Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
CINQUE ANNI DI APPALTI TRUCCATI E ARRESTI: IL TERREMOTO E’ DIVENTATO UN BANCOMAT
L’appalto è di 30 milioni e basta poco per portarlo a casa.
Sessantamila euro, da consegnare a un capo della Protezione civile.
In fondo, si tratta solo dello 0,2%». C’è anche la musica, nel bar. Protegge da orecchie indiscrete. Fin che si tratta di parlare, va bene questo bel locale dell’Aquila. Ma per consegnare i soldi meglio trovarsi a Padova, nella hall dell’hotel Crown Plaza.
«Gli ho dato i soldi, avvolti in un giornale, il Sole 24 Ore. Ma non mi fidavo molto. In cambio lui mi ha consegnato un assegno, da incassare se l’appalto non fosse andato a buon fine. Sospettavo – e avevo ragione – che quel denaro non fosse per un capo della Protezione e un mese dopo ho avuto la conferma. Lui, che girava su una Fiat Bravo, si faceva vedere su un Range Rover nero».
MAGNITUDO E MAZZETTE
Il sisma che ha colpito l’Aquila il 6 aprile 2009 aveva una magnitudo del 5,9. Non si conosce l’intensità di questa nuova scossa arrivata con la notizia di quattro arresti (ex assessori, consiglieri comunali, imprenditori, sedicenti mediatori d’affari…) ma è certo che fa molto male perchè colpisce la città al cuore.
Stronca certezze («In Comune ci sono persone per bene che faranno di tutto per fare rinascere l’Aquila») e costruisce paure.
«Anche da noi, come in Irpinia, per qualcuno il terremoto è diventato un affare».
Tutti ricordano Francesco Maria Piscicelli («Io ridevo stamattina alle tre e mezzo, dentro il letto) nella notte della strage.
Tutti sanno che l’emergenza è diventata ricchezza per tanti, in una città che ha speso 34 milioni di euro per i gabinetti chimici e 250 milioni per ponteggi spesso inutili.
Ma arrivavano da lontano, gli affaristi e anche i ladri.
Poi altre frasi («Ma che culo il terremoto… Se non paghi non lavori ») hanno fatto capire che i malfattori erano anche in casa. Cittadini eletti da altri cittadini, aquilani che annunciavano: «L’Aquila torna a volare».
Il colpo al cuore arriva all’alba dell’8 gennaio, quando vanno agli arresti domiciliari quattro ex assessori ed ex consiglieri comunali, faccendieri e loro assistenti.
Altri quattro, fra i quali il vice-sindaco, sono indagati. Non c’è distinzione fra destra e sinistra.
Pier Luigi Tancredi, ex assessore di Forza Italia, secondo l’accusa porta una confezione di grappa con dentro 10mila euro al vice-sindaco Roberto Riga, centro sinistra.
Sembrano cani che si litigano l’osso. Si cerca la fetta di torta più grande, si gode quando gli altri della cricca cadono in disgrazia.
Il 3 aprile 2013 esce la notizia di un’inchiesta sulle ditte delle tangenti e Daniela Sibilla, collaboratrice di Tancredi, così commenta: «Mo se la ripiglia in culo Mario… Vladimiro mi sa che ci entra… ventimila euro».
Mario, secondo l’accusa, è Di Gregorio, ex assessore alle opere pubbliche. Vladimiro è il Tancredi
IL SINDACO E LA VERGOGNA
Se n’è andato, presentando le dimissioni l’11 gennaio, anche il sindaco Massimo Cialente. Nelle sue parole c’è un allarme.
«In questa città non è vero che ride soltanto qualche assessore. Sono in tanti che stanno ridendo, ridendo sulle lacrime di altri aquilani. Quando due ragazzi che aprono un’attività sono costretti a chiuderla perchè un altro aquilano richiede fitti alti, poi il proprietario è magari uno di quelli che viene a dire “ma che sta facendo il sindaco”? Ma che vergogna. Io chiedo alla città di interrogarsi: ciascuno di noi, nel proprio piccolo, anche nel consegnare la ricostruzione della propria casa, nella scelta di ingegnere, progettista, si è comportato in maniera corretta? Affittando una casa, affittando un negozio, tutti quanti si sono comportati al meglio? Forse è arrivato il momento che da questo interrogarsi la città tiri fuori una classe dirigente migliore».
