Vendola va all’attacco sulla riforma del lavoro: «È uno sfregio alla civiltà ». Bersani condivide con Renzi il fatto che «bisogna scrostare, rinnovare la società » e aggiunge che comunque «la riforma Fornero non basta»
Puppato difende i giovani, altro che choosy o bamboccioni come «li definiva Brunetta».
Renzi la corregge: «Bamboccione l’ha detto Padoa-Schioppa».
Bersani replica: «Dammi un occhio e poi giudicami tra due anni perchè in 48 ore non si risolve la precarietà ».
Su Marchionne, il sindaco “rottamatore” fa autocritica: «Io che le avevo creduto…». «Io che non le avevo mai creduto», incalza Vendola.
E Bersani: «Caro ingegnere, lei sta parlando con qualcuno che non le beve, lei Marchionne è un po’ osè».
Tensione tra Renzi e Tabacci su alleanze, Monti-bis e costi della politica: Il “rottamatore” denuncia: «Rispetto Tabacci e la sua storia, che ora gli ha permesso di distribuire poltrone con Monti di qua, e Casini di là . Ma così si consegna il paese a Grillo».
Tabacci contro la demagogia di Renzi: «Un governo con dieci ministri non sta in piedi». Bersani bacchetta Renzi e Vendola sul no a Casini: «Non siate settari».
Sui diritti gay. Per Renzi ci vuole la civil partnership. Vendola non ricorre alla sua esperienza personale, però afferma che gli omosessuali non possono accontentarsi di spicchi di diritto: «Sì all’adozione per le coppie omosex».
Bersani media: «Tra massimalismo e minimalismo bisogna trovare la strada, sono per la legislazione tedesca, ma sull’adozione sono per un principio di precauzione ». Infine appelli e il pantheon. «Serve il cambiamento e un governo forte», per Bersani che cita papa Giovanni XXIII come suo punto di riferimento.
Mentre Vendola (la sua bussola è il Cardinal Martini) invita al riscatto dall’era berlusconianiana: «Io un acchiappanuvole per un’Italia migliore».
Renzi (Mandela il suo idolo) ironizza: «Sento dire se vince Renzi, finisce il centrosinistra, c’è chi crede alle profezie Maya e chi a D’Alema».
In conclusione? Soddisfatti.
Foto di gruppo e battuta di Renzi : «Io mi metto a sinistra di Vendola». Bersani twitta: «Bel confronto, siamo forti».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
SEGUONO VENDOLA CON IL 12%, TABACCI CON IL 5% E LA PUPPATO CON IL 4%
Sostanziale pareggio tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi nel dibattito tra i candidati alle primarie trasmesso da SKY.
Secondo il 33% dei telespettatori il più convincente è stato il segretario del Pd, seguito dal sindaco di Firenze al 31%.
Lo rileva un instant poll condotto dall’istituto Quorum in collaborazione con Repubblica. it.
Secondo il 12% degli intervistati, ha invece prevalso Vendola.
Solo il 5% ha indicato Bruno Tabacci e il 4% ha premiato Laura Puppato. Per il 15%, dal dibattito non è emerso nessun chiaro vincitore.
Il sondaggio è stato condotto online, con metodologia CAWI, su un campione statisticamente rappresentativo di 2.700 potenziali elettori delle primarie che hanno seguito il confronto di questa sera.
Bersani vince tra le donne (34% a 26% su Renzi), pareggio tra gli uomini (33% a 33%).
Tra gli under 35 successo del sindaco di Firenze, che stacca Bersani 38% a 23%, con Vendola al 17 per cento.
Opposto il risultato tra gli over 55, con Bersani al 51% contro il 20% di Renzi. Sono i dati dell’instant poll condotto dall’istituto Quorum in collaborazione con Repubblica. it su un campione di 2.700 potenziali elettori delle primarie che hanno seguito il confronto tra i candidati. Inoltre, ben il 26% del campione dice che potrebbe aver cambiato idea su chi votare alle primarie: tra questi elettori, Renzi è in lieve vantaggio su Bersani nelle intenzioni di voto, con 26% contro il 22, mentre in questo segmento gli indecisi sono quasi il 30 per cento.
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Novembre 13th, 2012 Riccardo Fucile
“NON PUO’ USARE NOME E MARCHIO DEL M5S PERCHE’ LA SUA ELEZIONE IN REGIONE PIEMONTE E’ STATA VIZIATA “DA UN ELEMENTO OSTATIVO”… AVEVA GIA’ RICOPERTO DUE CARICHE ELETTIVE: MA CHI NON SE N’E’ ACCORTO ALLORA NON DOVREBBE ESSERE RADIATO?
