Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
AVREBBE PERMESSO DI ASSUMERE O PROMETTERE DI ASSUMERE UN BEL PO’ DI PERSONE PRIMA DELLE ELEZIONI: “SERVE PER NARDELLA”
A livello giornalistico tutti lo conoscono come “Salva-Roma”, ma poi si sa come vanno queste cose: si finisce per salvare un po’ tutti. O almeno ci si prova.
E’ così che durante la notte — nell’apposita riunione congiunta delle commissioni Bilancio e Finanze convocata per approvare il decreto “in materia di finanza locale, nonchè misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche” (il nome ufficiale) — si è tentato nientemeno che di salvare Dario Nardella, il vicesindaco di Firenze nominato da poche settimane dall’amico Matteo Renzi e candidato avatar del premier a primo cittadino nella città in cui tutto è iniziato (candidato che, a quanto risulta da sondaggi interni dello stesso Pd, viaggia alla non ragguardevole cifra del 30% delle intenzioni di voto).
L’emendamento è uno di quelli scritti in burocratese stretto, in modo che si faccia fatica a capirne il contenuto: il sospetto che fosse pensato per favorire Firenze era già nell’aria, ma è divenuto una certezza quando i lavori delle commissioni riunite si sono arenati per l’opposizione dei deputati di Nuovo Centrodestra (Paolo Tancredi e Barbara Saltamartini su tutti).
“Ma se lo dicono anche quelli del Pd che è stato pensato per Firenze”, sbottava Rocco Palese (Forza Italia) uscendo dall’aula intorno a mezzanotte e mezza.
La firma in calce al testo, d’altronde, lasciava pochi dubbi: Dario Parrini, segretario regionale del Pd in Toscana, renzianissimo.
Anche lo stesso Nardella s’era discretamente fatto sentire coi colleghi (formalmente è ancora deputato) e il governo aveva sigillato il tutto col suo parere favorevole: alla fine, però, dopo una mezz’ora di discussione accesa e coi lavori di commissione a rischio blocco, il Pd ha deciso di ritirare l’emendamento col proposito di ripresentarlo nella discussione in Aula la prossima settimana.
Il contenuto, come si diceva, è pensato proprio per permettere al Comune di Firenze — e cioè al clone renziano Nardella che lo amministra oggi e probabilmente lo farà domani — di assumere o promettere di assumere un po’ di gente prima delle elezioni: la classica manovra pre-elettorale. In sostanza si consente ad alcune tipologie di comuni di aumentare il numero di dirigenti assumibili a tempo determinato e senza concorso: in pratica, nel nostro caso, Firenze avrebbe triplicato questo genere di posti (senza contare, sia detto per inciso, che la cosa è del tutto in contrasto coi nuovi concorsi per giovani dirigenti propagandati dal ministro della Funzione pubblica Marianna Madia).
Se il salva-Nardella o salva-Firenze non è andato, però, non tutti gli aiutini vengono bloccati. Anzi, di regola qualcosa passa sempre.
Un emendamento che tanto fa piacere ai comuni di Milano e Torino, ad esempio, è stato approvato proprio nella notte: in sostanza è stata abbassata dal 30 al 20% la cifra che va appostata in bilancio per garantire i residui attivi.
Questo, ovviamente, libera risorse che altrimenti sarebbero dovuto rimanere immobilizzate. Questa riduzione — autorizzata dalla Ragioneria generale e avallata un po’ da tutti anche grazie alle telefonate in serie fatte dal presidente dell’Anci, Piero Fassino — consentirà a Giuliano Pisapia, che era in grossa difficoltà , di chiudere il bilancio (e anche a Torino, dicono i tecnici, hanno tirato un bel sospiro di sollievo).
Twittava nella notte la deputata romana Barbara Saltamartini, direttamente dalla commissione: “Da questa sera il cd decreto #salvaRoma è meglio chiamarlo #salvaMilano grazie a riduzione dal 30 al 20% del fondo svalutazione crediti”.
Tutto è bene quel che finisce bene all’ombra del salva-Roma.
E? il nuovo che avanza.
