Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
TREGUA TRA I LEADER… IPOTESI RIMPASTO A DICEMBRE
«Ho provato a lavorare sull’abbandono volontario del ministro ma c’è l’ostacolo del presidente della Repubblica», confida il titolare dei Rapporti con il Parlamento ai suoi fedelissimi.
Alla fine, con un Pd dilaniato dalle manovre congressuali e dai dubbi sul comportamento del ministro della Giustizia, tocca a Enrico Letta giocarsi, ancora una volta, la partita in solitudine. Mettendo in gioco se stesso.
«Votare la sfiducia alla Cancellieri significa sfiduciare me e il mio governo. Vado io a parlare alla riunione dei deputati».
È solo la conclusione di una giornata lunghissima. Telefonate di chiarimento, colloqui tesi, sospetti trasversali, questo è il clima nel Partito democratico.
C’è una rabbia profonda che s’insinua nel Pd per le manovre vere o presunte che ne stanno modificando il profilo, la sua classe dirigente.
Gianni Cuperlo rompe gli argini e lancia la sua campagna contro Renzi.
«Lui fa il furbo fuori da qui. Annuncia documenti via twitter ma non si confronta mai nelle sedi del partito. Poi, ci sono ministri come Franceschini e Delrio che chiedono al Pd di difendere il governo ma sostengono al congresso un candidato che tutti i giorni terremota il governo. Basta con questo giochetto».
Uno psicodramma che nemmeno l’impegno diretto del premier riesce a condurre verso un lieto fine.
Finisce con una fragile tregua all’assemblea dei deputati che si svolge durante un temporale. Nessuno sa dire se supererà le 24 ore.
«Ormai è tutti contro tutti. Sembra Rollerball. La Cancellieri è un problema, ma il punto è che non sappiamo quale sarà il futuro del Pd e dell’esecutivo », dice un ministro che solitamente sta lontano dalla mischia.
Cuperlo riunisce i suoi deputati qualche minuto prima dell’assemblea del gruppo. Molti chiedono un voto «altrimenti Renzi ci frega. Ingoia la comunicazione di Letta ma da domani ricomincia a bombardare noi e il governo».
Il renziano Ernesto Carbone, il primo a chiedere le dimissioni della Cancellieri dopo la pubblicazione delle intercettazioni, punta il dito contro i «pierini » bersaniani e dalemiani. «Sono sicuro che al momento del voto sulla mozione di sfiducia alcuni di loro lasceranno l’aula, senza contare che Civati farà casino. Allora se Letta ci chiede un passo indietro, sia chiaro, dobbiamo farlo tutti».
Il nodo, sempre di più in vista dell’8 dicembre data delle primarie, è il rapporto tra Matteo Renzi e Enrico Letta, ovvero tra il futuro segretario e l’esecutivo
Il presidente del Consiglio chiama il sindaco nel pomeriggio. Gli annuncia la sua decisione di presentarsi davanti ai deputati. «Sbagli Enrico. Sbagli a difendere ancora il ministro. Dovresti essere il primo a sollecitare le sue dimissioni», dice Renzi.
«Non è possibile – risponde Letta – e chiederò la fiducia su di me, sul mio governo. Mi sembra folle che il Pd si spacchi proprio nel momento in cui a spaccarsi sono quelli dell’altro campo».
Sulla fiducia, Renzi alza le mani, si arrende. Ha ottenuto il massimo in fondo. Sta con la base dei democratici e fa in modo che a esporsi in modo acrobatico sia Letta. Politicamente e fisicamente. I conti si faranno dopo. Dopo il 9 dicembre.
Il sindaco è convinto che la storia non finisca qua. Dalla poltrona di segretario del Pd potrà subito ottenere un rimpasto della squadra governativa.
Il match con la Cancellieri (e con Napolitano, soprattutto con Napolitano) è rimandato di pochi giorni. Il tempo breve di una campagna già vinta secondo i sondaggi.
E il rimpasto che molti vogliono aprire dopo l’8 dicembre potrebbe vedere il cambio della Cancellieri e di Alfano.
Dunque, Letta perderà la battaglia combattuta sul fronte del caso kazako e della vicenda Ligresti. La Cancellieri già così, con la quasi totalità del Partito democratico schierata per le dimissioni, appare un ministro, più che indebolito, dimezzato.
Il suo piano carceri pronto da un mese, per dire, giace in un cassetto sotterrato dalle polemiche sulle telefonate con la famiglia Ligresi.
Quando l’Interno e la Giustizia saranno caselle libere, il neo-segretario avrà voce in capitolo sulla sostituzione. E c’è da scommettere che non si accontenterà più di avere due ministri nella compagine democratica. Avrà altri nomi per rafforzare la presenza renziana in un rimpasto che coinvolgerà tutti i dicasteri e non sarà un passaggio facile per Letta.
