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PASOLINI, OCCASIONE PERDUTA DELLA DESTRA: LA SOLITUDINE DELL’INTELLETTUALE

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

COMUNISTA ERETICO CON IDEE CARE AL FASCISMO IDENTITARIO… IL TOTALITARISMO REPRESSIVO ERA LA SOCIETA’ DEI CONSUMI

Ve lo ricordate lo spread? C’è stato un momento in cui le sue impennate turbavano il sonno di tutti gli italiani, persino quello della famosa casalinga di Voghera: «Oddio signora mia, ieri il tg ha detto che s’è alzato ancora!». «Che disgrazia! Chissà  adesso a quanto arriveranno i peperoni». La cosa è andata avanti per qualche tempo, ma poi – tra venti di bocconiana sobrietà , lacrime della Fornero e sangue dei contribuenti – il famigerato differenziale è passato di moda.
Un po’ come i pantaloni a zampa e le pellicce di visone.
Adesso le parole d’ordine sono tornate ad essere quelle di sempre: bolle finanziarie e speculative, crisi internazionale, crollo dell’occupazione e dei consumi.
Concetti che rievocano le immagini indelebili del 2008, quelle dei trader che abbandonano con i cartoni in mano la sede della Lehman Brothers.
Ci hanno raccontato che è iniziato tutto da lì, che quella scena è il paradigma della fine di un’era. Ma non è vero, o almeno non del tutto.
La sensazione, infatti, è che – al di là  degli algoritmi astratti degli esperti – la crisi che stiamo vivendo arrivi da molto più lontano e le sue radici vadano cercate più nella dimensione esistenziale che in quella finanziaria.
In sostanza, ciò che sembra essersi inceppato è proprio il nostro intero modello di sviluppo, fondato su una visione ostinatamente positivista e materialista del mondo.
Un sistema che postula benessere e felicità  per tutti e che invece rischia di aver messo in moto, attraverso la logica perversa dei consumi, il meccanismo perfetto dell’infelicità .
Ebbene, tutto questo, uno degli intellettuali più significativi del XX secolo l’aveva previsto con largo anticipo, quando Angela Merkel era ancora poco più che adolescente e se ne stava con le grazie al vento sulle spiagge per nudisti.
Il personaggio in questione è Pier Paolo Pasolini, la cui straordinaria opera è celebrata in questi giorni a Roma con una grande mostra allestita fino al prossimo 20 luglio al Palazzo delle Esposizioni.
La rassegna – che si sviluppa cronologicamente in sezioni, così da tracciare tutto il percorso della straordinaria vitalità  creativa dell’autore – fa parte di un progetto di respiro europeo attraverso il quale Barcellona, Parigi e Berlino si associano alla città  eterna per riaccendere i riflettori sulla figura del poeta “corsaro”.
A noi piace pensare che la scelta di farlo proprio in un momento di crisi ed euroscetticismo come questo, non sia solo il frutto di una felice coincidenza.
Perchè Pasolini è colui che, forse meglio di chiunque altro, ha saputo cogliere le potenzialità  distruttive insite nella nostra civiltà  dei consumi e in quell’ideologia dell’edonismo di cui, probabilmente, oggi stiamo subendo tutti gli effetti.
La sua voce libera e coraggiosa ammoniva sui rischi di una mutazione antropologica che la produzione di massa avrebbe determinato.
Una voce solitaria e osteggiata un po’ da tutti: sicuramente dai comunisti, troppo distratti dalle convergenze parallele con la Dc per prestare la giusta attenzione alle contraddizioni sollevate dal loro eretico “compagno”.
Ma disprezzata anche dalla destra, per la quale Pasolini ha rappresentato sicuramente una straordinaria occasione perduta.
Il Movimento Sociale Italiano, infatti, fu totalmente incapace – se si esclude qualche illuminato come Beppe Niccolai – di superare il rozzo pregiudizio omofobo e cogliere la convergenza degli orizzonti ideologici del partito con molti dei temi cari al poeta di Casarsa.
Pasolini era un antifascista, certo, ed in tasca aveva la tessera del Pci.
Ma era anche uno spirito libero, lontano anni luce dalla figura gramsciana dell’intellettuale organico.
Era un italiano che cercava la verità  ad ogni costo, senza mai pensare alle conseguenze.
Per questo non deve sorprendere l’apparente paradosso che fu proprio lui ad esprimere le critiche più feroci nei confronti della sinistra di quegli anni, e che molti dei contenuti dell’ideologia pasoliniana possono essere inquadrati in una prospettiva destrorsa.
Paradigmatica in questo senso è la battaglia del poeta per la conservazione dei luoghi del patrimonio nazionale, contro la distruzione dell’identità  paesaggistica e urbanistica italiana.
Così come la difesa della poesia della tradizione, un tentativo appassionato di tutelare una verginità  poetica dalla contestazione sessantottina.
È il Pasolini che a Valle Giulia simpatizza coi poliziotti. Il Pasolini reazionario e ferocemente critico nei confronti di una modernità  che omologa gli italiani attraverso un modello culturale piccolo-borghese imposto dalla televisione.
Proprio in questo centralismo della civiltà  dei consumi, e non nel regime mussoliniano, Pasolini scorge il vero totalitarismo repressivo che, abolendo ogni distanza materiale tra la periferia e il Centro, ha assimilato a sè l’intero Paese così differenziato e ricco di culture originali.
«Un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità  e concretezza».
Non è necessario uno sforzo particolare per cogliere in queste argomentazioni tutti i tratti fondamentali di quel fascismo di sinistra che trovò la sua massima espressione nella corrente di “Strapaese”: in pieno regime, scrittori e artisti come Maccari, Soffici e Ricci, sostenevano con qualche decennio d’anticipo le tesi di Pasolini, opponendo alla borghesia delle moderne liberal-democrazie la dimensione preindustriale italiana.
Una civiltà  più semplice ma più vera, caratterizzata dalla stabilità  dei ruoli e da un’armonia complessiva dove ogni individuo ha una collocazione precisa, un’identità  e un senso.
In Petrolio il poeta descrive il fascismo come un modello culturale intriso di filosofia irrazionale e attraversato dal culto dell’azione, «forme attuali e logiche del Mistero corporale.
Nessuno di noi ne è esente, indenne o libero. Anche quando non lo vogliamo il passato determina le forme di vita che immaginiamo e progettiamo per il futuro».
Concetti significativi, punti di contatto evidenti con il Weltanschauung di una destra tradizionalista che però il partito di Almirante non seppe e non volle cogliere.
Forse perchè arrivavano da un “frocio comunista”, o forse perchè in quell’ambiente già  covava la bramosia di potere che qualche decennio più tardi porterà  la sua intera classe dirigente all’abiura di tutto il proprio patrimonio culturale nel nome della liquidità  post-moderna della politica.
Ora, in ciò che resta di quel mondo c’è qualcuno che goffamente prova a tornare indietro, rispolverando vecchie bandiere e denunciando la tirannia di un centralismo economicistico europeo che ci sta distruggendo.
Il timore però è che siamo davvero fuori tempo massimo, perchè ciò che è accaduto in questi decenni si può riassumere con un’evocativa immagine dello stesso Pasolini: «è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire.
Adesso risvegliandoci, forse, da quest’incubo, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare».

