Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
MORETTI PASSA DALLE FERROVIE A FINMECCANICA, LA TODINI DAL SUO GRUPPO E DALLA RAI ALLE POSTE, LA GRIECO DALL’OLIVETTI ALL’ENEL, LA MARCEGAGLIA DAL SUO GRUPPO ALL’ENI… ED ENTRANO MOLTI FINANZIATORI DI BIG BANG
Nel gioco delle tre tavolette, Renzi è insuperabile: alla fine cambia sette manager su otto, nomina tre donne immagine per guadagnarsi il titolo sui giornali fiancheggiatori, riesce nell’impresa di consegnare a imprenditrici private la presidenza di tre settori pubblici chiave senza che nessuno osi parlare di conflitto di interessi.
Se le stesse cose le avesse fatte Berlusconi, diciamo la verità , lo avrebbero massacrato, ma se lo fa il bamboccione di Pontremoli che si è fatto assumere da paparino come dirigente pochi giorni prima di correre per la Provincia di Firenze con aggravio di 300.000 di contributi a carico degli italiani, tutti a parlare delle quote rose.
Il più gran bluff del secolo, il nulla fatto premier, un puparo in mano a forze economiche ben definite, “l’uomo di sinistra” che piace tanto alla casalinga di Voghera amante dei venditori di pentole taroccate, può dichiararsi “soddisfatto per la forte presenza femminile, segno di un protagonismo che chiedeva da troppo tempo un pieno riconoscimento anche da parte del settore pubblico, in linea, anzi all’avanguardia, rispetto alle migliori esperienze europee ed internazionali”.
Magari all’estero le donne provengono da esperienze manageriali pubbliche e non da gruppi industriali privati, ma per Renzi questo è un dettaglio.
Riesce a riciclare persino Moretti e a trattenerlo in Italia, dopo i brillanti risultati che lo hanno fatto portare in trionfo dai pendolari italiani: è tale la sua competenza ferroviaria che prende il Freccia Rossa direzione Finmeccanica dove sistemerà anche le navi.
Alla presidenza dell’Eni arriva l’ex numero uno di Confindustria, Emma Marcegaglia, gruppo industriale omonimo, società in rapporti con Eni e in passato coinvolta anche in vicende giudiziarie con il colosso controllato dal Tesoro (Enipower); a quella dell’Enel approda Patrizia Grieco che viene da Fiat Industrial, è presidente esecutivo di Olivetti e componente del cda di Italgas; per le Poste, infine, è stata scelta Luisa Todini, ex eurodeputata di Forza Italia, proprietaria della Todini Finanziaria Spa., ora nel cda della Rai.
L’unico presidente della vecchia guardia che conserva il posto, confermando quindi ampiamente il toto-nomine impazzato nei giorni scorsi, è Gianni De Gennaro, ex capo della polizia, che rimane a Finmeccanica.
Per lo più riciclati i nuovi amministratori delegati: all’Eni e all’Enel Paolo Scaroni e Fulvio Conti vengono sostituiti da due interni: al gruppo petrolifero viene promosso Claudio Descalzi mentre al gruppo elettrico Francesco Starace conquista la poltrona principale dopo aver gestito il business delle rinnovabili con Enel Green Power.
Alle Poste mister Agenda digitale, Francesco Caio, che la spunta su un altro nome circolato con insistenza, quello dell’ad dell’Espresso Monica Mondardini.
Nessun nome, per il momento, su Terna, su cui deciderà Cdp, ma per la quale si fa per la presidenza il nome di Catia Bastioli, a.d. di Novamont, azienda novarese leader nella produzione chimica (altra privata) , e di Aldo Chiarini per il ruolo di a.d.
Poi ci sono i nomi di più diretta ‘emanazione’ del presidente del Consiglio: li troviamo nei cda delle controllate, dove ci sono le personalità più direttamente riferibili a partiti e correnti.
E così nel cda di Eni c’è Luigi Zingales, economista, vicino a Renzi fin dai tempi delle Leopolde. Oltre a lui, Fabrizio Pagani, ex consigliere economico di Enrico Letta, ora nel board del ministro Padoan.
Tra i consiglieri di amministrazione di Enel c’è Alberto Bianchi, presidente della Fondazione renziana ‘Big Bang’, nonchè finanziatore della stessa fondazione.
E finanziatore di Renzi dai tempi della campagna per le primarie 2012 è anche Fabrizio Landi, che è nel cda di Finmeccanica (dove troviamo anche Marta Dassù, vicina al Pd dalemiano, e Guido Alpa, vicino a Denis Verdini di Forza Italia).
Nel cda di Posta c’è invece Antonio Campo dall’Orto, anche lui nell’elenco finanziatori della Big Bang.
Suo compagno di squadra in Poste, l’ex portavoce di Pier Ferdinando Casini, Roberto Rao.
argomento: Renzi | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL CERCHIO MAGICO “BASTONA” I CRITICI… LA PASCALE MALTRATTA PURE LA BIANCOFIORE
E adesso il “tradimento” è diventato una psicosi. Che avvolge il bunker berlusconiano.
È bastato che le agenzie battessero della stretta di mano tra Angelino e Paolino che ad Arcore sono saltati i nervi.
È poco importante il ruolo che andrà ad occupare Bonaiuti, che presumibilmente sarà di rapporti con la stampa. E ancora meno importante quanti voti ha (nessuno).
È importante che pure l’ombra ha mollato il Capo. E l’ha mollato perchè “epurato da cerchio magico”.
Praticamente tutti, dentro Forza Italia, sottoscrivono le parole che l’ex portavoce ha consegnato al Messaggero in merito alle epurazioni da parte del cerchio magico.
Ecco, “chi sarà il prossimo?” è la domanda che rimbalza tra i parlamentari.
Perchè il tappo è saltato. E non è un caso che sia tornato a scorrere il veleno nelle dichiarazioni dei big di Forza Italia verso Alfano.
Per la prima volta Angelino sta intercettando la diaspora.
I numeri sono tutt’altro che irrilevanti. La conta dell’ultimo week end dice che sul territorio il Nuovo centro destra è cresciuto parecchio: un centinaio i consiglieri regionali, ben 4000 gli amministratori locali, 12mila circoli aperti: “Ormai — dice Sergio Pizzolante — si è invertito l’aspetto magnetico. E da Forza Italia ne arriveranno altri”.