Ma già adesso il confronto si fa più aspro. I risultati degli iscritti non lasciano margini a Cuperlo e Pippo Civati: bisogna alzare la voce ed essere molto più aggressivi.
Ci andrà di mezzo l’esecutivo e non sempre Letta potrà essere in prima fila a proteggerlo con il suo corpo.
La violenza dell’attacco di Cuperlo a Franceschini e Delrio dimostra che sta cadendo il velo sulla difesa delle larghe intese.
Il rush finale verso l’8 dicembre comporterà un coinvolgimento dell’esecutivo e non in senso positivo. Il confronto televisivo tra i tre candidati (dovrebbe essere il 29 novembre) si giocherà molto sul futuro della Grande coalizione.
E i tre candidati faranno a gara nello sconfessare la costruzione messa in piedi da Letta e dal presidente della Repubblica.
«L’assunzione di responsabilità collettiva sul caso Cancellieri», come la chiama Alfredo D’Attorre, cuperliano, non è detto che sarà stabile e duratura.
I passaggi congressuali sono troppo delicati. Il prossimo scoglio sarà la decisione della Consulta sulla legge elettorale.
È una tappa su cui, di nuovo, i candidati alla segreteria dovranno esercitarsi prendendo le distanze dalle cautele governative. Per oggi, Letta ha salvato la Cancellieri e se stesso.
Ma domani è un altro giorno e l’assemblea dei deputati ha detto che non sarà facile.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
LA RICERCA DELLA PIETRA FILOSOFALE
Questa storia di Renzi che vuole fare fuori Letta per prenderne il posto è destituita di ogni fondamento.
Il sospetto, suggerito dal caso Cancellieri, che su qualsiasi vicenda l’imminente segretario del Pd prenda sempre la posizione più urticante per il governo del Pd è quanto di più lontano ci possa essere dalla realtà .
L’idea poi che Renzi, appiattendosi su Letta, abbia il timore di perdere le prossime elezioni europee e di finire rottamato in sei mesi, e perciò punti ad andare al voto per le politiche il più presto possibile, rientra nel novero delle ricostruzioni giornalistiche fantasiose.
Il sindaco di Firenze, una volta conquistato il partito, sosterrà con forza il governo. Non vede l’ora.
A condizione che Letta realizzi i pochi, semplici punti del programma che il nuovo Pd di Renzi gli indicherà : abolizione del Senato, delle Province, della disoccupazione giovanile e della fame nel mondo; riduzione del numero dei parlamentari e delle apparizioni in video della Camusso, abbattimento delle pensioni d’oro e indoramento delle pensioni abbattute dai precedenti governi, taglio delle tasse e accorciamento dei baffi e della spocchia di D’Alema, assunzione di un milione di dipendenti pubblici senza raccomandazioni e nel pieno rispetto dei parametri europei, superamento dell’effetto serra e degli ingorghi nei centri storici, assegnazione dello scudetto alla Fiorentina, ritrovamento della pietra filosofale.
Naturalmente il segretario Renzi non sarà così ingeneroso da pretendere che queste piccole riforme vengano realizzate tutte di colpo, pena la caduta del governo.
Letta avrà ben 48 ore di tempo a disposizione.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
“NON MI INTERESSA ESSERE UN MINISTRO DIMEZZATO: NON HO MAI MENTITO, TUTTO IL RESTO E’ POLITICA”
Si può chiamarlo, come fa lei, «l’onore strappato». Come quando dice «voglio che mi sia restituito nella sua interezza».
Ancora: «Ho vissuto una vita di trasparenza e correttezza, questo mi preme, che resti tal quale, senza ombre, tutto il resto è politica». Dovrebbe essere il giorno della vittoria per Annamaria Cancellieri.
Annunciata sin dalla mattina, a palazzo Chigi, quando per una mezza dozzina di minuti si ferma a parlare con Letta.
Lì il Guardasigilli comincia a capire che c’è una luce in fondo al tunnel. Chi sta dalla sua parte, chi le crede – perchè questo è il punto fermo per lei, la piena fiducia, che invece finirà per essere fiducia a metà – è disposto a sottoscrivere la scommessa. Letta per certo, più in alto Napolitano. Non ha bisogno di parlargli di nuovo. Gli ha già spiegato tutto. Lo ha convinto della sua buona fede e della sua trasparenza.
Ma la questione dell’«onore strappato» resta. Anche nel giorno in cui i suoi collaboratori le si stringono intorno soddisfatti, rimane l’ansia di fugare i dubbi, a questo punto di entrare nei particolari anche minimi.