Alessio Di Mauro
(da “Il Tempo“)

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I POSTI DI LAVORO VIRTUALI DI POLETTI E RENZI

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

“GARANZIA GIOVANI” E PROMETTE OCCUPAZIONE PER 900.000 GIOVANI

Per il momento è solo un sito vuoto con scritto in bella evidenza: “Presto online”.
La Garanzia giovani è un progetto da 1,5 miliardi di euro, messi a disposizione dalla Commissione europea per “assicurare ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione”
Il governo Renzi intende giocarsi molte carte su questo progetto e l’annuncio da parte del ministro Giuliano Poletti, di rendere operativo il sito proprio   il 1 maggio lo dimostra .
Il fattore simbolico è quello su cui Matteo Renzi scommette di più e cosa c’è di meglio della Festa dei lavoratori per promettere posti di lavoro come se piovesse?
Poletti ha assicurato più volte, l’ultima ancora ieri su l’Unità , che il piano dovrà  interessare 900 mila giovani, in forme che, però, non sono mai state chiarite o precisate. Del resto, è la stessa Youth Guarantee a rendere il progetto poco agguantabile
“Garanzia Giovani”, infatti, deve offrire una prospettiva ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro dopo il completamento degli studi, ma anche a coloro che, si legge sul sito del ministero del Lavoro, “disoccupati e scoraggiati, hanno necessità  di ricevere un’adeguata attenzione da parte delle strutture preposte alle politiche attive del lavoro”.
Come funziona?
“Ai giovani che presenteranno i requisiti verrà  offerto un finanziamento diretto (bonus, voucher, ecc.) per accedere a una gamma di possibili percorsi”.
E qui si entra nelle diverse tipologie ormai note: “L’inserimento in un contratto di lavoro dipendente, l’avvio di un contratto di apprendistato o di un’esperienza di tirocinio, l’impegno nel servizio civile, la formazione specifica professionalizzante e l’accompagnamento nell’avvio di una iniziativa imprenditoriale o di lavoro autonomo”. C’è di tutto ma niente di concreto e, soprattutto , nessun posto di lavoro definito.
Di fatto, si tratta di allestire un mega-portale che faciliti la domanda e l’offerta di lavoro mettendo in connessione i Centri per l’impiego, le imprese, le Regioni.
L’applicazione del piano spetta proprio a queste ultime, ma finora solo tre Regioni hanno firmato la convenzione con il ministero e altre due “sono pronte per la firma”.
Il ministero di Poletti, dal canto suo, ha firmato lo scorso 28 marzo due convenzioni, una con Confindustria e l’altra con Finmeccanica.
Nei giorni scorsi è stata siglata quella con la Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori, e l’Agia, Associazione Giovani Imprenditori Agricoli. Tutto quanto sarà  “presto online”.
Il timore è che resti lì.

