Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IN EXTREMIS I TRE PLACANO L’IRA DEL CAPO DOPO L’INCONTRO CON NAPOLITANO
È un intero mondo berlusconiano che si mette in modo per placare l’ira del Capo. Perchè non si sta parlando sono di riforme, a sette giorni dalla decisione del tribunale di sorveglianza di Milano.
È una inedita triplice che prova a far ragionare Silvio Berlusconi, letteralmente fuori di sè dopo l’incontro con Giorgio Napolitano, tanto che da palazzo Grazioli trapela che non sta bene fisicamente.
Fedele Cofalonieri, Niccolò Ghedini e Denis Verdini stoppano quell’ordine di scuderia che in mattinata era stato già consegnato ai senatori: “La nostra collaborazione sulle riforme — scandisce Berlusconi – finisce qui”.
È chiaro che la bozza di riforme in sè non c’entra nulla.
E che in una situazione “normale” l’opposizione dura sarebbe assicurata perchè, dice Lucio Malan, “il testo del ddl governativo è una cagata pazzesca”.
Ma è tutto politica la questione. Perchè proprio il colloquio con Napolitano, secondo l’interpretazione di Ghedini e Confalonieri, deve spingere a non esacerbare gli animi: il fallo di reazione procurerebbe un’espulsione definitiva, aggiungendo al “giallo” delle procure, il “rosso” di chi viene cacciato dal gioco politico che conta.
Insomma, partita finita per Berlusconi.
Anzi, nel racconto dell’incontro Confalonieri non vede drammi. Abituato a ricomposizioni impossibili, l’amico Fidèl, ci vede comunque un chiarimento che consente di riannodare il filo dal punto in cui è stato strappato, ovvero dalla caduta di Letta.
Quando cioè è franato, assieme al governo, ogni possibile discorso su una misura di clemenza e, improvvidamente, Napolitano è stato messo nel mirino come regista del “golpe” dai falchi e dal Giornale di Sallusti, la cui direzione è sempre più sgradita a Marina che vorrebbe sostituirlo con Giorgio Mulè.
Ecco che la linea responsabile sulle riforme consente una sorta di nuovo inizio, che lascia aperta l’ipotesi di grazia, anche una volta che ha iniziato a scontare la pena. Nessuna decisione, dunque, prima del 10 aprile.
Anche perchè, ci sono domiciliari e domiciliari. L’ampia casistica su cui si è cimentato Ghedini prevede casi di domiciliari duri e di casi invece laschi, anche con possibilità di contatti con l’esterno.
È insomma tutta la vera cerchia ristretta che suggerisce di non rompere l’operazione Padre della Patria, unica ciambella di salvataggio, anche di immagine, nel momento più difficile.
Presupposti che consentono a Verdini, grande negoziatore dell’accordo con Renzi, di chiedere un segnale simbolico sulla bozza su alcuni punti divisivi: i senatori nominati dal capo dello Stato, la proporzionalità tra numero dei rappresentanti ed estensione sulle regioni.
Mentre sul Senato non elettivo non c’è possibilità di intesa. Perchè Renzi ha tirato dritto, anche fiutando la debolezza dell’interlocutore.
L’incontro è andato male. Ma pure Verdini, che con Confalonieri è agli antipodi da anni, ha suggerito di andare avanti: primum vivere, stare dentro l’accordo e nel gioco che conta.
Non è utile solo in chiave giudiziaria. È tutto politico il ragionamento del principale canale di collegamento con Renzi. Ormai non è un mistero che Napolitano, a riforme avviate, lascerà .
Presumibilmente avverrà quando Berlusconi avrà finito di scontare la pena.
Ecco la vera partita sulla base della quale l’inedita triplice chiede a Berlusconi di non ascoltare la pancia ma la testa: se facciamo le riforme costituzionali assieme a Renzi, se facciamo la legge elettorale con Renzi, se cioè siamo in fondatori di una nuova Repubblica che nasce dall’accordo tra Berlusconi sia pur condannato e Renzi, è chiaro che Berlusconi sarà anche un elettore del nuovo capo dello Stato.