Soprattutto perchè la fiducia che le arriva alla fine dal Pd rischia di essere, alla fine sarà , una fiducia «dimezzata», una fiducia d’ufficio, che c’è perchè se cade lei cade anche Letta.
L’amarezza è questa. La preoccupazione anche.
Che alla fine le facce intorno a lei non siano quelle della condivisione piena, ma del sostegno necessitato. Questo, ragiona Cancellieri,non renderebbe debole lei, ma l’azione di governo su temi sensibili come quelli della giustizia.
Per questo l’esigenza è proprio quella di chiarire tutti i dettagli possibili.
La solita sveglia di buon mattino. La prima ombra per via dei giornali che ancora la attaccano.
Poi via a palazzo Chigi, Letta, la rassicurazione, poi via Arenula.
Da una parte la routine, come se niente fosse, arrivando a preparare il vertice italo-francese di oggi , che magari potrebbe essere inutile se il voto in Parlamento dovesse andare male, dall’altra il nuovo discorso sulla sfiducia.
Lì l’incubo dell’«onore strappato », della «fiducia dimezzata », si ripropone nella sua dilaniante problematica.
Lì Cancellieri vorrebbe togliersi più di un sassolino dalle scarpe. Sicuramente quello di aver mentito ai giudici. Questo è il fatto che le brucia di più.
A chi le consiglia di volare alto, di non scendere in dettagli, perchè c’è il rischio che a Montecitorio si apra una querelle senza fine, contrappone l’«onore strappato».
«Non posso passarci sopra».
All’una se ne va casa per la fisioterapia, ma dà disposizioni precise. «Quando avrò finito di parlare in aula tutti dovranno capire che io non ho mai mentito nella mia vita, tantomeno in questa occasione, è la questione che mi interessa di più».
Il pranzo si consuma rapido. La notizia che Letta andrà alla riunione del Pd diventa l’indiscrezione più importante della giornata.
Tutti capiscono che Cancellieri è salva. Ma c’è odore di compromesso, non di piena riabilitazione. Lei torna in via Arenula e si dedica al discorso.
A questo punto – sono le cinque del pomeriggio – il discorso è definito. Otto cartelle, tempo stimato per la lettura venti minuti. Un filo rosso vi si srotola dentro
Riassumibile in questa frase: «Ho sempre detto tutta la verità ».
E poi: «Adesso ve lo dimostro ». E giù in dettagli delle ormai famose telefonate con i Ligresti, il 17 luglio, il 19 e 21agosto.
Inevitabile – e soprattutto voluta – la citazione di Gian Carlo Caselli e della procura di Torino. Parole chiare, che marginalizzano il sospetto, del tutto infondato, che Cancellieri volesse rivalersi su di loro con un’azione disciplinare. «Ma quando mai, questi sono pazzi, io non ci ho mai pensato».
Il 5 novembre, tra Senato e Camera, aveva chiesto scusa per aver chiamato ed espresso solidarietà alla compagna di Ligresti.
Adesso invece – questo è uno dei suoi “sassolini” – è tentata di chiedere che si scusi con lei chi ha «strappato il mio onore », «chi ha messo in dubbio la mia parola», «chi davvero ha pensato che potessi mentire a un magistrato».
I collaboratori la invitano alla prudenza, la esortano a non sfidare i tanti deputati, di M5S, di Sel, del Pd, che vorrebbero votare contro di lei.
«Sia prudente, ministro» le raccomandano.
Certo, la partita, quando l’assemblea del Pd non è ancora cominciata, è aperta.
Letta potrebbe anche essere contestato, la fiducia nei suoi confronti respinta. Lei dice: «Non voglio occuparmi di politica. Non voglio pensare che sulla mia testa si giochino delicati equilibri congressuali, ho un altro obiettivo, continuare a lavorare in questo dicastero se però ne ricorrono a pieno le condizioni. Ho un programma, ho un pacchetto di provvedimenti già pronto, ma mi serve un sostegno pieno, non di facciata».
Un’ombra le passa sul viso, quella di chi teme di restare comunque un Guardasigilli compromesso, o «dimezzato » come preferisce dire lei.
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
NEL DAY AFTER DELLA SARDEGNA, CON 16 MORTI E UN DISPERSO
Si contano i morti, 16, più un disperso, uomini e donne, giovani e anziani, bambini, gente travolta dal fango e dall’acqua.
Come succede da sempre in Italia, il Paese che non riesce a imparare una lezione, una sola, dalle tragedie.
L’evento è sempre eccezionale, imprevedibile, catastrofico. Questa volta a ferire a morte la Sardegna è una pioggia mai vista. “In ventiquattro ore è caduta l’acqua che cade in sei mesi”, dicono alla Protezione civile.
