Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
L’ALLARME DELLA CGIA DI MESTRE: “SUGLI ITALIANI UNA VERA E PROPRIA STANGATA”… INTANTO LO SPREAD SALE
Se la settimana prossima il premier Letta dovesse essere costretto a rassegnare le dimissioni nel 2014 gli italiani potrebbero subire una vera e propria stangata.
Lo afferma in una nota il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che sottolinea che tra il ritorno dell’Imu sulla prima casa e l’aumento dell’Iva che scatterebbe dal primo gennaio, si troverebbero a pagare 9,4 miliardi di euro in più.
Di questi, 7,2 miliardi sarebbero in capo alle famiglie e l’aggravio medio annuo per ciascun nucleo si aggirerebbe attorno ai 280 euro.
Secondo la Cgia potrebbero essere questi gli effetti fiscali sulle tasche degli italiani a seguito dell’eventuale caduta del Governo Letta.
“Dando per scontato che domani la presidenza del Cdm approverà una misura che sposterà l’aumento dell’Iva a partire dal primo gennaio – sottolinea Bortolussi – nel 2014 potremmo ritrovarci a pagare l’Imu sulla prima casa e a subire l’aumento dell’Iva dal 21% al 22%”.
Ipotizzando la caduta del Governo nelle prossime settimane, ecco cosa potrebbe succedere nel 2014 per gli artigiani mestrini.
L’onere in capo alle famiglie per l’Imu sulla prima casa sarebbe pari a 4,42 miliardi di euro.
Gli altri 767 milioni, che porterebbero le entrate totali a 5,18 miliardi di euro, arriverebbero dalla reintroduzione dell’imposta sulle abitazioni principali assegnate dagli Iacp, sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali strumentali e sulle abitazioni delle cooperative a proprietà indivisa. Inoltre, rispetto al 2012, i proprietari di prima casa subirebbero un ulteriore aggravio, pari a 400 milioni, a seguito dell’eliminazione della possibilità di detrarre 50 euro per ogni figlio residente.
L’aumento di un punto percentuale dell’aliquota ordinaria costerebbe 4,2 miliardi di euro all’anno.
Secondo le stime della Cgia, il gettito a carico delle famiglie dovrebbe attestarsi attorno ai 2,8 miliardi di euro.
L’altro 1,4 miliardi di euro verrebbe attribuito agli Enti non commerciali, alla Pubblica Amministrazione e alle imprese (nei casi dove non sussiste la deducibilità dell’imposta).
Intanto l’instabilità politica del Paese fa volare lo spread. Sale sopra quello spagnolo il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi.
Lo spread Btp-Bund è salito a 253 punti, 3 in più rispetto alla chiusura di ieri, mentre quello Bonos-Bund si attesta a 252 punti (+2 punti).
Raffaello Masci
(da “La Stampa”)
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Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
I FEDELISSIMI PAVENTANO DA GIORNI LE MANETTE, IL CAVALIERE SCALCIA: “LA SINISTRA SARà€ CONTENTA, ANDRà’ IN GALERA”
Le Olgettine sono state il suo scudo protettivo, ma ora sono il pericolo più grosso. Silvio Berlusconi nel processo Ruby è stato difeso a spada tratta dalle ragazze delle notti di Arcore (prima dell’avvento di Francesca Pascale e Dudù).
Ora però queste si stanno trasformando nella trappola che potrebbe addirittura portare al suo arresto: almeno secondo quello che scrivono i suoi giornali, che da giorni lanciano l’allarme, rimbalzando le preoccupazioni che attribuiscono direttamente al capo.
“È convinto che la Procura di Milano abbia già nel cassetto un mandato di arresto per il processo Ruby”, scrive il Giornale domenica 22 settembre.
Gli fa eco il Foglio, che mercoledì 25 scrive del “non lontano spettro d’un provvedimento restrittivo che, sussurrano i suoi avvocati, potrebbe arrivare dalla Procura di Milano, e ancor prima che la Giunta per le elezioni sia chiamata a votare la sua espulsione dal Senato”.
Bis del Foglio il giorno successivo, con un titolo in prima pagina: “Aria di arresto per Berlusconi”.
A sentire direttamente l’avvocato Niccolò Ghedini, le cose non stanno così: “Intanto noi non sussurriamo: parlo per me, per il mio collega Piero Longo e per il professor Franco Coppi. Per il resto non so: sa, di avvocati il presidente ne ha tanti…”.
