Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO UCRAINO CHIUDE LO SPAZIO AEREO
«Corri, i russi sono all’aeroporto!». Quando il telefono suona e un amico ucraino mi avverte, l’alba si è appena levata su Simferopoli, questo orribile minuzzolo di capitale. Cade una neve incerta, sobborghi squallidi sfumano nel cielo grigio come una immensa lastra di ardesia, accanto alla strada un piccolo, triste, fiume color dell’alluminio.
Eppure lo scalo è aperto, le luci sono accese, sulla pista rulla già il primo volo per Kiev previsto alle sette. Davanti all’ingresso del vecchio aeroporto, un incredibile tempietto con colonne, capitelli attici, frontoni (Stalin amava la Grecia antica…) ora ristorante, sono parcheggiati alcuni grossi camion.
Eccoli! Soldati in mimetiche verdi, zainetti leggeri da combattimento, le canne dei mitra rivolte verso il basso, pattugliano placidamente il piazzale, il parcheggio dei bus, vanno e vengono affaccendati dal ristorante scelto come posto comando.
Non bloccano nessuno, non hanno chiuso porte e scale, non minacciano. Sono silenziosi, corretti, tranquilli. E soprattutto non hanno insegne o mostrine.
I miliziani delle forze di autodifesa dei russi di Crimea, che li affiancano come per un servizio d’ordine, quelli sì, sono più agitati e non si nascondono: al braccio hanno il fiocco con i colori arancione e nero, l’ordine di san Giorgio, una sorta di croce di ferro dell’antica Russia.
Colpo di mano in sordina
Ci avviciniamo a uno dei soldati misteriosi: «Buon giorno, siete ucraini?». Gli occhi del soldato ci attraversano come se non esistessimo, continua la sua ronda senza fermarsi. Questa è una invasione muta. Ma parlano le loro armi: ad esempio i fucili per cecchini di cui dispongono gli «spetnaz», le truppe speciali dell’ esercito russo.
È cominciata così, dunque: secondo lo stile da iceberg di Putin, non si a mai dove è la parte sommersa. Basta con i distinguo, le scioccherie, di colpo freddo arcigno spaurevole manesco come un facchino.
È un intervento bonsai, senza bandiere, riscalducciato, ma forse per questo ancora più brutale degli antichi cainismi di stile sovietico. In fondo si tratta pur sempre di spremere la gente come uva nel frantoio.
Di colpo la originaria assenza di buon gusto mette in mostrale proprie viscere così educatamente nascoste.
In Ucraina Mosca ha subito, con la rivoluzione, un rovescio, ma non accetta, non vuole uscirne pesta e sbaragliata. Dopo aver vilipeso per una settimana alla televisione «i nazisti di Maidan», e aver aizzato i russi della Crimea mettendo loro la benda agli occhi e l’arma in pugno, colpisce. Con l’arroganza insulsa e distratta di chi riapre la porta di casa, recupera roba sua.
«Stato di emergenza»
Per molte ora la corbellatura degli uomini armati senza etichetta continua, come si avesse paura a riconoscere la realtà . Intanto altri soldati russi hanno preso il controllo anche dell’altro aeroporto, Belbek, vicino a Sebastopoli, dove atterrò Gorbaciov per la sua fatale vacanza in Crimea. «Le nostre forze sono circondate dall’ottantunesima brigata della Marina russa, 2mila uomini, ci sono i cecchini» strilla Kiev.
Otto elicotteri eruttano rinforzi. Bloccano anche il comando della Marina ucraina. E sono arrivati i soldati muti anche davanti alla sede della televisione di Crimea, a Simferopoli. Anche qui stile di velluto, beffardo, di chi bussa: tenendo i kalashnikov in mano. Hanno annunciato al direttore che dovevano entrare. Sudando sangue dagli occhi ha chiesto: Chi siete?, voleva le carte le autorizzazioni, il poverino.
«Ci spiace. Non possiamo dir nulla» e sono entrati. Spuntano, discretissimi, sullo sfondo delle trasmissioni. I soldati sarebbero entrati anche nella sede delle telecomunicazioni. Infine il ministro degli interni dell’appena costituito governo ucraino, Avakov, si è rassegnato alle parole terribili: «Siamo di fronte a una invasione, a una occupazione che viola tutte le norme della comunità internazionale e che può portare a un bagno di sangue».