Difficile che ci possa essere una frana prima delle europee. Ma il malessere è davvero a livello di guardia. Quello che sta accadendo in queste ore è una rivolta silenziosa verso il cerchio magico. Paolo Bonaiuti ne è stato il portavoce.
Berlusconi è assente, frastornato dal caso Dell’Utri, costretto a piombare a Roma per chiudere liste che gli fanno “schifo”.
Negli ultimi giorni ha incassato parecchi no da imprenditori che avrebbe voluto coinvolgere in nome del rinnovamento. Segno che Forza Italia non è più attrattiva. Attorno a lui Giovanni Toti e le due “badanti” Rossi e Pascale proseguono nell’operazione di isolarlo dal resto del mondo.
L’altro volto della psicosi da tradimento che aleggia nel Palazzo è il bastone del cerchio magico verso il dissenso.
Raccontano i ben informati che una ramanzina è arrivata anche a una amazzone come Micaela Biancofiore, una che si farebbe bruciare viva per Berlusconi.
In tempi di “badantocrazia”, come dicono forzisti maliziosi, sono suonate come un affronto le frasi della sua intervista a Repubblica: “Se qualcuno, senza avvertirlo, ha spedito a casa le cose che Paolo (Bonaiuti) aveva in ufficio ha mancato di cultura del tatto e del merito”. Apriti cielo. La Pascale non ha affatto gradito.
E allora si capisce in questo clima perchè uno come Bondi non abbia nemmeno voglia di parlare. È surreale pensare che possa separare il suo destino da quello di Berlusconi. Ma è certo che sta vivendo con sofferenza questo momento.
Nell’ultima intervista che ha dato al Foglio, di fatto, ha recitato il de profundis di un’epoca.
E non è un mistero che sia rimasto colpito, anzi ferito dalla messa da parte di Marinella, la storica segretaria a cui tutta la vecchia guardia era legata da stima e affetto.
Sono proprio i collaboratori della prima ora a non reggere più questa situazione. Magari non andranno con Alfano, ma sono disgustati dall’andazzo di corte.
E considerano Berlusconi irriconoscibile. Giorgio Lainati, ad esempio, uno che sta con Berlusconi dal ’94 e che organizzò il suo primissimo evento pubblico all’Eur, ha passato gli ultimi giorni assieme a Bonaiuti, condividendone le motivazioni della scelta.
Altri, aspettano il risultato delle Europee. Paolo Russo, Cicu, furono a un passo dal seguire Alfano ai tempi dello strappo dello scorso anno. Ora covano dubbi sul futuro di Forza Italia.
Chi chiama Arcore, trova il muro del cerchio magico. Alfano, invece, prepara tappeti rossi per i vecchi compagni di partito.
Sorridente, una parola buona per tutti pare aver appreso da Berlusconi l’importanza dei rapporti umani per non far scappare la gente.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
DAGLI APPALTI AI FALSI RICOVERI, STIMATO UN DANNO ERARIALE DI UN MILIARDO DI EURO…. INTERVENTI DI CHIRURGIA PLASTICA SPACCIATI COME SALVA-VITA
C’è una voragine nei conti dello Stato provocata dalle truffe al servizio sanitario nazionale.
Oltre un miliardo di euro di danni erariali causati dalle irregolarità compiute da medici e operatori, spesso d’accordo con i pazienti oppure con gli agenti assicurativi.
Ma anche con le società farmaceutiche e con le aziende private che si occupano di commercializzazione di macchinari.
E’ il clamoroso risultato dei controlli compiuti dalla Guardia di Finanza nell’ultimo anno. E le verifiche dei primi due mesi del 2014 sembrano confermare il trend visto che fino al 28 febbraio scorso sono già state segnalate alla Corte dei Conti 104 persone e l’ammontare delle perdite supera i 150 milioni di euro.
Sono decine le tipologie degli illeciti e le più frequenti riguardano gli interventi di chirurgia estetica spacciati per operazioni su gravi patologie, i finti ricoveri di pronto soccorso nelle strutture private, le iperprescrizioni di farmaci
Scoperti oltre 700 funzionari infedeli
Il dossier dell’Ufficio Tutela e mercato delle Fiamme Gialle guidato dal colonnello Giovanni Avitabile fornisce numeri e casi di un fenomeno che viene costantemente monitorato perchè, come si sottolinea nella relazione «il controllo della spesa vista la sua particolare importanza nell’ambito del bilancio pubblico e le sue preoccupanti dinamiche di crescita, rappresenta una delle priorità inderogabili per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica».
E perchè «la necessità di risanare i conti pubblici impone un’oculata attività di contenimento e razionalizzazione della spesa anche con una mirata attività di verifica finalizzata all’individuazione delle condotte negligenti o illecite che, consentendo sprechi, diseconomie o inefficienze, possono rappresentare una variabile sensibile nelle funzione di crescita delle uscite».
I controlli si muovono sul doppio binario: all’indagine affidata ai nuclei territoriali, si affiancano i «protocolli di collaborazione con le Aziende sanitarie locali per ottenere uno scambio informativo e l’attivazione delle ispezioni».
I dati forniscono il quadro: nel 2013 sono stati compiuti 10.333 controlli e 1.173 sono state le persone denunciate per un valore che supera i 23 milioni di euro.
Ben più grave il capitolo delle richieste di risarcimento avanzate dalla Corte dei Conti: sono 177 le verifiche, 742 i funzionari pubblici sottoposti a procedimento, un miliardo e 5 milioni di euro il totale delle contestazioni.
I falsi Drg e il day hospital
Si chiamano “Raggruppamenti omogenei di diagnosi” e servono a stabilire le tariffe per le prestazioni che vengono caricate sul Servizio Sanitario Nazionale.
Proprio “truccando” i referti e quindi «facendo rientrare l’intervento nella categoria autorizzata oppure per la quale è previsto un rimborso superiore al dovuto» sono stati drenati centinaia di milioni di euro alle casse statali.
Il caso più eclatante riguarda le operazioni di chirurgia estetica che invece vengono spacciate per interventi su gravi patologie, spesso addirittura tumorali. Le rinoplastiche fatte passare come settoplastica sono certamente frequenti, ma c’è anche chi si è rifatto il seno, le cosce, l’addome sostenendo di essere molto malato, addirittura in pericolo di vita.