Certo, la Procura di Milano si è molto occupata di Berlusconi e sta continuando a occuparsene.
Le vicende ancora aperte si chiamano Ruby 3, ma anche Mediatrade.
Questo è il nome che è stato dato al processo sulla compravendita a prezzi gonfiati dei diritti tv che prosegue, per gli anni successivi al 2003, il processo Mediaset, nel quale è già arrivata la prima condanna definitiva per frode fiscale.
Processo noiosetto, quello Mediatrade, da cui Berlusconi è uscito prosciolto già in udienza preliminare.
Ora sono arrivati, dopo sette anni di paziente attesa, i documenti provenienti da Hong Kong, le carte della rogatoria che l’ex senatore Sergio De Gregorio dice di aver a lungo bloccato, per fare un favore al capo, che ci avrebbe messo del suo incontrando l’ambasciatore cinese a Roma.
Quando le migliaia di pagine di quei documenti saranno lette e analizzate, potranno al massimo portare a riconsiderare la posizione di Berlusconi, che — in astratto — potrebbe rientrare come imputato nel processo.
Ma da qui a un arresto la strada è lunga.
Anche fosse poi provato che l’ex presidente del Consiglio si è dato da fare, insieme a De Gregorio, per bloccare la rogatoria e inquinare le indagini, sarebbe difficile convincere un giudice che esistono oggi esigenze di custodia cautelare per una vicenda che si è svolta nel 2006-2007.
In ogni caso, Milano sta procedendo per il reato di frode fiscale. Per eventuali corruzioni o interventi illegittimi sulle indagini all’estero sarebbe competente la procura di Roma.
Più delicato il capitolo Ruby.
Il processo di primo grado si è concluso con la condanna a sette anni per Berlusconi, ritenuto colpevole di concussione e prostituzione minorile.
Ma insieme alla condanna, le tre giudici hanno chiesto alla procura di procedere (ecco il Ruby 3) a carico di una lunga serie di testimoni che avrebbero detto il falso.
Tra questi, molte ragazze (Eleonora e Concetta De Vivo, Marysthell Polanco, Raissa Skorkina, Roberta Bonasia, Michelle Coincecao, Barbara Faggioli, Lisney Barizonte, Joana Visan, Cinzia Molena, Marianna Ferrara, Manuela Ferrara, Miriam Loddo, Joana Arminghioali, Francesca Cipriani).
Sono venute in aula a dire sotto giuramento che le feste di Arcore erano solo cene eleganti.
Ma hanno anche ammesso di aver ricevuto regali, auto, case e una paghetta di 2.500 euro al mese che continuano a incassare ancora adesso.
Un imputato che paga i testimoni viene di norma messo a sua volta sotto indagine: ecco dunque dove potrebbe scattare una nuova imputazione per Berlusconi.
E, in astratto, addirittura un provvedimento di custodia cautelare: per il rischio d’inquinamento delle prove (e che cosa inquina più di un imputato che spinge i testimoni a mentire?); e per il pericolo di reiterazione del reato (i pagamenti alle ragazze continuano).
Da qui nascono le preoccupazioni di Berlusconi. “Mi arresteranno , la sinistra vuole che vada in galera”, riportava ieri il Corriere della Sera.
In realtà il Pd sembra più preoccupato per la tenuta del governo.
Quanto ai magistrati, il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha più volte dimostrato di considerare la custodia cautelare in carcere come l’ultima delle strade da percorrere, dopo che siano esaurite tutte le alternative.
Nel caso che ha coinvolto il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che avrebbe dovuto essere arrestato ed entrare in cella dopo un’ennesima condanna per diffamazione, Bruti non ha esitato a mettersi contro gran parte dei suoi sostituti e l’intera sezione della procura che si occupa di esecuzione della pena: ha imposto una nuova interpretazione delle norme, con gli arresti domiciliari anche per chi (come Sallusti) non li aveva richiesti.
Difficile che questa linea della procura di Milano sia ribaltata per un imputato-condannato rilevante e politicamente delicato come Berlusconi.
Ma quello che a lui serve, in queste settimane, è tenere alto il livello di adrenalina nel dibattito politico, per tentare di non essere escluso dal Senato.
Perchè arrestato forse no, ma, una volta perso lo scudo parlamentare, potrà essere interrogato, perquisito, intercettato…
Troppo rischioso, per chi già oggi è coinvolto in molte indagini e domani chissà .
