Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
NESSUN DELFINO DA LANCIARE E I DELUSI GUARDANO A RENZI
L’ex ministro di Forza Italia ne ha viste tante negli ultimi anni, ma non nasconde che tutto è cambiato, con un misto di eccitazione e di disperazione: «Per noi questa campagna elettorale sarà la prima volta. La prima volta senza Silvio Berlusconi candidato. La prima volta senza il suo serbatoio di voti. E la prima volta senza una linea politica».
E non c’è dubbio su quale dei tre handicap di partenza sia il più grave. Un capo interdetto si può sopportare, un impedimento temporaneo può essere arginato, una schizofrenia politica in un partito abituato da venti anni a essere gestito come una monarchia assoluta, quella no, rischia di diventare letale.
Schizofrenia è la parola che descrive lo stato d’animo delle truppe rimaste fedeli al Cavaliere Basta seguire le piroette quotidiane del più fedele e combattivo di tutti, il capogruppo alla Camera Renato Brunetta.
L’altro giorno, per esempio, l’ex ministro si sveglia e comincia a picchiare duro sul governo e su Matteo Renzi. Ultimatum, toni sprezzanti verso il ministro delle Riforme, «la signorina Maria Elena Boschi».
Un fuoco di fila che va avanti fino a metà pomeriggio, quando da Arcore arriva il contrordine compagni: vietato litigare con il premier, le riforme si votano, anche quella che elimina il Senato e che sta scatenando la rivolta tra i senatori forzisti, il patto del Nazareno tra i due leader tiene.
Il dialogo tra Silvio e Matteo non si è mai spezzato, assicurano entrambi i fronti. Sì, ma con quale Berlusconi parla Renzi?
L’ex premier è diviso in due su tutto. Esistono addirittura due diversi uffici stampa che si contendono la sua comunicazione con l’esterno. Paolo Bonaiuti è rimpianto da tutti, a gestire le uscite del Cavaliere sono ora due squadre: nella prima gioca la portavoce del partito Deborah Bergamini, la seconda schiera l’onnipresente Denis Verdini con il deputato Luca D’Alessandro, da anni addetto stampa del partito.
E gli effetti si vedono.
«La riforma del Senato è inaccettabile e indigeribile», spara Silvio Uno alle 19.38 del 4 aprile. «Forza Italia resta sostenitrice della necessità di riformare il Senato, a partire da quanto stabilito nel cosiddetto patto del Nazareno», fanno dire a Silvio Due meno di un’ora dopo con una nota, alle 20.27.
Il 7 aprile la scena si ripete: «Salta tutto», trapela da Arcore a pranzo. Macchè, «non mi rimangio la parola data, avanti con le riforme», fa dietrofront Berlusconi a cena.
Nel frattempo, tra stop and go, indecisioni e baruffe ai vertici, Maurizio Gasparri è sulla linea del resistere resistere resistere, Paolo Romani è più moderato, le ex ministre come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna hanno indossato i giubbotti da combattimento, ad avere le idee chiare su cosa fare sono gli elettori azzurri: fuggire, andare via, abbandonare il Titanic berlusconiano alla sua deriva.
I numeri sono impietosi: alle elezioni politiche del 2008 il Pdl aveva raccolto oltre 13 milioni e 700mila elettori, alle europee di un anno dopo i voti erano stati quasi undici milioni, alle politiche del 2013 sono scesi a 7 milioni e 300mila, oggi dopo la scissione dell’Ncd di Angelino Alfano l’ex corazzata azzurra supera di poco i cinque milioni di voti, sotto il 20 per cento.
Tra i notabili azzurri, però, le previsioni sono ancora più drammatiche e c’è una percentuale che fa paura: quota 15 per cento.
Una cifra che segnerebbe l’estinzione politica del berlusconismo, simile a quanto accadde venti anni fa quando dopo Tangentopoli la Dc si ritrovò nel giro di pochi mesi con un terzo dei voti che raccoglieva da decenni.
All’epoca il grosso dell’elettorato abbandonò la Balena bianca ormai spiaggiata per rivolgersi al nuovo campione dell’Italia moderata, Silvio Berlusconi.
Oggi il fenomeno si ripete, ma non è ancora chiaro chi raccoglierà i transfughi di Silvio.
Un ex elettore di Forza Italia su cinque voterà per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, un quarto dichiara di volersi astenere, almeno per ora, in attesa di una nuova casa politica. Ed è lì, in quel bacino di consensi, che si annida la tentazione di rifugiarsi nel campo avversario, votare per Renzi e se necessario perfino per il Pd.
Un passaggio netto, da destra a sinistra, mai avvenuto nella Seconda Repubblica dei due schieramenti contrapposti, in cui il dissenso dell’elettorato veniva segnalato al massimo con il non-voto.
Ma reso possibile dall’attitudine di Renzi a fare da solo il catch-all-party, il partito pigliatutto: a sinistra, al centro, nell’anti-politica, a destra, specialmente, perchè lì l’emorragia è più grave.