È stato sempre così nell’Italia che dal 1960 al 2012 conta 541 inondazioni, 812 frane, 4 mila morti, esclusi quelli della madre di tutte le tragedie, il Vajont.
E allora scoppiano le polemiche. Il fenomeno era previsto, certo, ma la gente è stata avvisata in tempo?
A Olbia, nei comuni più colpiti, tra il fango che ha devastato città e villaggi della Sardegna, c’è chi urla la sua risposta. “No, nessuno ci ha detto che correvamo dei pericoli. Siamo stati abbandonati per ore. I soccorsi sono arrivati in ritardo”.
Ci sarà tempo per chiarire al millimetro gli orari delle allerte. Per Franco Gabrielli, il prefetto Capo della Protezione civile, “il sistema di allertamento nazionale ha funzionato”.
Le accuse sui ritardi “sono infondate, e chi ha lanciato anatemi infondati ne risponderà . Qui si farnetica per qualche clic sul web in più”.
Lasciamo da parte clic e polemiche e tentiamo di ricostruire i tempi dell’allarme. A lanciarlo, con un “avviso di criticità n. 13072” inviato alla Protezione civile sarda è il Dipartimento nazionale, domenica 17.
Si comunica che “dalla mattinata di domani, lunedì 18 novembre 2013, e per le successive 24-30 ore, si prevede il livello di elevata criticità per rischio idrogeologico localizzato sulle seguenti zone…”.
Segue elenco di comuni interessati, e allarme rivolto ai sindaci, ai vari dipartimenti e assessorati regionali, agli enti responsabili della vigilanza sulle dighe in tutta la Sardegna, per le successive 24-30 ore, chiarisce un secondo comunicato, il livello di criticità diventa “moderato” ma solo per la zona di Logudoro, Sassari, per il resto l’allarme è alto e fino alle 18 di oggi. Fin qui la Protezione civile e la difesa del sistema di “allertamento”.
Nella sua visita in Sardegna per coordinare i soccorsi, Gabrielli non ha gradito le critiche provenienti da alcuni sindaci.
“A chi dice di essere stato lasciato solo, rispondo così: ma chi doveva intervenire, le giubbe blu, la cavalleria? Chi doveva intervenire se non il territorio?”.
Una domanda che in una regione come la Sardegna apre una prateria sconfinata di riflessioni, critiche e accuse.
I danni sono enormi e certamente sono insufficienti i 20 milioni annunciati da Enrico Letta nella sua rapida visita all’Isola, nè la fuoriuscita dal patto di stabilità per i sindaci dei comuni colpiti, per affrontare l’emergenza, meno che mai per programmare la ricostruzione di quanto acqua e fango hanno distrutto.
Perchè la Sardegna è da anni devastata da cementificazioni selvagge, sulla costa e nelle aree interne, ferita dall’uso indiscriminato dei fiumi, da un sistema di governo di acque e dighe dove si sovrappongono burocrazie e competenze.
Ironia della sorte, proprio lunedì mattina, il governatore Ugo Cappellacci avrebbe dovuto iniziare un tour sull’Isola per raccontare a sindaci e popolazione i dettagli del Pps, pomposamente definito Piano paesaggistico dei sardi.
Una babele che ha in sè un solo obiettivo: stracciare il vecchio piano approvato dal governatore Renato Soru e dal centrosinistra. Sulla contestazione a quel piano giudicato zeppo di vincoli, troppo rigido e quindi ostile alle lobby dei cementificatori, Cappellacci ha vinto le elezioni.
Gli ambientalisti, invece, sono sul piede di guerra.
“Da oggi, da quando il Piano è stato approvato — spiega Vincenzo Tiana di Legambiente — l’istituto di tutela paesaggistica viene fortemente ridotto se non addirittura cancellato. Un vero pasticcio che aiuterà i furbi e gli speculatori a tirar fuori progetti di edificabilità selvaggia che avevano nel cassetto da vent’anni”.
Maria Paolo Morittu, di Italia Nostra. “La verità è che non ci sono più tutele, è caduto il vincolo dell’edificabilità dei 300 metri dalla battigia, hanno ritagliato un piano a misura del Piano casa e della legge per il golf aggirando ogni salvaguardia del territorio”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
L’URLO DELLA CASE TRAVOLTE DAL CICLONE
Dicono una piena millenaria. E poi, per spiegarti, le mani nei capelli, dicono anche: «Era un oceano d’acqua». Lo dicono tutti.
Quell’oceano è venuto giù dal Monte Pinu ed è entrato nelle case, a pianterreno, è salito al primo, è precipitato negli scantinati.
