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CHI L’HA VISTO? RENZI ASSENTEISTA E FIRENZE PERDE 36 MILIONI DI FONDI

Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile

IL SINDACO E’ IL MENO PRESENTE TRA I COLLEGHI DELLE GRANDI CITTA’, NON RISPETTA I TEMPI UE E “BUTTA” I SOLDI PER LA TRAMVIA… RENZI VA SEMPRE IN TV MA NON IN CONSIGLIO

Un comportamento indecoroso”. Tommaso Grassi, consigliere dell’opposizione di sinistra alla giunta Renzi, bolla così un dato statistico che inchioda il sindaco di Firenze: è il meno presente in Consiglio comunale tra i sindaci delle grandi città  italiane.
Soprattutto se, accanto a questo dato, si leggono anche fallimenti importanti, come i 36,6 milioni di euro di fondi europei persi, a causa di ritardi nei lavori, per il completamento della tramvia.
Il sindaco Matteo Renzi, proiettato a giorni alterni alla guida del Partito democratico e a Palazzo Chigi, nel 2012 ha partecipato a 8 sedute su 45 del Consiglio comunale. Dall’inizio del 2013 a oggi è comparso nello scranno del primo cittadino nel Salone de’ Dugento sette volte su 17.
Per capire se sono medie normali per un sindaco, sufficienti al rispetto dovuto alle istituzioni democratiche, basta fare un giro nelle altre grandi città  italiane.
Nel 2013 solo Gianni Alemanno, appena bocciato dai romani, aveva fatto peggio: 7 su 30.
Marco Doria a Genova ha preso parte a 25 Consigli su 27 nel 2012 e quest’anno non ha mai mancato l’appuntamento: già  18 all’attivo.
Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia viaggia a quote altissime: 66 su 86 nel 2012 e 17 su 22 in questo primo semestre 2013.
Anche Piero Fassino a Torino non fa mancare quasi mai la sua presenza: 47 su 56 nel 2012 e 18 su 20 nel 2013.
Luigi De Magistris a Napoli si è assentato dai lavori consiliari soltanto due volte dal gennaio 2012 a oggi, toccando quota 49 su 51.
Tra un’ospitata televisiva e l’altra è molto difficile riuscire a fare il sindaco di Firenze, “il mestiere più bello del mondo”, come amava definire lo stesso Renzi il suo incarico.
E quante volte durante le primarie di novembre lo stesso Renzi ha incalzato: “Bisogna usare meglio i fondi europei”.
Peccato che è di questi giorni la notizia che proprio Firenze rinuncerà  a 36,6 milioni.
“Il sindaco fallisce — afferma la consigliera comunale, Ornella De Zordo — in una delle sue promesse più vendute”.
Cioè la costruzione delle linee 2 e 3 della tramvia, la metro di superficie che oggi con una sola linea collega la città  a Scandicci.
Bruxelles aveva fissato delle scadenze precise: tutto pronto entro il 2015 o niente soldi. Palazzo Vecchio dà  la colpa alla crisi che fa fallire le imprese.
Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, va su tutte le furie e tenta di metterci una pezza con una nota ufficiale: “Proveremo a convincere l’Unione europea a considerare una rimodulazione di quei fondi”, in vista della riunione del prossimo 20 giugno a Bruxelles, perchè “continuiamo a pensare che quell’opera sia strategica per il capoluogo di questa regione, non realizzarla rappresenterebbe un fallimento di tutti i nostri piani sulla mobilità ”.
E tra Rossi e Renzi i rapporti, tramvia a parte, sono ai minimi termini rispetto alle scelte amministrative e ai partner per realizzarle.
Infatti, Rossi ha appena risposto con un secco “no” alle tentazioni toscane di Flavio Briatore: l’idea era quella di costruire un super mega ultra campo da golf a Bibbona. “Briatore propone campi da golf da tutte le parti, ma l’ultima struttura discussa in Toscana era da 77 ettari, non si può fare così”: bocciato da Enrico Rossi, il berlusconiano Briatore potrebbe tornare comodo proprio al boy scout di Rignano sull’Arno, di cui è da sempre grande fan: “Se si candidasse premier lo voterei al 100 per cento”.
Infatti lo stesso Renzi, che soltanto pochi giorni fa ha pranzato a Firenze con Briatore, ha inserito nel suo piano di rilancio del Parco delle Cascine, il cuore verde al centro della città , proprio un campo da golf. Il progetto è inserito in un masterplan che dovrebbe essere concretizzato entro il 2015.
Intanto, il sindaco annuncia su Facebook: “Messaggio per i fiorentini. Domani faremo l’ultima giunta programmatica della legislatura: metteremo giù l’elenco delle priorità  per chiudere cinque anni di lavoro bello e intenso. In nottata faremo un giro anche a controllare i tanti cantieri stradali su cui lavoriamo di notte per non intralciare il traffico come da impegno pre-elettorale. Segnalatemi, se vi va, le vostre priorità  e le vostre proposte sull’ultimo anno di azione amministrativa. E già  che ci siete dateci un consiglio su dove mettere gli ultimi cinque fontanelli dell’acqua naturale e gassata di Publiacqua”.