S. C
(da “il Fatto Quotidiano“)

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SINDROME G: LA PAURA DEL CAVALIERE DI ARRIVARE TERZO

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

TOTI VEDE IL PERICOLO GRILLO: “URLATORI SENZA PROGRAMMI, VOGLIONO SOLO DISTRUGGERE”

Per Giovanni Toti esiste una ”sindrome G”. G come Grillo.
Il consigliere politico di Berlusconi spiega che questa sindrome mette in pericolo la democrazia italiana. «E’ chiaro che il sistema politico non può funzionare se il 50% degli italiani nei sondaggi dichiara che non andrà  a votare e un altro 25% si recherà  alle urne per votare il Movimento 5 Stelle.
Con Grillo – dice Toti – siamo passati dalla conventio ad excludendum dal potere che una volta riguardava i comuni italiani alla conventio ad (auto)excludendum di un movimento che si rifiuta in ogni modo di partecipare alla soluzione dei problemi. Ha mandato in Parlamento e si prepara a mandare a Strasburgo degli urlatori senza programmi, che vogliano solo distruggere».
Ecco perchè a “Mattina Cinque” Berlusconi ha attaccato soprattutto Grillo paragonandolo a Hitler.
«Gli italiani – ha avvertito l’ex premier – devono imparare ad avere paura di lui. Organizza la sua setta come faceva Robespierre. Grillo mi ricorda Lenin. Grillo è il prototipo di questi signori, Hitler compreso».
Il leader di Forza Italia ha nel mirino tanti nemici e avversari. La Germania e la Merkel, certamente, perchè la politica contro l’austerità  e l’euro è un terreno elettorale fertile in Italia.
E’ utile alla rimonta anche qualche buffetto a Renzi «simpatico tassatore», ma che in fondo potrebbe stare anche in Forza Italia.
Altrettanto utili lo sono gli attacchi al capo dello Stato, che non gli ha concesso la grazia e avrebbe manovrato con Fini e altri per disarcionarlo da Palazzo Chigi nel 2011: pure questo, a giudizio di Berlusconi, farebbe presa sull’elettorato di centrodestra in fuga.
Ma la vera bestia nera è Grillo, il terzo incomodo, il comico diventato politico con molti pensieri e tante parole che hanno caratterizzato l’era berlusconiana e che ora riempiono le piazze e le urne di 5 Stelle.
Forza Italia è in affanno di consensi su questo lato e rischia di rimanere indietro, terzo tra i partiti italiani cannibalizzato da Beppe che fa opposizione dura e senza compromessi.
E ciò mentre Berlusconi deve rincorrere Renzi sulle riforme costituzionali, ammettere che il giovane premier gli ricorda se stesso quando era pieno di energia e prometteva la rivoluzione liberale (mai realizzata).
Alla fine Silvio si tiene per mano con Matteo e Beppe li infilza, dice che l’uno ha bisogno dell’altro per sopravvivere.
Lasciandosi le mani libere da ogni responsabilità  politica.
La “Sindrome G”, appunto: quel terzo di elettori che votano per Grillo-Hitler-Lenin-Robespierre,e che considera le manovre politiche «giochi sporchi». Forse più che la “Sindrome G” si dovrebbe parlare di “Sindrome del terzo”, come la chiama il politologo Alessandro Campi: il terrore dell’ex Cavaliere rampante di finire in coda ai consensi, terzo sotto il 20%.
Sarebbe la sua fine politica.

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ALDOVRANDI, VERGOGNOSA OVAZIONE PER GLI AGENTI CONDANNATI CON SENTENZA DEFINITIVA AL CONGRESSO DEL SAP

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

LA MADRE: “TERRIFICANTE, MI SI RIVOLTA LO STOMACO”, RENZI LA CHIAMA PER ESPRIMERLE SOLIDARIETA’…A DESTRA SI CONFONDE LA LEGALITA’ CON L’ABUSO DI POTERE