Qualche settimana fa sono stati indagati il primario dell’ospedale Villa Sofia di Palermo e alcuni alti dirigenti del nosocomio proprio con l’accusa di aver falsificato le cartelle cliniche di una decina di pazienti.Tecnica usata per ottenere illecitamente i rimborsi è anche l’attestazione di ricoveri in realtà mai avvenuti oppure gli interventi effettuati in ambulatorio per i quali si richiede invece il rimborso di day hospital. Sono escamotage apparentemente da poche migliaia di euro, ma moltiplicati per centinaia di migliaia di cittadini determinano un esborso spropositato.
Farmaci e ticket sempre gratis
Un’indagine effettuata due anni fa in Lombardia dimostrò che a Milano un cittadino su cinque non pagava il ticket pur non avendo diritto all’esonero. Alla fine ben il 20 per cento degli assistiti risultò non in regola.
La maggior parte aveva contraffatto i dati dell’autocertificazioni, il resto aveva ottenuto una attestazione compiacente. Il quadro fornito dagli analisti della Guardia di Finanza prova che a livello nazionale la situazione è analoga se non peggiore. Basti pensare che su 9.936 controlli effettuati, sono state trovate ben 7.972 posizioni “fuorilegge” che hanno provocato un “buco” nel bilancio statale di circa un milione di euro. Vuol dire 8 su 10, quindi una percentuale clamorosa.
Ben più alto è il volume delle “uscite” causate dalla iperprescrizione di farmaci da parte dei medici di base. Storia emblematica è quella di Catania dove si è scoperto che «la emissione di ricette è di 7 punti superiore alla media nazionale senza che questo sia supportato da un quadro epidemiologico tale da poter giustificare l’eccessivo consumo».
In cima all’elenco ci sono gli inibitori di pompa, le statine e gli antidiabetici, ma sono decine e decine le confezioni acquistate con l’esenzione senza che i pazienti ne avessero effettiva necessità .
Nessuno eguaglia il dottore che ha prescritto 700 fiale di antibiotico alla moglie, ma a scorrere le denunce i casi eclatanti sono davvero tantissimi. Da tempo l’attività dei medici di base viene monitorata anche per quanto riguarda il numero dei “clienti”.
Le verifiche per tutelare il settore della spesa pubblica hanno infatti evidenziato la presenza negli elenchi di persone emigrate all’estero o decedute.
Secondo il rapporto stilato dal colonnello Avitabile «è necessario stimolare ulteriormente le competenti strutture sanitarie ad avviare in modo sistematico, a livello nazionale, una opportuna opera di bonifica e aggiornamento delle liste degli assistiti con conseguente rideterminazione degli importi spettanti ai medici e il recupero delle somme già percepite senza titolo dagli stessi»
La lungodegenza e le finte emergenze
Il limite massimo stabilito dalla legge per la degenza parla di 60 giorni, dopo scatta la tariffa più bassa per il rimborso. Ma aggirare l’ostacolo per ospedali e cliniche convenzionate è evidentemente molto facile.
Basta “frazionare” il ricovero e per il paziente a carico dello Stato la tariffa rimarrà sempre al massimo. Si tratta di un “sistema” illecito non facile da scoprire che provoca danni da milioni di euro.
Prima della scadenza dei due mesi, il malato viene “dimesso” e accettato nuovamente qualche giorno dopo. In realtà in alcuni casi è accaduto che non si sia addirittura mosso dalla struttura.
Ma le vie della truffa appaiono infinite. E così ci sono anche i «finti ricoveri eseguiti in regime d’emergenza da case di cura che sulla base del Piano sanitario Regionale non risultano in realtà abilitate.
Numerose degenze sono state attivate in questo modo nonostante la clinica non fosse dotata di servizio di pronto soccorso. E nonostante la legge imponga questo tipo di reparto come condizione indispensabile per poter ricorrere a questa tipologia di ricovero».
Macchinari e appalti truccati
Ci sono medici che utilizzano privatamente, facendosi pagare profumate parcelle, i macchinari comprati dalle strutture pubbliche.
Uno dei casi più eclatanti, con un danno che supera i 200 mila euro, è stato scoperto in Abruzzo ed è stato citato dal procuratore regionale Fausta Di Grazia nella sua relazione di apertura dell’anno giudiziario.
La magistratura contabile «ha agito nei confronti di un medico, docente universitario, per aver utilizzato privatamente, per alcuni anni, attrezzature diagnostiche acquisite con fondi della Regione e da quest’ultima rese disponibili all’Università de L’Aquila. Il danno complessivo attiene ai profili strettamente patrimoniali, al disservizio arrecato all’Università e all’Asl oltre che al pregiudizio d’immagine per la risonanza mediatica avuta dalla vicenda, a seguito della quale il convenuto è stato condannato anche in sede penale».
Un capitolo che naturalmente provoca esborsi da milioni di euro è quello degli appalti pubblici. Sono decine e decine le inchieste aperte in tutta Italia, prima fra tutte spicca quella sulla Regione Lombardia con il disvelamento dell’accordo tra politica e imprenditoria.
Tra i casi citati nel rapporto della Guardia di Finanza c’è quello che riguarda la Asl di Brindisi dove la Corte dei Conti ha evidenziato «l’alterazione, mediante vari e, a volte, sofisticati meccanismi fraudolenti, della libera concorrenza tra le imprese partecipanti alle gare per l’aggiudicazione dei lavori, con immediata ripercussione sull’entità della spesa sostenuta, a tutto personale vantaggio degli agenti pubblici coinvolti e delle imprese conniventi e a corrispondente grave detrimento del patrimonio pubblico, ove si consideri il cospicuo valore complessivo (circa 35 milioni di Euro) degli appalti oggetto di indagine».
(da “La Repubblica“)
argomento: sanità | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
OGGI SI DICHIARA “ALLIBITO” DALLE DICHIARAZIONE DELL’ABI: “L’AUMENTO DELLE TASSE SULLE BANCHE COMPORTERA’ UN MILIARDO IN MENO PER IL CREDITO”
Nel primo giorno di audizioni sul Def alla Camera dalle banche arriva un messaggio molto chiaro al governo, in procinto di varare un aumento della tassazione per la rivalutazione delle quote di Bankitalia, dal 12% previsto al 26%:
L’incremento – ha spiegato il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini – “sottrarrebbe un miliardo di liquidità alle banche destinato a fare prestiti a famiglie e imprese”.