Corre Renzi, corre…
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
ANTONELLA MENZIONE, EX COMANDANTE DEI VIGILI URBANI, DIVENTA CAPODIPARTIMENTO AFFARI GIURIDICI LEGISLATIVI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO… SUO FRATELLO E UN MAGISTRATO VICINO AL PREMIER
Da comandante dei vigili urbani a capo dipartimento affari giuridici legislativi della presidenza del Consiglio dei ministri, a Roma.
E’ la storia di Antonella Manzione che vanta un curriculum vitae brillante, ma anche una parentela di peso: è sorella del sottosegretario all’Interno Domenico Manzione, 59 anni, per 15 anni sostituto procuratore a Lucca, poi ad Alba, e uomo del presidente del Consiglio Renzi che nel 2013 lo volle nella squadra di governo di Enrico Letta.
“Mi ha proposto Matteo Renzi, ma ho accettato come tecnico”, dichiarò il magistrato subito dopo aver ricevuto l’incarico, ricoperto tuttora nel nuovo esecutivo.
Adesso l’ex sindaco di Firenze vuole al suo fianco anche la sorella del pm, Antonella. Manca ancora l’ufficialità , ma da giorni — come riporta il quotidiano Il Tirreno — sono sempre più insistenti le voci che danno per certo il trasferimento a Palazzo Chigi del comandante della polizia municipale di Firenze.
L’incarico che le verrà affidato è di primo piano: Antonella Manzione andrà a dirigere la struttura che amministra l’attività normativa del governo.
Non solo, perchè il dipartimento, tra i compiti, mantenendo i rapporti con l’Avvocatura dello Stato, deve coordinare le attività che riguardano i contenziosi davanti alla Corte costituzionale, alle corti internazionali e agli organi giuridici che riguardano i contenziosi della presidenza del Consiglio.
Cinquant’anni, avellinese di nascita ma versiliese di adozione, Antonella Manzione ha con Renzi un legame strettissimo.
Nel 2010 fu lui a volerla a Firenze dove, oltre a guidare i vigili, rivestì il ruolo di direttore generale del Comune.
Per entrare nella corte del primo cittadino, Manzione lasciò — grazie a una aspettativa — il comando della polizia municipale di Lucca, dove dovrebbe rientrare dal primo luglio, Palazzo Chigi permettendo.
La sua è una carriera fulminante: laureata in giurisprudenza con 110 e lode all’Università di Pisa, è avvocato e ha svolto funzioni di pubblico ministero.
E’ stata dirigente a Seravezza (Lucca). Per poi trasferirsi a Pietrasanta. Qui, nella “piccola Atene” della Versilia, il comandante Manzione scatena una guerra in tribunale con l’esuberante sindaco di centrodestra Massimo Mallegni.
E’ il 2002, Manzione denuncia di aver subito pressioni da parte del primo cittadino per cancellare una multa fatta da un vigile a un’auto del Comune.
Ma dopo dieci anni il sindaco viene assolto.
Intanto Manzione, oltre a scrivere un libro su quella vicenda (Martina va alla guerra), ha continuato a ricoprire incarichi di primo piano sempre nella polizia municipale: prima a Verona, poi a Livorno, infine a Lucca nel 2007, prima di entrare nelle grazie dell’ex sindaco e neo premier.
Chi le sta vicino, racconta che sulla sua scrivania, oltre a scartoffie e documenti, tiene bene in vista un piccolo gufo: un portafortuna, regalato dal fratello Domenico alla vigilia del primo esame universitario passato con 30 e lode.
A trent’anni di distanza, sembra che quel regalo continui ad adempiere al suo compito.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
E C’E’ ANCHE CHI VUOLE “COSTRUIRE UN’EUROPA PIU’ PARI”
Partita chiusa, chi c’è c’è, chi non c’è non c’è.
Priva di Matteo Ponzano, ex vj de La Cosa, Daniele Martinelli, ex portavoce alla Camera, è stata chiusa oggi la lista dei candidati del Movimento 5 stelle per l’europarlamento.
Bocciati i nomi altisonanti, in gara rimane un battaglione di attivisti estremamente variegato.
Molti hanno padronanza di più di due lingue, tanti hanno vissuto o vivono all’estero, la maggior parte può vantare un titolo di laurea.
Sulla carta una rosa qualificata.
Non possono non spiccare però i tanti collaboratori di parlamentari o di gruppi regionali che l’hanno spuntata.