Ha invaso bar e caffè, il Panedda market, tutti i grandi magazzini. Ventiquattr’ore di pioggia abbondanti come sei mesi – 459 millimetri in un solo giorno – hanno trasformato rigagnoli lenti in fiumi violenti caricandoli di fango via via smottato, di rami, di alberi.
I fiumi violenti, improvvisamente, si sono abbattuti sulla periferia di Olbia, hanno gonfiato i canali che lambiscono lo stadio Bruno Nespoli, l’ospedale Giovanni Paolo II.
Nove morti dei sedici di questa nuova tragedia italiana erano nei due grandi quartieri sui canali, lo stadio e l’ospedale, e su a Monte Pinu. Altre quattro persone sono morte in provincia.
Ha smesso di piovere a Olbia, neppure sessantamila abitanti, lo scalo traghetti per gli italiani che d’estate vanno in Costa Smeralda.
L’hanno costruita come molte città italiane, all’impronta, adattando i piani regolatori alle ruspe. Non piove più, ma il meteo annuncia nuove perturbazioni sulla Sardegna. Venti milioni di euro fuori dalla legge di stabilità , più cinque aggiunti dalla Regione, promettono un risanamento rapido, annunciano le nuove fogne che quelle vecchie e malsane sono comunque distrutte.
In città , però, ci si sposta ancora con i gommoni. Enrico Letta dice: «Sono venuto qui perchè qui c’è lo Stato, non siete soli».
Ma Giovanna Spano in una notte ha perso tutte e tre le auto di famiglia. «Visto quel che è accaduto ai miei concittadini considero quelle auto un lusso», dice, «il premier deve sapere che qui stiamo facendo tutto da soli».
Il marito di Giovanna ne ha portati fuori da uno scantinato di via Lazio quattro, quattro vite salve. In questa strada si conta un morto. Più avanti, alla fermata, due donne aspettano il bus con le valigie in mano, devono portare dai cugini quel che è stato risparmiato dall’oceano.
Il bus non passerà mai: un buco enorme nella strada, il numero mille, ha interrotto il passaggio.
Sedici morti (di cui quattro bambini), un disperso, 2.737 evacuati per un nubifragio che ha colpito terribilmente Olbia e la Gallura, ma ha fatto vittime in tutta la Sardegna settentrionale. Una bolla d’aria fredda uscita da una perturbazione artica – evento rarissimo – in ventiquattr’ore ha gonfiato il fiume Cedrino ad Arzachena e il fiume ha gonfiato il Riu Mannu che ha travolto la casa di una famiglia brasiliana: padre, madre, due ragazzi di 16 e 20 anni. Tutti morti.
Lo stesso fiume, il Cedrino, nella Sardegna centrale ha colpito la sorgente di Su Gologone, vicino a Oliena: il prefetto di Nuoro ha dovuto fermare l’approvvigionamento di acqua.
Poi ha messo sotto controllo le vicine dighe di Preda e Ottoni. Le ripetute bombe d’acqua hanno fatto esondare il Flumendosa, scuotendo il ponte che collega Muravera con Villaputzu. Hanno fatto uscire il fiume Temo, a Bosa.
Hanno fatto crollare viadotti, ponti in pietra spezzando al centro il ponte di Norgheri: via la campata. Tra Bitti e Onani, ancora provincia di Nuoro, un allevatore è stato travolto da un torrente in piena: è stato portato via di fronte al figlio.
Tra Orgali e Oliena il capopattuglia Tanzi è morto finendo in una buca con la pantera: stava scortando un’ambulanza. Giù a Torpè, al confine con la provincia di Nuoro, dove hanno ceduto gli argini del Rio Posada e c’è chi per salvarsi dal vento si è legato al tavolo della cucina, un agricoltore sopravvissuto racconta: «L’acqua ci è entrata in casa che era già buio, la corrente era fortissima, ci buttava contro i muri. Ho spinto mia moglie e i mie figli in avanti, siamo usciti dalla porta nuotando e nuotando abbiamo raggiunto la strada».
Ecco, ci si avvicina da Ovest, da Alghero, si risale da Sud, da Nuoro, e si leggono le tracce – sempre più chiare – del ciclone Cleopatra.
A Putzolu la strada per Olbia non c’è più per trenta metri: una voragine ti rimanda indietro. C’è finito dentro un pick up con una famiglia, l’hanno tirata fuori però.
A Maltana, e siamo ancora nella corona di campagne che porta a Olbia, una donna alla guida di un’utilitaria è stata portata via da un torrente. La Protezione civile, qui, ha evitato il lutto. Ad Olbia città il fiume Padrongianus è montato fino a tre metri d’altezza, ha strappato i filari e i bidoni degli allevamenti di cozze, ora un pericolo per il transito delle navi. «Con questi quantitativi d’acqua non ci sono territori al riparo», dirà il prefetto Gabrielli, il capo della Protezione civile.