Circola la frase fatale: «Stato di emergenza». A sera l’Ucraina annuncia che all’aeroporto di Simferopoli atterrano tredici aerei russi con altri rinforzi, duemila paracadutisti. E che il suo spazio aereo è stato violato.
L’ingranaggio della crisi fa un altro passo. All’aeroporto i viaggiatori per Kiev si imbarcano con l’aria di chi si chiede quale bandiere troverà al ritorno. Anche loro in silenzio, come se si adeguassero al dramma in corso, per non disturbare.
Una ragazza con sguardo languido e ciò nondimeno vigoroso, uno sguardo impaziente, accarezza i suoi russi in mediocre incognito: «Aspetto questo giorno da venti anni, la mia capitale è Mosca…». Non sanno di essere tra gli ultimi a poter partire. Da ieri lo scalo della capitale è chiuso, gli addetti annunciano che anche i voli di stamane sono cancellati. Torno in città , spuntano le prime auto con le bandiere russe dai finestrini.
Verso la secessione
Torno in città , spuntano le prime auto con le bandiere russe che sporgono dai finestrini. Piotr, aggomitolato in una logora poltrona del suo caffè, sembra l’unico a Simferopoli a non esser contento, ha la voce lontana, lo sguardo umiliato: «I russi son sempre gli stessi, un po’ lenti ma alla fine… A Mosca siamo davvero legati con catene di ferro, odiate, ma che non si possono spezzare. Di errori ne hanno fatti anche a Kiev, le chiacchiere le provocazioni: vietiamo la lingua russa, mandiamo quelli del Settore destro a metter in riga l’est e la Crimea… gli elmetti le maschere… complimenti!».
In tv scorre il faccione un po’ stralunato di Yanukovich, il ricercato per 82 omicidi, avvolto in bandiere ucraine, in diretta da Rostov, in Russia: chiede scusa per esser fuggito, dice che tornerà se ci sono le condizione di sicurezza perchè il presidente è sempre lui…
Nessuno lo guarda: «Quello che dice quel tipo non ci interessa è fuori tempo massimo…». Se i russi coltivano qualche idea di usarlo come Quisling di ritorno fanno calcoli sbagliati. Davanti al palazzo del parlamento bandiere russe, ondate di pop patriottico russo a tutto volume, tè e salsicce russe: tumulto assordante e perpetuo, un brulicare da accampamento, gente che adora una esplosiva fraseologia radicalpopulista: viva la Russia e gli altri all’inferno.
Il nuovo primo ministro della Crimea è Serghei Aksenov, uomo di affari, capo del partito «Unità russa»: ovviamente. È ancora incerto il numero dei deputati che nel parlamento occupato dagli armati di Mosca lo ha eletto, qualche formalista sostiene che erano sotto il numero legale. Dettagli, in fondo, con quello che è accaduto dopo. Occhi grigi, acuti come punteruoli, annuncia che si sta procedendo alla formazione del governo (ma restano posti liberi); sì, il 25 maggio si voterà il referendum, ma niente secessione, per carità ! solo per dilatare un po’ l’autonomia.
Chi paga, chiedono alcuni scettici indomabili, visto che le casse sono vuote? «Abbiamo chiesto un aiuto alla Russia, ma secondo le regole il finanziamento dovrà passare per il governo ucraino…». I nuovi ministri non avranno privilegi e solo un modesto stipendio… non come gli spilla quattrini di Kiev.
I tartari resistono
Arriva, con studiato colpo di scena, in aereo da Kiev un deputato eccellente, Piotr Poroshenko, milionario del cioccolato favorevole alla rivoluzione, possibile candidato alla presidenza. Vuole discutere con il parlamento della Crimea. I forsennati che circondano l’edificio lo hanno bloccato. Usciamo da Simferopoli per incontrare uno dei capi dei tatari, mezzo milione su tre milioni di abitanti della Crimea, saldamente ostili alla Russia, un altro enigma di questa crisi.
Sulla strada per Bakhi Sarai, la loro capitale non ufficiale, un colonna di camion avanza verso Simferopoli: sotto i tendoni altri soldati in mimetica verde. Fanno cenni di saluto all’autista che li supera con lieti colpi di clacson. Il muezzin chiama alla preghiera nella splendida moschea del palazzo dei khan, nel centro la fontana cantata da Puskin. Incombono straordinarie «falaise» di calcare.