Nella ridotta berlusconiana sfogliano sondaggi devastanti. Il secondo posto dopo il Pd, irraggiungibile sopra il 30 per cento, è saldamente presidiato dal movimento di Grillo, Forza Italia è il terzo partito e anche i più ottimisti scommettono che il risultato finale assomiglierà a una catastrofe: anche in caso di rimonta il duello con M5S si consumerà in un pugno di voti, per pochi decimali.
«Sì, è vero, la banda di oscillazione del risultato di Forza Italia oscilla tra il 15 e il 25 per cento», ammette un’esperta macchina da voti come il pugliese Raffaele Fitto, probabile capolista di Forza Italia nella circoscrizione Sud che va dall’Abruzzo alla Calabria, decisiva per il derby con gli ex amici dell’Ncd di Alfano.
Dieci punti che ballano e che prescindono dall’impegno personale del Cavaliere in campagna elettorale. Sta franando l’intero apparato azzurro.
Le regioni del Nord che regalavano ai candidati berlusconiani milioni di voti e costituivano il dna del partito, il tratto identitario,«il forza-leghismo», lo chiamava Edmondo Berselli, sono un buco nero che inghiotte ogni speranza di rimonta.
In Piemonte, dove si vota per la regione dopo la sentenza che ha annullato le elezioni precedenti in cui aveva vinto il leghista Roberto Cota, il centrodestra corre spaccato tra Gilberto Pichetto, candidato di Forza Italia e Lega, e l’ex berlusconiano Guido Crosetto, oggi in Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Nel Nord- Est, in Veneto e in Friuli, i consensi perduti diventano una voragine, l’ex ministro Giancarlo Galan senta aria di flop e dice no alla candidatura, la lista dei rifiuti si allunga a dismisura, il capolista non c’è.
Eppure fino a qualche anno fa in Veneto gli azzurri berlusconiani sembravano un’armata invincibile.
Nella circoscrizione Centro correrà il veterano Antonio Tajani (è dal 1994 che non si sposta dalle istituzioni europee), ma alle sue spalle sta nascendo una lista debolissima, in cui i tradizionali portatori di voti, ex democristiani, ex socialisti, ex An, si sono dileguati.
Nel Sud c’è da arginare la tempesta campana, il gruppo di Nicola Cosentino sbaragliato dopo l’arresto del suo capo indiscusso, nelle isole è caccia al candidato: anche l’ex ministro Saverio Romano ha detto di no, troppo rischiosa la sfida.
E poi nessuno può garantire che il sacrificio sarà ricompensato. Prima c’era Berlusconi, ma ora Silvio non c’è più.
Galan dice no, Romano pure, Claudio Scajola che avrebbe accettato è stato pregato dal nuovo intimo di casa Arcore Giovanni Toti di farsi da parte.
Una sfilza di diserzioni, eppure l’unica possibilità di trainare un risultato vicino al venti per cento sarebbe far competere i consiglieri regionali e i sindaci, i signori delle preferenze.
E invece si tirano indietro perfino gli ultimi arrivati, i legionari dell’esercito di Silvio guidati da Simone Furlan. L’esordio alle elezioni europee, con le circoscrizioni che abbracciano più regioni e l’obbligo di prendere le preferenze, non è il terreno più agevole per un debutto elettorale. Anche se poi la vera partita si gioca lontano dalla periferia, a Roma, nella schermaglia tra Berlusconi e Matteo Renzi.
È l’indecisione nei confronti del governo ad avvelenare Forza Italia, divisa tra falchi e colombe, come quando c’era il governo di Enrico Letta, ma con un capovolgimento di posizioni.
Verdini, che un anno fa era tra i più decisi sostenitori delle elezioni anticipate e dell’urgenza di far cadere Letta, si è trasformato nel principale alleato di Renzi.
Un asse che scatena i sospetti, a sinistra e a destra. «Pichetto è una candidatura debole, inventata da Verdini per far vincere Sergio Chiamparino, il nome più gradito al premier», tuona il gigante Crosetto.
È Verdini il garante delle riforme, l’interlocutore numero uno di Palazzo Chigi, chissà se a nome di Berlusconi o a titolo personale. Ed è su di lui che si accaniscono gli altri notabili azzurri che temono di appiattirsi su Renzi.
«Intendiamoci, qualcosa dobbiamo fare, ma nei prossimi sei-sette mesi Renzi resterà fortissimo, potrà dire quello che vuole e la gente gli crederà », ragiona un berlusconiano della prima ora.
«Quando andiamo in giro a difendere il Senato elettivo corriamo il pericolo di essere presi a sediate, il nostro elettorato se potesse cancellerebbe anche la Camera e forse pure il Quirinale. Se ci tiriamo fuori dalle riforme facciamo una mossa suicida, non ci sarà perdonato dal nostro elettorato».