Alla domanda del presidente della commissione Bilancio della Camera, se questo incremento potrebbe generare un’ulteriore stretta sul credit crunch, Sabatini ha risposto: “sì, è quello che ha evidenziato anche il governatore Visco”.
A stretto giro, in serata, è arrivata la replica del governo: “È un ricatto che non accettiamo, sono allibito”, ha commentato il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio, fingendo di non sapere che il miliardo spacciato per “tassa alle banche” che serviva per garantire la marchetta elettorale degli 80 euro di Renzi, alla fine sarebbe stato “caricato” dagli istituti di credito sulla clientela.
I rilievi dei sindacati
Tra i primi ad intervenire i sindacati. “C’è stato un cambiamento, ma non la svolta necessaria per il Paese”, ha detto il segretario confederale della Cgil Danilo Barbi, invitando il governo ad “aprire una vertenza con l’Europa” con la revisione del Fiscal Compact.
Il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha messo invece in guardia sulla revisione della spesa. “La spending review – ha detto Bonanni – non poggia su una strategia chiara e rischia di tradursi in nuovi tagli lineari, ancora più pericolosi del passato, oppure portare a una nuova manovra”.
Angeletti è stato duro in tema di pubblico impiego, in vista dei tagli che il governo si prepara a varare nei prossimi anni. “l governo italiano è il datore di lavoro di più di tre milioni di dipendenti ed e’ il peggiore datore che abbiamo e anche il peggior evasore perchè non paga i contributi”.
Confindustria: “Bene governo, ma non condividamo scelta sull’Irap”.
Semaforo verde al Documento di Economia e Finanza da Confindustria.
Confindustria ha però mostrato le proprie riserve sull’intervento sul fisco deciso dal governo, spiegando di non condividere “la scelta di concentrare larga parte delle risorse sulla riduzione dell’Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito e di destinare solo una parte limitata di risorse sulla riduzione dell’Irap”.
Il direttore generale di Confindustria ha criticato poi la scelta del governo di portare la tassazione delle rendite finanziarie al 26%, lasciando invariata perà³ l’aliquota riferita ai titoli di Stato, spiegando che in questo modo il rischio è che si generi una sorta di “concorrenza sleale” nell’accesso al credito, a svantaggio delle imprese.
“Si crea cosi’ uno squilibrio che favorisce il finanziamento dello Stato a spese del finanziamento del sistema produttivo”- ha detto – “i cui costi verranno ulteriormente incrementati. Peraltro, si tratta di un intervento in contrasto con l’obiettivo dichiarato dallo stesso Def che si propone di ampliare i canali di finanziamento delle imprese alternativi a quello bancario”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: governo | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
TIMORE APPIATTIMENTO STIPENDI… COME FUNZIONA NEGLI ALTRI PAESI
Una rivoluzione. Un cambio destinato a mettere in discussione l’intero sistema di contrattazione italiano e, temono Cgil, Cisl e Uil, a mettere in forse la stessa sopravvivenza del sindacato confederale.
«La proposta si basa su tre pilastri fondamentali», premette Enrico Morando, oggi viceministro dell’Economia, per decenni esponente dell’area riformista del Pci piemontese (insieme a Chiamparino).
Il primo pilastro è «il salario minimo di legge». Una norma che esiste in molti Paesi del mondo, una linea della sopravvivenza sotto la quale è reato scendere.
Che cosa accadrebbe se venisse introdotto anche in Italia? L’esempio che propone Morando è chiaro: «Se io imprenditore faccio lavorare le persone in nero, commetto una grave violazione di legge. Che si traduce in pesanti multe se la paga corrisposta è comunque superiore al salario minimo di legge, ma che diventa reato penale, punibile con il carcere, se la paga è inferiore ».
Il salario minimo è una soglia di sopravvivenza stabilita dallo Stato sotto la quale lavorare significa trovarsi in condizione di semi-schiavitù. Per questo è un reato.
In Francia, Usa, Gran Bretagna, il salario minimo di legge vige da decenni. In Usa è di poco superiore all’equivalente di 5 euro, ma alcuni sindaci di grandi città come Seattle puntano alla soglia dei 15 dollari, circa 11 euro.
In Francia il salario minimo è di 9,5 euro, in Gran Bretagna di 7,3 euro. In Germania un salario minimo non esiste, ma nell’accordo Spd-Cdu è previsto che il governo Merkel lo introduca.
Si immagina che il livello minimo tedesco sia intorno agli 8,5 euro.
E l’asticella italiana a quale soglia sarà ?
«E’ troppo presto per dirlo – risponde Morando – per ora stiamo preparando la norma, successivamente sarà stabilito il quantum».
Tutto semplice? Non proprio. I sindacati sono in allarme.
«Stabilire un salario minimo di legge – teme Raffaele Bonanni – significa appiattire verso il basso tutti i minimi contrattuali ».
Perchè in Italia ogni categoria di lavoratori ha un suo salario minimo contrattato dai sindacati. Il minimo contrattuale di ogni categoria ha sostituito di fatto il salario minimo di legge. Il sistema ha funzionato per decenni perchè fino all’inizio degli anni Duemila quasi tutti i lavoratori italiani avevano un contratto di categoria di riferimento.
«Oggi non è più così – spiega Serena Sorrentino della segreteria nazionale della Cgil – perchè la precarietà ha finito per creare decine di contratti diversi di collaborazione quasi mai agganciati a un contratto nazionale. La legge Fornero prevedeva che se io sono un ingegnere meccanico e vengo pagato a progetto, devo essere remunerato secondo i parametri minimi degli ingegneri metalmeccanici. Ma in realtà nessuno rispetta quella legge».
I sindacati sanno che il salario minimo oggi definito per contratto da ogni categoria di lavoratori è significativamente più alto del salario di legge che sarà stabilito dal governo perchè il secondo sarà inevitabilmente una soglia di sopravvivenza.
Da qui l’allarme di Cgil, Cisl e Uil: «In breve tempo – dice Sorrentino – le aziende sarebbero tentate di uscire da Confindustria, disdettare il contratto nazionale e applicare il minimo di legge che è più basso».