TRA PUBBLICO E PRIVATO
Le inchieste della magistratura hanno raccontato e raccontano che per tanti il terremoto è diventato un bancomat.
Si truccano i conti dei lavori di ripristino, si chiede più del dovuto, tanto paga lo Stato. «Al fine di conseguire un ingiusto profitto ai danni della pubblica amministrazione – questa l’accusa ripetuta più volte – con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si utilizza l’artifizio della formazione e presentazione al Comune dell’Aquila della documentazione accertata essere falsa… ».
Nell’inchiesta contro il costruttore Carlo Ciotti – 17 indagati in attesa di rinvio a giudizio – ciò che colpisce è il numero delle truffe. Su 75 pratiche esaminate, ben 58 sono risultate non corrette.
Sotto accusa imprenditori, direttori dei lavori e progettisti ma anche alcuni cittadini. Ci sono cifre importanti. Nella ristrutturazione dell’immobile intestato a T. A, ad esempio, il costruttore è accusato di avere certificato lavori per euro 239.721,32 ma la differenza fra «le lavorazioni certificate e quelle effettivamente compiute» è pari ad euro 102.029,83.
Nel caso di G. A la cresta è di 62.167,66 euro su 159.540,85. Ma ci sono anche piccoli importi che raccontano però come la truffa sia diffusa.
Per l’immobile di V. W., su lavori per 10.768,42 euro, «l’incongruenza » è di soli 456,06 euro al lordo delle imposte.
Ma tutti assieme, secondo l’accusa, questi lavori hanno reso all’imprenditore e ai direttori dei lavori, nell’ambito della «truffa consumata», euro 486.353,47 mentre per la «truffa tentata» – nei casi in cui ancora non c’era stato il pagamento della fatture – si arriva a euro 223.353,47.
Da sottolineare che per quasi tutti i cantieri si tratta di case e appartamenti in fascia A, quella che certifica i danni più lievi.
«Dall’analisi dei dati estrapolati dal sito del Comune dell’Aquila – scrive però il Gip Giuseppe Romano Gargarella – risulta che la ditta individuale Ciotti Carlo, fatta eccezione per le pratiche A, ha di fatto avuto in affidamento 158 cantieri di cui 29 per pratiche E (quelle con danni più pesanti, ndr) per un totale di euro 12.740.059,00 di contributi richiesti ed è risultata essere fra le prime imprese per numero degli affidamenti ottenuti».
Anche altre inchieste hanno portato a risultati sconfortanti.
A Bugnara, Comune del “cratere” con 1.193 abitanti, la Finanza, esaminando per ora solo le pratiche A, che prevedono un contributo massimo di 10mila euro per piccole riparazioni più 2.500 per le parti comuni, ha riscontrato «contributi illecitamente richiesti per esecuzioni di lavori non confacenti alle norme e liquidazione di lavori mai eseguiti » per un importo di euro 968.441,00. Denunciate 91 persone: tre amministratori pubblici, 11 professionisti, 28 imprese edili e 50 privati.
“UNA BANDA DI LADRI”
Ci sono nuovi cartelloni pubblicitari, nel centro storico dell’Aquila. Coprono i pochi palazzi dove sono iniziati i lavori e annunciano che «L’Aquila Rinasce ».
Ma ci sono cartelloni che, come a palazzo Pica Alfieri, coprono soltanto palazzi puntellati (in questo caso con una spesa di almeno 200.000 euro) e abbandonati. Palazzo Carli, sede del rettorato – al centro dell’ultima inchiesta che ha portato ai quattro arresti – è stato «messo in sicurezza» con una spesa di 1,6 milioni ma i muri sembrano gonfiarsi come un panettone al forno.
«Siamo davvero – dice Eugenio Carlomagno, presidente del consorzio San Pietro – in un momento critico. Con i 250 milioni dei puntellamenti avremmo potuto ricostruire un quinto del centro storico. Ma per troppo tempo le regole sono state vaghe o inesistenti. Nel mio consorzio, con 36 nuclei, stiamo abbattendo tutto per ricostruire di nuovo. Spenderemo 8,8 milioni. Abbattendo solo le case più disastrate e riparando le altre, si sarebbero spesi più di 12 milioni. Certo, servono onestà e tanta oculatezza. Ci sono responsabili di consorzio che erano amministratori di condominio. Avevano bilanci di 15 o 20mila euro all’anno e ora si trovano a trattare milioni. La notizia degli arresti fa danni gravissimi. Ma una banda di ladri non può rovinare una città già allo stremo. Se ne sono andate via 18.000 persone su 60.000. Gli studenti erano 30.000 e ora sono 18.000».