Ismail Memetov ha gesticolazione a larghe ruote, parole che sono morsi, e una storia personale che spiega molte cose. La sua famiglia, con altri centomila tatari, nel 1944 fu deportata da Stalin in Uzbekistan. Li punivano per aver aiutato i tedeschi durante la guerra («una scusa, voleva la nostra terra») viaggiarono sui carri bestiame, gettati senza cibo nella steppa: molti miei parenti sono morti di fame. Io sono a nato a Samarcanda, e tornato qui, tra i primi, negli anni Novanta: la vita era dura, non c’erano permessi, case, lavoro, le terre concesse come riparazione erano steppa dura, con l’affondamento dell’Urss i nostri risparmi son diventati carta straccia». Memetov ha guidato i suoi in piazza nei giorni scorsi per gridare la fedeltà all’Ucraina: «Anche se i governi nati dalla rivoluzione arancione ci hanno usati. Abbiamo difeso i loro comizi durante la campagna elettorale, i russi volevano cacciarli a sassate, li abbiamo votati, e loro ci hanno dimenticato. Ma sappiamo come si vive in Russia, non vogliamo ritornare sotto di loro. Mai». E adesso? I russi sono qui… ha paura? «Gente che ha la nostra storia ha smesso da tempo di avere paura».
Domenico Quirico
(da “La Stampa”)
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
E’ IL FIDANZATO DELL’ON. DI BENEDETTO CHE DETIENE LA PASSWORD DEL SITO CINQUESTELLE DI PALERMO
Come funziona la democrazia in 5 Stelle? 
Se sei l’intestatario del sito 5 Stelle Palermo e detieni la password da amministratore, puoi bannare e buttare fuori centinaia di storici militanti M5S che sono contro l’espulsione di Campanella e far credere a tutti che il “territorio” è contro il parlamentare di 5 Stelle.
In realtà il “territorio” è solo lui, Mauro Giulivi, primo dei non eletti all’Ars dietro Campanella e compagno dell’onorevole Chiara Di Benedetto, insieme a Francesco Lupo, fratello dell’onorevole Loredana Lupo e Samantha Busalacchi, uno dei 15 “portaborse” assunti di recente nel gruppo M5S di Palazzo dei Normanni.
Ma la vera base formata dagli storici militanti di 5 Stelle sono tutti dalla parte di Campanella e contro chi ha con un mezzo golpe preso il controllo del sito: da cui è nata la lettera di solidarietà a Campanella sottoscritta dall’80% degli iscitti al Meetup.
Ma questo falso è servito da pretesto a Grillo per mettere sotto accusa Campanella e gettarlo in cattivo luce agli occhi di chi avrebbe poi dovuto decretarne l’espulsione.
Anche i grillini tengono famiglia «ma in Sicilia si è forse esagerato », fa notare un ribelle senza volto, ricordando come nella lista della Camera ci fossero i due fratelli Lupo, la coppia Giulivi-Di Benedetto, l’eletta Claudia Mannino e il compagno Pietro Salvino, oltre ad Azzurra Cancelleri, sorella del candidato governatore Giancarlo.
Tra parentopoli e golpisti del web, un bello spaccato dei grillini siciliani…
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
E’ IL FIDANZATO DELL’ON. DI BENEDETTO CHE DETIENE LA PASSWORD DEL SITO CINQUESTELLE DI PALERMO
Come funziona la democrazia in 5 Stelle? 
Se sei l’intestatario del sito 5 Stelle Palermo e detieni la password da amministratore, puoi bannare e buttare fuori centinaia di storici militanti M5S che sono contro l’espulsione di Campanella e far credere a tutti che il “territorio” è contro il parlamentare di 5 Stelle.
In realtà il “territorio” è solo lui, Mauro Giulivi, primo dei non eletti all’Ars dietro Campanella e compagno dell’onorevole Chiara Di Benedetto, insieme a Francesco Lupo, fratello dell’onorevole Loredana Lupo e Samantha Busalacchi, uno dei 15 “portaborse” assunti di recente nel gruppo M5S di Palazzo dei Normanni.
Ma la vera base formata dagli storici militanti di 5 Stelle sono tutti dalla parte di Campanella e contro chi ha con un mezzo golpe preso il controllo del sito: da cui è nata la lettera di solidarietà a Campanella sottoscritta dall’80% degli iscitti al Meetup.