Cinque minuti di applausi e delegati in piedi alla sessione pomeridiana del Congresso nazionale del Sap, il sindacato autonomo di Polizia, per tre dei quattro agenti condannati in via definitiva per la morte del 18enne Federico Aldrovandi durante un controllo il 25 settembre del 2005 a Ferrara: Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani.
Un’ovazione che riapre una ferita, fa scoppiare un caso.
I tre agenti presenti al congresso del Sap al Grand Hotel di Rimini, sono stati condannati dalla Corte di Cassazione il 21 giugno del 2012 per eccesso colposo in omicidio colposo a tre anni e sei mesi, tre anni dei quali coperti dall’indulto.
Oltre ai tre poliziotti in sala, nel caso Aldrovandi era coinvolta anche un’altra poliziotta, Monica Segatto, assente al congresso.
La madre di Federico. “E’ terrificante, mi si rivolta lo stomaco”, la reazione di Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, raggiunta dall’Ansa, all’applauso che la platea del Sap ha rivolto ai poliziotti condannati per la morte del figlio.
“Cosa significa? Che si sostiene chi uccide un ragazzo in strada? Chi ammazza i nostri figli? E’ estremamente pericoloso”.
E poi, nel suo profilo Facebook: “Il Sap applaude a lungo i condannati per l’omicidio di mio figlio: provo ribrezzo per tutte quelle mani. Pansa era lì?”, domanda Moretti.
Il capo della polizia, Alessandro Pansa, in realtà , intervenuto a Rimini, aveva lasciato il congresso del sindacato da alcune ore.
Nei social network e in Twitter tanti i commenti a sostegno di Patrizia Moretti e di condanna all’ovazione.
Nei mesi scorsi, scontata la pena residua, i quattro agenti sono stati riammessi in servizio, pur se con compiti impiegatizi e lontani da Ferrara.
Per protestare contro quella decisione e chiedere la radiazione degli agenti dalle forze dell’ordine è nato un movimento dal nome “Via la divisa”, che ha dato vita a unamanifestazione a Ferrara il 15 febbraio.
Una richiesta più volte ribadita a gran voce e con forza da Patrizia Moretti. “Di come morì Federico si sa tutto, ormai. Ma manca ancora una parte fondamentale. Il perchè. Loro (gli agenti, i funzionari della Questura, ndr) lo sanno. Io no”, aveva spiegato Patrizia che ha dedicato un libro al figlio dal titolo “Una sola stella nel firmamento”.
Le reazioni politiche.
”Trovo inaccettabile l’ovazione. Sono sempre stato dalla parte dei diritti di chi lavora in condizioni difficilissime per la sicurezza del Paese ma uno Stato di diritto sta in piedi solo se vengono rispettate le competenze di tutti i suoi corpi. La sentenza di quel terribile omicidio va rispettata da tutti”: cosi’ Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Pd.
Per Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel, ”gli applausi agli assassini di Federico Aldrovandi sono agghiaccianti e inaccettabili. Chi applaude quegli agenti applaude ad un crimine vergognoso e non è certo degno di vestire una divisa”.
ale e del governo”.
“Solidarietà  mia, personale e del governo”.
Dopo il clamoroso applauso – di oltre cinque minuti – della platea del congresso,   il premier Matteo Renzi ha chiamato Patrizia Moretti, la madre del giovane massacrato dagli agenti Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani, e le ha offerto tutta la vicinanza sua e dell’esecutivo.
La replica del Sap.
“Intendiamo ristabilire la verità  su questa storia”. E’ quanto fa sapere il Sap in merito agli applausi. “Rispettiamo le sentenze, ma abbiamo voluto esprimere solidarietà  a questi ragazzi e a tutti coloro che fanno questo lavoro. Nessun imbarazzo”, dice il portavoce del Sap Massimo Montebove a Radio Capital.

Il silenzio, se non addirittura la connivenza, di certa   destra italiana, di fronte a episodi come il caso Aldovrandi e l’automatica, aprioristica difesa delle forze dell’ordine, costituisce ancor oggi un vulnus ideologico per arrivare alla concezione di una destra moderna.
Se la destra è rispetto della legalità , non si possono operare distinguo: esistono solo due trincee, coloro che la difendono e coloro che la violano.
E se chi non la rispetta porta una divisa ciò costituisce semmai un’aggravante, non un salvacondotto.
Una destra vera, proprio per tutelare l’onore e il lavoro sottopagato di chi difende la comunità  rispettando le regole, dovrebbe essere la prima a condannare, una volta che la sentenza è definitiva e i fatti acclarati, gli abusi dei singoli poliziotti.
Non esistono categorie astratte, esistono uomini e regole terrene e , come in qualsiasi corporazione sociale, chi sbaglia deve pagare.
Basta immunità , coperture e connivenze: siamo tra i pochi che da anni denunciano le condizioni in cui i vari governi hanno ridotto le nostre forze dell’ordine, ma dall’altra parte si abbia il coraggio di isolare chi ha disonorato la divisa che porta.
Non è compito di un sindacato difendere condannati in via definitiva, invitandoli a una passerella congressuale: il suo compito è cacciarli a tutela di tutti.

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IL CASO ALDOVRANDI, DAL PESTAGGIO DEGLI AGENTI ALLA SENTENZA

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

ERA IL 25 SETTEMBRE 2005 QUANDO QUATTRO POLIZIOTTI LASCIARONO A TERRA SENZA VITA IL RAGAZZO DICIOTTENNE DOPO AVERLO MASSACRATO DI BOTTE