Ma anche restare fermi e applaudire ogni trovata renziana è un pericolo mortale per ciò che resta di Forza Italia. Per questo bisogna risvegliare il leader scomparso da mesi dal panorama politico, convincerlo a combattere l’ultima battaglia contro i nemici più insidiosi, Renzi e Grillo che presidiano tutti gli spazi del campo, mentre un maestro del posizionamento elettorale come Berlusconi fatica a trovare uno slogan, una linea, una parola chiave.
Non è più l’epoca in cui il Cavaliere candidato sulle schede valeva da solo dieci punti, l’incognita però è decifrare quanto vale questo centrodestra del dopo-Berlusconi, senza più Berlusconi.
Una guerra che va oltre il tema di qualche settimana fa, lo scontro con i governativi di Alfano per l’egemonia dei moderati.
Perchè per il Cavaliere la partita è diventata esistenziale, sopravvivere. Dopo venti anni il grande crollo, la disgregazione dell’impero berlusconiano, è appena all’inizio. Finora il consenso elettorale ha consentito a Berlusconi di restare sulla scena, nonostante le scissioni e le condanne.
Se anche gli elettori dovessero definitivamente abbandonarlo della sua creatura politica non resterebbe più nulla e i voti berlusconiani prenderebbero un’altra direzione.
Renzi è pronto ad accoglierli.
Marco Damilano
(da “l’Espresso”)
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
QUASI RAGGIUNTA L’INTESA COI POPOLARI DI MAURO PER LE EUROPEE, SI PREVEDE IL PASSAGGIO DI ALCUNI DEPUTATI DI FORZA ITALIA AL NCD… MA LA PARTITA GROSSA SI GIOCHERA’ DOPO LE ELEZIONI
La zattera inizia a crescere e da grande vuole fare la nave.
Mentre Berlusconi continua a perdere pezzi, Alfano fa proseliti. Prima l’Udc. Ora ha quasi conquistato i Popolari di Mario Mauro.
A giorni sono dati in arrivo due-tre senatori di Fi, dove nell’Ncd si prevede uno smottamento quando l’ex Cav finirà ai servizi sociali.
E in futuro potrebbe arrivare anche Enrico Letta, il pesce più ambito nel mare dei moderati cui sta pescando Alfano, che ha un’attenzione anche all’area polare del Pd. Non a caso si è parlato fino all’ultimo di un’apparizione dell’ex premier alla Fiera di Roma, dove si celebra in questi giorni l’Assemblea costituente dell’Ncd. Inizialmente nel panel era anche previsto un suo intervento.
Poi Letta, come sempre, ha ceduto alla prudenza e non si è presentato neanche con la delegazione del Pd, che è andata a omaggiare l’alleato di governo venerdì.
Che Letta e Alfano si piacciano si sa. E oltre un anno al governo assieme non ha fatto che consolidare il loro legame. Se sono rose fioriranno. Ma solo dopo le Europee, e in base al risultato che farà l’Ncd.
Alle Politiche semmai. Ma ne deve passare ancora di acqua sotto i ponti…
Intanto, complice la malasorte altrui – la cattura dell’ex senatore azzurro Marcello Dell’Utri di cui il destino ha voluto fosse proprio Alfano, in qualità di capo del Viminale, ad annunciare la cattura a Beirut e la richiesta di estradizione – comincia a farsi notare l’ex delfino di Berlusconi.
Anche Oltralpe, dove ha incassato l’endorsement del leader dell’Ump Jean-Francois Copè: «Noi confidiamo nel successo dell’Ncd e nella sua capacità di riunire la destra e il centrodestra sotto la leadership di Angelino Alfano».
È proprio questo lo scopo del leader dell’Ncd, che oggi ha lanciato un appello gli azzurri delusi. E non solo a loro, ma a tutti i moderati, per la costruzione di un grande partito di centrodestra che prenda il posto di Forza Italia.
Obiettivo immediato: dare vita a un gruppo unico al Senato, che ha l’ambizione di diventare il più grande di Palazzo Madama, ovviamente dopo quello del Pd che conta 108 parlamentari.
Alfano punta a raggiungere quota 50 unendo ai suoi 32 senatori gli 11 centristi più i transfughi di Forza Italia, che nell’immediato arriveranno col contagocce: «Due, tre sono già con noi», confidava ieri nel padiglione 6 della Fiera di Roma un’autorevolissima fonte del Ncd, «ma poi quelli di Fi ci pregheranno di venire con noi».
Barbara Romano
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
“TRA CRISI E PAURE, CI RESTA SOLO IL NOSTRO SINDACATO”
Se tutti gli iscritti Fiom avessero le unghie di Tatiana, i problemi interni della Cgil sarebbero risolti.
Su due dita della mano sinistra – «quella del cuore» – ha tatuato il simbolo della Fiom e il motto della resistenza contro i tagli nella sua fabbrica – «Resisteremo un minuto in più dell’Electrolux».
Su due dita della mano destra – «quella della testa» – ha il simbolo del Pd e della Cgil. Invece il caleidoscopio dei 725 delegati del congresso di Rimini è fin troppo variopinto: «testa» e «cuore» non vanno quasi mai d’accordo.