Fabio Massimo Castaldo è il fidatissimo assistente di Paola Taverna, Stefano Girard del senatore Marco Scibona, Marco Valli dei deputati della Commissione Finanze, Giorgio Burlini di quella Bilancio di Palazzo Madama, Salvatore Cinà ha collaborato con l’onorevole Nunzia Catalfo.
Ci sono poi Simona Suriano, dipendente del gruppo M5s in regione Sicilia, e Marco Affronte, che lavora con il gruppo consiliare grillino in Emilia Romagna.
Lo stesso Affronte si ritroverebbe catapultato al Senato nel caso in cui Maria Mussini dovesse confermare le proprie dimissioni, essendo il primo dei non eletti in Emilia Romagna.
La categoria dei “già candidati” è ben rappresentata.
Come il collega emiliano, anche la laziale Maria Ziantoni non ha varcato di un soffio le porte di corso Rinascimento.
Marco Di Gennaro, a soli 27 anni, ha alle spalle due tentativi di diventare amministratore comunale (in due diversi comuni) e una candidatura alla Camera, Giuseppe Dalpasso alle regionali venete e a Montecitorio, Cristiano Zanella ha provato a diventare senatore.
Singolare la storia di Giovanni Ghirga, candidato nel 2012 alle comunali di Civitavecchia con la “Lista Ghirga indipendente”.
Nella pattuglia trovano posto Giulia Gibertoni, docente di semiotica alla Cattolica di Milano, e Alfredo Ronzino, una laurea (voto 100) con il celebre sociologo Franco Cassano.
Ma, nonostante il livello di scolarizzazione piuttosto elevato, non mancano nei curricula degli aspiranti europarlamentari bizzarrie e strafalcioni.
Marika Cassimatis promette che “lavorerà per rinegoziare tutto”, Fabrizio Bertellino vuole cambiare l’Europa usando il “futuro indicativo”, Alice Tranchellini si candida “per contribuire a costruire un’Europa più pari”.
Grazia Mennella guarda “gli amici stellati del web” dal basso in alto, e fa professione di revisionismo storico: “Sono nata a Napoli, quindi provenienza Regno delle due Sicilie”, Marco Valli inserisce nel curriculum “single”, perchè non si sa mai, Nives Gargagliano, dopo due gravidanze, ha “congelato temporaneamente l’attività lavorativa” (dal 2004).
In lista anche Dario Tamburrano, tra le figure più in vista del meetup romano, e Valeria Ciarambino, “innamorata del M5s e di Luigi Di Maio”.
Un candidato di Agro Aversano si presenta così: “Vincenzo Viglione, svolgo libera professione nei servizi di Ingegnere Civile in cui mi sono laureato”, Giulia Moi sostiene di essere stata “la prima Erasmus in Italia” e Maria Saija è “figlia di nessuno di importante economicamente o massonicamente”.
Daniela Aiuto specifica nel Cv di avere “patente B e auto propria”. Nel caso a qualcuno servisse uno strappo direzione Strasburgo, lei parte da Vasto.
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL CODACONS: “VERGOGNA”… PAGARE SEMPRE DI PIU’ PER LO STESSO IDENTICO VIAGGIO
Gli Intercity usciranno definitivamente dalla rete ferroviaria al termine del mese di giugno per essere in parte sostituiti da servizi di trasporto locali.
Lo ha annunciato rispondendo a un’interpellanza urgente alla Camera, il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Umberto Del Basso de Caro.
“Ferrovie dello Stato ha riferito che la quota di Intercity effettuati a mercato, che percorrono principalmente la linea dorsale tra Roma e Firenze e servono varie destinazioni, da Milano, Trieste/Venezia sino a Roma/Napoli/Salerno, sono collegamenti che svolgono spesso, per buona parte, un servizio di cabotaggio, servendo flussi pendolari che li utilizzano per tratte limitate, sostanzialmente paragonabile a quello del trasporto ferroviario locale gestito dalle regioni – ha spiegato Del Basso de Caro – questi treni presentano un rapporto costi/ricavi fortemente negativo, con perdite rilevanti e, considerata l’insostenibilità di tale situazione, Trenitalia ha comunicato al ministero dei Trasporti la sua intenzione di sospenderne l’effettuazione in regime di mercato”.