Ma questo falso è servito da pretesto a Grillo per mettere sotto accusa Campanella e gettarlo in cattivo luce agli occhi di chi avrebbe poi dovuto decretarne l’espulsione.
Anche i grillini tengono famiglia «ma in Sicilia si è forse esagerato », fa notare un ribelle senza volto, ricordando come nella lista della Camera ci fossero i due fratelli Lupo, la coppia Giulivi-Di Benedetto, l’eletta Claudia Mannino e il compagno Pietro Salvino, oltre ad Azzurra Cancelleri, sorella del candidato governatore Giancarlo.
Tra parentopoli e golpisti del web, un bello spaccato dei grillini siciliani…
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
ANTONIO GENTILE SOTTO INCHIESTA PER LA SANITA’ CALABRESE E CHIAMATO IN CAUSA PER LA CENSURA A UN QUOTIDIANO LOCALE… FRANCESCA BARRACCIU INDAGATA PER PECULATO PER I RIMBORSI IN SARDEGNA
Due nomi imbarazzanti nel governo di Matteo Renzi: Antonio Gentile (Ncd) e Francesca Barracciu (Pd).
Entrambi coinvolti in vicende recentissime, impossibile che i collaboratori del premier non ne fossero a conoscenza.
Eppure il Presidente del consiglio ha accettato di nominare il primo come sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, la seconda alla Cultura.
Il primo, Gentile, l’uomo di Angelino Alfano in Calabria, è toccato da una inchiesta sulla sanità calabrese ed è stato chiamato in causa nella censura del quotidiano L’Ora della Calabria.
Questo ultimo fatto è accaduto nella notte tra il 18 e il 19 febbraio, quando dalla redazione del quotidiano diretto da Luciano Regolo vengono inviate le pagine alla tipografia per la stampa. In prima pagina una notizia clamorosa, in esclusiva: il figlio del senatore Antonio Gentile, Andrea, è indagato per abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione per delinquere.
Il direttore Regolo dice di ricevere una telefonata dal tipografo che si propone come mediatore della famiglia Gentile: il giornale potrà uscire soltanto se epurato della notizia.
Regolo naturalmente si rifiuta di eseguire l’ordine, ma il tipografo insiste e secondo le parole del direttore usa un linguaggio mafioso: “Attenzione perchè quando il cinghiale viene ferito, poi ammazza tutti”.
La notizia pubblicata sul sito dell’Ora della Calabria
Regolo riferisce che quEste parole di minaccia sarebbero state usate anche con l’editore del quotidiano, Alfredo Citrigno, che comunque aveva già tentato di convincere Regolo a togliere quella news.
La direzione però è irremovibile, e nella notte un improbabile incidente alle rotative impedisce che il quotidiano esca.
La notizia è stata poi pubblicata lo stesso 19 febbraio nel sito online del quotidiano, mentre Regolo ha convocato una conferenza stampa per denunciare il brutto episodio, poi ripreso dalla stampa nazionale.
Sul caso la Procura di Cosenza ha aperto un fascicolo, mentre Antonio Gentile ha respinto qualsiasi implicazione nell’episodio.
E a quanto pare il neo premier non si è posto un problema di opportunità politica per sua presenza nel governo.
Quello del senatore calabrese non è l’unico nome fuori logo nella lista dei sottosegretari.
Renzi infatti ha ripescato a sorpresa Francesca Barracciu (Pd), candidata alle regionali della Sardegna e poi costretta a fare marcia indietro perchè coinvolta in una inchiesta sui fondi regionali sardi che ha portato lo scorso novembre all’arresto dell’ex capogruppo Pdl Mario Diana, del consigliere Carlo Sanjust (Pdl) e dell’imprenditore Riccardo Cogoni.
Barracciu è accusata di peculato in una indagine che ha coinvolto quasi tutti i gruppi consigliari.
Secondo gli inquirenti i fondi destinati ai gruppi sarebbero stati utilizzati a scopi personali.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
DE LUCA, TINAGLI, MAURO, RICHETTI, TABACCI, ROMANO
Pasdaran renziani, democratici delusi, popolari tagliati fuori dall’applicazione – più o meno
rigorosa – del manuale Cencelli: l’elenco degli esclusi dalla tornata di nomine dei sottosegretari decisa oggi da Matteo Renzi è varia e trasversale.