C’è questo rischio? «Il sistema che intendiamo rinnovare – risponde Morando – si basa sull’idea che per uscire dal contratto nazionale le aziende debbano sottoscrivere con i sindacati un loro contratto aziendale, come sta accadendo, ad esempio, alla Fiat. In quel caso il contratto deve essere approvato dai sindacati che rappresentano davvero la maggioranza dei lavoratori coinvolti. L’accordo del giugno scorso tra Cgil, Cisl, Uil e Confidustria, sui criteri per decidere chi è davvero rappresentativo nelle fabbriche, è un passo decisivo per realizzare le modifiche all’intero sistema che stiamo studiando»
Ecco allora i tre pilastri su cui sta lavorando il governo: il salario minimo di legge per decidere la soglia inviolabile della dignità delle persone; il contratto nazionale per tutti quei lavoratori, soprattutto nelle imprese più piccole, che non siano in grado di contrattare direttamente con la loro azienda le condizioni del salario; il contratto aziendale per le imprese o i gruppi che vogliano avere condizioni diverse dal contratto nazionale.
Una delle differenze rispetto ad oggi è che nello schema del governo Renzi il contratto nazionale e quello aziendale sono alternativi tra di loro mentre attualmente i contratti aziendali aggiungono soldi in busta paga rispetto ai minimi contrattuali della categoria nazionale.
Una discussione per addetti ai lavori? Non è così.
I sindacati temono che, nella tenaglia tra salario minimo di legge e accordi aziendali, i contratti nazionali finiscano stritolati, diventando un residuo marginale del Novecento.
Uno scenario da incubo per i sindacati confederali: la stessa idea di sindacato generale, che cerca di dare uguali diritti a chi fa lo stesso lavoro in ogni parte del Paese e in ogni fabbrica, finirebbe per essere sconfitta. Il fiorire di contratti aziendali coinciderebbe con il fiorire di sindacati d’azienda, ognuno in concorrenza con le sigle del capannone vicino.
Questa è la vera posta in gioco nel braccio di ferro tra sindacati e governo delle ultime settimane.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica“)
argomento: Lavoro | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
DELL’UTRI RESTA DETENUTO, MA FINO A QUANDO?… GEMAYEL SMENTISCE BERLUSCONI… E L’ESTRADIZIONE NON SARA’ PER NULLA SCONTATA
Era attesa per questa mattina alle 8.30 ma l’udienza sulla convalida dell’arresto di Marcello Dell’Utri a Beirut non ci sarà . La legge libanese non la prevede.
I magistrati di Beirut ascolteranno l’ex senatore solo una volta aver ricevuto la richiesta di estradizione dall’Italia, le cui procedure comincerebbero comunque dopo la sentenza della Cassazione: “Fino alla ricezione del dossier con la richiesta di estradizione non ho nemmeno l’obbligo di vedere il detenuto per un’udienza”, ha detto il procuratore generale della Cassazione libanese, Samir Hammud.
“Quando riceverò il file dall’Italia – ha detto Hammud ricordando le norme previste dalla convenzione tra Italia e Libano per l’estradizione – dovrò studiarlo e interrogare Dell’Utri. Successivamente presenterò al ministro della Giustizia una relazione con parere favorevole o contrario alla richiesta. Sarà poi il potere esecutivo a prendere la decisione finale con un provvedimento che dovrà essere firmato dallo stesso ministro della Giustizia, dal primo ministro e dal presidente della Repubblica”.
In base alla convenzione bilaterale in vigore, le autorità italiane hanno trenta giorni di tempo per presentare la richiesta formale di estradizione a quelle libanesi con tutti i documenti del caso.
Dell’Utri si trova ancora nella caserma della polizia dov’è stato portato dopo il fermo.
La moglie e il figlio, a Beirut da ieri, hanno chiesto di incontrarlo dove si trova, nella ‘sezione informazione’ delle forze della sicurezza interna.
L’ex senatore del Pdl, arrestato sabato mattina in un lussuoso albergo della città , non sarà assistito dai suoi legali italiani. Sono malati.
La notizia più importante arriva infatti da Palermo. Una doppia malattia ha colpito gli avvocati che difendono l’ex senatore in Cassazione.
A quanto si è appreso, il certificato di malattia dell’avvocato Massimo Krogh è pervenuto in Cassazione da almeno una settimana, mentre quello dell’avvocato Di Peri è arrivato l’altroieri, sabato.
L’udienza in piazza Cavour – la decisione definitiva sulla condanna a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa – domani si aprirà comunque.
Solo che gli ermellini (faranno parte del collegio i magistrati Maria Cristina Siotto, Maurizio Barbarisi, Margherita Cassano, Antonella Patrizia Mazzei e Giuseppe Locatelli) come prima decisione dovranno prendere quella del rinvio o meno.
La decisione appare scontata, visto che non si può celebrare il processo in assenza di entrambi gli avvocati. La Procura della Cassazione potrebbe anche chiedere un accertamento alle Asl competenti sulla effettività dello stato di malattia dei due difensori di Dell’Utri.
Ma questa ipotesi appare molto remota.
La smentita di Gemayel.
L’ufficio stampa del presidente del partito libanese delle Falangi, Amin Gemayel, “smentisce” in una dichiarazione “il presunto ruolo del presidente russo Vladimir Putin e dell’ex presidente italiano del Consiglio Silvio Berlusconi nel sostenere Gemayel alle prossime elezioni presidenziali”.
La smentita arriva dopo che, ieri, la stampa italiana ha riferito che Marcello Dell’Utri si trova in Libano perchè inviato da Berlusconi, al quale Putin avrebbe chiesto aiuto per la campagna elettorale di Gemayel.
La moglie e il figlio di Marcello Dell’utri sono giunti ieri pomeriggio a Beirut. Lo riferisce questa mattina il quotidiano panarabo ‘al-Hayat’, il quale, citando fonti anomine, afferma che i familiari dell’ex senatore “sono in attesa dell’autorizzazione della procura generale (libanese) per incontrare il loro congiunto nel luogo dove è detenuto nella ‘sezione informazione’ delle forze della sicurezza interna”.
Le procedure legali.
La richiesta di rinvio per motivi di salute presentata dagli avvocati di Dell’Utri e il possibile rinvio dell’udienza in Cassazione non dovrebbero avere riflessi sull’iter di estradizione, stando al Trattato Italia-Libano”.
E’ quanto spiega Pasquale De Sena, docente di Diritto Internazionale alla Cattolica di Milano. “Attualmente – osserva il giurista – Dell’Utri è in stato di arresto provvisorio. Il Trattato di reciproca assistenza giudiziaria prevede il termine di 30 giorni dall’arresto per presentare la domanda di estradizione (art.23), corredata della documentazione necessaria (art.21). Trascorsi questi l’arresto provvisorio scade e l’estradizione non può più essere richiesta (art.23)”.