Ci sono i «riformisti » che difendono la posizione della Confederazione e il Testo unico sulla rappresentanza, ci sono quelli che vorrebbero una Fiom ancora più di rottura.
In mezzo il grande mare della maggioranza che appoggia Maurizio Landini.
Sono passati quattro anni, ma le posizioni sono le stesse del congresso di Montesilvano: tre documenti che si misurano.
I punti fermi sembrano due: uno interno e uno politico.
Nessuno si sogna di lasciare la Cgil, che è «la nostra casa, l’abbiamo fatta noi».
E tutti diffidano di Matteo Renzi: «Gli 80 euro sono benvenuti, ma se mai arriveranno poi ce lo toglieranno in un altro modo».
Tatiana. 39 anni, ed Elisa, 47 anni, hanno due cose in comune. Due figli e un posto di lavoro nello stabilimento Electrolux più combattivo: Forlì.
I figli, nei 62 giorni di presidio fuori dalla fabbrica per evitare che l’azienda svuotasse i magazzini, «li abbiamo visti poco».
Se Tatiana per loro paga «463 euro di nido e 153 di materna », Elisa ne spende di più per le rate dell’università . Sugli 80 euro di Renzi rispondono: «Non è ancora chiaro come arriveranno, ma se li vedremo diremo “Grazie, ma non ci cambia niente nei conti mensili”».
Da lunedì il presidio «è allentato» grazie al risultato ottenuto: «La nostra lotta ha portato l’azienda a cambiare il piano, gestiremo gli esuberi con i contratti di solidarietà ».
Per Francesco, figlio d’arte e giovane delegato dell’Ilva di Genova gli 80 euro sono «un limoncino per farci digerire tutto il resto, i tagli che l’Europa ci imporrà ».
Lui non teme «l’abbraccio mortale di Renzi » a cui chiede «di lasciare in pace il sindacato che è nato con il sangue dei lavoratori ».
Sul tema del Testo unico la sua è una posizione sui generis: «Non c’è stata passione nel voto contrario nelle fabbriche semplicemente perchè fuori ci sono tre milioni e mezzo di disoccupati».
Più dura è Adriana, 47enne delegata dell’Alcatel. «Lo spettacolo delle contrapposizioni fra noi e la Cgil i lavoratori non lo capiscono. Nelle fabbriche c’è una domanda fortissima di unità . Mi sento dire spesso: “Chiudeteli in una stanza e fateli mettere d’accordo, sennò facessero tutti e due un passo indietro per il bene dei lavoratori”».
Su Renzi la critica è molto motivata: «Dei 600 esuberi iniziali di Alcatel, 300 verranno riassorbiti da un’azienda italiana, la Siae Microelettronica. Ma sull’Agenda digitale il cambio di governo è stato nefasto: tutto bloccato, mentre Obama investe e proprio per questo la Alcatel voleva andarsene dall’Italia, lasciando a piedi 140 lavoratori a Vimercate».
Spostandoci a Sud, il congresso ha festeggiato i delegati di Pomigliano, «quelli da cui tutta la battaglia Fiat è iniziata».
Ma la vittoria della sentenza della Corte Costituzionale non è completa. Nonostante i contratti di solidarietà – cavallo di battaglia della Fiom – non tutti i lavoratori sono coinvolti. Mimmo, 33 anni, ad esempio: «Il 14 aprile tornerò in fabbrica dopo due anni e mezzo in cassa a zero ore a 750 euro al mese. Ma solo per fare il corso di sicurezza e se va bene lavorerò cinque giorni al mese». Il tutto mentre i 2.100 lavoratori che già lavorano continueranno a farlo a pieno ritmo.
Lui Renzi vorrebbe «farlo cadere con uno sciopero generale».
Iole invece ha 43 anni e lavora alla Stm di Catania. Chiusa Termini Imerese, la sua è la fabbrica più grande della Sicilia: 3.800 dipendenti.
Che aumenteranno di 127 unità grazie all’accordo sugli esuberi in Micron, la multinazionale che voleva licenziare 419 addetti.
«Ma quei 127 – spiega Iole – li consideriamo nostri colleghi, visto che Micron li ha presi da noi nel 2007 quando ha deciso di comprare i nostri brevetti con cui si è arricchita. Una cosa del genere potrebbe capitare anche a noi. E presto perchè ormai anche in Stm si pensa solo alla finanza e non si investe più, anche se siamo di proprietà pubblica».
Per lei gli 80 euro di Renzi sono «come la social card di Berlusconi: mia nonna quando andava a fare la spesa diceva che usava la carta di Berlusconi, ora diranno che quegli 80 euro sono il regalo di Renzi. Solo che ce li daranno con una mano, mentre con l’altro ce li toglieranno fra Tasi e addizionali».
Massimo Franchi
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
IL BILANCIO DELLA RAI È IN ATTIVO DI 5 MILIONI E LUI DOVREBBE VERSARE 650.000 EURO A DUE FONDAZIONI DI BENEFICIENZA
Beppe Grillo di numeri ad effetto ne prova a spararne ogni giorno. In coincidenza con l’apertura del Festival di Sanremo, il comico “politicante” tenne un bel comizio puntando il dito contro i dirigenti Rai accusati di guadagnare cifre smisurate e per questo motivo essere causa del debito dell’azienda pubblica.