È quasi mattina — quella del 25 settembre 2005 — quando l’ambulanza del pronto soccorso arriva al parco pubblico di Ferrara.
La scena che si para davanti agli occhi del personale del 118 è impressionante: riverso a terra, privo di sensi, c’è un giovane, mani ammanettate dietro la schiena, lesioni ed echimosi ovunque.
Inutile il tentativo di rianimazione, i soccorritori non possono fare altro che dichiarare la morte per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale.
È solo l’inizio di quello che diventerà  il “caso Aldrovandi”: il corpo è di Federico, studente di 18 anni, che la sera precedente aveva deciso di tornare a casa a piedi dopo aver trascorso la serata in un locale di Bologna.
Anni di indagini per ricostruire quella notte in cui incontrò i poliziotti della pattuglia “Alpha 4”, che lo lasciarono senza vita al termine di un violento scontro fisico.
Lo scorso settembre, la Cassazione li ha condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi di reclusione, oggi il Tribunale di sorveglianza ha confermato il carcere per Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri.
Il quarto, Enzo Pontani, sarà  giudicato a fine febbraio. Sono stati ritenuti responsabili di aver ucciso il ragazzo a botte, calci e manganellate e di aver cercato di depistare le ricerche nelle ore successive.
UNA SENTENZA “STORICA”
Una sentenza “storica”, ha esultato l’avvocato della famiglia Aldrovandi, Fabio Anselmo, che ha travolto un «tabù» e cioè «la possibilità  di censurare e sanzionare un intervento di polizia violento e al di fuori del diritto».
Ad avviso dei supremi giudici, era infatti da «escludere — come invece sostenevano i legali degli agenti – che la morte del ragazzo sia dovuta alla sindrome da “delirio eccitato” o alla assunzione di sostanze stupefacenti», in quanto, come accertato dalla perizia del massimo esperto di morti improvvise, il professor Di Thiene, l’esito letale era dovuto alla «pressione» esercitata dai poliziotti.
La violenza usata «aveva fatto sì che il cuore venisse schiacciato», determinando «infiltrazione emorragica e la cessazione della conduzione dello stimolo elettrico dagli atri ai ventricoli». Inoltre, «lo stato ipossico in cui versava il giovane — si legge nella sentenza della Cassazione – era comunque riferibile alla condotta realizzata dagli agenti, i quali avevano tenuto schiacciato il corpo del ragazzo contro il terreno, con manovre idonee ad innescare una asfissia posizionale».
LA RICOSTRUZIONE DELLA NOTTATA
Per la Suprema Corte, «lo stato di agitazione in cui versava il ragazzo», che faceva confusione per strada, da solo, in viaVelodromo, «avrebbe imposto un intervento di tipo dialogico e contenitivo».
Invece i poliziotti «sferrarono numerosi colpi contro Aldrovandi, non curanti delle sue invocazioni di aiuto» e la «serie di colpi proseguì anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e quindi reso certamente inoffensivo».
«Segatto lo colpiva alle gambe con il manganello, Pontani e Forlani lo tenevano schiacciato a terra, mentre Pollastri lo continuava a percuotere», ha ricordato la Cassazione sottolineando che gli agenti «posero in essere una violenta azione repressiva nei confronti di un ragazzo che si trovava da solo, in stato di visibile alterazione psicofisica».
E sono andati ben oltre l’impiego lecito dei «mezzi di coazione fisica consentiti dall’ordinamento per vincere una resistenza all’Autorità ».
I quattro hanno tenuto «condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive» e la «consapevolezza di agire in cooperazione imponeva a ciascuno di interrogarsi sull’azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola».
Invece la «reciproca vigilanza è mancata», il pestaggio è continuato «senza dissenso da parte di alcuno, sino all’arrivo dei Carabinieri e del personale di soccorso». Pessimo, poi, il «comportamento processuale» degli imputati che hanno «anche omesso di fornire un contributo di verità  al processo da reputarsi doveroso per due pubblici ufficiali».

(da “La Stampa”)

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UN ALTRO SAREBBE GIA’ FINITO AGLI ARRESTI DOMICILIARI

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

BERLUSCONI, NUOVI ATTACCHI AI GIUDICI, IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA VAGLIA LE FRASI, MA AL MASSIMO SCATTERA’ UNA DIFFIDA