“Pertanto – ha proseguito il sottosegretario – due di questi Intercity (la coppia 586/587 in partenza da Roma alle ore 9,40 con arrivo a Milano alle 16,15 e in partenza da Milano alle 10,50 con arrivo a Roma alle 17,20) che registravano uno scarso utilizzo da parte della clientela pendolare – sono stati soppressi dal primo marzo scorso”, mentre per il servizio relativo ai restanti Intercity, non compresi nel contratto di servizio con lo Stato (cinque coppie) “il Mit ha avviato uno studio finalizzato ad individuare le alternative possibili” e come primo risultato, “nelle more degli approfondimenti tecnici volti, sono stati acquisiti la disponibilità e l’impegno da parte di Trenitalia a mantenere i suddetti Intercity a mercato almeno fino al mese di giugno, cioè fino al nuovo orario estivo”.
Il Codacons: “Vergogna”.
“Se gli Intercity fossero rami secchi, e così non è, lo sarebbero solo perchè ce li hanno fatti diventare, mettendoli in orari improbabili, con orari d’arrivo inutilizzabili”.
Ad affermarlo è il Codacons che definisce “una vergogna” la soppressione da giugno degli Intercity.
“È con questa strategia, infatti, che in questi anni i viaggiatori sono stati progressivamente costretti a passare dagli Espressi agli Intercity, dagli Intercity agli Eurostar, dagli Eurostar ai Freccia Rossa, pagando sempre più soldi per gli stessi identici viaggi”, aggiunge il Codacons.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
PIAZZA DELLA LOGGIA, LE RIVELAZIONI DELL’EX FONDATORE DI TERZA POSIZIONE: “MI HANNO MESSO ALL’INDICE PERCHE’ HO RACCONTATO VERITA’ NASCOSTE E SCOMODE”
La verità ? Così è se vi pare, ci spiegava Pirandello.
Il guaio è quando si vuol farla «parere» per forza, come è il caso dello stragismo in Italia. Ne so qualcosa essendo stato oggetto di ben tre tentativi d’incriminazione per il massacro alla stazione di Bologna da parte di servizi di diversi Paesi, tentativi sbugiardati al punto che alcuni dirigenti del Sismi vennero poi, per questo, condannati per calunnia.
Quelle manovre mi hanno cambiato la vita, costringendomi per vent’anni all’estero e hanno stimolato il mio interesse: volevo capire e non mi accontentavo delle versioni superficiali.
Comparando dati, leggendoli secondo un’ottica critica, accogliendo le inchieste di Rocca, Fasanella, Priore, De Prospo, Cutonilli, Valentinotti e le dichiarazioni di alcuni brigatisti, in particolare Franceschini, mi sono fatto un’idea precisa.
Due anni orsono ebbi un dibattito organizzato dalla locale Casa Pound in provincia di Brescia con il presidente dell’associazione familiari delle vittime di Piazza della Loggia, Manlio Milani.
Dal nostro confronto emersero spiragli e la volontà d’indagare ulteriormente su quella strage impunita del 28 maggio 1974.
Fu così che, grazie a diversi legali amici, si è scoperto che brandelli di verità in effetti erano conosciuti fin da subito.
Peggio: la Questura di Brescia – secondo le nostre ricostruzioni – aveva imboccato la pista giusta ma fu bloccata dal ministro dell’Interno, Taviani, che protesse il Compromesso Storico, ovvero il nascente accordo governativo tra Dc e Pci benedetto dal Segretario di Stato americano, Kissinger, in palese disaccordo con il Presidente Nixon che di lì a poco fu vittima di uno storico impeachment.
Sia le perizie tecniche che le intercettazioni ambientali, sia diversi verbali d’interrogatorio che l’esame comparato delle informative “ad uso interno” (ovvero non sottomesse alla logica della guerra psicologica) dei servizi segreti occidentali e dell’est, portavano a convergere sull’idea che fu una strage non voluta, causata da un’esplosione prematura, ad opera dell’ala brigatista del Superclan che sia prima che in seguito collezionò diverse “esplosioni premature” (Atene, Segrate, Bologna).
Di qui è nato il mio romanzo “Quella Strage Fascista, così è se vi pare” (ed. soccorsosociale@outlook.it).
Una formula scelta per scandagliare l’aspetto umano di chi fu al contempo carnefice e vittima di una strage non voluta; rossa più per la vergogna dei depistaggi che non per la matrice, posto che palesemente non doveva essere consumata, perlomeno non lì e non così.