Fuori dal gioco oggi significa fuori dal gioco sempre.
E allora, a fine giornata, i venti di guerra si stemperano, perchè Berlusconi, al momento, pare persuaso dal ragionamento.
Al momento, perchè l’umore è cangiante, e la testa risente della pancia ora che si avvicina il giorno del Giudizio.
Chi ha sentito oggi Berlusconi assicura che non c’è nessuna granitica certezza, nè nel senso della rottura nè nel senso della responsabilità a oltranza.
E fino al 10 aprile sarà così.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“MOLTI DEI SUOI ESTIMATORI SONO SOLO ALLA RICERCA DELLA POLTRONA”
“Piace, ma quanto piace!”. Barbara Palombelli, dalle pagine del Foglio, lancia il suo attacco contro Matteo Renzi e i suoi tanti – troppi – ammiratori: “I grandi quotidiani sono pazzi di lui. I cronisti politici dimenticano di fare domande, sono come ammaliati, ipnotizzati”.
Gli italiani stravedono per il nuovo presidente del Consiglio?
Può darsi, ma la conduttrice di Forum pare proprio non essere dello stesso avviso.
Nel suo mirino finiscono tutti quelli che si sono lasciati ammaliare dal “marketing politico” del nuovo premier.
La figura dell’ex rottamatore, per la Palombelli, riesce a esercitare un fascino pressochè irresistibile sull’opinione pubblica e nessuno, neppure tra i suoi avversari, sembra più essere capace di valutarne lucidamente l’azione governativa: “Aumenterà le tasse? Ottimo. Toccherà le pensioni? Non aspettavamo altro. Chiude il Senato? Lo vuole il popolo”
Gli innamorati di Renzi –
Degli incrollabili estimatori del “ragazzo toscano”, si legge nell’articolo, fanno parte anche “Berlusconi, Veltroni e D’Alema”.
Tra i supporter di Renzi, non va dimenticato, c’è anche Giuliano Ferrara, il direttore del giornale per cui la Palombelli scrive e che, ultimamente, ha preso a chiamare “amorazzo nostro” l’ex sindaco di Firenze.
Che qualcuno sia in cerca di “poltrone e poltroncine?”, si chiede poi la moglie di Francesco Rutelli: questa, se non altro, è l’unica spiegazione che riesce a darsi per giustificare quella che, ai suoi occhi, appare come un’ingiustificata adulazione.
Infine, in un misto di disappunto e sconsolazione, Barbara chiude il pezzo dando sfogo a tutta la sua amarezza: “Quel che si vede – per ora – è uno spettacolo piuttosto indecente. Un paese che si inginocchia davanti al potere – chiunque lo detenga – non è un paese messo bene”.
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ORA INCOMBE LA REALTA’, NON BASTA PIU’ VENDERE FUMO
Forse quella di oggi può essere descritta come una giornata da classico ‘bagno nella realtà ‘ per Matteo Renzi.
Affrontato e impacchettato il tour europeo, il premier trascorre tutto il giorno a Palazzo Chigi alle prese con i dossier più complicati.
Dalle riforme costituzionali, che però a questo punto sono la parte più semplice della mission del segretario Pd, al Def, questo sì complicatissimo, il documento di economia e finanza che il governo presenterà “martedì”, ha detto Renzi, ospite a ‘Otto e mezzo’ in serata.
E poi ci sono le nomine al vertice delle società pubbliche.
Tre dossier, tre incontri chiave: Denis Verdini, Paolo Scaroni, Pier Carlo Padoan. Tutti e tre sono stati a colloquio dal premier oggi a Palazzo Chigi.
Riforme
Il primo dossier è paradossalmente quello più semplice. Renzi non crede agli aut aut di Forza Italia. Anzi, si dice “convinto” che alla fine Silvio Berlusconi e il suo partito rispetteranno gli impegni sulle riforme costituzionali: trasformazione del Senato, riforma del titolo V della Costituzione e abolizione del Cnel.
Un’impressione confermata dal suo inner circle, dove non seminano nemmeno una punta di credibilità le minacce dei berlusconiani sulla possibilità di far crollare il castello delle riforme a Palazzo Madama.