È un attacco a 360 gradi quello che il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ospite a Mattino Cinque, sferra senza freni: “Cancelli il nome democrazia e parliamo dell’attuale situazione che è lontana da tutte le regole democratiche, purtroppo in Italia noi abbiamo avuto 4 colpi di Stato. Un colpo di Stato si ha quando un governo viene mandato a casa e ce n’è un altro che non passa dalla urne”.
L’ex premier, dopo gli attacchi di ieri, riparte a ruota libera contro la sentenza Mediaset, Napolitano che non ha concesso la grazia (“Mi viene in mente un film: Profondo rosso”, dice vedendo una foto del capo dello Stato), il governo Renzi e il leader di M5s.
Ma anche contro la cancelliera tedesca, Angela Merkel: “Aridatece Kohl”.
E proprio le dichiarazioni fatte dall’ex Cavaliere sul suo affidamento in prova ai servizi sociali, rese ieri nell’intervista andata in onda su La7 nel programma Piazzapulita, da quanto si è appreso, sono al vaglio del Tribunale di Sorveglianza di Milano che lo scorso 15 aprile gli ha concesso la misura alternativa alla detenzione domiciliare.
Nella lunga intervista a Corrado Formigli, Berlusconi ha affermato, tra l’altro, che “è ridicolo pensare che si possa rieducarmi consegnandomi a dei servizi sociali e a dei colloqui quindicinali con assistenti sociali”.
E poi ancora che l’affidare ai servizi sociali “un signore che è stato per più tempo il responsabile del governo, unico cittadino al mondo che ha presieduto per tre volte e bene il G8”, è una cosa “ridicola non per me, ma per il Paese”.
Parole, queste, che hanno spinto il Tribunale a prenderle in esame. L’ex premier, quindi, potrebbe rischiare, come prevedono le normative, una “diffida”.
In sostanza potrebbe essere convocato dall’assistente sociale dell’Uepe, l’ufficio esecuzione penale, per essere ‘ammonito’ e invitato a comportarsi in modo consono alle prescrizioni imposte dal Tribunale di Sorveglianza.
Attacchi al Colle.
L’ex cavaliere torna a insistere sulla grazia che, a suo parere, il presidente Giorgio Napolitano avrebbe dovuto concedergli: “L’ho detto a lui in faccia. Siccome sa che la sentenza Mediaset è assolutamente infondata e ingiusta ho detto: lei è garante della Costituzione, è risorsa di sicurezza, lei dovrebbe sentire il dovere morale di darmi la grazia, non posso chiederla io perchè altrimenti ammetterei la colpa. Lei il ha potere monarchico di darla”.
Poi, ancora sul capo dello Stato: Napolitano super partes? “Lo dirà  la storia, io dico la realtà  delle cose: ho scoperto che lui spingeva Fini per mandarmi a casa, siamo venuti a scoprire che già  in giugno riceveva Monti per fare un nuovo governo. Non so chi mi possa contraddire”.
Governo tenuto in piedi da traditori.
Il governo di Matteo Renzi “è tenuto in piedi al Senato da nostri senatori eletti sotto il simbolo del Pdl e che hanno tradito gli elettori passando ad essere stampella della sinistra”. Berlusconi non risparmia colpi.
L’esecutivo, prosegue il leader azzurro “non è stato eletto dagli italiani, Renzi non è nemmeno stato candidato e dalla stanza del Pd è andato a palazzo Chigi e si regge sullo 0,37 di differenza tra Pd e Forza Italia, uno 0,37 non vero perchè la sinistra è artista nei brogli”.
Poi, parlando del premier: “Tassa ci cova. Le prime cose che ha fatto sono triplicare le tasse sulla casa e gli 80 euro che ha promesso saranno mangiati dalla tasse, ha tolto anche la quattordicesima”, ha detto.
Elezioni.
Non c’è possibilità , per il presidente di Forza Italia, che questo esecutivo arrivi al 2018: “Il desiderio della sinistra è di arrivare con questo governo e questa legislatura al 2018. Io invece penso che purtroppo le cose per la nostra economia non andranno bene e bisognerà  tornare a votare tra un anno, un anno e mezzo”, ha detto.
Grillo come Hitler.
L’ex premier attacca, poi, il leader del Movimento cinque stelle: “Gli italiani devono imparare ad avere paura perchè Grillo lo si vede anche dal modo in cui organizza la sua setta mi fa ricordare personaggi come Robespierre oppure Marx e Lenin. Grillo è il prototipo di questi signori Hitler compreso”.
Sui summit europei.
“Io ero l’unico italiano – dice ancora Berlusconi – che aveva il coraggio di contraddire le proposte di Merkel e Sarkozy ero l’unico che ci capiva di economia perchè ero stato per 30 anni nella trincea del lavoro”.