I più delusi sono probabilmente fedelissimi del sindaco di Firenze come Matteo Richetti e Simona Bonafè, in predicato di entrare già nella segreteria, poi evocati come ministri e quindi esclusi anche dal sottogoverno.
A bocca asciutta anche Yoram Gutgeld, scavalcato a sorpresa dal civatiano Filippo Taddei nella squadra del Pd come responsabile economico, e ora fuori anche dalle ultime nomine.
Ma tra i democratici i mal di pancia sono diffusi anche fuori dalla corrente renziana.
Sportiva, almeno ufficialmente, la reazione di uno dei “bocciati” illustri, il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.
Fuori anche il sindaco di Bari Michele Emiliano, che ha annunciato in giornata di essere stato scelto come capolista Pd al Sud alle prossime elezioni europee.
Meno sportiva la reazione di Emanuele Fiano, che su Twitter si abbandona a uno sfogo inequivocabile: “Impossibile delle volte continuare a credere nel proprio lavoro”
Dato ormai per certo alla vigilia – ma come si dice a Roma per il Concalve, “chi entra Papa esce Cardinale”,- è rimasto a bocca asciutta il cuperlaino Andrea De Maria, unico esponente vicino al candidato alla segreteria sconfitto finito nel totosottosegretari,
Malumori anche nella galassia degli ex democristiani.
In cima alla lista degli esclusi l’ex ministro Mario Mauro, malgrado i Popolari siano riusciti a portare a casa 3 sottosegretari, e l’ex assessore al Bilancio di Milano Bruno Tabacci, dato come possibile ministro e ora nemmeno sottosegretario.
Fuori anche due nomi di peso di Scelta civica, Andrea Romano e Irene Tinagli.
Evocati anche nel totoministri sono rimasti fuori dalla squadra di governo.
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
TUTTI GLI INCARICHI AI COMPAGNI DI MERENDE DI MATTEO
I pezzi pregiati del “giglio magico” sbarcano a Palazzo Chigi (con l’aggiunta di Graziano Delrio e del suo esordio con il Bot).
Renzi non poteva fare a meno del suo braccio ambidestro Lotti, che lo segue dai tempi della Provincia e con cui ha condiviso tutto, fra i pochissimi di cui il premier si fidi davvero.
Gli altri renziani “con l’aureola” vengono distribuiti fra Nazareno e Firenze. Il deputato Francesco Bonifazi resta a fare il tesoriere al partito e a controllare i conti, Dario Nardella torna nel capoluogo toscano come “reggente” e candidato sindaco alle prossime amministrative.
Fuori dal ristrettissimo gruppo degli uomini più vicini al neopresidente del Consiglio, spuntano altri renziani che in passato hanno ricoperto ruoli chiave.
Come Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza, ex lettiano di ferro, già capo della campagna elettorale di Renzi nel 2012.
Per un anno di lui si erano perse le tracce; nel 2013 la segreteria Bersani aveva messo il veto sul suo ingresso in Parlamento, dopo alcune sue sortite poco felici (per dire, Reggi dette dei “scagnozzi” bersaniani a quelli che avevano scritto le regole delle primarie). Inaugurato il governo Letta, era rimasto fuori pure da quello.
Adesso, con Renzi, è finalmente arrivato il suo momento.
Alla Pubblica amministrazione e semplificazione il segretario del Pd mette Angelo Rughetti, ex Anci.
Agli Interni è stato confermato sottosegretario Domenico Manzione, fratello di Antonella Manzione, capo dei vigili e direttore generale di Palazzo Vecchio.
A Report, Manzione aveva spiegato il perchè della sua nomina nel governo Letta: “Sono un tecnico considerato in quota renziana, quindi questo le fa capire com’è che io sia arrivato sin qui. Nel senso che ci arrivo per indicazione derivante da Renzi, basata su ragioni di conoscenza, di affetto, di amicizia e di stima personale”.
Molto legato a Renzi l’ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Letta, Erasmo D’Angelis, già presidente di Publiacqua, appena nominato capo segreteria a Palazzo Chigi. Fuori dal “giglio magico”, ma comunque con i galloni renziani, anche Ivan Scalfarotto, che va al ministero della Boschi.