Giampiero Calapà  e Sara Frangini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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BERSANI: “MATTEO LEADER? COSI’ SI ISCRIVE BRIATORE”

Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile

L’EX SEGRETARIO CERCA DI SBARRARE LA STRADA A RENZI: “PER ME IL PARTITO E’ UNA COOPERATIVA NON UNA SOCIETA’ PER AZIONI”

Non va per il sottile, Pier Luigi Bersani.
In piedi, nel Transatlantico di Montecitorio, l’ex leader del Pd non usa accorgimenti diplomatici: «Che cosa vuole fare Renzi? Il premier? Quello lo abbiamo già  ed è Enrico Letta. Allora vuole fare il segretario? E che cosa pensa di fare: di iscrivere Briatore e gente così?».
Bersani ha il dente avvelenato contro Renzi.
Lui non ne fa una questione personale, almeno così dice, però è fermamente determinato a contrastare i piani del sindaco.
È per questo che ha riunito tutti gli ex Ds (ma le defezioni sono state molte): «Io sono contrario al partito del leader e a chi vuole fare un partito personale. Le forze di questo tipo stanno declinando, basti pensare al Pdl di Berlusconi o al Movimento 5 Stelle di Grillo, e dovremmo essere noi del Pd a fare un partito del genere?».
Che cosa vuole, quindi, l’ex segretario? Intende ancora giocare un ruolo di primo piano nel Partito democratico?
«Io non voglio niente per me, io voglio essere solo il federatore di quelli che sono contro il progetto di un partito personalistico. Io sono un emiliano: per me il partito è una cooperativa, non una spa».
Dunque, Bersani punta a sbarrare il passo al sindaco rottamatore.
Il suo piano è questo ed è scritto nero su bianco sul documento stilato dai suoi sostenitori: i segretari locali del Pd verranno scelti prima del leader nazionale e solo dagli iscritti, non più dagli elettori, mentre il partito si trasformerà  in un partito federato.
Tradotto dal politichese all’italiano: Renzi si troverebbe ingabbiato, con un apparato già  preconfezionato dalla precedente gestione e quindi fedele alla vecchia maggioranza interna e un gruppo parlamentare che ricalca equilibri interni del passato.
Un modo per dissuadere il sindaco dall’idea di scendere in campo.
«Hanno paura e vogliono fregarmi», ha spiegato Renzi ai suoi.
Però sulla strada imboccata, il Bersani federatore «anti-renziano» sta trovando più di un ostacolo e il suo schieramento rischia di sfaldarsi.
Tanto per cominciare, il documento non è firmato perchè quelli che lo avrebbero sottoscritto non erano tantissimi e mediaticamente sarebbe stato un boomerang.
E poi nella vecchia maggioranza si stanno aprendo nuove crepe.
Dario Franceschini, per esempio, sta cominciando a prendere le distanze.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, che ieri ha riunito i suoi, è stato chiaro: «Ci vuole un leader nuovo e ci vuole una politica nuova». Insomma, ha aperto a Renzi.
I franceschiniani non hanno partecipato alla riunione di Bersani.
Il perchè lo ha spiegato in modo più che tagliente Gianclaudio Bressa: «Quella è un’assemblea di comunisti».
E in effetti erano invitati solo gli ex Ds. Però nemmeno tra di loro l’iniziativa è andata alla grande. Quaranta parlamentari bersaniani hanno sottoscritto una lettera per criticare le pratiche correntizie del loro ex leader e per prendere le distanze da lui.
Alcuni di loro sperano in Nicola Zingaretti, altri, come Alessandra Moretti, stanno veleggiando verso i lidi renziani.
Dalemiani e «giovani turchi» hanno mandato una mini-delegazione alla riunione, giusto per non rompere i rapporti con l’ex segretario.
Ma ciò che pensa di Bersani, Massimo D’Alema non è un mistero per nessuno.
E anche Matteo Orfini (che non è andato alla riunione) non ha troppi peli sulla lingua quando parla dell’iniziativa dell’ex leader e dei suoi sostenitori: «Mi sembrano come quelli che stavano sul Titanic, ma non prima dello scontro con l’iceberg, dopo…».
Bersani però non demorde.
Tanto che c’è chi pensa che l’ultima mossa potrebbe essere quella di rinviare il congresso.
Del resto Guglielmo Epifani una data ancora non l’ha detta.
Nemmeno nell’ultima segreteria, quando c’era chi gliela sollecitava…

Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera”)

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“DECRETO DEL FARE” TRUCCATO: C’È UN ARTICOLO SALVA-ILVA

Giugno 14th, 2013 Riccardo Fucile

LA BOZZA DELLA LEGGE PREVEDE L’ALLENTAMENTO DEI VINCOLI SULLE BONIFICHE, MA ANCHE PER AUTORIZZAZIONI E RIFIUTI

In Italia la burocrazia è soffocante, lo dicono tutti, quindi bisogna semplificare.
Roberto Calderoli bruciava le leggi, come si ricorderà , Corrado Passera sfornava un ddl a semestre, ora pure Enrico Letta sta preparando per il Consiglio dei ministri di questa settimana il suo testo per rendere più facile la vita a cittadini e imprese.
Soprattutto ad una, per la verità , che sta a Taranto.
D’altronde il nostro corpus giuridico è così vasto che era facilmente prevedibile: uno fa una legge ad aziendam e scopre che gliene serve un’altra e un’altra ancora e un’altra ancora.
L’obiettivo è sempre lo stesso: tenere aperti gli impianti mentre si realizza — o quando e se — la messa in sicurezza ambientale.
Sterilizzato il sequestro della fabbrica, sterilizzato quello dei prodotti e infine quello dei soldi, ora serve che la faccenda non si ripeta durante il commissariamento: quindi si procede — almeno nella bozza di ddl di cui Il Fatto quotidiano è in possesso — a qualche bella modifica al Codice ambientale, che era finora rimasto intonso.
All’articolo 240, per dire, si legge che la “messa in sicurezza permanente” è “degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente”.
Ci sarebbe un punto, ma la bozza invece aggiunge una virgola e dopo una frase che cambia di senso all’intero periodo: “qualora si dimostri che, nonostante l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili e a ridotto impatto ambientale, non sia possibile la rimozione delle fonti”. Se proprio non si può fare, insomma, facciamo quel che si può.
Stabilito il principio, si passa alla fase operativa emendando l’articolo 242: si dà  un’accelerata alla presentazione dei progetti per le bonifiche e alla fase realizzativa, in un comma in cui si parla di “siti contaminati con attività  in esercizio” si espunge il passaggio in cui si fa riferimento alla “cessazione delle attività ” (non sia mai) e infine — siccome la bonifica non si sa quando comincia, ma l’acciaio serve subito — viene inventato pure un comma 13 bis: “Nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria, nonchè quelli richiesti dalla necessità  di adeguamento a norme di sicurezza e, più in generale, tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili all’operatività  degli impianti produttivi e allo sviluppo della produzione”.
Il neocommissario, già  ad, Enrico Bondi non si può davvero lamentare.
Queste, purtroppo, non sono le uniche semplificazioni di questo ddl che — se approvate — finirebbero per indebolire la tutela dell’ambiente.
Ad esempio, c’è la sostanziale estromissione delle Soprintendenze sul controllo dei beni sottoposti a vincolo paesistico: la concessione a privati sarà  stabilita dal ministero e anche per il rilascio del parere sulle eventuali modifiche — che già  il governo Berlusconi aveva reso “non vincolante” — vengono dimezzati i tempi (da 90 a 45 giorni) lasciando campo libero alle regioni.
E ancora: la bozza estende la cosiddetta Scia (segnalazione certificata di inizio attività ) — una procedura più snella della Dichiarazione di inizio attività  — anche a interventi di ristrutturazione edilizia abbastanza pesanti, compresi quelli in cui si butta giù un immobile danneggiato per realizzarne uno diverso.
Oltre a tagliare sostanziosamente i tempi per le varie forme di valutazione di impatto ambientale, infine, questa bozza di ddl provvede pure a sottoporre le cosiddette “acque emunte” — all’ingrosso le falde inquinate — al regime degli scarichi industriali anzichè a quello più rigido sui rifiuti.
“A quel che ho potuto vedere — dice Angelo Bonelli, leader dei Verdi — si tratta della solita deregulation che legge ideologica-mente la tutela ambientale come un freno allo sviluppo, un’impostazione che non esiste più in nessun altro paese d’Europa. Diciamo così: in questo e nei continui riferimenti alla ‘sostenibilità  economica’, vedo la mano dell’ex ministro Clini (oggi tornato direttore generale del ministero dell’Ambiente, ndr)”.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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