Per il premier e i suoi la verità è che si trovano ad avere a che fare con un leader del centrodestra condannato e a secco di agibilità politica, quella che ieri Berlusconi ha chiesto al Quirinale e che oggi Verdini ha provato a piazzare sul tavolo di Renzi, nel colloquio a Palazzo Chigi.
Ma il presidente del Consiglio resta convinto di poter tenere separati i due terreni, riforme e guai giudiziari di Berlusconi.
Perchè Renzi è convinto che, alla fine dei conti, Forza Italia non potrà sottrarsi alla sfida delle riforme, pena fare la parte dei “benaltristi” conservatori a ridosso del voto delle europee e quindi con possibili tragiche ricadute elettorali.
La decisione di andare avanti come “un rullo compressore”, dice a Otto e mezzo, vale anche per quel gruppo di 22 senatori Pd che gli chiede — come fa pure Forza Italia – di prevedere un Senato ancora elettivo. Non se ne parla.
Lo ha detto il ministro Maria Elena Boschi in giornata. Lo dice in serata il premier: “I 22 senatori del Pd hanno presentato un ddl costituzionale che non ha nessuna chance di passare nè al Senato nè alla Camera. Loro l’indennità la vorrebbero lasciare. Io no, perchè penso che 1000 parlamentari siano troppi”.
In ogni caso, aggiunge, “guardiamo il bicchiere mezzo pieno e prendiamo l’aspetto positivo della loro proposta”.
Def
L’incontro con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan con Renzi a Palazzo Chigi dura due ore. E il lavoro sul documento che il governo presenterà “martedì prossimo”, come annunciato da Renzi, non è affatto finito.
Continua la caccia alle risorse che permetteranno di tenere fede alla promessa fatta, cioè quella di garantire a partire da maggio 80 euro in più in busta paga ai lavoratori con soglia di reddito di 1500 euro.
Questione per niente semplice. Il ministro dell’Economia è anche salito al Colle per aggiornare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sui lavori in corso.
Da parte sua, Renzi si sbilancia pochissimo, tenendo le carte coperte fino a martedì.
A Otto e mezzo ha fatto solo capire che “6,6 miliardi” per tagliare l’Irpef li prenderà quasi tutti dalla spending review di Carlo Cottarelli.
In particolare, “800 milioni” arriveranno dalla “riduzione dell’acquisto di beni e servizi”.
Per il resto, continua ad assicurare che l’Italia “rispetterà gli accordi europei”. E cioè: “Il 3,1%” del deficit/Pil “non lo faremo. Noi non siamo nei guai”.
Ma per le cifre del piano economico bisognerà aspettare ancora, fino alla prossima settimana. Quando, presumibilmente, sarà pronto anche il decreto della presidenza del consiglio dei ministri sui tagli di spesa per l’amministrazione di Palazzo Chigi: Renzi ne ha parlato lunedì scorso in conferenza stampa, annunciandolo come “pronto in una settimana”.
Nomine
Non appena chiuso il Def — entro il 10 aprile, data evidentemente fatidica perchè sarà quella che deciderà anche i destini giudiziari di Berlusconi — Renzi avrà da gestire anche le nomine per le società pubbliche, che presentano vertici in scadenza il 14 aprile.
L’incontro con l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni è servito a entrare nel vivo del dossier.
E alla luce degli avvenimenti di oggi non sembrerebbe escluso che Scaroni sia avviato a chiudere il suo mandato al vertice del ‘cane a sei zampe’.
Anche se la questione resta avvolta nella nebbia.
Dopo il pranzo con Renzi, l’ad di Eni, condannato a tre anni di reclusione per la vicenda Enel di Porto Tolle riferita a quando era al vertice di quella società , ha infatti criticato la direttiva del governo Letta sui requisiti di onorabilità per i manager pubblici.
Renzi gli ha risposto a Otto e mezzo: “Il criterio di onorabilità non c’è nelle aziende concorrenti ma noi siamo contenti che ci sia da noi. Ha ragione lui a dire che negli altri paesi non c’è. Abbiamo ragione noi a dire che da noi c’è”.