E se poi qualche Olgettina dovesse tradire?
Gianni Barbacetto
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Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
MA SE SALTA LA MAGGIORANZA L’OBIETTIVO SARA’ LA RIFORMA ELETTORALE
«La crisi economica è un grave problema per l’Italia, ma rispetto a Berlusconi…». La frase che scappa all’ex segretario di Stato Henry Kissinger uscendo dal Brook, l’esclusivo club di Park Avenue dove in mattinata ha incontrato Letta, rende bene l’umore con il quale il premier attraversa le strade di New York.
«Il presidente è furibondo», raccontano da due giorni dalla delegazione italiana.
Da quando il Pdl ha fatto esplodere la bomba delle dimissioni di massa.
«Andiamo a vedere se bluffano o se fanno sul serio — era il leitmotiv nelle conversazioni telefoniche tra Letta e i suoi fedelissimi a Roma — e in caso vediamo se tutti i parlamentari del Pdl reggono le dimissioni».
Una visita funestata dall’irresponsabilità del Pdl è quanto resta nelle tasche del premier dopo cinque giorni impegnato a rilanciare l’immagine dell’Italia per attrarre preziosi capitali stranieri tra Toronto, Ottawa e New York.
Basta pensare che mercoledì il caso Berlusconi è nuovamente deflagrato quando il premier aveva appena finito di parlare agli investitori di Wall Street e stava per intervenire all’Assemblea generale dell’Onu.
«Hanno umiliato l’Italia», va ripetendo Letta pensando alle rassicurazioni, alle prospettive di stabilità e di crescita che aveva dispensato a gente del calibro di Carlos Slim e George Soros.
E invece la domanda che alla fine si è sentito ripetere più frequentemente non era sulle potenzialità dell’Italia, ma su quanto Berlusconi sia ancora in grado di portarla a fondo.
I fotogrammi da mettere a confronto sono quelli che ritraggono il premier nei primi giorni del viaggio, disteso e soddisfatto dell’operazione di rilancio dell’Italia, e quelle degli ultimi due, quando usciva dai suoi appuntamenti e saliva in auto costantemente con il telefono attaccato all’orecchio.
Anche ieri le telefonate con Napolitano, Alfano e Franceschini rimasto a presidiare Palazzo Chigi che a un certo punto, per cercare di tirar su l’umore della truppa lettiana, si lascia andare in una battuta: «Ah, Enrico è con Kissinger e non mi può parlare? Allora ditegli che visto che sono qui tutto solo adesso il golpe di cui ci accusa Berlusconi lo faccio davvero».
Battute a parte, è un susseguirsi di telefonate ed sms tra il discorso agli studenti della Columbia Uneversity e la fondamentale bilaterale con Rohani, il lancio dell’Expo e l’incontro con il candidato sindaco di New York Bill de Blasio.
È così che prende forma la strategia del premier.
Quella di «andare a vedere il bluff».
Il piano che inizia a circolare tra Roma e Manhattan prevede tre tempi.
Primo, chiedere la fiducia in Parlamento su una linea programmatica che consenta al governo di navigare fino al 2015. «Se tutto il Pdl e tutto il Pd la votano abbiamo fatto bingo», ragionava ieri sera un parlamentare lettiano in costante contatto con il premier.
L’analisi è che alla fine il Pdl cederà e voterà la fiducia, ma non si può mai essere certi.
Per questo c’è un “piano B”, del quale velatamente si discute. La scommessa è quella che sulla fiducia il Pdl si spacchi, con una pattuglia di fuorusciti che formi un gruppo autonomo, embrione del futuro Ppe italiano, in grado di tenere in piedi il governo anche al Senato.
Al progetto pensano un paio di ministri moderati, si parla anche di Quagliariello, Casini e Monti aiutati dal titolare della Difesa Mario Mauro.
Per questo la priorità nelle ore che precederanno il voto di fiducia «non sarà quella di reclutare singoli senatori berlusconiani — spiega chi è al lavoro nella ridotta di Palazzo Madama — ma costruire un progetto politico che consenta il deflusso dei moderati dal Pdl»
Un piano però difficile da realizzare in tempi brevi.
Ed ecco la terza opzione che circola tra i fedelissimi di Letta.