SENZA CIMITERO
Nelle new town ci sono 11.894 persone, nei map 2.474, i contributi per sistemazione autonoma sono 4.705.
La città schiaffeggiata dai truffatori vuole reagire. «Le truffe e la corruzione – dice Giustino Parisse, il giornalista de Il Centro che nella sua Onna ha perso i due figli e il padre – sono offese gravissime, anche perchè, fuori dall’Aquila, ci indicano al disprezzo di tutti. Dobbiamo trovare la forza di far sapere che non siamo tutti così. Non sono pochi quelli che hanno perso la memoria. Si sono dimenticati dei 309 morti. Non abbiamo nemmeno un luogo per piangerli, perchè il cimitero monumentale non è stato restaurato. E invece bisogna pensare a loro, anche quando si ricostruisce, per costruire case sicure. Devi pensare ai morti quando chiedi i soldi, così chiedi il giusto. E all’aquilano che vuole fare cose illegali, do solo un consiglio: si fermi un minuto davanti alla Casa dello Studente. Un minuto soltanto».
Giuseppe Caporale e Jenner Meletti
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
SE NESSUNO ARRIVA AL 35% AL PRIMO TURNO, BALLOTTAGGIO TRA I PRIMI DUE PER CONQUISTARE IL PREMIO DI MAGGIORANZA: POI DITTATURA PER 5 ANNI
Il doppio turno contro le larghe intese. 
E’ questa la proposta che oggi Matteo Renzi porterà nella direzione del Pd e che avrebbe già ricevuto l’avallo di Silvio Berlusconi.
Secondo quanto risulta a Repubblica.it, il testo della legge elettorale fin qui in discussione verrà modificato introducendo la possibilità di un ballottaggio tra le due coalizioni che hanno ottenuto più voti.
Il meccanismo sarebbe dunque questo: nel caso in cui nessuna delle due coalizioni raggiunga la soglia del 35% dei consensi (quella che consente di accedere al premio del 15%), si tornerà a votare quindici giorni dopo proprio per assegnare il bonus che consente di ottenere una maggioranza certa alla Camera.
Restano le liste bloccate di sei candidati per circoscrizione e gli sbarramenti: al 5% per i partiti in coalizione e quello dell’8% per le forze che si presentano da sole.
Con la “clausola” del ballottaggio si punta a evitare quello che è accaduto a febbraio scorso, ossia il ripetersi dell’obbligo di ricorrere alle larghe intese.
Un anno fa – con questo sistema – Bersani e Berlusconi si sarebbero sfidati in un secondo turno di coalizione per assegnare i seggi mancanti al raggiumento della maggioranza .
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
SOGLIA AL 5% PER LE FORZE IN COALIZIONE E ALL’8% PER CHI CORRE DA SOLO
E alla fine fu l’Italicum. L’accordo tra Berlusconi e Renzi è stato raggiunto su quello che si può definire un «quarto modello» rispetto ai tre proposti dal leader del Pd, frutto del lavoro preparatorio intercorso nei giorni scorsi tra il professor Roberto D’Alimonte, esperto di sistemi elettorali vicino a Renzi, e Denis Verdini, coordinatore di Forza Italia.
Naturalmente, nei prossimi giorni, gli esponenti dei due partiti maggiori continueranno a lavorarci con l’eventuale contributo degli alfaniani e dei centristi – se la trattativa andrà in porto –, ma la sostanza non dovrebbe cambiare.
Ecco di che cosa si tratta
Proporzionale con sbarramento
Per la Camera dei deputati (che sarà l’unica Camera elettiva e quella che darà la fiducia al governo) la distribuzione dei seggi avverrà a livello nazionale, in base ad un sistema proporzionale.
Quindi, la ripartizione dei voti tra i vari partiti sarà attribuito in un collegio unico nazionale.