Dunque, Scaroni via? Renzi non risponde alla domanda.
E fa invece questo ragionamento: “Le nomine non si fanno tirando un nome a caso ma sono conseguenza dei progetti” industriali delle imprese ed è “alla luce di questi progetti che decideremo. Se parte dal requisito di onorabilità della persona – dice il presidente del Consiglio a Lilli Gruber – le dico che prima di tutto c’è il progetto di Eni, poi il giudizio su quello che è stato fatto, e alla fine il nome. Che cos’è Eni, oggi? Non solo la più importante azienda italiana nel mondo. È un pezzo strategico della nostra credibilità , della nostra economia e della nostra intelligence. Le scelte che faremo partiranno da questo presupposto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
UNIONE DEI MODERATI IN VISTA DELLE EUROPEE, MA RESTA IL NODO DEI POPOLARI DI MAURO
Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano (nato dalla scissione interna al Pdl) si allea con l’Udc in vista delle europee del 25 maggio.
Il via libera all’accordo arriva al termine di una trattativa riservata condotta dallo stesso Alfano assieme a Lorenzo Cesa.
I due partiti cercano così di imprimere una sterzata ai sondaggi elettorali: le cifre mettono sull’avviso dato che il rischio è quello di non riuscire a centrare l’obiettivo di Strasburgo.
Ma sul tappeto, si apprende, restano ancora alcuni ‘nodi’ da sciogliere.
Non c’è solo quello dei rapporti con i popolari di Mario Mauro.
Ci si interroga, infatti, anche su quale forma di alleanza costruire. Se non deve essere solo di tipo elettorale, come qualcuno pensa, c’è la necessità di confrontarsi, e di vedere se si raggiunge la sintesi, su un progetto che riguardi il futuro piuttosto che il passato.
Quanto ai Popolari in seno al Ncd di Alfano ci sarebbe chi ritiene che correre insieme all’Udc di Cesa comporti l’alleanza anche con Mauro e chi invece pensa che non bisogna portarsi dietro tutti.
E ci sarebbe anche, ma è una minoranza, chi ritiene che il Nuovo centrodestra dovrebbe invece provare a correre da solo.
Ad invocare la necessità di un’assemblea dei ‘padri fondatori’ per discutere della questione si sarebbero levate in queste ore più voci.
A intervenire ieri è stato Gianpiero D’Alia, presidente Udc: “L’appello di Angelino Alfano (che al Corriere della Sera ha detto “Uniamo i moderati per sfidare la sinistra”, ndr) ha il grande pregio di guardare lontano, al futuro dei moderati e dei popolari italiani. L’accordo politico con Ncd è importante non solo oggi, per alzare un argine contro il populismo antieuropeo, ma anche per avviare il progetto di un nuovo grande partito fondato sui valori del Ppe, al quale dovrebbero partecipare tutte quelle forze che si riconoscono nella candidatura di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione Ue”.
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LE IMMINENTI ELEZIONI VEDONO LA CONTRAPPOSIZIONE TRA L’INDUISTA RADICALE NARENDRA MODI E SONIA GHANDI, LA CUI ORIGINE ITALIANA DIVENTA UN’ACCUSA PREVENTIVA DI FAVORIRE I MARO’
Sempre più cupe le prospettive di una soluzione del «caso marà³», e questa volta non si tratta soltanto dell’andamento lento e contorto del procedimento giudiziario indiano. Come si era temuto, dietro le difficoltà sul piano legale vi è l’ipoteca politica, il pesante handicap delle origini italiane del Presidente del Partito del Congresso, Sonia Gandhi.
Due giorni fa – nel corso di un’aspra campagna elettorale che dovrebbe cominciare il 7 aprile, ma di fatto è iniziata da tempo – l’ipoteca si è fatta clamorosamente esplicita.
Il candidato dell’opposizione, l’induista radicale Narendra Modi, ha attaccato in modo virulento Sonia Gandhi che in un discorso di domenica aveva denunciato «chi batte la grancassa del patriottismo» per sollecitare consensi elettorali.