I suoi uomini hanno tirato fuori dai finestrini automobilisti semisommersi, paralizzati dalla paura.
L’acqua li aveva sorpresi sulle direttrici per Tempio e Telti. Veronica Gelsomino, commessa di 24 anni, ora all’ortopedia di Tempio con il volto pieno di lividi, dice di sè: «Sono una miracolata».
Lunedì, alle sei di sera, era a bordo della sua Alfa 147, e da Olbia saliva verso Priatu, una delle tante salite del Monte Pinu crocevia della vita di questa città . «Pioveva forte, ma conosco la strada. D’improvviso l’asfalto è scomparso davanti a me: mi sono sentita tirare giù. Ho colpito il fondo e un fiume nero mi ha portata via. Non mi fermavo più, e ho perso conoscenza».
L’Alfa 147, invece, si è fermata, a duecento metri da valle. L’auto accartocciata si è incastrata e due ragazzi, Massimo e Sebastiano, l’hanno avvistata in fondo alla scarpata. Sono scesi ruzzolando, si sono avvicinati. E hanno tirato fuori la commessa svenuta.
«Quella strada è stata costruita su un terrapieno, ha sempre bloccato il passaggio del fiume: ora si è ripreso il suo spazio»
Quelli del nuovo quartiere residenziale a fianco dell’ospedale raccontano invece che si sono salvati dall’oceano che veniva giù dal monte «salendo sul tetto».
Nel rione Sant’Antonio, una giovane tedesca, Martina, parrucchiera a Olbia da sette anni, ha guadato la strada tra due palazzi affacciati e ha salvato un’anziana, la signora Biddau, e pure il suo cane. La vanno a ringraziare tutti, adesso.
In via Campidano c’è Antonella Mele, ancora trema. «Ero in salotto. Le luci si sono spente tutte insieme e intorno a me sentivo solo urla, le voci di alcuni bambini. Poi l’acqua, dentro casa. Sono saltata fuori dalla finestra e mi sono messa a nuotare. Ho sentito l’asfalto e mi sono rimessa in piedi».
Angela Salaris abitava in via Roma, ora è sfollata. «L’acqua qui è arrivata direttamente dal mare e si è mischiata a quella del Rio Gaddhuresu. Il muro che divideva il giardino non c’era più: alto due metri e mezzo, si è sbriciolato. Abbiamo fatto uscire mia madre dalla finestra, poi mio fratello si è allontanato a bracciate». Pochi minuti e l’appartamento è diventato un acquario, colmo fino alla soffitta.
A Olbia sono già arrivati gli sciacalli: entrano dentro case dove galleggiano materassi e tavolini. Tanti hanno aperto le loro case per ospitare gli sfollati.
Betta Fancello ha messo a disposizione il suo bed and breakfast con vista mare per accogliere le famiglie rimaste senza un tetto. Anche Flavio Briatore ha offerto 14 stanze ad Arzachena, dependà nce del Billionaire.
Racconta Betta Fancello: «Mia madre, 80 anni, cardiopatica, è rimasta bloccata con un metro e mezzo d’acqua in casa. Per quattro ore. Acqua di fiume, di mare, di fogna. Nessuno è intervenuto, i vigili non rispondevano »
Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
L’OSSESSIONE DI GRILLINI E RENZIANI DI MONTARE UN CASO SUL NULLA: LA CANCELLIERI NON FECE MAI ALCUNA PRESSIONE COME QUALCUNO AVREBBE VOLUTO PER SPECULARCI POLITICAMENTE
La tesi precostituita del “Fatto” si può leggere già nell’occhiello introduttivo.
“In data 20 agosto, il direttore del penitenziario di Vercelli ha mandato una lettera al ministero della Giustizia. Dopo le pressioni del Guardasigilli, il documento contiene rassicurazioni sullo stato di salute della detenuta: “Questa direzione continuerà a porre in essere gli interventi di sostegno ritenuti necessari”
Bene, vediamo dove sono dimostrate queste pressioni: forse il direttore del carcere telefona direttamente alla Cancellieri per rassicurarla sulle condizioni di salute della Ligresti? No.
Forse la Cancellieri aveva telefonato personalmente al direttore del carcere? No.
A chi è diretto allora questo fax?
Ammette il “Fatto”: “è una relazione inedita, finora, sullo stato di salute della detenuta Giulia Ligresti diretta al provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria del Piemonte, Enrico Sbriglia, e al ministero, per l’esattezza alla Direzione generale detenuti del Dap“.