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PRIMA LO VOTATE, POI ARRIVA LA MANOVRONA: I TAGLI (VERI) DI RENZI

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

SI PROFILA UN INTERVENTO DA 20 MILIARDI, IL TESORO HA GIA’ PRONTO IL PIANO

Un dato certo c’è. Il governo deve trovare 14 miliardi per finanziare l’operazione 80 euro anche per l’anno prossimo.
Così era scritto nelle tabelle che erano state diffuse dallo stesso governo sul suo sito, 5 dovrebbero provenire dalla riduzione di acquisti di beni e servizi, 3 dalla lotta all’evasione, 2 dalla sobrietà  (costi della politica), e uno rispettivamente dalle agevolazioni alle imprese, dall’Iva delle banche, dall’innovazione e dalle municipalizzate.
E non è finita
Perchè Renzi ha già  promesso che intende intervenire anche a favore degli incapienti, ovvero coloro che hanno un reddito sotto gli ottomila euro lordi l’anno. Costo: un miliardo per il 2014, un miliardo e mezzo e passa per il 2015.
Ci sono poi 3 miliardi che «ballano» dalla legge di Stabilità . È previsto infatti che entro gennaio 2015 il presidente del Consiglio debba definire una correzione dei conti per quell’importo per l’anno prossimo che salirà  a sette per il 2016.
Altro capitolo è il pareggio di bilancio.
Il governo ha ufficialmente chiesto una maggiore flessibilità  all’Ue. Chiudere un occhio per quest’anno significa maggiore rigidità  per l’anno prossimo. L’azzeramento del deficit strutturale vuol dire trovare per l’anno prossimo altri cinque miliardi.
Ci sono poi i finanziamenti a politiche invariate, è il caso delle missioni internazionali. Se il governo vuole proseguire con questo tipo di intervento, che viene finanziato anno per anno, deve trovare i soldi. Oppure c’è il caso più delicato e urgente della cassa integrazione in deroga.
Per l’anno in corso bisogna già  trovare circa un miliardo, inoltre l’accenno di ripresa in corso non porterà  presto un miglioramento dell’occupazione. Per l’anno prossimo si prevede di dover scovare altri sei miliardi.
Vi è poi la minor crescita del prodotto interno lordo. Il governo precedente aveva previsto una salita dell’1,1%.
L’esecutivo attuale prevede che il pil si fermerà  a quota 0,8. Minor crescita significa anche minor gettito, presumibilmente per qualche altro miliardo di euro.
In breve il conto è fatto. Il governo Renzi sarà  costretto a mettere mano a una manovra piuttosto dura in autunno. Probabilmente da 20 miliardi.
Repubblica calcolava da 25. Di sicuro nei piani alti della politica è scattato l’allarme visto che questo è stato l’argomento principale del colloquio tra Napolitano e il ministro Padoan prima della firma del decreto.
A che cosa andiamo incontro? È presto per dirlo ma qualcosa si può immaginare.
Il Tesoro infatti aveva previsto una serie di tagli a enti organismi e riorganizzazioni alle amministrazioni.
Un piano che poi è stato sfilato dal provvedimento Irpef perchè in parte impopolare e «pericoloso» per il premier in vista delle Europee.
Ma dopo, quando le urne saranno chiuse…

F.d.O.
(da “il Tempo“)

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MEDIASET E MATTEO, “AMICI” MA NON TROPPO: IL BISCIONE LO FERMA PER LA PAR CONDICIO

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

E LA DE FILIPPI CONFESSA: “PRESSIONI DALL’AZIENDA”… LA TELEFONATA DELL’EX PREMIER A PIERSILVIO

Quando i dirigenti di Mediaset hanno divelto l’ultima barricata di resistenza, domenica sera, Maria De Filippi ha telefonato a Renzi, piccata per la travolgente offensiva di Cologno Monzese, che proprio non accettava l’inevitabile multa per il mancato rispetto di Amici di una legge da campagna elettorale, la par condicio, che la famiglia Berlusconi non ha mai tollerato: “Caro Matteo, ho ricevuto pressioni dai vertici aziendali. Non puoi venire in studio, mi dicono che ci sono esigenze di regole e di società  da soddisfare”.
E il paradosso non s’è compiuto, un titolo accattivante va archiviato: Mediaset paga (un’ammenda) all’Agcom per avere l’avversario di Berlusconi a Canale 5.
Il gioco valeva la candela: un obolo da poche decine di migliaia di euro all’Autorità  di controllo in cambio di un ritorno commerciale assai più cospicuo.
Ma le trattative vanno oltre le ambizioni di Renzi di ottenere una platea giovane e un ascolto facile, robetta preziosa da 5 milioni di pubblico, fascia di italiani che fa impazzire i pubblicitari, telespettatori non paganti epperò votanti.
Un doppio intervento, quello burocratico dei legali di Cologno Monzese e quello paternalistico di Silvio Berlusconi, l’hanno impedito. Sempre domenica, di pomeriggio, l’ex Cavaliere aveva in agenda un’ora di colloquio a piacere con Barbara D’Urso.
Dopo aver firmato il foglio per la liberatoria, Berlusconi ha esploso lì una battutina maliziosa: “Ho scritto Matteo Renzi, ho sbagliato? Già , oggi tocca a me, domani al presidente”.
L’ex Cavaliere infuriato telefona a Pier Silvio
Il padrone di casa ha saputo nei suoi locali il gran colpo di Matteo&Maria. Un favore immenso al giovane democratico, mentre al capo di Forza Italia era consentito, al massimo, la chiacchierata a Domenica Live con un pubblico meno interessante e meno numeroso: l’ora senza domande di Berlusconi ha raccolto 2 milioni di italiani. Come gareggiare in seconda categoria e ammirare Renzi che scende in campo al Bernabeu di Madrid.
In diretta, elogiando gli ascolti (non ha portato fortuna) di Domenica Live, il papà  ha parlato dei figli che comunicano poco.
E spente le telecamere, il papà  ha chiamato l’incolpevole Pier Silvio, che non sapeva nulla — spiegano al Biscione — di Renzi in replica ad Amici col giubbotto di pelle.
A Mediaset scatta la mobilitazione con il pretesto — che sono pronti a difendere con decine di esempi — che la De Filippi lavora in autonomia e scopre gli ospiti soltanto un giorno prima di registrare la puntata di lunedì che va in onda il sabato sera.
Non ci sono cartelloni da agitare, imboscate da organizzare: basta applicare la par condicio, che non permette ai politici neanche di farsi inquadrare durante una trasmissione che non sia giornalistica. E Amici fa intrattenimento.
Eliminiamo un dubbio lecito: sì, Domenica Live appartiene ai programmi d’informazione di Mediaset.
Al telegenico inquilino di Palazzo Chigi, sfumata la prestazione agonistica per la Partita del Cuore di Firenze, a sei giorni dai seggi elettorali aperti, occorreva una spintarella televisiva. E allora Renzi s’è ricordato di un rapporto mai interrotto con Maria De Filippi, che l’aveva sdoganato già  l’anno scorso.
Matteo&Maria si scambiano spesso messaggi, complimenti, riflessioni.
Maria non è una aziendalista classica, non è fedele berlusconiana. E Matteo, che non dispiace a Maria, anzi, aveva bisogno di un pubblico che non guarda nè Ballarò nè Porta a Porta. Matteo&Maria trovano un accordo semplice, anche perchè la legge per la par condicio la conoscono bene entrambi : cinque minuti di discorso da presidente del Consiglio ai ragazzi in studio (e davanti allo schermo), infarcito di una massiccia dose di metafore, esortazioni e parabole renziane.
Così la multa, pensavano ad Amici, sarà  contenuta. Domenica mattina, concluse le mediazioni con Palazzo Chigi, il gruppo di Amici annuncia la visita e i giornalisti politici vengono accreditati, le richieste sono centinaia: possibile che a Mediaset ignoravano?
Qualche ora di tempo per rinsavire, agevolati dall’ex Cavaliere, e gli uomini in giacca e cravatta di Cologno Monzese ordinano a Maria De Filippi di ritirare l’invito: la signora di Canale 5 battaglia, cerca di mediare, rassicura Matteo. E poi s’arrende. Anche a Mediaset vale la par condicio.