Il sarcasmo di Modi si è scatenato, facendo sospettare che da tempo fosse pronto a cogliere la prima occasione per utilizzare il caso dei nostri militari contro «l’italiana». E’ forse patriottico – ha detto in un comizio nello stato dell’Assam – permettere a militari italiani che hanno ucciso due pescatori indiani di ritornare in Italia, da dove non avrebbero fatto ritorno in India se non fosse stato per la dura reazione della Corte Suprema? (Qui Modi faceva evidentemente riferimento al provvedimento con cui, per ritorsione, i movimenti dell’ambasciatore italiano a Delhi erano stati ristretti, con palese violazione delle norme internazionali).
Modi non ha inoltre limitato il suo attacco alla gestione passata della questione, ma anche a quella presente, chiedendo polemicamente: ma in quale prigione si trovano i due militari italiani?
In questo momento la strategia del governo italiano sembra essere passata da una «difesa nel processo» ad una «difesa dal processo», nel senso che ad essere contestate non sono più le modalità e il contesto del suo svolgimento (l’applicazione o meno del Sua Act, la competenza dell’ente investigativo federale preposto ai delitti di terrorismo) bensì la stessa legittimazione indiana a giudicare.
Affermiamo la competenza a giudicare del nostro sistema giudiziario – a nostro avviso con fondamento piuttosto debole, visto che la nave su cui si trovavano gli imputati era italiana, ma l’imbarcazione su cui sono morti i pescatori era indiana e quindi (per la determinazione del locus commissi delicti) ci troviamo di fronte quanto meno a una competenza concorrente.
Più solida invece, proprio per l’incertezza di cui sopra relativa ad un episodio verificatosi in acque internazionali, ci sembra la richiesta di internazionalizzare la questione sulla base delle norme relative al diritto del mare.
Ancora più convincente, anche sulla base del caso Calipari (quando, con nostro rammarico, il militare americano che lo aveva ucciso a Baghdad venne considerato non giudicabile dalla nostra Corte di Cassazione), avrebbe dovuto essere il richiamo alla immunità funzionale di militari in servizio.
Dopo la dura presa di posizione di Narendra Modi, tuttavia, appare evidente che sia l’internazionalizzazione che l’immunità verrebbero considerati come una rinuncia alla sovranità indiana – un’abdicazione che sarebbe anche troppo facile attribuire ad un «occhio di riguardo» per l’Italia.
Dopo tutto l’impegno, anzi la dedizione, per il suo Paese d’adozione e le tragedie personali vissute (l’uccisione della suocera Indira, cui la legava un forte rapporto affettivo, e poi del marito Rajiv), Sonia Gandhi non può certo, soprattutto in una problematica fase elettorale, scoprire il fianco a questo genere di critiche.
Ben vengano quindi i rinvii (il più recente ha fissato la prossima udienza al 31 luglio) se permetteranno di arrivare al dopo-elezioni, un periodo in cui il caso marò tornerà ad occupare nella vicenda politica indiana quel ruolo marginale che lo aveva finora caratterizzato.
Solo allora sarà forse possibile, per la giustizia e la politica indiane, affrontarlo senza i toni esasperati della polemica e del nazionalismo.
Se è vero, come sembra sempre più probabile, che il vincitore delle elezioni sarà il Bjp, e il nuovo primo ministro Narendra Modi, paradossalmente potrebbe risultare meno difficile trovare una soluzione politica al caso.
Diciamo che il governo di Sonia Gandhi non può permettersi alcuna flessibilità , quello di Narendra Modi invece sì.
Se vogliamo essere ottimisti, non è infatti escluso che un Primo Ministro politicamente nato nei ranghi dell’Rsss, inquietante movimento fondamentalista indù, ritenga di doversi presentare sulla scena internazionale facendo sfoggio di una disponibilità al dialogo e alla moderazione, tanto più se si tiene presente che Modi, nell’attuale campagna elettorale, sta mettendo l’accento piuttosto sull’economia che non sull’induismo radicale.
Facile comunque non sarà .
Da noi si è molto insistito, certo non senza fondamento, sugli errori commessi nella gestione del caso a partire dalle sue origini (non si sa ancora, ad esempio, chi ha dato l’ordine alla petroliera di entrare nel porto indiano), e anche al negativissimo «fattore Sonia».