Quindi tutto secondo le procedure in questi casi, al millesimo.
Ma per il Fatto sufficiente a sostenere che ” rappresenta l’esito delle richieste di raccomandazioni dei Ligresti ad Anna Maria Cancellieri “.
Peccato che la Procura di Torino smentisca clamorosamente il Fatto certificando che la segnalazione era partita tempo prima da loro con segnalazione alla autorità penitenziaria la quale risponde ai superiori: ““Questa direzione continuerà a porre in essere gli interventi di sostegno ritenuti necessari”.
Ricostruiamo le date.
La prima telefonata della Cancellieri con l’amico di famiglia, dottore Antonino Ligresti, zio di Giulia, è di soli 14 secondi e avviene alle ore 19,33 del 18 agosto.
La seconda parte dal ministro il 19 agosto verso il cellulare di Ligresti: alle 13.33 Cancellieri parla per sei minuti con l’amico Antonino.
Al pm Nessi il 22 agosto racconterà : “Antonino Ligresti mi ha rappresentato la preoccupazione per lo stato di salute di Giulia (…) in relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vicecapi di Dipartimento, Francesco Cascini e Luigi Pagano, perchè facessero quanto di loro competenza (…) dopo di allora non li ho più sentiti e non so se siano intervenuti”.
Cascini al Corriere della Sera ha dichiarato di non avere fatto nulla, mentre il collega Pagano avrebbe telefonato al provveditore dell’amministrazione per il Piemonte.
Entrambi hanno sostenuto che il caso era già da tempo sotto loro osservazione e che la direzione del carcere aveva predisposto la prassi di sostegno seguita per tutti questi casi.
Particolare che il Fatto si guarda bene dal citare, nonostante il procuratore Caselli ne avesse fatto oggetto di conferenza stampa.
L’autogol del Fatto si conclude con quanto emerge dal fax, ovvero che la Ligresti aveva dei problemi di salute reali.
Ecco il testo di quanto scrive il direttore del carcere di Vercelli.
Sotto il protocollo, la data, il mittente (Direzione del Carcere di Vercelli) i due destinatari (Provveditorato del Piemonte e Ministero della Giustizia, Dap, Direzione Generale detenuti e trattamento, Roma) si legge:
“Oggetto: detenuta Ligresti Giulia Maria nata a Milano il 30 gennaio 1968, matricola… per opportuna conoscenza si comunica che la detenuta (…) è stata ricoverata in camera singola presso il reparto transito della sezione femminile. La detenuta è comunque integrata e fa la vita comune del reparto. Effettua passeggi e socialità con le altre ristrette e partecipa alle offerte trattamentali dell’istituto.
Fin dall’inizio la detenuta è stata sottoposta a grande sorveglianza custodiale in quanto soggetto primario (nel senso che è la prima volta che finisce in carcere, ndr) così come previsto dal protocollo operativo del servizio.
È seguita quotidianamente dall’educatore di riferimento (Valeria Climaco, ndr), dalla psicologa e dallo specialista in psichiatria e le viene somministrata una terapia adeguata al suo stato psicomotorio”.
In data 13 agosto è stata inviata al gip e alla Procura una relazione redatta dalla dottoressa Emanuela Ghisalberti, psicologa, che si allega in copia dalla quale si evincono le attuali condizioni psicofisiche della detenuta.
Segue “l’allegata relazione” della dottoressa Ghisalberti, dirigente della Asl di Vercelli, poi divenuta l’elemento di innesco del procedimento che ha portato alla scarcerazione di Giulia Ligresti, a seguito di una perizia disposta stavolta dalla Procura ed eseguita dal medico Roberto Testi.
“Nell’ambito dell’attività a favore dei detenuti internati presso la casa circondariale di Vercelli — scrive la dottoressa Ghisalberti — ho effettuato alcuni colloqui psicoterapeutici e clinici con la persona in oggetto. Dai colloqui si è rilevato un marcato stato di ansia reattiva (…), tendenza anoressica con calo ponderale dall’inizio della presente detenzione”.
A questo punto, dopo un’approfondita diagnosi segue la prescrizione in favore della scarcerazione: “Ritengo che il protrarsi della detenzione possa incidere in senso negativo sul quadro psichico che già evidenzia uno stato di prostrazione significativa”.
La lettera della direttrice del carcere e la relazione della Ghisalberti arrivano il 20 agosto al ministero a Roma, negli uffici deserti.