Per estradare Dell’Utri, però, non è necessario che intervenga una sentenza definitiva. Il Trattato, infatti, prevede, all’art. 16, che siano estradabili non solo i soggetti condannati, ma anche quelli perseguiti per crimini o delitti puniti dalle leggi dei due Paesi con una pena restrittiva di almeno un anno. Ed è questo il caso in cui, già ora, prima della sentenza della Cassazione, rientra Dell’Utri.
“Il vero nodo della vicenda – prosegue De Sena – riguarda il reato di cui è accusato. In Libano non esiste il concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, che peraltro in Italia non è un delitto autonomo, previsto dal codice penale, ma è una forma di manifestazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, configurata per via giurisprudenziale. A quanto pare nel codice penale libanese è previsto invece un reato assimilabile all’associazione a delinquere, qualificato come ‘associazione di malfattori’. Se l’autorità giudiziaria di Beirut considererà il concorso esterno come un reato autonomo non riconosciuto nel proprio ordinamento, Dell’Utri potrebbe non essere estradato. In caso contrario, l’estradizione è tecnicamente possibile. Deve peraltro considerarsi che Dell’Utri ha svolto ruoli politici in Italia, tale circostanza, unitamente alla difficile configurabilità dell’ipotesi del concorso esterno, potrebbe spingere a considerare come “politica” l’imputazione a lui contestata, con la conseguenza d’impedire l’estradizione, ai sensi dell’art. 17 del Trattato.
La parola definitiva spetta all’esecutivo libanese, essendo necessario un decreto del Governo, su proposta del Ministro della giustizia. Si tratta dunque di una decisione anche di carattere politico, su cui potrebbero giocare diverse considerazioni.
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
MOLTI GRILLINI DICHIARANO ZERO
Rimane il più ricco, ma lo è molto meno rispetto all’anno precedente. Silvio Berlusconi ha dichiarato un imponibile di 4,5 milioni di euro, contro i 35,4 milioni del 2011. I dati si leggono nell’anagrafe patrimoniale dei senatori della XVII legislatura consultabile da questa mattina.
Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, invece, nel 2013 ha dichiarato redditi relativi all’anno precedente pari a 105.186 euro. Tra le proprietà presenti nella dichiarazione dei redditi risulta anche una Matiz del ’99 e una Panda del 2005, che si aggiungono alla casa principale, un terreno agricolo e un fabbricato rurale, tutti tra Agrigento e provincia.
Per le spese elettorali Alfano ha versato un contributo al Popolo delle libertà pari a 25 mila euro.
È proprietario, inoltre, di una 500 del ’68, di una Lada dell’89 e di una Jeep del 1996 invece Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, che ha denunciato nel 2013 redditi imponibili per 178.756 euro.
Brunetta dichiara di essere proprietario di immobili a Ravello, in provincia di Salerno, Venezia, Roma e Monte Castello di Vibio (Perugia).
I MINISTRI DEL GOVERNO RENZI
Tra i redditi 2012 figurano anche quelli di alcuni ministri del governo Renzi.
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha dichiarato 110.603 euro nella casella redditi imponibili; alla stessa voce, i redditi 2012 del ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, e di quello dell’Istruzione, Stefania Giannini, risultano rispettivamente di 102.383 e 117.472 euro.
Negli stessi registri, in quanto ministro del governo Letta, risulta anche il reddito 2012 dell’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, pari a 97.492 euro. Presente, infine, anche il reddito imponibile 2012 del ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, pari a 81.871 euro.
Un reddito imponibile di 76.259 euro, una Mercedes classe D del 2011 e venti azioni della Banca Etrusca e del Bcc Val d’Arno: è quanto risulta dalla dichiarazione dei redditi del ministro Maria Elena Boschi presentata alla Camera.
La Boschi non indica però le spese elettorali sostenute per la campagna politica. «Non sono in grado di quantificare le spese – scrive in una nota allegata – ma non ho ricevuto dal partito materiale cartaceo nè predisposto manifesti elettorali».
Il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia ha denunciato 98.471 euro per l’anno fiscale 2013.
L’esponente del Pd possiede un appartamento a Roma, un box e tre fabbricati in nuda proprietà sempre nella Capitale di cui due per metà superficie. Dal 2009 il ministro guida una Fiat Panda.
Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi ha denunciato 282.499 mila euro di reddito imponibile per l’anno fiscale 2013.
L’esponente del Nuovo Centro Destra possiede solo un’autovettura, una Fiat 500 del 2008, non ha terreni e fabbricati, e si è auto-sospeso dall’incarico di amministratore delegato di “Fiera Milano Congressi Spa” il 3 maggio 2013.
Per l’altro esponente del Ncd al governo, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, la situazione reddituale imponibile percepita nel 2012 e dichiarata nel 2013 è pari a 98.471 euro.
L’ex parlamentare di Forza Italia non ha beni immobili nè titoli azionari, possiede solo una Lancia Ypsilon che guida dal 2005.
La mamma Gardenia, la sorella e una moto Bmw del 1979 nella dichiarazione dei redditi 2013 di Dario Franceschini.
Il ministro della Cultura, secondo quanto riporta il bollettino di Montecitorio, nel 2012 ha guadagnato 200.861 euro e ha sostenuto spese elettorali pari a 2.258 euro.
IL CASO DEI 5 STELLE: MOLTI DICHIARANO «ZERO»
Buona parte dei componenti del gruppo del M5S alla Camera non ha denunciato reddito imponibile per l’anno fiscale 2013: il vicepresidente Luigi Di Maio e il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico, hanno dichiarato «zero».
È quanto si legge nel bollettino pubblicato dalla Camera.
Per la campagna elettorale il primo ha speso circa 3.000 euro, il secondo non ha sostenuto alcun esborso.
Alessandro Di Battista ha dichiarato invece un imponibile di 3.176 euro, una spesa di 145 euro per la campagna elettorale e la proprietà del 30% delle quote di una srl. Roberta Lombardi e Carlo Sibilia, altri due esponenti di M5s, denunciano invece redditi imponibili per 22.672 la prima e 19.764 euro il secondo.