Non sono certo renziani della prima ora Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico, e l’ex arcinemico delle primarie fiorentine Lapo Pistelli, che resta viceministro degli Affari esteri, arrivati in quota Franceschini.
Al congresso naturalmente avevano appoggiato Renzi, come tutta AreaDem. Da qualche tempo, comunque Pistelli e il premier erano in fase di riavvicinamento. Appena eletto leader del Pd, Renzi ha chiesto consigli al suo vecchio mentore (di cui in gioventù era stato portaborse) sui nomi da mettere in segreteria.
E quello di Pistelli non è l’unico caso di vecchi avversari fiorentini che adesso governeranno con il sindaco fiorentino (in decadenza).
Anche Gabriele Toccafondi, leader regionale toscano di Ncd, già coordinatore fiorentino del Pdl, è stato confermato sottosegretario all’Istruzione, lo stesso ministero in cui c’è Reggi.
Nel 2009 l’ex berlusconiano doveva essere l’avversario di Renzi alle amministrative di Firenze, ma il Cav. gli preferì Giovanni Galli. E se non fosse rimasto al governo, probabilmente sarebbe stato lui lo sfidante di Nardella e del Pd.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
MANUALE CENCELLI E POLTRONE PER TUTTI
Pari opportunità , integrazione, famiglia, giovani, servizio civile, adozioni internazionali,
droghe, politiche digitali.
Queste le deleghe rimaste in pancia a Palazzo Chigi dopo la nomina di 9 viceministri e 44 sottosegretari.
Alcune verranno distribuite fra i quattro sottosegretari alla presidenza del Consiglio, che sono già titolari di comparti pesanti come gli Affari europei, i Servizi segreti e l’editoria.
Altre le terrà in mano il premier.
Un quadro che, di fatto, rende il capo del governo titolare di un super-ministero che avrà competenze sullo spinoso tema dei diritti, sul mondo del finanziamento pubblico ai giornali e sulle politiche comunitarie (in vista del semestre di presidenza europeo). E che sarà coordinato dal quarto moschettiere renziano, quel Graziano Delrio che ha già preso in mano la cabina di regia dell’intera squadra.
Con lui l’uomo ombra di Matteo, quel Luca Lotti (Editoria) già coordinatore della segreteria del partito, il prodiano Sandro Gozi (Affari europei) che molto si è avvicinato alle suggestioni renziane dopo la triste vicenda dei 101, e Marco Minniti, uomo della sinistra interna, che garantirà esperienza e continuità in un settore delicato come quello dell’intelligence.
Se si considera che la pasdaran del premier, Maria Elena Boschi, è a capo di un ministero, quello delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento, che di fatto è una diretta emanazione di Palazzo Chigi, l’affresco è completo.
E raffigura un ex rottamatore che ha voluto tenersi stretti molti dei temi sui quali si gioca la propria credibilità . Gli altri, quelli del lavoro, dello sviluppo e dell’economia, li ha affidati a tecnici, mettendo un’ipoteca politica su qualsivoglia risultato futuro.
Questa la chiave di lettura che spiccanella composita infornata di viceministri e sottosegretari.
Che hanno visto il Pd e il Nuovo centrodestra fare la parte del leone.
Enrico Morando, veltroniano, affiancherà Pier Carlo Padoan a via XX settembre in qualità di vice. Fu tra i primi a recepire la “rottamazione”, annunciando la propria volontà di non ricandidarsi in Parlamento, e avvicinandosi alle posizioni del sindaco di Firenze.
E sarà praticamente l’unico volto nuovo all’Economia (sostituendo Stefano Fassina) in un ministero rimasto sostanzialmente immutato rispetto all’esecutivo di Enrico Letta, fatto salvo per il titolare, quel Pier Carlo Padoan che è subito entrato in sintonia con il premier
Strategica la nomina di Antonello Giacomelli, renziano di rito franceschiniano, come viceministro allo Sviluppo con delega alla comunicazione.
Franceschiniano anche Gianclaudio Bressa, che diventa sottosegretario agli Affari regionali, mentre lo stesso Franceschini verrà affiancato alla cultura da Francesca Barracciu, esclusa dalle regionali in Sardegna perchè coinvolta in una inchiesta sui fondi regionali.
Vicini al premier sono Ivan Scalfarotto (ai Rapporti con il Parlamento), Angelo Rughetti (Pubblica amministrazione) e Roberto Reggi (Istruzione), che ne coordinò la campagna per le primarie del 2012.