Se il Pdl dovesse restare compatto e non votare la fiducia, scatterebbe l’ultima offensiva targata Qurinale-Chigi, quella sulla legge elettorale.
Chi parla con Letta la spiega così: «A quel punto Napolitano ci chiederà di correggere il Porcellum e nessuno potrebbe tirarsi indietro visto lo scarso credito che gode presso gli elettori. A quel punto faremmo un decreto, consentito dall’incostituzionalità della legge, inserendo le preferenze e togliendo la soglia per il premio di maggioranza».
A quel punto, è la speranza dei governisti, chi nel Pdl raccoglie le preferenze sul territorio potrebbe sentirsi più garantito per la rielezione e salutare Berlusconi.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
SE FA CADERE IL GOVERNO, GLI ITALIANI PAGHERANNO IMU, ICI E LE CONSEGUENZE DI UNO SPREAD ALLE STELLE
«Io non decadrò da senatore per mano loro, non ce la faranno». Berlusconi l’ha promesso a se stesso prima di schierare le sue truppe per la battaglia finale.
E farà tutto quanto in suo potere per evitare il voto dell’aula del Senato sulla decadenza, fino all’ipotesi estrema di far saltare la legislatura.
Perchè ormai il dado è tratto e i falchi hanno preso il sopravvento.
Per questo, se anche il premier riuscisse ad anticipare il «chiarimento» in Parlamento prima del 4 ottobre e della riunione della giunta delle elezioni, Forza Italia comunque gli voterebbe contro. Sfiducia.
«I nodi vengono al pettine – osserva Daniele Capezzone – e del resto a me è sempre sembrato miope il tentativo di Letta, capo politico di una maggioranza politica, di tenere separate le questioni del governo da quelle di Berlusconi ».
Guglielmo Epifani, parlando con il premier al telefono, gli ha consigliato di giocare in velocità con la verifica, provando a mettere il Pdl con le spalle al muro prima del voto sulla decadenza. Ma anche questo escamotage è destinato a fallire di fronte al grumo di furore e irrazionalità che da Berlusconi in giù ha contagiato tutto il gruppo dirigente.
Dunque — se Berlusconi non cambierà idea come gli è capitato spesso in questo periodo — sarà crisi di governo, il treno è già lanciato ad altissima velocità e non c’è più nessuno a fermarlo. Anche perchè le condizioni che il Cavaliere pone restano inaccettabili per il Pd.
Nelle prossime ore, oggi stesso, Berlusconi si aspetta risposte chiare e inequivocabili sulla richiesta di rinvio della legge Severino alla Corte costituzionale.
È l’unica cosa che le colombe sono riuscite a strappare.
«Napolitano è il mandante, mi vuole in galera. Se riuscite a convincerlo a fermare la macchina della decadenza benissimo, ma gli ho dato settimane di tempo e non è successo nulla».
Nelle riunioni fiume a palazzo Grazioli Berlusconi usa ormai toni sprezzanti nei confronti del capo dello Stato. Soprattutto lo accusa di non aver mantenuto quelle fantomatiche promesse che gli sarebbero state fatte al momento della formazione del governo.
Promesse di intervenire sulla Cassazione, anzitutto, per impedire che il processo Mediaset fosse assegnato alla sezione feriale ma restasse «al mio giudice naturale, la terza sezione».
Che evidentemente Berlusconi supponeva più favorevole. Promesse di fermare le altre procure al lavoro, da Napoli a Bari.
Ci sarebbe in effetti un’ultima strada per evitare la catastrofe.
E lo stesso Angelino Alfano l’ha suggerita ieri a Letta. Quella di un decreto del governo che interpreti in maniera non retroattiva le norme del decreto Severino.
Ma è un sentiero strettissimo e avrebbe bisogno di tutt’altro clima politico per essere percorso.
Per questo anche i più moderati nel centrodestra ieri sera scuotevano la testa rassegnati, come un gregge in attesa di essere immolato alla divinità del Capo.
Renato Schifani e Renato Brunetta, pur avendo raccolto alacremente le lettere di dimissioni dei parlamentari, ancora sperano che nel Pd si apra una crepa, che arrivi almeno un segnale di disponibilità politica verso le ragioni del Cavaliere.
Ma il pessimismo rende neri i pensieri e rallenta le reazioni.
Persino il consiglio dei ministri che oggi avrebbe dovuto varare un decreto monstre da tre miliardi di euro – rinvio dell’Iva, correzione del rapporto Deficit/ Pil, missioni militari – è tornato in forse.