Del resto non voglio rovesciare la demonizzazione e cadere nella contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”. La reazione di chi fa della memoria storica delle stragi un’istituzione e una professione è stata strabiliante.
Si è sostenuto che io abbia diritto di esprimere le mie opinioni purchè queste siano in linea con le loro.
I luoghi da me contattati per la presentazione del romanzo sono stati minacciati d’incendio. La forza pubblica è stata mobilitata massicciamente per salvaguardare la mia incolumità .
Un quadro di amarcord stonato e un tantino psicotico. Sono rimasto stupito dall’improvvisa rottura di dialogo di Milani proprio ora che c’è modo di divulgare una verità per troppo tempo nascosta.
Un po’ meno dall’atteggiamento intollerante dei farisei a difesa del dogma. I farisei sono così per natura e quel che temono più d’ogni cosa è proprio la verità .
Ho proposto un confronto all’americana in diretta televisiva bresciana tra le parti con esposizione degli elementi tecnici probanti da tenersi prima del quarantennale del 28 maggio.
Vediamo chi cerca di sapere cos’è realmente successo e chi invece vuole soltanto salvaguardare le menzogne del tempio.
Gabriele Adinolfi
(da “il Tempo”)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
A SEI GIORNI DAL VERDETTO IL PARTITO PERDE CONSENSI: BRUNETTA CONTRO RENZI, CONFALONIERI MEDIA
Nel profondo sconforto di Silvio Berlusconi, in ospedale per un problema al ginocchio, c’è qualcosa di più dell’amarezza per un’operazione politica (con Renzi) che si è arenata.
C’è la consapevolezza che una lunga agonia è iniziata.
Chi ha parlato col Capo sussurra che mai come stavolta è condivisa la sensazione che “siamo all’inizio di una lunga fine”. Con l’ex premier azzoppato, tutt’attorno aleggia la paura. Che ha terremotato ogni disegno unitario.
Forza Italia, a una settimana dal Verdetto del tribunale di Milano, si muove in modo scomposto. Proprio lo stop imposto da Confalonieri, con Ghedini e Verdini alla rottura sulla riforme è il primo atto della recita a soggetto.
La cabina di regia non c’è più. Confalonieri, con un occhio ai fatturati Mediaset è per mantenere l’interlocuzione con Renzi.
Nella prima fascia politica, dove tutti hanno gli occhi puntati sui sondaggi cresce invece la voglia di opposizione perchè “con Forza Italia tra il 16 e il 18, come adesso, siamo morti”.
E così Renato Brunetta è già in guerra con Renzi. Scatenato, il capogruppo di Forza Italia provoca il premier (“Renzi è un grande sbruffone”) e minaccia un’escalation dopo il 10 aprile: “Conoscendo Berlusconi, dà il meglio di sè quando è in difficoltà , quindi tremate tremate, soprattutto i nemici della democrazia, giustizialisti e furbastri, tremate tremate”.
Non è dato sapere quanto parli a nome personale o a nome del gruppo che rappresenta, visto che a microfoni spenti parecchi parlamentari considerano le affermazioni assolutamente non condivisibili. E proprie dello stile del vulcanico capogruppo. Ma nessuno consegna dichiarazioni di segno opposto ai taccuini.
Pure un moderato come Romani, legato all’ala aziendale di Forza Italia, si fa interprete del malessere dei senatori che considerato la riforma praticamente una “schifezza”, mettendo nero su bianco un sinistro avvertimento: “Sicuramente – dice al Messaggero – Berlusconi avrà sottolineato al Capo dello stato la difficoltà che potrebbe incontrare un percorso di riforme nel momento in cui si dovesse arrivare a una situazione di non agibilità . Ma non è stato certamente quello il tema dell’incontro”.
Parole che lasciano presagire una rottura qualora Berlusconi non dovesse ottenere quella agibilità politica chiesta nel corso del colloqui con Napolitano.
Ma nulla è deciso. Nemmeno il grande ricatto tra riforme e salvataggio giudiziario.
Il problema è che altri stanno trattando su una linea opposta, come Denis Verdini. Su di lui si addensano sospetti di giocare una partita in parte autonoma con Renzi, tanto che per questo nel delicato incontro di giovedì è stato accompagnato da Gianni Letta.