ZELLER PRIMO TRA I 10 CAPIGRUPPO AL SENATO
Secondo la dichiarazione dei redditi presentata nel 2013 relativa all’imponibile del 2012 il capogruppo di Palazzo Madama più “ricco” risulta Karl Zeller (Svp-Per le Autonomie) con 383.826 euro seguito da Luigi Zanda (Pd) con 142.873 euro, Massimo Bitonci (Lega) con 106.774 euro.
Immediatamente sotto il podio si collocano Maurizio Sacconi (Ncd) con 104.976 euro, Paolo Romani (Fi) con 101.003 euro, Lucio Romano (Per l’Italia) con 71.992 euro, Mario Ferrara (Gal) con 46.945 euro, Loredana De Petris (Misto-Sel) con 25.174 euro, Gianluca Susta (Sc) con 21.038 euro.
Chiude la “classifica” dei 10 capigruppo l’avvocato e neo presidente del gruppo M5S Maurizio Buccarella con 8.024 euro di reddito imponibile.
173 MILA EURO IL REDDITO DI UMBERTO BOSSI
Il fondatore della Lega Umberto Bossi ha denunciato 172 mila 783 euro per l’anno fiscale 2013. Il “Senatùr” ha 4 terreni e un fabbricato a Gemonio in comproprietà con la moglie Manuela Marrone.
L’ex segretario del Carroccio, ora deputato, non ha auto a lui intestate, nè azioni o quote di società e non ha sostenuto nessuna spesa elettorale per le ultime politiche. Marrone, invece, oltre ai 4 terreni e al fabbricato in comproprietà con il marito, possiede al 100% 2 fabbricati e 5 terreni nel Brenta, in provincia di Varese, e un terreno sempre a Gemonio. Lady Bossi guida dal 2007 una Panda. Roberto, il figlio del senatur (secondo la “dichiarazione relativa ai figli consenzienti”) possiede una Daimler Chrysler immatricolata nel 2005.
I PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO
Il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel 2012 ha percepito redditi imponibili per 176.499 euro mentre la sua “collega”, presidente della Camera Laura Boldrini, ha percepito compensi netti pari a 94.304 euro.
In particolare, nella dichiarazione dei redditi 2013 la Boldrini ha dichiarato un imponibile di 6.314 euro ma in una dichiarazione allegata alla documentazione fornita alla Camera, la presidente dell’assemblea di Montecitorio spiega di aver ricevuto altri 94.304,63 euro dall’Onu in qualità di funzionario dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, somma con ritenuta alla fonte non soggetta a imposizione fiscale. La somma ricevuta dall’Onu era in dollari (121.340,61) e, precisa la presidente della Camera, «non è soggetta a imposizione nazionale in base agli accordi regolanti il regime fiscale dei funzionari di organismi internazionali».
Per quanto riguarda le spese elettorali sostenute dalla Boldrini nella campagna elettorale dello scorso anno (di cui è obbligatoria la rendicontazione) la presidente dichiara di aver speso 5.708,70 euro.
(da “La Stampa”)
argomento: Grillo | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
IL DISINTERESSATO “DIFENSORE DEL POPOLO RUSSO” HA FONDI NERI E PARTECIPAZIONI NELLE SOCIETA’ DEL SUO CERCHIO MAGICO
Fondi neri, partecipazioni occulte in società guidate dai suoi fedelissimi, quattro yacht, 58 aerei e il dato complessivo che riassume tutto il suo potere: 28 miliardi di dollari.
Il tesoro personale di Vladimir Putin ammonterebbe a questa cifra.
Le informazioni sul patrimonio del presidente russo sono state svelate dalla magistratura e dall’intelligence americana, raccolto nel corso degli ultimi anni.
Dopo l’annessione della Crimea, Barack Obama ha deciso di alzare il velo sul dossier riservato, facendo filtrare alla stampa alcune rivelazioni.
Il primo ente a diffondere le informazioni è stato il Tesoro statunitense, che nel documento diffuso lo scorso 20 marzo sulle 16 persone colpite da sanzioni, ha descritto le relazioni economiche tra Putin e la sua cerchia di amici.
Si apprende così che il presidente russo abbia investimenti personali nella Gunvor, società di materie prime dall’amico Gennady Timchenko. Putin avrebbe poi sollecitato sette collaboratori a entrare nella Ozero, cooperativa fondata per costruire ville di lusso in un resort esclusivo vicino San Pietroburgo.
Nel gruppo ci sono Gennady Yakunin, il capo delle Ferrovie russe colpito dalle sanzioni americane, Andrei Fursenko, amico di Putin dal 1993, anche lui colpito dalle sanzioni, l’attuale capo del consiglio di sicurezza nazionale ed ex capo dell’Fsb Nikolai Patrushev, e Viktor Cherkesov, l’ex funzionario del Kgb ed ex direttore dell’agenzia anti droga, ora a capo dell’agenzia per l’approvvigionamento militare.
Secondo fonti anonime citate dal giornalista Bill Gertz in un articolo sul sito Washington Free Beacon, Putin controllerebbe circa il 37 per cento delle azioni della Surgutnefgaz, il 4,5 per cento della Gazprom, e insieme ai suoi associati “avrebbe rubato fra i 25 e i 30 miliardi” dei fondi destinati allo sviluppo delle infrastrutture olimpiche a Sochi (l’investimento totale è stato di 50 miliardi di dollari).
Cruciale nelle relazioni di Putin con Gazprom sarebbe Sergei Fursenko, fratello di Andrei, capo della Gazprom-Gas Motor Fuel.
Attraverso questo canale, Putin avrebbe raccolto negli anni 52 miliardi di fondi neri (il dato risale al 2011). Putin avrebbe avuto rapporti proficui anche con la russo-tedesca SPAG (Saint Petersburg Real Estate Holding), una società di cui sarebbe stato consulente prima di diventare presidente legata a operazioni di riciclaggio di denaro sporco in Russia e Colombia attraverso il Liechtenstein
Fra le relazioni fruttuose di Putin vi sarebbe inoltre l’azionista di Bank Rossiya Nikolai Shamalov, già proprietazio del “palazzo Putin” sul Mar nero, vicino a Krasnodar, e il cui figlio Yuri è a capo del principale fondo pensioni Gazfond, venduto da Gazprom nel 2006 al gruppo di assicurazioni Sogaz e controllato dalla banca colpita dalle sanzioni americane in cui Putin ha provocatoriamente reso noto di aver aperto un conto il giorno dopo l’introduzione delle misure restrittive.