Ieri sera ancora non era stato convocato, in attesa del colloquio di questa mattina fra Letta e il capo dello Stato. «Che senso ha prevedere tagli per miliardi di euro – confida un ministro – se c’è la crisi di governo e torniamo dritti nella procedura d’infrazione europea?».
Insomma, vista la tensione politica il governo potrebbe saltare oggi stesso.
Con le dimissioni dei ministri del Pdl. A quel punto Letta andrebbe in Parlamento rovesciando sulla testa del Cavaliere la responsabilità dell’aumento dell’Iva, del pagamento della seconda rata dell’Imu e della prevedibile tempesta che ci sarà sugli spread.
E tuttavia Berlusconi, incurante dei consigli di Fedele Confalonieri, degli inviti alla prudenza di Ennio Doris e dei timori dei figli, marcia spedito verso la crisi e le elezioni anticipate, sulla strada lastricata da Denis Verdini e Daniele Santanchè.
Il terrore di finire in cella per un ordine di custodia cautelare, l’umiliazione e il discredito che ne deriverebbero, lo accecano e non gli fanno vedere alternative.
Così l’unica salvezza che gli è rimasta è far saltare in aria tutto il Palazzo.
Il problema non è la giunta delle elezioni, ma il voto dell’aula del Senato. È quello che va evitato. Se il Cavaliere ci riuscisse, trascinando la legislatura verso la fine con il sacrificio umano dei suoi parlamentari, sarebbe salvo.
Resterebbe senatore fino alla riunione delle nuove Camere. E a quel punto si ricomincerebbe tutto da capo. Mesi e mesi guadagnati.
A nulla servirebbe la sentenza di conferma dell’interdizione dai pubblici uffici.
Anche la decadenza stabilita dai magistrati di Milano, che nulla c’entra con la legge Severino, andrebbe infatti votata dalla Camera di appartenenza.
Ma a quel punto Berlusconi conta di aver vinto il premio di maggioranza con il Porcellum e di scagliare tutto il «suo» Parlamento contro la magistratura e le leggi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
TRA I PARLAMENTARI PDL IL GIORNO DOPO LO SHOW L’ENTUSIASMO È GIà€ SVANITO… MEDIASET CONTRO I FALCHI
Quel piatto, esangue, non cambia mai aspetto: pieno, e triste. La pasta non va giù, per niente. Il prosciutto provoca acidità . Soltanto la dieta, involontaria, procede bene.
A pranzo con Gianni Letta e Niccolò Ghedini, e con il mal di stomaco per il comunicato di Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi ha cercato rassicurazioni dai commensali: “Non è che abbiamo fatto una cazzata con queste dimissioni di massa?”. Anche le rassicurazioni restano lì, solitarie e tristi, davvero tristi.
Perchè il Cavaliere, archiviato lo sfogo di un’ora e mezza a Montecitorio, ha un pensiero fisso: l’arresto a palazzo Grazioli o in villa San Martino appena decaduto dal Senato, un mandato da Napoli o da Milano.
Il Quirinale ha ripetuto in pubblico quello che aveva spiegato al segretario Angelino Alfano in privato: non possiamo garantire sui magistrati e sui giudici.
L’uomo emaciato e depresso, però, raccatta sempre un briciolo di forza per insultare Napolitano e per non ritirare lo scontro: “Questi mi vogliono distruggere, non ha senso restare al governo anche se il Colle non ci manderà a votare con questa legge elettorale. Non c’è nulla da chiarire con Enrico Letta. Non dovrò illustrare io agli italiani i motivi di questa crisi”.
Tra Camera e Senato, i berlusconiani vagano con la determinazione di chi s’è licenziato, di fatto, ma non sa neppure quando e non capisce, soprattutto, perchè.
E allora la dieta, il piacere di un etto di troppo, è l’unica consolazione.Gli gnocchi di Fitto e le burla di Sposetti
A Montecitorio, il mutismo di Raffaele Fitto s’interrompe davanti a una cima di gnocchi con il pomodoro freschissimo e la mozzarella filante: “È vero, io sto cercando di dimagrire. Ma non posso parlare, non posso commentare, quindi mi concedo qualcosa di buono”.