Con gli uomini della sua rete di potere in fase declinante, a partire da Cosentino finito agli arresti, e con Berlusconi prossimo a essere azzoppato da misure restrittive, il canale con Renzi appare per molti la sua personale “polizza assicurativa” di lunga vita politica.
Nell’ora della grande slavina in molti sospettano la sua manina dietro le assenze al Senato che hanno salvato il ddl Delrio.
Impreparati alla fine del capo, impauriti da ciò che può accadere i big di Forza Italia iniziano a sussurrare l’atroce dilemma.
Un abituale frequentatore di Grazioli dice: “La verità è che Forza Italia sta franando nei sondaggi e Berlusconi rischia di essere imbrigliato da Renzi e di morire di morte lenta. Quindi si dovrebbe rompere. Ma, se rompiamo, con Berlusconi ai domiciliari la prospettiva quale è? E poi al nostro interno ognuno ha una sua linea”.
Per ora l’unica linea certa è quella degli avvocati. Sia Ghedini sia Coppi vogliono evitare il rinvio della decisione del tribunale di sorveglianza, ipotesi accarezzata dal Cavaliere nel panico da count down.
E non chiederanno il rinvio il 10 aprile, nella consapevolezza che non sarebbe di un mese ma, visti gli arretrati del tribunale, almeno di un anno.
Ghedini non ripete altro: prima ci togliamo questi dieci mesi, meglio è. Perchè se nel frattempo arrivassero altre condanne definitive con il cosiddetto “cumulo” Berlusconi rischierebbe anche il carcere.
E allora si capisce come Berlusconi provi a dire a tutti che occorre aspettare il dieci aprile prima di ogni decisione.
Ma, attorno, è già slavina: “Ultima chiamata a Renzi — scrive il Mattinale — cambi rotta o addio”. Verdini e la Santanchè vanno invece spiegando ai parlamentari che il Senato elettivo non era nel patto inziale del Nazareno e che con Renzi sta procedendo tutto secondo i piani.
Insomma, Forza Italia addio.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
SOLO LO 0,2% DI CHI RICEVE UNA PENSIONE E’ EXTRACOMUNITARIO
“I lavoratori immigrati ci pagano la pensione”. Pare una frase fatta. Oltretutto già sentita. Ma ha dalla sua la forza dei numeri.
Oggi solo lo 0,2% di chi riceve una pensione previdenziale è extracomunitario.
Lo si legge sul VII Rapporto European Migration Network: “Immigrazione e sicurezza sociale, il caso italiano”, a cura del Centro Studi e Ricerche Idos.
Immigrati e pensioni.
“Continuano ad essere decisamente bassi, seppure in forte crescita nel corso dell’ultimo triennio, i valori percentuali dei non comunitari sul totale dei beneficiari di trattamenti pensionistici: per le pensioni previdenziali (invalidità , vecchiaia e superstiti) l’incidenza nel 2012 è appena dello 0,2% e i beneficiari sono per il 90% persone che risiedono ancora in Italia e per il 62,4% donne; per le pensioni assistenziali l’incidenza dei non comunitari sul totale si ferma all’1% (nel 54,7% dei casi le beneficiarie sono donne)”.
I disoccupati.
“Gli stranieri, essendo stati nel complesso più duramente toccati dalla crisi, hanno un’incidenza più alta come fruitori delle indennità di disoccupazione e della cassa integrazione ordinaria. Inoltre, trattandosi di una presenza familiare (oltre 2 milioni di famiglie con un componente straniero), soggetta a maggiori difficoltà , è consistente anche la loro incidenza sulle prestazioni erogate a sostegno del nucleo familiare: secondo l’Istat, il 55,4% delle coppie straniere con figli ha un unico reddito e le coppie con figli in cui vi è almeno un disoccupato sono cresciute dal 13,% del 2008 al 21,3% del 2012”.
La sanità .
“Quanto alle spese sanitarie, risulta che la loro incidenza per la popolazione straniera, inclusa anche la componente irregolare, si mantiene a livelli più bassi rispetto all’incidenza che i cittadini stranieri hanno sulla popolazione residente, anche perchè si tratta di persone giovani e fondamentalmente sane, nonostante le precarie condizioni di insediamento.