Per evitare che il risultato elettorale sia in balia delle formazioni poco rappresentative, è stato pensato uno sbarramento del 5 per cento per i partiti che facciano parte di una coalizione e uno più alto, dell’8 per cento, per i partiti non coalizzati.
Di fatto si obbligano tutti i partiti ( a parte i tre maggiori) ad allearsi con Pd o Forza Italia altrimenti scompaiono. Fermo restando che i sondaggi oggi danno tutti i partiti minori sotto anche il 5%, non solo all’8%.
Il premio di maggioranza.
La governabilità e la stabilità sono assicurate da un premio di maggioranza per la coalizione che raggiunga almeno il 35 per cento dei voti su base nazionale.
Il premio ipotizzato consisterebbe in un 20% di seggi in più, che permetterebbe di raggiungere complessivamente il 55 per cento dei seggi, alla coalizione vincente
La proporzione tra questi due numeri – coalizione al 35 per cento e un premio del 20% dei seggi – è uno dei punti più delicati dell’intero accordo.
Ci sono dei dubbi al riguardo: se cioè non sia troppo alto il premio previsto o troppo bassa la percentuale richiesta per ottenerlo.
Il 35% in effetti è troppo basso e un premio del 20% è assurdo.
Se nessuna coalizione dovesse raggiungere il 35 per cento dei consensi a livello nazionale, i voti invece verrebbero ripartiti proporzionalmente in base ai risultati raggiunti da ciascun partito e da ciascuna coalizione (fatti salvi i due diversi livelli di sbarramento di cui si è detto).
E qui saremmo alla farsa: se nessuno arrivasse alla quota per far scattare il premio (35-40%), nessuno avrà da solo la maggioranza, come peraltro accade ora.
A che cosa sarebbe servita a quel punto la grande riforma dovranno poi spiegarlo agli italiani
Le liste bloccate «corte
Come verranno scelti i candidati? Questo è stato uno dei talloni d’Achille del Porcellum e uno dei motivi principali della sua recente bocciatura da parte della Corte costituzionale.
Ebbene la Corte ha stabilito il principio che i candidati devono essere facilmente individuati dagli elettori, che i cittadini devono sapere per chi votano.
Non ha però censurato il sistema delle liste bloccate in sè: ha solo evidenziato il problema costituito da liste troppo lunghe (con troppi nomi) che impediscono all’elettore di sapere chi alla fine verrà eletto e riducendo, di fatto, al minimo il suo potere decisionale.
In verità la Corte avrebbe anche detto che le preferenze andrebbero ripristinate almeno per una parte delle liste, ma su questo aspetto Pd e Forza Italia fanno orecchie da mercante, preferendo un parlamento di nominati.
Nell’Italicum, il numero dei seggi, pur attribuito su scala nazionale, consentirà di eleggere i candidati presentati dai vari partiti in circoscrizioni su base provinciale ( o nel caso delle province più grandi e più densamente popolate) su base subprovinciale.
E su liste «corte» e «bloccate». Non ci saranno quindi preferenze da esprimere.
La base provinciale segna una differenza sostanziale rispetto al modello spagnolo originariamente proposto, dove le circoscrizioni elettorali sarebbero state molto più piccole e senza la distribuzione dei voti a livello nazionale.
La base «provinciale» o «subprovinciale» avrà anche un’altra conseguenza. Non ci sarà infatti la necessità di riscrivere completamente le circoscrizioni elettorali, compito che da solo avrebbe richiesto moltissimo tempo, prima di poter andare nuovamente a votare.
M.Antonietta Calabrò
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
“GLI ELETTORI DELLE PRIMARIE HANNO SCELTO RENZI MA NON PERCHE’ FACCIA COME GLI PARE”
«Come si fa ad avere una “profonda sintonia” con un pregiudicato? Si può capire una momentanea
convergenza…». La minoranza del Pd, il “correntino”, darà battaglia oggi nella direzione che Renzi non ha voluto rinviare e che voterà sul “sistema ispanico” modificato.
Questa volta sull’onda dell’indignazione per il Cavaliere “sdoganato”, ricompare l’opposizione interna. Divisa, per la verità , in spifferi di correnti.
Perchè gli irriducibili sono soprattutto i bersaniani.
Mentre i “giovani turchi” e Gianni Cuperlo, lo sfidante di Renzi alle primarie, sono più cauti.