Il Pd incassa la riconferma di Pier Paolo Baretta all’Economia, che sarà affiancato da Giovanni Legnini, che cede la delega all’editoria, mentre Lapo Pistelli è il primo a fare outing – su Facebook – “sono ancora viceministro agli Esteri”.
Agli interni nessuna novità : Angelino Alfano sarà coadiuvato da Filippo Bubbico, Gianpiero Bocci e Domenico Manzione. C’è posto anche per il lettiano Vito De Filippo, alla Salute.
Via del Nazareno militarizza il ministero del Lavoro.
Il tecnico Giuliano Poletti sarà affiancato da tre sottosegretari Dem: Teresa Bellanova, Franca Biondelli e Luigi Bobba.
Il grande accusatore di Nunzia De Girolamo, Umberto Del Basso de Caro, viene promosso alle Infrastrutture, Silvia Velo all’Ambiente in quota Giovani Turchi. Quest’ultima viene raggiunta dalla notizia in Transatlantico: “Ma ora dovremmo firmare la nomina? Come funziona?”, mentre qualche passo più in là Matteo Orfini esprime soddisfazione: “Avevamo indicato il suo nome, sono molto contento”.
Non c’è nessun nome di primo piano dell’area di Gianni Cuperlo, così come è sfumata all’ultimo la nomina di Emanuele Fiano, capogruppo Pd in I Commissione.
“Facciamo le corna”, diceva a Cdm ancora in corso, per poi sedersi deluso su un divanetto: “Devo seguire da vicino l’iter della legge elettorale…”.
Alfano, dopo aver rinunciato a un ministero, passa all’incasso.
Il Nuovo Centrodestra ottiene un viceministro all’Economia e conferma Luigi Casero. Così come confermati sono Simona Vicari allo Sviluppo, Antonio Gentile alle Infrastrutture e Gabriele Toccafondi, ciellino come Lupi, all’Istruzione.
Nuovi ingressi quelli di Massimo Cassano al Lavoro ma soprattutto di Enrico Costa, viceministro alla Giustizia. Costa, che lascerà il posto di capogruppo per fare posto alla De Girolamo, affiancherà Cosimo Ferri.
Con il garantista Andrea Orlando – molto stimato dal Foglio e da molti fra gli azzurri – al timone, quella di via Arenula sarà una squadra affatto sgradita a Silvio Berlusconi. Ferri è considerato un tecnico di area berlusconiana e Costa, pur avendo abbandonato l’ovile di Arcore, è passato alla storia per aver firmato emendamenti che prevedevano una drastica limitazione dell’uso delle intercettazioni
Soddisfatta Scelta civica. Carlo Calenda continuerà a fare il viceministro allo Sviluppo, Ilaria Borletti Buitoni il sottosegretario alla Cultura, mentre Benedetto Della Vedova è diretto alla Farnesina.
I Popolari di Per l’Italia, dopo aver perso il ministero di Mario Mauro, incassano Andrea Olivero viceministro all’Agricoltura, Angela D’Onghia sottosegretario all’Istruzione e Domenico Rossi alla Difesa.
Entra al governo anche il Psi. Riccardo Nencini, il segretario, è il nuovo viceministro alle Infrastrutture.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 1st, 2014 Riccardo Fucile
“UN ESORDIO SFILACCIATO”
“Il nuovo primo ministro d’Italia si dilunga nelle promesse ma scarseggia nei dettagli”. È quanto scrive il settimanale britannico The Economist, che definisce come “sfilacciato” l’esordio di Matteo Renzi alla guida del governo.
Secondo il settimanale, il discorso per la fiducia fatto dal presidente del Consiglio ha un grande problema: la assoluta mancanza di dettagli sulle riforme che Renzi intende fare.
“Ha promesso una riforma al mese fino a giugno, sul lavoro, la burocrazia e la tassazione. Ma non ha fornito delucidazioni sulla sua proposta per un nuovo contratto di lavoro o l’estensione a tutti dei sussidi per i disoccupati”, si legge nell’analisi del settimanale.
Per l’Economist non è stato ancora chiarito come Renzi intenda trovare i fondi per ridurre il carico fiscale sugli italiani, fare forti investimenti nell’edilizia scolastica e saldare i debiti dello Stato con le imprese.
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