Poi se le prese con Fabio Fazio, che per condurre il Festival della canzone italiana si fa pagare 600 mila euro.
E ancora: lo sfarzo esagerato, la spending review mancata e tutto il carrozzone di polemiche sulla crisi e l’economia italiana.
Un vero e proprio talk show trasmesso in diretta ogni volta che parla il grillino numero uno. Ma forse il comico genovese è un po’ smemorato e inizia a perdere qualche colpo. Non ricorda, per esempio, quando lui stesso ha messo piede sul palco dell’Ariston come ospite.
Era il 1988 e il comico genovese venne pagato con 350 milioni di lire per il suo monologo.
Ma, come si dice, piccoli Grillo crescono.
E già in quell’apparizione si vedeva l’embrione di quello che poi Beppe sarebbe divenuto. Sempre su quello stesso palco, nel lontano 1988, Grillo sventolò il contratto davanti alle telecamere dicendo: “Guardate qui, ci sono un sacco di clausole, con penali da pagare”.
Oggi, un quarto di secolo dopo, lo show si ripete, ma a protagonisti invertiti.
Con l’apparizione a sorpresa (ma neanche troppo) del direttore della Rai, Luigi Gubitosi, che prende di petto Grillo e scommette sui conti dell’azienda.
“Sono pronto a fare una scommessa — dice Gubitosi a Grillo — Se ha ragione lui e il bilancio è peggiorato e chiude con una perdita di 400 milioni, lavorerò un anno gratis e devolverò il mio stipendio in beneficenza alla onlus che Grillo indicherà . Se invece ho ragione io e non solo non c’è un buco raddoppiato, ma anzi i conti sono in grandissimo miglioramento rispetto all’anno scorso, Grillo devolverà la stessa cifra alla Fondazione Lucchetta Ota D’Angelo Hrovatin o al Premio Ilaria Alpi, di cui ricorre quest’anno il ventennale della scomparsa”
Bene, la Rai chiude il bilancio del 2013 in attivo, con un utile netto di 5 milioni di euro, in significativo miglioramento rispetto alla perdita di 245 milioni registrata nel 2012.
E’ lo stesso direttore generale ad annunciarlo, Luigi Gubitosi che spiega come i risultati “anticipano il conseguimento degli obiettivi di risanamento del piano industriale 2013-2015. Abbiamo compensato la caduta dei ricavi con tagli significativi sui costi”.
A quanto pare, stando alla luce dei fatti e al bilancio in attivo, la scommessa è stata vinta da Gubitosi.
A Grillo non resta che onorare l’impegno.
Matteo D’Errico
(da “il Tempo”)
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO BEPPE PRENDEVA IL RIMBORSO RAI MA ERA OSPITE DI PIPPO…
Non si capisce se siano state parole dal sen fuggite – «con Grillo ho un buon rapporto», tiene a precisare – o un sassolino che si è voluto togliere.
Fatto sta che l’altra sera Pippo Baudo, ospite di Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche, si è fatto scappare un racconto piuttosto imbarazzante per il Grande Moralizzatore, ex comico e attuale leader del Movimento Cinquestelle.
Baudo raccontava delle sue pene amorose alla conduttrice.
«Un po’ di tempo fa, ero in crisi con la mia compagna di allora. Si era esibita, piuttosto svestita, in uno spettacolo di Carmelo Bene e io mi sfogai con Antonio Ricci e Beppe Grillo, che erano ospiti nella mia casa di Morlupo».
Pausa. Poi chiosa: «Loro prendevano il rimborso Rai per il soggiorno, e io li ospitavo»
«Cosa stai insinuando?», lo stuzzica Bignardi.
«Che pagavo io», dice stizzito Baudo.
«E loro facevano la cresta sul rimborso Rai?», incalza la conduttrice.
«Prendevano integralmente il rimborso Rai», ribadisce Baudo.
Non manca una nota di colore sulla proverbiale avarizia del comico genovese: «Alla fine del soggiorno, Beppe mi ha detto: “Posso lasciare qualcosa a Nera?”
Nera era la donna di servizio che li accudiva. Gli ho detto di sì.
“Che dici, le lascio 5.000 lire?”‘, mi ha detto Beppe.
“No, 5.000 lire è troppo – gli ho risposto scherzando – potrebbe anche offendersi», racconta Baudo, per poi arrivare alla fine della storia: «Beppe mi ha risposto: “Allora è meglio non lasciarle niente”. E infatti non le diede niente».
Applauso del pubblico.
«Con Beppe – dice Baudo, che non nega di essere diventato meno ecumenico con il passar degli anni – è rimasto un buon rapporto, ci vogliamo bene. Per me Grillo è stata una folgorazione. E’ stata una delle mie tante scoperte. Ero a Milano, ho visto un manifesto con un ricciuto. Ho assistito, unico spettatore, al suo spettacolo. L’indomani gli ho fatto il provino».