In trincea c’è Stefano Fassina, l’ex vice ministro dell’Economia che si è dimesso dopo il “Fassina chi?” di Renzi
I bersaniani Alfredo D’Attorre, Nico Stumpo, Danilo Leva chiedono a gran voce un referendum tra gli iscritti e oggi presenteranno un documento in direzione.
Anche se per il referendum ci vuole la maggioranza delle firme.
«Il segretario si appella al voto delle primarie dell’8 dicembre attacca D’Attorre — però se passano le liste bloccate come è annunciato è un tradimento del popolo delle primarie perchè significa riesumare il Porcellum. La gente ha eletto Renzi non per fare quello che gli pare».
E comunque, annuncia D’Attorre, lui non voterà mai in Parlamento una riforma che restituisce un para-Porcellum, nemmeno nel nome della disciplina di partito.
Oggi in direzione ci sarà Massimo D’Alema che dovrebbe intervenire.
Intanto sulla rivista della sua fondazione “Italianieuropei”, scrive che la segreteria di Renzi e l’avvento di una nuova generazione nel Pd costituiscono una speranza, però il neo segretario non ceda a «tentazioni elitarie».
Ma soprattutto D’Alema avverte Renzi: «Fare cadere il governo Letta e votare nel 2014 rimetterebbe in gioco Berlusconi ».
Il Cavaliere in una mossa sola è riuscito a mandare in tilt i Democratici.
Anche Bersani, l’ex leader, è in disaccordo sull’incontro Renzi-Cavaliere. Ricevendo in ospedale la visita del segretario ieri, gli ha raccomandato di tenere in conto «la sensibilità della nostra gente».
I militanti dem sono furenti. Però un inatteso assist a Renzi arriva dai “giovani turchi”.
Francesco Verducci, il portavoce, twitta: «Il berlusconismo è durato così a lungo grazie all’anti berlusconismo ». Matteo Orfini parla di «atteggiamento laico» necessario: «Il modello elettorale spagnolo corretto in senso tedesco è da valutare nel merito. Il nostro “no” chiaro è sulle liste bloccate e pensiamo che ci voglia l’accordo nella maggioranza di governo. Ma le parole di Alfano lasciano ben sperare ».
E su Berlusconi? «No all’antiberlusconismo becero, non ho condiviso l’uscita di Fassina, ma neppure quanto ha detto Gianni… ».
I cuperliani, così divisi, si incontreranno stamani alle 13, prima della segreteria. E riunioni di corrente sono in vista, da Areadem ai Popolari. Pippo Civati, l’altro sfidante di Renzi alle primarie, mette in guardia dagli «abbracci mortali»: «Ma sono ridicole le critiche di quelli che sono stati nel governo con i berlusconiani, vediamo piuttosto il merito».
Partono i botta e risposta.
Antonello Giacomelli, ex coodinatore della segreteria di Franceschini, ironizza: «Più cautela nei giudizi da chi è stato nel governo», da Fassina cioè.
Il lettiano Francesco Sanna sostiene che dell’incontro con Berlusconi bisogna farsene una ragione come del resto Letta fu costretto alle “larghe intese”.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
IN DEMOCRAZIA DEVONO ESSERE TUTELATI TUTTI GLI ELETTORI, NON SOLO QUELLI DEI DUE PARTITI MAGGIORI… LA SOGLIA DI SBARRAMENTO AL 2% E’ PIU’ CHE SUFFICIENTE… PREMIO DI MAGGIORANZA, LISTE BLOCCATE E MANCANZA DEL VOTO DI PREFERENZA SONO UNA TRUFFA
Scriviamo questa nota mentre Renzi si dichiara “pronto a modificare il premio di maggioranza” di quella ignobile patacca che ha partorito il “grande statista”, colui che ha fatto in un mese quello che per fortuna non hanno fatto gli altri in venti anni.
Il condannato in primo grado dalla Corte dei Conti per danni erariale al Comune di Firenze pare stia riflettendo su un fatto di cui non si era accorto: nell’ipotesi in cui nessuna coalizione dovesse superare la quota minima prevista per accedere al premio di maggioranza (ancora da fissare tra il 35, il 37 o il 40 per cento) cosa accadrebbe?
Il regalo del 15% non potrebbe essere incassato e nessuna coalizione avrebbe la maggioranza assoluta per imporre la propria dittatura per 5 anni agli italiani.