Anche la bassa incidenza degli immigrati sui titolari di pensione trova una giustificazione nella ridotta componente di stranieri che abbiano superato i 65 anni (nel 2012 erano in media lo 0,6%). Tuttavia le collaboratrici familiari immigrate, quelle con un’età media più elevata e quindi più prossima alla pensione, sono destinate ad aumentare”.
Il futuro.
In base alle stime, “i cittadini stranieri presenti in Italia, che nel 2010 hanno inciso per l’1,5% sugli ingressi in età pensionabile, porteranno la loro incidenza al 2,6% nel 2015, al 4,3% nel 2020 e al 6,% nel 2025, anno in cui si stima che gli ingressi in età pensionabile saranno 43mila tra gli stranieri e ben 747mila tra gli italiani, per cui i pensionandi immigrati passeranno da 1 ogni 46 (all’inizio del periodo) a 1 ogni 19. È evidente che il differenziale pensionistico tra le due popolazioni andrà riducendosi, ma permarranno tuttavia significativi margini che andranno a beneficio della gestione pensionistica, tenuto conto che la popolazione straniera in quell’anno, secondo le previsioni, inciderà per il 12,3% sul totale dei residenti”.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL PIAZZISTA DI PONTASSIEVE E’ IL NUOVO RECORDMAN DI PRESENZE TELEVISIVE
Non vi sarà affatto sfuggito quanto tempo compaia la faccia di Matteo Renzi in Tv. Da Ballarò a Sky Tg24, da Otto e mezzo ai servizi nei Tg e nei talk show il Premier nelle ultime due settimane si è spesso concesso, in forme diverse, alle telecamere.
Una sensazione che trova conferma anche nei numeri. In laboratorio di indagine sulla comunicazione audiovisiva Geca Italia,ha calcolato per la Stampa il numero di ore in cui, nelle ultime due settimane, il premier è comparso in Tv.
Ebbene ecco i risultati: 292 minuti e 30 al giorno (4 ore e 52 minuti), 68 ore, 15 minuti e 56 secondi sul totale dei 15 giorni presi in esame.
C’è da dire che il calcolo è fatto sul totale delle apparizioni, anche quelle in cui lui è inconsapevole (i servizi nei tg, ad esempio, in cui si parla di lui).
Come spiega Mattia Feltri sul quotidiano torinese di queste 68 ore per metà ha parlato Renzi, l’altra fetta sono stati gli altri a parlare di lui.
C’è però un dato – spiega sempre Feltri – che meglio esprime l’attrazione che la telecamera esercita sul capo del governo che in 14 giorni ha trascorso 17 ore, 15 minuti in talk show.
Diciassette ore che sommate alle 22 in cui ha parlato nei telegiornali fa, nel periodo tra il 17 e il 31 marzo, un totale di 39 ore.
Che tradotto in quotidianità significa che il premier ci parla attraverso lo schermo per quasi tre ore al giorno (2 e 45 per la precisione).
“Una strategia precisa – spiega il direttore del tg di la7 Enrico Mentana – Renzi è il propagandistica unico del suo esecutivo.
Gli altri ministri non esistono, esiste soltanto lui”.
Un’operazione che Mattia Feltri definisce occupyTv e che per Claudio Velardi, già consigliere di D’Alema a Palazzo Chigi e esperto di comunicazione politica, è indiscutibilmente buona: “Matteo – spiega sempre a la Stampa – è in luna di miele con gli italiani per cui questa sovraesposizione è ottima”.
Andrà avanti per molto, ci si chiede?
“Almeno fino alle Europee” dice Mentana.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 4th, 2014 Riccardo Fucile
IL DDL DELRIO È LEGGE: PER QUESTI ENTI NON SI VOTA PIÙ, MA ESISTONO ANCORA… NON SI CAPISCE COSA FARANNO, Nà‰ COME… E I COSTI POTREBBERO SALIRE
Magari non è “un golpe”, come urlava Renato Brunetta ieri nell’aula della Camera, ma il ddl Delrio che — approvato definitivamente ieri — punta a svuotare le Province trasformandole in un bizzarro ircocervo è almeno un pasticcio, uno di quegli incredibili pasticci italiani in cui il riformismo diventa approssimazione e l’attività legislativa una branca della comunicazione. Dietro le frasi altisonanti dell’articolato, infatti, non c’è niente: i contenuti di questa legge, c’è scritto, “valgono come principi di grande riforma economica e sociale”.