Lo storico conduttore, nel corso dell’intervista, confessa la sua fede renziana: «Nelle primarie del 2012, per un’assurdità , non mi hanno fatto votare perchè ero residente a Militello. Ma nel 2013 non mi sono fatto fregare e sono riuscito a votare al gazebo di Piazza del Popolo, a Roma».
Sempre pronto a prendersi fregature, insomma…
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX PORTAVOCE VITTIMA DEL CERCHIO MAGICO”…IL GELO DEL CAVALIERE: “AUGURI”
«Va bene, Paolo, ora ti saluto. Ti faccio i migliori auguri se andrai nel Nuovo Centrodestra. E mi raccomando, quando lo vedi, salutami Angelino».
La vita è fatta di cose che cominciano e che poi finiscono.
Ma il modo in cui è finita la ventennale collaborazione tra Silvio Berlusconi e Paolo Bonaiuti, fino a qualche mese fa, non potevano immaginarlo nè l’uno nè l’altro. All’ora di pranzo i due sono faccia a faccia nello studiolo di Arcore.
L’ex portavoce, che ieri l’altro aveva chiesto un «ultimo incontro» al Cavaliere, varca in gran segreto il cancello di villa San Martino che fuori il sole è alto, ed è una bella giornata di primavera.
Ma basta che i due inizino a parlarsi, e dentro cala il gelo.
L’amarezza di Berlusconi
È amareggiato, Berlusconi. Convinto che «Paolino», il giornalista a cui per vent’anni ha affidato il ruolo di portavoce, abbia tenuto botta quando «c’erano i tempi d’oro» e lo stia abbandonando «proprio in un momento di difficoltà ».
Ne aveva parlato anche coi figli e con gli amici più stretti, lamentandosi di «com’è strana a volte la vita». E di com’è strano, aveva aggiunto confrontandosi al telefono con alcuni deputati romani, «che Bonaiuti se ne vada proprio nel partito di Alfano e Cicchitto, due di quelli che neanche volevano farlo sedere al tavolo quando c’erano le riunioni del Pdl».
Con queste premesse, difficile che il faccia a faccia tra i due porti a qualcosa di buono. E i presagi più oscuri, quando Bonaiuti accede al salone di Arcore, prendono forma subito.
Epilogo «ingiusto»
L’elenco di doglianze che il senatore forzista oppone al «Presidente» è molto lungo. Perchè è addolorato pure Bonaiuti, dilaniato anche umanamente da un epilogo che considera «ingiusto» per tutto quello che ha fatto per l’ex premier.
Nell’elenco avrebbe trovato spazio anche il modo in cui è maturato il suo allontanamento dalla stanza di bottoni berlusconiana, «col mio ufficio di Palazzo Grazioli che teoricamente doveva essere sgomberato, e invece è stato dato a Giovanni Toti».
Berlusconi ascolta. Probabilmente ribadisce quello che aveva detto in altre occasioni, e cioè che «era necessaria la spending review interna» affidata a Maria Rosaria Rossi, e che la nuova versione del «Mattinale» gestita da Renato Brunetta «funziona anche a costi più ridotti».
C’è un momento del colloquio, però, in cui la storia avrebbe potuto virare, prendere un’altra strada.
Succede quando Bonaiuti si dimostra disponibile a ripensarci, forse a dare la sua disponibilità per una candidatura alle Europee con Forza Italia, di certo a dirsi pronto per entrare nell’ufficio di presidenza del partito in una casella in cui è previsto il diritto di voto.
Ma Berlusconi, stando a quello che avrebbe poi raccontato ad alcuni parlamentari, chiude tutte le porte.
Con quei freddi «migliori auguri per la tua carriera nel Nuovo Centrodestra». A cui aggiunge, in calce, il sarcastico «salutami Angelino».
Le liste
Il resto di un sabato segnato da un lungo addio, per Berlusconi, è tutto nel lavoro sulle liste per il 25 maggio. Negli appunti dell’ex premier c’è il terzetto che guiderà il Nord Ovest, capitanato da Giovanni Toti, con Lara Comi e Licia Ronzulli.
Poi il blocco dell’Italia centrale, guidato da Antonio Tajani, in cui figura anche Melania Rizzoli.
Nel Nord Est, dietro Elisabetta Gardini, spunta l’imprenditore Mattia Malgara mentre al Sud, capolista Raffaele Fitto, oltre agli uscenti dovrebbe essere candidato anche il caporal maggiore Jonny D’Andrea, ferito in Afghanistan nel 2011 e medaglia d’oro al valore militare.
Le incognite non mancano. Non è escluso che l’ex premier provi a convincere Mara Carfagna e Giancarlo Galan, che al momento escludono la loro candidatura.
C’è ancora tempo. E se ne riparlerà oggi, forse, quando ad Arcore potrebbe arrivare il gotha del partito.