Ribadiamo il concetto: considerato che quasi la metà degli elettori non si reca neanche più alle urne, chi vincesse con il 36% dei votanti in realtà rappresenterebbe il 18% degli italiani.
La logica democratica di Renzi sarebbe questa: l’82% degli italiani deve diventare suddito del 18% che ha votato il ronzino vincente.
Invece che preoccuparsi, come farebbe un vero statista, di tutelare le minoranze e garantire i diritti di controllo dell’opposizione, la premiata ditta R & B (con il tacito assenso del comico di Sant’Ilario) vuole trovare un altro escamotage per ridurre gli spazi di libertà .
Non a caso, mentre Renzi studia il sistema per “garantire stabilità ” a se stesso, Berlusconi vuole inserire nella trattativa l’elezione diretta del capo dello Stato, una diversa composizione della Consulta, e la revisione della par condicio.
In attesa di ottenere qualche garanzia sui suoi processi e su Mediaset.
I paletti fissati dalla sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato il Porcellum erano ben altri: ritorno al proporzionale con uno sbarramento minimo e un premio di maggioranza solo se si raggiunge un livello alto di consensi (tipo il 40%). Inoltre no a liste bloccate se non per i primi posti, poi via libera alle preferenze.
Se a qualcuno interessasse realmente che gli italiani ritornino a sentirsi rappresentati dalle Istituzioni occorrerebbe:
1) Consentire ai piccoli partiti di avere rappresentanza in parlamento, altrimenti chi non si riconosce nei tre partiti maggiori non ha motivo per andare a votare: quindi soglia minima al 2%
2) Consentire agli elettori di votare per i candidati che desiderano, non quelli imposti dai partiti: riaffermando il principio che l’eletto risponde all’elettore non ai capimandamento cui dovrebbe prestare giuramento di obbedienza
3) Consentire alla coalizione vincente di usufruire di un premio minimo di maggioranza del 10% solo se raggiunge il 45% di consensi. In caso contrario si aprirà un confronto tra i partiti per costituire una coalizione in grado di raggiungere la maggioranza parlamentare su un programma concordato. Con tempi tecnici fissati: massimo 20 giorni dalla data delle elezioni.
Ricordiamo che la stabilità di un governo non è data dai numeri, ma dalla credibilità e della capacità della sua classe dirigente: contano le squadre che giocano secondo lo schema del “buon governo”, non i venditori di pentole e gli illusionisti.
Finiamo con accenno alla destra italiana, totalmente prona al totem “un uomo solo al comando”.
Eppure fu la Destra in altri tempi a denunciare la “legge truffa”.
Promulgata il 31 marzo 1953 (n. 148/1953), la legge, composta da un singolo articolo, introdusse un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.
Voluta dal governo di Alcide De Gasperi, venne proposta al Parlamento dal ministro dell’Interno Mario Scelba e fu approvata solo con i voti della maggioranza, nonostante i forti dissensi manifestati dalle altre formazioni politiche di destra e sinistra.
Nel tentativo di ottenere il premio di maggioranza, per le elezioni politiche di giugno, effettuarono fra loro l’apparentamento la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Liberale Italiano, il Partito Repubblicano Italiano, la Sà¼dtiroler Volkspartei e il Partito Sardo d’Azione.
Le forze apparentate ottennero il 49,8% dei voti: per circa 54.000 voti il meccanismo previsto dalla legge non scattò.
E la pagarono cara.
La DC perse l’8,4%; i repubblicani arretrarono dello 0,86%, il Partito Sardo d’Azione dimezzò il suo consenso, anche liberali e socialdemocratici dovettero registrare perdite.
Il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano aumentarono i consensi ottenendo 35 seggi in più; il Partito Nazionale Monarchico aumentò da 14 a 40 deputati e il Movimento Sociale Italiano aumentò da 6 a 29 deputati.
E Il 31 luglio dell’anno successivo la legge fu abrogata.
Allora la destra fece una battaglia di libertà e fu ripagata per la sua coerenza.
Oggi sa solo usare la lingua per assecondare i potenti e garantirsi posti sul loggione sgranocchiando pistacchi.
Ma la “storia politica” la cambiano le minoranze che hanno intuizione coraggiose, non i maggiordomi in livrea al servizio del “principe corrotto” di turno.