Ma per capire che un caso come quello dei marò sarebbe stato comunque difficile, per qualsiasi Paese e con qualsiasi strategia, basta dare un’occhiata ai rapporti fra India e Stati Uniti in relazione al «caso Khobregade» (la diplomatica arrestata a New York per violazioni delle regole sull’immigrazione in relazione ad una collaboratrice domestica) e alle durissime rappresaglie indiane, ancora in corso, soprattutto nei confronti della scuola americana.
Rappresaglie che hanno portato addirittura alle dimissioni dall’incarico e dalla carriera del Capo Missione americano, Nancy Powell.
Constatare gli altrui problemi non è certo una consolazione, ma sarebbe giusto che l’opinione pubblica italiana, pur esercitando un legittimo diritto di critica verso l’operato sia della diplomazia che della politica, tenesse in considerazione la difficoltà obiettiva di trattare con un interlocutore particolarmente difficile, scarsamente aperto al multilateralismo, rigido nella difesa di un’ombrosa sovranità .
Roberto Toscano
(da “la Stampa”)
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
MODIFICATO IL TESTO: LA PENA MINIMA PASSA DA 7 A 4 ANNI… NON PUNIBILE IL POLITICO “CHE SI METTE A DISPOSIZIONE”
Pene più basse e salta il principio della punibilità del politico «che si mette a disposizione» dell’organizzazione mafiosa.
Questi i principali cambiamenti alla normativa sul voto di scambio.
La Camera dei deputati ha deciso di modificare il testo che era stato licenziato dal Senato lo scorso gennaio.
Il comitato dei nove termine della commissione Giustizia, con l’accordo di tutti i gruppi tranne il Movimento 5 Stelle, ha deciso di presentare in Aula un emendamento del relatore Davide Mattiello (Pd).
La Camera ha dato disco verde al ddl che modifica l’articolo 416 ter del codice penale, modificando il testo arrivato dal Senato.
I sì sono stati 310, i contrari 61. Sul testo si è giunti ad un accordo anche con Forza Italia. Il provvedimento sul voto di scambio torna ora a palazzo Madama.
Le modifiche più consistenti riguardano l’abbassamento della pene: per il reato di scambio politico mafioso la pena non sarà più dai 7 ai 12 anni di carcere ma passerà da 4 a 10 anni.
Viene poi eliminato il principio della punibilità del politico «che si mette a disposizione» dell’organizzazione mafiosa.
A favore dell’accordo raggiunto sul testo si sono espressi anche Sel e Lega.
IL SOTTOSEGRETARIO FERRI: «APPROVARE DDL ENTRO EUROPEE»
«Il governo si impegnerà al massimo nel corso dell’esame al Senato perchè questa norma sia definitivamente approvata prima delle elezioni europee», ha detto nell’Aula della Camera il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri rendendo il parere sugli ordini del giorno sul ddl voto di scambio.
«La norma che adesso stiamo scrivendo – dice Ferranti – rappresenta rispetto all’attuale un salto di qualità enorme perchè punisce il politico che accetta voti mafiosi in cambio dell’erogazione o della semplice promessa di erogazione di denaro o altra utilità » .
Ferranti respinge come «totalmente infondate e strumentali» le critiche del Movimento 5 Stelle: «Nessun depotenziamento o svuotamento del 416 ter, dire che con la nuova formulazione il politico che si mette a disposizione della mafia non sarà colpito è semplicemente una falsità ».
IL TESTO DEL DDL
Il testo approvato dalla Camera e messo a punto sulla base dell’emendamento presentato dal relatore, il Pd Davide Mattiello, recita: «Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui la terzo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma» Il testo licenziato dal Senato prevedeva che «chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra’ utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416 bis. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma».
(da “La Stampa“)
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“RAPPORTO STABILE CON I BOSS CASALESI, I SUOI DISTRIBUTORI DI BENZINA PROTETTI DA PIZZO E CONCORRENZA”…LE MINACCE TELEFONICHE DEL FRATELLO A UN IMPRENDITORE
Il linguaggio era spiccio. Inequivocabile. Minaccioso.
Giovanni Cosentino, il fratello di Nick ‘o Mericano, parlava così al cospetto della vittima, Luigi Gallo: “Chi ha più forza quello spara”…
“Dove ci vuole la politica c’è mio fratello Nicola; dove ci vogliono i soldi ci sto io e dove ci vuole la forza c’è pure la forza”.
Secondo il Gip Isabella Iaselli, firmataria dell’ordinanza di custodia cautelare richiesta dai pm della Dda di Napoli Antonello Ardituro, Francesco Curcio e Fabrizio Vanolio, queste parole sono un chiaro “riferimento alla capacità sua e della sua famiglia (i Cosentino, ndr) di condizionare, anche avvalendosi della notissima forza d’intimidazione del clan dei casalesi a cui il fratello Cosentino Nicola forniva da tempo uno stabile ed essenziale contributo concorsuale (nella qualità di referente politico di vertice dell’associazione camorristica), nel settore economico della distribuzione dei carburanti, le pubbliche amministrazioni ed il libero mercato”.
Linguaggio chiaro, senza fronzoli, quello del fratello manager della famiglia Cosentino.
Il linguaggio di chi è abituato a farsi spianare la strada in ogni modo.
Ecco come Giovanni Cosentino, il fratello dell’ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore regionale del Pdl, gestiva la ‘trattativa’ con Gallo: “Fammi aprire prima a me e poi tu lo sai che in Regione non ci sono problemi, dato che abbiamo Letizia che per noi fa carte false”.
Gli fa così intendere, scrive il Gip, “di avere ‘in mano’ le PP.AA. competenti a decidere sulle sue attività imprenditoriali”.
Letizia, indagato anche lui e sottoposto ai domiciliari, è il funzionario della Regione Campania addetto al settore gli impianti di carburante.
C’è poi una frase pronunciata da un altro indagato ai domiciliari, Giovanni Adamiano, dirigente della Kuwait, nel corso di una riunione nella sede dell’Aversana Petroli, l’azienda di famiglia dei Cosentino: “Luigi, l’impianto dobbiamo aprirlo e basta. Sopra c’è una persona che tu già conosci con cui adesso ti metterai d’accordo per effettuare un sopralluogo sull’area del tuo impianto e concordare i termini per la prosecuzione dei lavori di completamento”.
Pochi minuti prima Nicola Cosentino aveva garantito ad Adamiano un interessamento per l’assunzione di un figlio presso Equitalia, e poi si era appartato col fratello Giovanni “al fine — scrive il Gip — di impartirgli ulteriori direttive sulla trattativa a matrice estorsiva”.
In sostanza, in questo modo gli indagati dimostravano alla vittima di avere interessi profondi e opachi tra di loro, e sottolineavano “il ruolo apicale nella trattativa del Cosentino Nicola nonchè la natura criminale delle loro pretese”.
Vincenzo Iurillo
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA NE HA ANCHE PER SALVINI… E SU RENZI DICE: “UN BUGIARDO SERIALE, UN CONTE MASCETTI IN BRUTTA COPIA”
Polemica al cardiopalmo in più atti durante “Otto e mezzo”, su La7.
A duellare dapprima con Matteo Salvini e successivamente con Debora Serracchiani è Andrea Scanzi, ospite in collegamento da Milano.
Nel primo match il giornalista ha un vivace botta e risposta con il segretario federale della Lega, che, a proposito degli arresti dei secessionisti veneti, declama di voler “autodenunciarsi”.
Scanzi commenta ironicamente: “L’idea di un carro armato costruito con pezzi di trattore è una scena che neanche nei film di Monty Python e nei libri di Stefano Benni potevi immaginare”.
Il giornalista evidenzia con dovizia di dettagli le contraddizioni del Carroccio, scatenando il dissenso di Salvini.
Poi analizza l’operato del governo: “Renzi è una sorta di bugiardo seriale, una sorta di Conte Mascetti in brutta copia che esibisce ed esonda queste continue supercazzole. Lo fa sempre su ogni cosa, anche sulla questione morale”.
E spiega le incoerenze insite nella legge elettorale (“fa schifo, è peggio del porcellum”) e nella riforma del Senato.
Il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia sbotta in modo veemente, ma il giornalista replica: “E’ ora che la smettiate di dire queste supercazzole sistematiche ogni volta che andate in tv. Non è possibile che voi reagiate in maniera verbale così violenta ogni volta che vi trovate davanti insigni e illustri giuristi e costituzionalisti come Rodotà , Zagrebelsky, Settis”.
La Serracchiani ribatte citando una proposta firmata da Rodotà il 16 gennaio 1985 circa l’eliminazione del Senato.
Interviene Salvini che parte lancia in resta con un soliloquio anti-euro.
Scanzi sbuffa e, quando prende la parola, commenta: “Provo a risvegliarmi dopo il monologo di Salvini”.
E all’esponente del Pd rincara: “Lei vuole cambiare la Costituzione con un presidente del Consiglio che non è stato eletto da nessuno e che sta scrivendo le nuove leggi con un condannato in via definitiva. Una persona, come Berlusconi, che neanche può votare, decide al nostro posto come andremo a votare. Ma stiamo scherzando?”
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Aprile 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“MI HA PROPOSTO LA CANDIDATURA TOTO DELL’ALDE”, MA IL VICEPRESIDENTE DELL’ALDE RINALDI: “SMENTISCO, DA NOI NON C’E’ SPAZIO PER CANDIDATURE INCOMPATIBILI CON I PRINCIPI LIBERALDEMOCRATICI E LA SERIETA’ DEI COMPONENTI CHE LI RAPPRESENTANO”
È’ stata una breve udienza dedicata solo a questioni procedurali e al calendario quella che ha aperto questa mattina il processo al fondatore del metodo Stamina Davide Vannoni, accusato di tentata truffa ai danni della Regione Piemonte.
L’ente non si è’ costituito parte civile.
Il giudice Roberto Arata ha ammesso le liste testi della difesa (30) e dell’accusa (26).
I primi sei testi saranno ascoltati la prossima udienza fissata il 22 maggio, tra cu l’ex socialista Riccardo Nicotra che aveva proposto nel 2007 alla giunta regionale di dare i 500 mila euro di finanziamento a Vannoni per creare un laboratorio dedicato alle cellule staminali.
La difesa ha chiamato testimoniare anche l’ex presidente regionale Mercedes Bresso e gli ex assessori Paolo Peveraro e Eleonora Artesio.
Il processo riprenderà il 22 maggio.
Tre giorni prima delle elezioni europee, cui Vannoni vuole partecipare.
“Mi hanno proposto la candidatura Daniele Toto dell’Alde e Claudio Morganti di ‘Io cambio – dice Vannoni-. Sono pronto a scendere in campo con loro per riuscire a cambiare dall’Europa, facendo pressione sul nostro Paese, nel rispetto e nell’interesse dei pazienti”.
Ma l’Alde nega: “Smentisco categoricamente che il signor Davide Vannoni possa essere candidato alle elezioni europee con la nostra lista” dice Niccolò Rinaldi vice presidente ed europarlamentare dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici italiani.
“La notizia è totalmente destituita di fondamento. Nell’unica lista dell’Alde, che sabato presenterà a Roma il simbolo con i partiti e movimenti che la appoggiano, non c’è spazio per candidature incompatibili con i principi liberaldemocratici e con la serietà delle componenti che li rappresentano”, conclude Rinaldi.
Passano due ore e Vannoni fa retromarcia: “Io non ho nessuna proposta e nessuna richiesta ufficiale da parte di nessuno. Ci sono dei piccoli partiti interessati che me l’hanno chiesto, ma io non ho sciolto nessuna riserva”.“
Un mese fa, Vannoni aveva partecipato con Toto alla presentazione del Pli in Abruzzo.
Morganti, eletto nel 2009 al Parlamento europeo con la Lega Nord, è attualmente indipendente e vicesegretario di ‘Io cambio’, un’aggregazione di liste civiche.
(da “La Repubblica”)
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