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO AFFIDATO ALL’ANSA: “DECISIONE SOFFERTA MA PIENAMENTE MOTIVATA E A LUNGO RIMANDATA”
«Lascio Forza Italia». Alle 16.03 la rottura tra Paolo Bonaiuti, storico portavoce di Silvio Berlusconi e già suo sottosegretario a Palazzo Chigi, e il partito del Cavaliere si consuma ufficialmente, dopo giorni di annunci e di polemiche.
L’annuncio è affidato all’agenzia Ansa che batte un lancio di sole tre parole.
In una nota Bonaiuti parla di una «decisione difficile, sofferta, anche a lungo rinviata». Una scelta che, tuttavia, sarebbe «pienamente motivata» e «già da tempo» da «divergenze politiche e da incomprensioni personali che si sono approfondite nell’ultimo anno».
«Resto nel centrodestra – aggiunge il senatore – per dare una mano a una ricomposizione a breve di tutte le forze di quest’area in direzione riformista e moderata».
L’approdo sarebbe il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, particolare questo che ha scatenato le ironie dello stato maggiore di Forza Italia, a partire dal consigliere politico Giovanni Toti («Lui e Schifani sarebbero il nuovo? Ditemi che siamo su Scherzi a parte…») e fino ad arrivare allo stesso leader che in un faccia a faccia ad Arcore si sarebbe congedato con un gelido messaggio di auguri.
Dal canto suo Bonaiuti usa parole di rispetto per il suo vecchio leader e amico: « A Silvio Berlusconi un augurio dal cuore, con la sincerità e con l’affetto dei diciotto anni in cui ho lavorato ogni giorno al suo fianco».
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
ALLA CONVENTION NCD RAFFICA DI ATTACCHI DEGLI EX AZZURRI PER PRENDERSI I VOTI IN USCITA IN VISTA DELLE EUROPEE
Le coincidenze hanno voluto che fosse proprio il leader del partito nato dalla scissione con Forza Italia, in veste di ministro dell’Interno, a dare l’annuncio dell’arresto a Beirut di Dell’Utri, braccio destro e amico di sempre di Berlusconi, nei confronti del quale la Cassazione martedì dovrà decidere se confermare la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel suo intervento conclusivo, il neo presidente Ncd delinea i tratti del “nuovo” e intanto traccia una linea di demarcazione: “Diciamo ai camorristi e ai mafiosi di non votare per noi. Perchè ogni voto che ci daranno sarà speso contro di loro e per le forze dell’ordine”, grida dal palco.
In platea ad ascoltare il neo presidente ci sono tutti, tanti ex forzisti che mai e poi mai avrebbero pensato di ritrovarsi lì: Maurizio Lupi entusiasta, Renato Schifani, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo, Roberto Formigoni, Giuseppe Scopelliti, Barbara Saltamartini, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Sacconi.
Tutti loro salgono sul palco a ballare con il presidente alla fine della convention costituente.
Ciò che è certo è che il partito di Alfano, in questo periodo, è in campagna acquisti. “Le nostre porte sono apertissime”, dice Schifani, non solo per Bonaiuti, che rappresenta il vero e proprio scalpo da rubare a Forza Italia, ma per tutti i forzisti delusi “da un progetto che è fallito a causa dei cattivi consigliere estremisti”.
Gli stessi del “vecchio centrodestra – spiega Alfano – che in questi mesi ci hanno aggredito non rispettando quella che e’ una scelta consapevole”.
Per il neo presidente del Nuovo Centrodestra, “il vecchio centrodestra ha parole in parte logorate dal tempo e in parte logorate da obiettivi programmatici non realizzati”. Il vecchio.
Il Nuovo invece “viene sottovalutato e in tantissimi vogliono che questo nostro bambino non cominci neanche a camminare. Sono gli stessi che avevano sottovalutato la nostra passione, mostrano la loro ostilità e tentano di annularci”, a partire “dalla nostra presenza su tv e giornali da parte di chi ha il potere di farlo. Ma non ce la faranno, non riusciranno, saremo la rivelazione delle Europee”.
Insomma, quella di Alfano è la versione ‘rottamazione’ in casa centrodestra.
(da “Huffington Post”)
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Aprile 13th, 2014 Riccardo Fucile
ARRESTATO IERI MATTINA, MA È DIFFICILE ESTRADARLO IN ITALIA NONOSTANTE GLI ACCORDI TRA I DUE PAESI
La latitanza di Marcello Dell’Utri è finita alle 9.30 (ora italiana) del mattino quando gli agenti libanesi accompagnati da un funzionario italiano hanno bussato alla porta della sua suite all’Intercontinental Phoenicia, un lussuoso cinque stelle nel centro di Beirut.
L’amico Gennaro Mokbel lo aveva avvertito. Quando alla fine del 2013 Marcello aveva annunciato la sua intenzione di andare in Libano dopo avere incontrato un ex capo di Stato libanese sul quale faceva affidamento (forse Michel Aoun o Amin Gemayel) Mokbel lo aveva messo in guardia.