Qualcuno ogni tanto è giusto che glielo ricordi.
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Gennaio 20th, 2014 Riccardo Fucile
O ALLARGA L’INTESA O LA PSEUDO-RIFORMA AMMAZZA-PICCOLI DI RENZI FINISCE MALE
Matteo Renzi parla di «grande sintonia» sulla legge elettorale e Silvio Berlusconi rivela che esiste un
«accordo tra Pd e Forza Italia per rafforzare i grandi partiti». Ufficialmente non si conosce il testo dell’intesa, ma potrebbe essere ampia e coinvolgere anche le altre forze politiche.
Tuttavia se, per una qualche ragione, saltasse tutto e il nuovo sistema di voto fosse frutto di un patto a due, se cioè non lasciasse alle piccole forze politiche altra possibilità che accettare o restare tagliate fuori, sorgerebbero dei seri problemi, soprattutto al Senato perchè alla Camera i numeri sono tali da non costituire un assillo.
A Montecitorio Forza Italia e Pd godono di una maggioranza che sulla carta – nonostante lo scrutinio segreto con il quale si approverà il testo – li mette al riparo da rischi.
Al contrario di ciò che potrebbe avvenire nell’altro ramo del Parlamento.
Parlando con chi a Palazzo Madama ci sta da tempo ed è un osservatore attento delle sue vicente interne, si scopre che i senatori del Pd di strettissima osservanza renziana, sarebbero non più di 25 su un totale di 108.
Se si sommano ai 60 berlusconiani si arriva a 85.
Siamo pertanto ben lontani dal quorum necessario per fare passare un testo, benchè a costoro si possano associare alcuni dei sei senatori a vita (Mario Monti, Carlo Azeglio Ciampi, Claudio Abbado, Renzo Piano, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo). Con loro il totale è al massimo 91.
Sono insufficienti perchè ne servono almeno 161, tenuto conto che l’assemblea è composta da 321 senatori e che il presidente del Senato, per prassi, non partecipa alle votazioni.
In dettaglio, senza Pd e FI, la somma degli altri gruppi – che non sono tutti alleati fra loro – dà come risultato 153: M5S 50, Ncd 31, Lega Nord 15, Misto (Sel e altri) 14, Per l’Italia 12, Per le autonomie 12, Gal 11, Scelta civica 8.
Stando così le cose, nel caso di un patto a due tra Renzi e Berlusconi, sarebbero quindi soltanto 85 i senatori sui quali si fonderebbe una maggioranza parlamentare che non tenesse conto del consenso delle altre formazioni.
Il punto politico è che il gruppo dei senatori del Pd è espressione della passata segreteria. Sono, cioè, in massima parte bersaniani, appartengono insomma all’attuale minoranza del partito fatta appunto di bersanian-cuperliani e civatiani perchè le liste per le politiche del febbraio 2013 furono fatte inserendo pochi esponenti vicino a Renzi, battuto da Bersani alle primarie del 2012.
Ora, però, il partito è guidato dal sindaco di Firenze che si è mosso subito dicendo che avrebbe cercato un’intesa sulla legge elettorale con chi ci stava, e non partendo dal recinto della maggioranza delle «intese ristrette» che sostiene il governo Letta.
Fatti gli incontri e arrivati alla stretta finale, la minoranza del Pd ha minacciato di fare cadere il governo se l’accordo non avesse compreso anche gli altri partiti della coalizione.
Ufficialmente se si interpellano gli esponenti delle varie componenti nessuno è disposto ad ammettere che le forze in campo sono queste. Tutti si trincerano dietro frasi del tipo: «Quando la Direzione del partito, dopo avere valutato il modello elettorale, prenderà la decisione tutti noi saremo tenuti» a rispettarla e a comportarci conseguentemente, «saremo» disciplinati ed è quindi «da escludere» una spaccatura e «non è neppure all’orizzonte» una scissione.
Comunque altri, sempre con la garanzia dell’anonimato, fanno notare che il fatto che il segretario non abbia reso noto il modello sul quale si è registrata la convergenza con Berlusconi dipende proprio dalla consapevolezza che senza il consenso dei «piccoli» la legge elettorale è destinata a non passare.
Lorenzo Fuccaro
(da “il Corriere della Sera”)
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