Carlo Tecce

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EUROPEE, IL CANDIDATO CON DOPPIA CONDANNA

Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile

IL CASO DI ARMANDO CUSANI (FORZA ITALIA) , PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI LATINA, CONDANNATO PER ABUSO D’UFFICIO E ABUSI EDILIZI NEL SUO ALBERGO… SOSPESO PER LA LEGGE SEVERINO, MA CON TAJANI COME SPONSOR

Le liste di Forza Italia per le elezioni europee sono piene di condannati e indagati.
Ma uno di loro può vantare una sorta di primato: una doppia condanna in primo grado. Si tratta di Armando Cusani, ex sindaco di Sperlonga e presidente della Provincia di Latina.
Ad inaugurare la sua corsa elettorale, lo scorso marzo, anche Antonio Tajani, vicepresidente della commissione europea, e capolista azzurro.
Cusani in prima battuta è stato condannato ad un anno e 8 mesi (con pena sospesa) per abuso d’ufficio.
La vicenda riguarda la rimozione del comandante dei vigili urbani di Sperlonga (in provincia Latina), nel 2003, quando Cusani rivestiva il ruolo di primo cittadino del Comune del sud pontino. Ma non finisce qui.
Perchè nel 2012 ha rimediato un’altra condanna a due anni per abuso d’ufficio e abuso edilizio (ora è in corso l’appello).
In questo caso la vicenda riguardava alcuni lavori all’albergo hotel Grotta di Tiberio del quale è comproprietario.
Nella sentenza è stata disposta anche “la demolizione delle opere abusive e la rimessione in ripristino dello stato dei luoghi a cure e spese dei condannati” al momento non eseguite.
Il prefetto di Latina Antonio D’Acunto, lo scorso ottobre, ha anche sospeso per 18 mesi Cusani dalla carica di presidente della Provincia di Latina secondo quanto dispone la legge Severino.
Dopo la sospensione, Cusani convocò una conferenza stampa lasciando fuori un cronista di Latina Oggi, giornale colpevole di aver pubblicato il provvedimento di sospensione.
Le due condanne avevano fatto ipotizzare una possibile esclusione dalle liste (nel partito che ha lasciato fuori Claudio Scajola, assolto in primo grado).
Forza Italia tuttavia ha scelto di puntare su quello che è ritenuto “mister preferenze” grazie all’appoggio di Claudio Fazzone, senatore azzurro e componente della commissione antimafia. Cusani e Fazzone sono stati protagonisti di una durissima battaglia contro lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Fondi, deciso dall’allora ministro Roberto Maroni, ma non ratificato dal governo Berlusconi.
Cusani arrivò a parlare di “un’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa” per biasimare quanti si occupavano della vicenda e del caso.
Non solo. Volle esprimere solidarietà  alla giunta comunale di Fondi e giudicò la relazione del prefetto e della commissione di accesso “una patacca” e l’operazione Fondi ‘opera di pezzi deviati dello Stato”.
La realtà  ha raccontato invece dei livelli di infiltrazioni con la sentenza della magistratura che ha condannato gli uomini del clan confermando la presenza mafiosa nel comune del sud pontino.
Cusani, Fazzone e proprio Tajani saranno protagonisti di un nuovo appuntamento elettorale nei prossimi giorni dal titolo: “In cammino verso un futuro chiamato: Europa”.
In attesa del futuro, Cusani porta in dote il passato con due condanne in primo grado.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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