I capigruppo Renato Brunetta, più spigoloso del solito e Renato Schifani, più infuriato che mai, ordinano di telefonare ai colleghi, di strappare adesioni e di firmare foglietti in bianco, cioè senza data, destinati ai presidenti di Camera e Senato.
Non per oggi, non per domani, ma per quel giorno di lutto nazionale per l’uscita da Palazzo Madama del condannato Silvio Berlusconi.
I deputati e i senatori, spento l’entusiasmo di mercoledì sera, definiscono la sceneggiata una “mozione d’affetto” per Berlusconi.
Anche perchè la procedura non permette le dimissioni di massa, ma uno alla volta dovranno chiedere e ottenere l’approvazione in aula.
E così Ugo Sposetti, l’ex tesoriere Ds notoriamente bravo a far di conto, scherza con gli alleati di Forza Italia: “Senti, ti potrei salvare. Invece quel tuo amico lo mando a casa”.
Partito democratico e Movimento Cinque Stelle potrebbero decidere di trattenere o cacciare Gasparri, Cicchitto e compagni.
Già , Fabrizio Cicchitto. Se pure il fedelissimo ex socialista contesta la strategia del Capo, per verità l’ideona è di Brunetta, vuole dire che Forza Italia più che imbarazzare Colle e Pd ha imbarazzato se stessa.
Maurizio Gasparri è amletico: “Comprendo chi all’inizio non se le sentiva. La prima legislatura è un rischio, qualcuno può temere di non tornare”.
Il ministro per le Riforme s’allontana dal partito
Mentre Brunetta e Schifani si gettano contro il Quirinale (“La definizione di colpo di Stato è giusta”), Gaetano Quagliariello e Daniela Santanchè litigano a distanza.
Il ministro per le Riforme, che non ha apprezzato la pantomima di Montecitorio e che non ha interrotto i contatti con il Quirinale, dà una lezioncina al partito: “Le dimissioni non s’annunciano, si danno”.
La Santanchè gli salta addosso: “Le abbiamo date, forse non ha inteso”.
Nemmeno ieri sera, però, Quagliariello le aveva date.
E l’inedita e ben assortita coppia Brunetta e Schifani s’è precipitata in televisione a rendicontare l’operazione.
Brunetta: “I 97 deputati hanno risposto con un atto d’amore per Berlusconi”. Schifani: “Siamo a 87 su 91. Sì, anche Scilipoti è dentro”.
Sì, Scilipoti preoccupava. Anche se Giovanardi e Compagna non vogliono partecipare perchè hanno un movimento in proprio, in comunione di beni, e si chiama Popolari Liberali Solidali.
Dunque, non vale la pena sottolineare quanto Giovanardi sia solidale con il Cavaliere.
La rabbia di Confalonieri e la fine dell’impero
I vertici di Mediaset, da Fedele Confalonieri in giù, non sopportano più le provocazioni e le tattiche dei vari Santanchè,Verdini e Brunetta: li detestano.
E chiamano il Capo per farlo ragionare: “Se rompi con Letta non conti più nulla. Tu sei finito, il tuo impero è finito”.
Di moduli per le dimissioni, però, ne sono stati compilati decine in meno di quanti trionfalmente annunciati. Non importa. È pur sempre una finzione.
Che sarà manifestazione di piazza il 4 ottobre. Il giorno di una delicata e decisiva seduta pubblica in Giunta per le elezioni al Senato.
Berlusconi vorrebbe andare lì è recitare la parte del prigioniero politico, nel senso proprio di prigione.
Ogni giorno, accanto a Francesca e Dudù, si sveglia e si rivede in galera.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 27th, 2013 Riccardo Fucile
ALMENO DIECI SENATORI PRONTI A VOTARE LA FIDUCIA A LETTA… GIALLO SULLE DIMISSIONI DI QUAGLIARELLO
Berlusconi li chiama uno a uno. Perchè nel Pdl i dubbiosi non mancano.
A mezza bocca, lontano da orecchie indiscrete, sono tanti i parlamentari che si lamentano dell’ennesima svolta del capo.
Alzano gli occhi al cielo e non ne vogliono sapere di lasciare lo scranno. E si riservano di decidere davvero quando si arriverà al momento della verità .
A palazzo Grazioli, quindi, il centralino è rovente. Come nei momenti cruciali in cui si gioca il tutto per tutto – e mai come questa volta – il Cavaliere finisce di leggere la nota di Napolitano, salta sulla poltrona e si fa chiamare i parlamentari ritenuti border line,quelli più a rischio.