È vero? Mah. Parecchi costituzionalisti e la Corte dei Conti, per dire, hanno sottolineato che in questa legge non si capisce niente e questo non potrà che peggiorare le cose, aumentare i costi e i ricorsi giudiziari e costituzionali (visto che la Consulta ha già bocciato l’antecedente di questa norma, lo svuota-Province di Mario Monti).
Ecco perchè questo riassunto per capire come cambiano le istituzioni italiane.
LA NON ABOLIZIONE
Le Province sono ancora lì: questa legge non le abolisce, anzi le perpetua anche per quando (e se) arriverà la riforma costituzionale che le cancella dalla Carta.
Solo che da oggi saranno istituzioni, per così dire, semi-democratiche: presidente e consiglieri provinciali — non retribuiti — verranno eletti da consiglieri comunali e sindaci con un complicato meccanismo di ponderazione che terrà conto della popolazione dei comuni di provenienza di ciascun voto.
L’assenza di stipendio (ma qualche rimborso ci sarà ) è quello che permette a Matteo Renzi di sostenere che vengono abolite tremila poltrone.
LE CITTà€ METROPOLITANE
Saranno dieci — Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria, anche se con qualche mese di ritardo rispetto alle altre — e dovrebbero essere in vigore dal 1 gennaio. Saranno in tutto e per tutto come le attuali Province e il presidente sarà il sindaco (detto “sindaco metropolitano”) del capoluogo.
Governerà sul suo territorio grazie al “consiglio metropolitano” (l’elezione è di secondo livello, come per le Province) e da una “conferenza metropolitana” (i sindaci della zona).
Tutti, renzianamente, senza stipendio. Tutto qui? Magari.
In realtà , esiste la possibilità teorica che un terzo dei comuni della zona decida di staccarsi con apposito referendum. A quel punto sarà il governo a dover trovare una soluzione.
IL NUOVO POTESTà€
La legge Delrio divide l’Italia in due: le città comandano e i piccoli comuni subiscono.
Grazie al sistema di voto ponderato per popolazione, infatti, nella conferenza metropolitana di Genova, per dire, il voto del sindaco del capoluogo ligure varrà di più di quelli di tutti i 67 sindaci dei comuni limitrofi; stessa cosa a Livorno (uno contro venti); a Torino al sindaco del capoluogo basterà allearsi con sei colleghi per scavalcarne altri 315.
A-DEMOCRATICA
È una legge che non ha un gran rapporto con la rappresentanza: basti dire che arriva ad abolire alcuni consigli provinciali che erano ancora in carica e che sarebbero scaduti tra due mesi (e per le elezioni se ne parla poi): la democrazia abolita per legge.
Pure l’applicazione delle quote rosa è bizzarra: ci sono (al 60%), ma saranno applicate solo tra cinque anni.
IL MISTERO DELLE FUNZIONI
Cosa faranno le nuove Province?
Ancora non si sa: devono fare “un piano strategicotriennale del loro territorio”; occuparsi di “sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti”; “pari opportunità ”; “edilizia scolastica”.
Il menù è lunghissimo, ma si può ordinare alla carta: decideranno Regioni e Comuni quali funzioni lasciare alle Province e quali prendersi loro (col relativo personale). Serve una scelta in 90 giorni con tanto di decreto del governo, poi entro altri sei mesi serve un accordo coi sindacati per trasferire i dipendenti con altro decreto.
IL MISTERO DEI COSTI
Il governo prevede un risparmio, ma non lo quantifica e nessuno, d’altronde, può farlo: per la Corte dei Conti probabilmente la confusione farà aumentare i costi; l’Unione delle Province ha prodotto un dossier in cui si calcola in due miliardi l’aggravio.
IL MISTERO DEI CONSIGLIERI
Non prenderanno stipendio, ma solo gettoni di presenza — dice il governo — resta il fatto che le potrone proliferano: tra un ente di secondo livello e l’altro (ci sono pure le assai consigliate ai più piccoli Unioni dei Comuni), più un aumento di consiglieri e assessori nei comuni piccoli e piccolissimi, si parla di 31mila posti in più.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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