QUINDI E’ STATA STILATA NEI GIORNI PRECEDENTI ALLE “PRESUNTE PRESSIONI” DELLA CANCELLIERI
Il 22 agosto Anna Maria Cancellieri viene convocata dai pm di Torino che le svelano quello che sanno sulla trama con i Ligresti. Il ministro non chiederà mai al Dap nulla sulla relazione.
Il 28 agosto Giulia Ligresti esce dal carcere, grazie a un altro procedimento avviato il 13 agosto proprio dall’invio della relazione Ghisalberti in Procura.
LEGGETE BENE: procedimento avviato il 13 agosto, sette giorni prima dela presunta pressione della Cancellieri.
Non resta che ringraziare il Fatto per aver dimostrato involontariamente e maldestramente che la Cancellieri non c’entra nulla con la scarcerazione della Ligresti.
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Novembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
VUOLE EVITARE CHE I MODERATI SIANO SPINTI VERSO GLI SCISSIONISTI… VIA ALLA SELEZIONE DI VOLTI NUOVI
Ora che Forza Italia è tutta sua, e ne può fare quanto più gli aggrada, Berlusconi ha un problema grosso così: non regalare ad Alfano le persone misurate e di buon senso che ancora albergano nella destra italiana.
Evitare di ritrovarsi gran sacerdote di una setta estremista e fanatizzata.
Smentire con i fatti di aver messo in piedi il partito «della nostalgia, del rammarico e della rabbia», come insinua abile e perfido Angelino dal salotto di Vespa.
Scongiurare l’isolamento politico che è l’anticamera dell’irrilevanza, qualunque cosa tu dica o faccia non sposta una virgola.
Tenere puntati su di sè i riflettori, senza precipitare nel «cono d’ombra» dove solitamente scivolano gli oppositori, i quali vengono cancellati dai «media» non appena cessano di far notizia.
E il Cavaliere ben conosce (per averlo già provato) quel senso di depressione che colpisce chi è tagliato fuori dai giochi.
Tra l’altro, a torto o a ragione, Berlusconi è convinto che Alfano eserciti un’influenza spropositata in Rai, nella sua triplice veste di vice-premier, di ministro dell’Interno e di capo dei «fuoriusciti».
Di qui la «mission» conferita ieri a Deborah Bergamini, sua antica assistente: lanciare la controffensiva forzista sul piccolo schermo.
Mettere un freno all’espansione mediatica del Nuovo centro destra. È la terza volta che Silvio le conferisce questo incarico.
Rispetto alle passate esperienze, tuttavia, la Bergamini ha maturato una burrascosa esperienza in Rai, dove fu accusata (e successivamente prosciolta) di avere manipolato certi dati elettorali sfavorevoli al Cav.
Insomma, ha imparato a conoscere le trappole di Viale Mazzini. Deborah farà pesare le «quote» che spettano a Forza Italia nell’ambito dei programmi, compresi quelli di approfondimento politico.
Inoltre agirà da semaforo, cercando di veicolare da Vespa, da Floris e negli altri contenitori Rai, figure meno portate all’urlo o all’invettiva di quante se ne sono viste ultimamente.
Non risulta ci sia una «black list» di nomi da mettere al bando, sebbene da Arcore sia scattata una sorta di «moral suasion» nei confronti dei più esagitati, fin qui tra gli ospiti fissi dei talk show.
Però il mandato del Cavaliere è chiarissimo: dare la precedenza ai volti nuovi, e se proprio imberbi non sono che risultino quantomeno accattivanti, senza la bava alla bocca. Pare che i «falchetti» messi in pista dall’ala ultrà del partito gli siano piaciuti poco o punto. Lui li vuole più rassicuranti e meno incompetenti.
Tra i «vecchi», Berlusconi apprezza un polemista spiritoso come Osvaldo Napoli.
Tra i giovani, predilige quelli dalla faccia pulita, tipo il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, o l’imprenditrice Federica Guidi, figlia dello storico vice-presidente di Confindustria.
Risulta che stia svolgendo personalmente uno «screening» di moltissimi candidati, facendosi mandare pure le foto come si farebbe per un concorso di «Miss Italia» (o di «Mister Italia»), in modo da selezionare i più telegenici.
Li vuole tutti professionisti, universitari, manager, dunque potenziali capaci di frenare l’emorragia di referenti sul territorio dove, poco alla volta, se ne sono andati tutti: prima con Fini, poi con Monti, adesso con Alfano che (secondo quanto risulta da fonti indipendenti) sta rastrellando non pochi amministratori locali («il tappo è saltato», brinda Cicchitto).
Ieri s’è intrattenuto con un gruppo di giovani convogliati a Villa Gernetto da Marcello Dell’Utri e dal giro di Publitalia.
Vent’anni fa la discesa in campo era incominciata così.
Ora si annuncia una faticosa risalita.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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