Raccontano dalla residenza del leader che ne abbia rintracciato a decine, in poche ore.
Dimissioni di massa, dimissioni sulla carta, ma quanti mal di pancia nell’esercito pidiellino-neoforzista.
Sulla carta nessuna defezione o quasi, al pallottoliere serale. Novantasette su 97, può gongolare a fine giornata il capogruppo Brunetta alla Camera.
Tutti meno i quattro all’estero, rilancia dal Senato Schifani a conta conclusa. Ma le colombe del partito sono le più riottose e poi resta il giallo del ministro Quagliariello.
Con lui, a Palazzo Madama, c’è un gruppo di almeno una decina di senatori che, pur avendo firmato ieri, sono pronti a entrare in partita quando e se il premier Letta porrà la questione di fiducia.
Insomma, archiviata la raccolta firme dall’effetto molto mediatico assai riuscito, lo scenario è destinato a mutare già la settimana prossima.
Solo allora il dissenso potrebbe prendere altre strade, sortire effetti a sorpresa.
Per adesso, anche il drappello dei senatori siciliani che fanno capo al catanese Giuseppe Castiglione, per essere chiari, è ligio e firma l’attestato di fedeltà .
A restare nel limbo, avvolta da un mezzo giallo, la firma del senatore e ministro Gaetano Quagliariello.
Gli altri, Alfano, Lupi («non tradisco, se mai non faccio più politica»), Lorenzin e De Girolamo, sottoscrivono e inviano al capogruppo le dimissioni da deputato, non certo quella da ministro: avrebbe comportato l’immediata apertura della crisi.
Quagliariello in mattinata aveva già scatenato la reazione dei falchi: «Le dimissioni non si annunciano, si danno».
Incassando la replica piccata di Daniela Santanchè: «Era presente mercoledì sera con Berlusconi, pensavo avesse capito che le dimissioni le abbiamo già date».
Poi, quando nel tardo pomeriggio a margine di un convegno sono tornati a chiedere al responsabile delle Riforme se le avesse rassegnate, lui ha tagliato corto: «Non conosco gli ultimi sviluppi, quando avrò qualcosa da comunicare, lo farò».
A ora di cena Schifani parte in contropiede dando per scontate le firme di tutti, anche le sue. Ma, raccontano, è stata più una mossa per stanare il più moderato dei ministri-colombe, costringendolo a venire allo scoperto.
Succede anche questo in un partito dove in tanti ormai non si fidano del vicino.
Tutto è in bilico. I due terzi dei deputati hanno preferito firmare il prestampato che il capogruppo Brunetta si è premurato di mettere a disposizione, piuttosto che buttare giù due righe personali. Mara Carfagna, nella veste di «capoclasse», ha raccolto firme e lettere facendo per ore la spola tra Transatlantico e aula. I cattolici sono i più pensierosi.
Al senato Maurizio Sacconi, alla Camera Eugenia Roccella, dicono.
Al Senato il primo è l’ex responsabile Antonio Razzi: «Ho ancora il mutuo da pagare, magari finirò sul lastrico, ma firmo con convinzione ».
Così pure Domenico Scilipoti, salvo poi ammettere che «le conseguenze non sono obbligatoriamente la caduta del governo ».
Per non correre rischi sui subentranti, tutti i coordinamenti regionali Pdl hanno avuto l’ordine di raccogliere le stesse lettere dai non eletti nelle liste di febbraio.
Ma qualcuno non ci sta. Ulisse Di Giacomo, primo dei non eletti in Molise, tergiversa: «Deciderò che fare».
Come lui, tanti altri, a quanto sembra.
Anche in Transatlantico del resto, dietro anonimato sono tanti a confidare di aver sottoscritto quel prestampato turandosi il naso.
Il fatto è che molti nel partito stanno ancora lavorando perchè tutto questo non porti a votare contro la fiducia al governo Letta, da qui a pochi giorni.
Le colombe tacciono ma volteggiano. Cicchitto spera ancora in un mutamento di scenario. «Auspichiamo che dal Pd venga un ravvedimento, chiediamo che Berlusconi abbia diritto di difesa» afferma Mariastella Gelmini.
Il senatore Roberto Formigoni continua a ripetere che la crisi secondo lui andrebbe scongiurata. Ma il treno ormai è in corsa e il Cavaliere è ai comandi senza freni.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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