(da “Huffington Post“)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 14th, 2014 Riccardo Fucile
PARLA IL PRESUNTO ORGANIZZATORE DELLA FUGA DI DELL’UTRI IN LIBANO
«Senta direttore, su questa storia della fuga del senatore (Dell’Utri, ndr) sto leggendo e sentendo cose dell’altro mondo. Mi sono stancato di subire un linciaggio mediatico di simili proporzioni. In tutti questi anni non ho mai parlato con i giornalisti, categoria della quale diffido. Ma stavolta faccio un’eccezione. Mi stia a sentire, vedrà che non se ne pente».
Chi parla è Gennaro Mokbel, il presunto organizzatore della fuga di Marcello Dell’Utri in Libano. Il personaggio è noto per l’inchiesta Telecom-Fastweb dove s’è beccato 15 anni in primo grado, ed oggi è fuori con obbligo di dimora per gravi motivi di salute.
Le cronache di questi giorni lo collegano a Dell’Utri, al fratello Alberto e a una «internazionale nera» che avrebbe pianificato la fuga a Beirut.
Ma proprio quando partiamo con le domande sulla spectre neofascista, prima sorride, poi sbotta.
«Allora. Al di là di quel che dice il fratello del senatore nell’intercettazione al ristorante, su cui torneremo a breve, ci tengo a precisare quanto ho già detto in tribunale e che non ho avuto mai la fortuna di leggere in alcun resoconto giornalistico: non sono fascista, non lo sono mai stato. Anzi, le mie rare esperienze politiche risalgono al circolo Bakunin via dei Taurini a Roma. Sfortuna volle che quando venni arrestato una prima volta nel 1980 mi rinchiusero al reparto G9 di Rebibbia, pieno di gente detenuta per reati eversivi ricollegabili alla destra, gente che conoscevo fin da bambino perchè abitavamo nello stesso quartiere di piazza Bologna a Roma. Poi i media hanno provato ad etichettarmi come fascista per la mia conoscenza con Antonio D’Inzillo, un esponente nero, lui sì. Ora è chiaro direttore? Può scriverlo che non sono fascista?».
Quindi lei non ha mai fatto politica, giusto?
«No, l’ho fatta a sinistra. Poi dal ’96 al ’99 ho lavorato con un circolo di Forza Italia, il Città di Roma, e fu in quell’occasione che mi picchiai con Gianni Alemanno».
Scusi?
«Lasciamo perdere, acqua passata».
Andiamo all’attualità , Mokbel. Conosce il senatore Marcello Dell’Utri?
«No, non lo conosco. O meglio, l’ho conosciuto a una mostra, perchè entrambi abbiamo una passione per l’arte. Credo fosse nel 2009, lo incontrai in una galleria d’arte di via XX settembre»
E ci ha parlato?
«Quattro battute su un pittore, Clerici, niente più»
Da quanto non lo sente?
«Forse non mi sono spiegato, non l’ho mai sentito direttamente. Provai una volta a contattarlo, attraverso terze persone, per chiedergli se ci dava una mano per il nostro movimento politico, nell’area di centrodestra, che si chiamava Alleanza Federalista. La risposta arrivò dopo qualche settimana, mi dissero, testualmente, che Dell’Utri non voleva avere a che fare “con questo delinquente”. Il delinquente in questione sarei io».
Il fratello, Alberto Dell’Utri, non può dire di non conoscerlo.
«E chi lo nega. Il fratello, una sorta di viveur romano, personaggio davvero particolare, si avvicinò ad Alleanza Federalista e lo incontrai a parecchie cene, viveva molto la notte. L’ultima volta, se la memoria non mi inganna, risale all’estate 2013. Tutti sanno, e tutti fanno finta di non sapere, che Alberto col fratello Marcello non c’azzecca nulla. Due mondi lontanissimi. Del mio rapporto con Alberto c’è traccia nell’inchiesta Telekom-Fastweb. Venne intercettato anche lui nel 2008, e lì c’è il riscontro sulla storia dei rapporti finalizzati al solo movimento politico. Se avessimo fatto cose losche pensate che uno con quel cognome noto non sarebbe finito subito sui giornali? E invece niente».
Da alcune intercettazioni ambientali, effettuate nel novembre scorso in una saletta riservata del ristorante Assunta Madre a Roma, Alberto fa riferimento a Gennaro, cioè lei, quale complice per la fuga del fratello all’estero per via dei suoi rapporti con il Libano. In alternativa lei e il senatore sareste fuggiti in Nuova Guinea o Santo Domingo…
«(Risata). Senta direttore, io non conosco l’interlocutore di Alberto Dell’Utri, non sento il fratello del senatore da almeno 5 mesi, in Libano non ho agganci, non ho amici o conoscenti, non ci sono mai stato e pure i miei genitori, che ho letto essere libanesi, sono nati invece Al Cairo e a Porto Said, in Egitto. Eppoi come potrei fuggire all’estero che non ho mai avuto il passaporto? Non l’ho mai avuto, sono rimasto sempre in Italia, tranne un viaggio di nozze in Francia e una gitarella in Spagna da ragazzino. Non conosco nessun funzionario e nessun esponente politico in nessuno di questi tre paesi. Qualcuno mi smentisca, se ne è capace. Eppoi scusi…»
Dica
«Perchè sarei dovuto scappare? Da cosa? La condanna è in primo grado, le condizioni di salute mi impongono cure appropriate e quotidiane, qui ho mia moglie malata di sclerosi multipla aggravatasi con la detenzione a causa del processo. Io sono difatto libero, posso muovermi a Roma, ho l’obbligo di dimora fino al 2018, ciò vuol dire che non mi posso allontanare dalla Capitale che è la mia città da cui non mi sono mai mosso per decenni. Perchè dovrei scappare con una persona che nemmeno conosco?»
E allora tutta questa storia cos’è?
«E che ne so, io. Non posso interpretare una conversazione fra terze persone. Leggendo i giornali mi domando poi come mai, uno come il senatore Dell’Utri, si dà latitante facendo tutto alla luce del sole: dal passaporto all’aereo, dall’hotel alla carta d’identità fino al telefonino. Uno che scappa, penso, non lascia tracce così evidenti. Ma non mi voglio impicciare, sono cose che non mi riguardano».
E’ tutto?
«Per ora sì».
Gian Marco Chiocci
(da “il Tempo“)
argomento: Giustizia | Commenta »