Fabrizio Biolè, eletto nel 2010 consigliere regionale in Piemonte per il Movimento 5 Stelle è stato diffidato da Beppe Grillo a utilizzare il “nome e il marchio del M5S” .
Il 6 novembre infatti ha ricevuto la comunicazione ufficiale, con una lettera dello studio legale Squassi e Montefusco, che cura gli interessi del co-fondatore del Movimento a 5 Stelle.
L’avvocato di Grillo ha spiegato che l’elezione di Biolè è stata “viziata da un elemento ostativo”, ossia l’aver rivestito in due precedenti occasioni cariche elettive. Nella raccomandata si ricorda che tale circostanza avrebbe dovuto già all’epoca impedire che il consigliere fosse inserito nelle liste elettorali per i 5 stelle. Ciononostante, visto che la regola venne derogata all’epoca, l’avvocato ha ricordato a Biolè che la circostanza “non consente allo stesso modo oggi, la sua prosecuzione della sua attività politica diretta sotto l’egida del Movimento stesso”.
Naturalmente l’elezione del consigliere è del tutto legittima, essendo stato votato dai cittadini piemontesi, quindi solo lui potrebbe decidere di dimettersi, come l’avvocato di Grillo gli ha ricordato.
Per il prossimo futuro, quindi, Biolè dovrà astenersi “dal qualificare la sua azione politica come riferibile al Movimento stesso o più in generale, come ispirata dalla persona” di Beppe Grillo.
La lettera dell’avvocato Montefusco è stata postata oggi dallo stesso consigliere sulla sua pagina personale di Facebook ‘messa a lutto’, con l’immagine del profilo trasformata in un quadrato nero.
L’unico commento che accompagna la missiva sono tre puntini di sospensione, mentre in molti fra i suoi sostenitori stanno lasciando commenti di solidarietà a Biolè e di stupore.
La vicenda infatti non è nuova, a suo tempo era stata al centro di aspre discussioni all’interno del forum dei 5 stelle piemontesi che avevano deciso di derogare la regola dei due mandati.
Lo strappo al regolamento era stato deciso in quanto non era stato possibile trovare altre persone che si volessero candidare per i 5 stelle da Cuneo, città natale di Biolè.
Per quanto riguarda il suo prossimo futuro politico Bioè ha spiegato di “non aver preso ancora nessuna decisione”.
Il consigliere si è detto amareggiato anche perchè “la circostanza oltre che essere nota agli ‘interni’ era stata segnalata prima di fare le liste nel 2009, prima quindi di candidarmi”.
La lista con la quale Biolè si presentò venne infatti certificata dal blog e lo stesso consigliere, nell’atto di accettazione della candidatura, ribadì di aver ricoperto 2 cariche elettive.
Durante l’estate scorsa Biolè ha detto di essersi sentito con Grillo e Casaleggio a riguardo: “Mi avevano detto che la cosa era stata non ricordata, forse una svista. Vorrei sapere da Beppe Grillo — ha continuato il consigliere regionale — come mai, a distanza di 2 anni, abbia sollevato il caso”.
All’epoca infatti, ha concluso Biolè, “da Grillo e Casaleggio non arrivarono commenti, anche se già allora qualcuno aveva segnalato la problematica”.
Sull’argomento è intervenuto, sulla pagina Facebook di Biolè, anche il capogruppo Davide Bono: “Biolè è stato contattato in tempi non sospetti (da Grillo e Casaleggio, ndr), ad agosto 2012”.
Biolè, Campo e Scabbia hanno, secondo Bono “optato per il ‘non possumus’ e la resistenza ad oltranza e poi Fabrizio ha contattato me dicendomi che aveva bisogno di due settimane (che sono diventati due mesi). Grillo e Casaleggio han chiamato Fabrizio più e più volte per trovare una quadra, una soluzione senza strappi, visto che, avendo diffidato il consigliere circoscrizionale di Bologna, non potevano fare ‘deroghe’ per il Piemonte”.
Il capogruppo del M5s ha spiegato che al suo collega era “stata data la deadline di ‘dopo le elezioni siciliane’ e così è stato”.
Bono quindi ha chiesto e consigliato a Biolè “di dimettersi e lasciare il posto al primo dei non eletti, assicurandogli al contempo di poter continuare a lavorare per e sostenere l’M5S”.
Nicolò Sapellani
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Grillo | Commenta »