Alberto Dell’Utri lo raccontava al suo amico Vincenzo Mancuso l’8 novembre mentre era intercettato dalla Polizia nel privè del ristorante Assunta Madre: “Marcello, dieci giorni fa ha cenato a Roma con (…) un politico importante del Libano che è stato presidente e che adesso si candida per le prossime elezioni in Libano e il 14 novembre, giovedì dovrebbe andare a Beirut, per vedere.
Gennaro (Mokbel), gli ha detto: ‘Non lo fare, perchè lui è di famiglia libanese e conosce, questo personaggio africano molto bene … dice, non ti fidare!’”.
Prosegue Alberto: “Il Libano è una realtà molto particolare Maroniti, Musulmani (Mokbel, ndr) giustamente, mi consigliava di non andarci adesso e soprattutto di non lasciare traccia”.
Due consigli non seguiti. Mokbel, secondo Alberto Dell’Utri, progettava la fuga con Marcello: “Il programma è quello di andarsene in Libano pure a lui”. Mancuso concorda: “Sì perchè Gennaro è molto più a rischio”. E Alberto: “Si … e quindi il programma è stabilirsi lì perchè lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perchè lui c’è già stato, la conosce, c’è un grande fermento culturale”.
Difficile capire se Dell’Utri sia stato gabbato, se si sia fatto distrarre dal “fermento culturale” di Beirut o se la sua sia una strategia che scommette sul diniego dell’estradizione .
Certo sembra strano che usasse il telefonino, la carta di credito e il suo nome per registrarsi in hotel a Beirut mentre lo cercavano.
Per capire, bisognerà attendere l’esito della richiesta di estradizione firmata ieri dal Guardasigilli Orlando, rientrato in fretta a Roma da Torino.
Il Libano, infatti, ha firmato un trattato con l’Italia nel 1970 ma il Paese dei cedri non prevede il reato di associazione mafiosa, circostanza che fa cantare vittoria a Maurizio Paniz, ex deputato del Pdl e avvocato penalista: “Pur non conoscendo le carte, pronostico un margine di successo della richiesta di estradizione al massimo del 25 per cento”.
Secondo Paniz “il Libano può opporsi sia perchè Dell’Utri non è ancora condannato definitivamente, sia perchè l’articolo 416 bis è stato introdotto nel 1982 ed era inesistente in Italia al momento in cui il trattato è stato stipulato e non esiste nulla di simile al 416 bis nell’ordinamento locale. Il Libano potrebbe rifiutare l’estradizione per gli eccessivi margini di discrezionalità dei giudici nel delimitare questo reato”.
Di diverso avviso è invece il pg Luigi Patronaggio, che attende il verdetto di martedì sera per reiterare, se la Cassazione confermerà la condanna, la richiesta di estradizione motivata, questa volta, da un giudicato penale; e che ha allegato all’istanza il testo della Convenzione Onu firmata a Palermo nel dicembre del 2000 anche dal Libano, per dimostrare come il reato di concorso esterno in associazione mafiosa rientri tra i reati “gravi” previsti dall’articolo 2 e richiamati dal 16, che disciplina i casi di estradizione.
Alla cattura di Marcello Dell’Utri gli investigatori sono arrivati “a colpo sicuro”: l’ultima imbeccata è arrivata da un informatore che ha indicato l’ultimo rifugio: l’hotel Intercontinental.
Il senatore non si è scomposto e si è lasciato accompagnare negli uffici dell’Interpol, dopo che la perquisizione della sua stanza d’albergo ha portato a galla decine di migliaia di euro in contanti, segno che la latitanza sarebbe dovuta durare a lungo. Dell’Utri era solo: gli investigatori non hanno trovato neanche suo figlio Marco, che con lui ha viaggiato da Parigi a Beirut la mattina del 24 marzo scorso, con due biglietti regolarmente intestati.
In queste ore si cercano alcune persone, probabilmente italiani, forse siciliani, che gli avrebbero garantito aiuti e appoggi in Libano, e che il senatore avrebbe più volte incontrato nel corso del suo soggiorno. Gli uomini della Dia hanno iniziato la “caccia” a metà di marzo, anche nella villa sul lago di Como venduta a Berlusconi ma abitata dall’ex senatore, senza trovarne alcuna traccia.
Sulla base dell’intercettazione dell’8 novembre scorso nel ristorante, trasmessa a febbraio 2014 a Palermo, hanno monitorato i voli verso il Libano, scoprendo l’imbarco del 24 marzo. Dall’analisi delle celle telefoniche il 3 aprile è saltato fuori un “aggancio” del suo cellulare poco fuori Beirut.
Sono stati emessi i mandati e qualche decina di agenti della Dia sono andati a perquisire, senza esito, tutte le abitazioni del senatore.
Due funzionari si sono imbarcati a Fiumicino per Beirut. Seguendo le tracce di presunti favoreggiatori, i cui nomi sono ancora coperti, sono arrivati al Phoenicia.
Marco Lillo e Giuseppe Lo Bianco
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »