Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
“IN REALTA’ E’ UN TRASFORMISTA IMPENITENTE, CAPACE DI SFRUTTARE IL TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO”
Grillo è populista? La domanda non è oziosa.
Non nel momento in cui in Europa partiti e movimenti che si definiscono tali costituiscono la vera novità dello scenario politico.
Per la loro crescita di consenso, più che per la loro effettiva comparsa nei sistemi istituzional-parlamentari dei singoli stati membri dell’unione.
Non lo è ancor di più per la disponibilità del leader del Movimento 5 stelle a definirsi tale.
“Il M5S non è di destra, nè di sinistra, è dalla parte dei cittadini. Fieramente populista”, scriveva l’ex comico lo scorso dicembre, lanciando un apposito hashtag su Twitter.
Non lo è per il frequente accostamento tra i movimenti populisti europei (primo fra tutti il Front National francese) e la creatura gestita dalla Casaleggio associati.
Domandarsi se Grillo sia populista è cosa quasi dovuta in vista del rinnovo del Parlamento europeo, la cui futura composizione potrebbe prevedere per la prima volta un gruppo che raccoglierà le formazioni che si professano tali e che si presenteranno alle elezioni.
“I neo-populisti sono antieuropeisti ma rifiutano Grillo e la destra reazionaria dell’est Europa”, spiegano Guido Bolaffi e Giuseppe Terranova, autori di un ebook che fa anche da bussola per chi vuole orientarsi meglio nel magma del populismo europeo in vista del voto del prossimo 25 maggio.
Il libro, ovviamente, punta il focus sull’astro nascente di questo complicato universo: “Marine Le Pen & co. Populismi e neopopulismi in Europa”.
Le conclusioni dei due studiosi della materia – Bolaffi è tra i massimi esperti europei in tema di immigrazione, Terranova è docente di sviluppo sostenibile e flussi migratori alla Luiss, rispettivamente direttore e condirettore della rivista di approfondimento West – sono che l’ex comico e il M5s non possono essere inseriti nella categoria del neo-populismo.
Il loro giudizio è netto: “Grillo più che un neo-populista è fondamentalmente un trasformista impenitente e di lunga lena. Con una bassa, bassissima attitudine per le idee ma una formidabile capacità nello sfruttare, all’occasione, tutto e il contrario di tutto”.
Andando più in profondità , si potrebbe osservare come il leader stellato possa essere inquadrato come populista per lo meno nelle modalità in cui affronta i problemi e rispetto al tipo di pubblico al quale si rivolge.
Mentre sfugge da tale definizione per la mancanza di un filo conduttore stabile nella definizione programmatica delle proprie issues politiche.
Scrivono Bolaffi e Terranova che i neo-populisti “non sono anti democratici ma anti istituzionali, perchè nemici di qualsiasi forma di mediazione frapposta tra il popolo e l’esercizio effettivo e diretto del potere. Criticano la democrazia rappresentativa in nome e per conto di quella diretta. Le loro posizioni non sono anti sistema ma di protesta, anche estrema, contro il funzionamento difettoso dei meccanismi della democrazia rappresentativa”.
Una visione dei meccanismi che regolano la vita pubblica facilmente riscontrabile nel Movimento 5 stelle. Il cui approccio al sistema delle regole può essere certamente definito populista.
Anche nella scelta della platea elettorale di riferimento i punti di contatto sono più d’uno.
Tre sono le minacce dalle quali i neo-populisti vogliono “difendere il popolo: crisi economica, immigrazione ed eurocrazia”.
Temi che, nella loro declinazione pratica, costituiscono la reale linea di frattura tra il M5s e gli altri movimenti europei.
Ma che nelle motivazioni del loro utilizzo, fotografano ancora solidi punti di contatto. L’intento, scrivono i due autori, “è quello di elevare il tasso del consenso e del livello di credibilità politica in aree sociali e settori della popolazione sinora molto diffidenti nei loro confronti […] Affiancando il nucleo duro della classe operaia in rotta con la sinistra e gli spaesati poveri delle periferie metropolitane con le leve, ben più numerose e politicamente decisive, dei ‘perdenti del nuovo tipo’. Ceti medi e giovani web 2.0 in prima fila”.
Sovrapponibile anche la concezione della leadership così come intesa sia dal neo-populismo sia dalle truppe grilline.
“Il populista è un imprenditore politico che cerca, al pari dei suoi concorrenti, di massimizzare a suo vantaggio il profitto elettorale e mediatico”. Fin qui nulla di nuovo.
Bolaffi e Terranova approfondiscono però in modo estremamente interessante la forma attraverso cui ciò si declina: “Una volta individuato un nemico nelle istituzioni statali, nelle classi dirigenti o, come nel caso di oggi, nelle forze ‘espropriatrici’ della globalizzazione e della burocrazia di Bruxelles, li attacca per nome e per conto del popolo. Che ne è la vittima innocente. Il populista contrappone un popolo virtuoso e omogeneo contro una serie di elites e pericolosi ‘altri’ che sono descritti come uniti nel privare (o cercare di privare) il popolo sovrano dei suoi diritti, valori, identità e voce”.
Una descrizione perfetta delle tecniche comunicative di Grillo e di Casaleggio. I quali, al pari dei (quasi) omologhi movimenti europei, giocano sul filo dell’ambivalenza, potendo essere tanto “conservatori e reazionari”, quanto “espressioni di istanze democratiche dirette e partecipative”.
I neo-populisti si richiamano alla Gemeinshaft così come definita nel 1969 da Isaiah Berlin. Un’idea di comunità che è “apolitica, in quanto radicata per lo più nella sfera sociale”, “ha un afflato rigeneratore, poichè intende ridare al popolo la centralità sottrattagli”, e “vuole impiantare i valori di un mondo idealizzato del passato in quello attuale”.
Un concetto spesso ripreso da Grillo. Che ad Ancona, lo scorso 15 maggio, spiegava da un palco: “A noi ci considerano il movimento che crea la violenza, ma siamo esattamente il contrario, vorrei che ci abbracciassimo un po’ tutti. La rabbia la convogliamo in un Movimento di affetto, siamo una comunità di persone che si abbracciano”.
Considerati tutti i punti di contatto riguardanti la concezione di se stessi, la visione del sistema istituzionale e politico, il bacino di consenso a cui attingere, perchè le formazioni neo-populiste europee, pur guardando con interesse a Grillo, rifiutano di essere accostati al Movimento 5 stelle (e viceversa?).
Secondo Bolaffi e Terranova l’incomunicabilità è dovuta alle profonde divergenze nello sviluppo della propria piattaforma politica.
Neopopulisti, euroscettici e partiti di destra radicale (44 parlamentari europei uscenti), pur guardandosi ancora con una certa diffidenza, stanno pensando di saldarsi in un unico gruppo parlamentare, come ribadisce la stessa Le Pen in un’intervista inedita pubblicata nel libro: “Con Geert Wilders non abbiamo firmato nessun accordo […] Il nostro è stato un incontro ufficiale per annunciare agli elettori europei che una collaborazione tra partiti sovrani è possibile per sconfiggere il mostro burocratico e federale europeo. […] I nostri incontri riguardano la possibilità di formare, dopo le elezioni, un gruppo parlamentare nel Parlamento europeo”.
Un’intesa che nasce da tre grandi linee direttrici che accomuna la galassia di partiti à la Le Pen: un anticonformismo libertario in tema di diritti civili declinato in chiave nazionalistica e a scapito degli stranieri; una lotta all’immigrazione intesa non come crociata contro la diversità tout-cout (come in passato) bensì quale conseguenza dei danni economico-sociali e politico culturali di cui è latrice; l’abbandono delle battaglie antipolitiche e il tentativo di portare avanti istanze comuni in forme federate e coordinate.
Tre elementi rispetto ai quali il Movimento 5 stelle è ondivago, se non proprio refrattario.
Al punto che è stato lo stesso Front National a sottolinearlo, guardando ad altri interlocutori nel Belpaese:
“I 5 stelle – diceva lo scorso 13 febbraio Ludovic De Danne, consigliere di Marine Le Pen intervistato su West – oltre a dire ‘no euro’ non hanno un progetto preciso e coerente. E nel loro blog hanno pubblicato solo ridicoli, diffamatori articoli contro il Front National e la nostra leader. Meglio la Lega Nord che Beppe Grillo”.
È l’assenza di un programma preciso, di linee guida stabili, che da un lato porta i movimenti neo-populisti a diffidare del M5s e dall’altro fa ribadire a Grillo, rimasto ancorato alle ragioni dell’antipolitica e guidato dagli istinti del momento, di non avere nulla a che fare con le destre europee.
Il libro, tra le altre cose, raccoglie le dichiarazioni rese nel corso del tempo dal leader stellato su tre temi tipici del populismo continentale: l’uscita dall’euro, l’immigrazione, i diritti degli omosessuali.
Le contraddizioni sono evidenti. Sulla moneta unica Grillo ha detto che “uscire dall’euro non è un tabù, si può fare, non è mai troppo tardi per tornare indietro da una strada lastricata per l’inferno” (20 aprile 2012), per poi virare su un referendum rispetto al quale non si vuole pronunciare: “Non rispondo cosa farei perchè non spetta a nessun leader decidere cosa fare, nè tantomeno influenzare le opinioni altrui” (8 agosto 2013).
Stesso discorso sulla questione degli immigrati, che ha generato un clamoroso cortocircuito tra l’ex comico e due senatori M5s.
“È gente che va via per non morire – spiegava nel gennaio del 2012 – Bisogna inserirli pian piano a far le cose, perchè è gente straordinaria. È un processo di cui non si può fare a meno: arrivano a riprendersi un po’ di quello che gli abbiamo tolto”.
Il 10 ottobre 2013 il registro era già cambiato: “Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?”.
Sulle unioni omosessuali invece si è passati dal “Ti saluto culattone” rivolto nel maggio 2011 a Nichi Vendola, al “Se sono d’accordo? Forse”, reso a un giornalista nel giugno 2012.
Per arrivare allo scorso gennaio, quando l’ex comico spiegava: “La mia opinione personale l’ho data: se vogliono sposarsi si sposino pure, ma deciderà la gente con un referendum”.
I neo-populisti d’Europa lo hanno già deciso.
E su questa, e su altre battaglie comuni, proveranno a sparigliare a Strasburgo.
Senza Grillo, per ora.
Pietro Salvatori
(da ““Huffingtonpost“)
argomento: Grillo | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
MODERATI E RIVOLUZIONE LIBERALE
«In Europa prima l’Italia»: lo slogan che campeggia sui manifesti del Nuovo centrodestra cattura involontariamente la fisionomia evanescente, la leggerezza verrebbe da dire, che attualmente caratterizzano non solo l’Ncd ma un po’ tutti gli eredi dello schieramento che, sotto la guida di Berlusconi, ha segnato per quasi un ventennio la politica italiana.
Uno schieramento che oggi, nelle sue varie componenti interne ed esterne al governo, affronta le elezioni europee con slogan che, diciamo la verità , appaiono un po’ tutti uguali: da quello, appena citato, del partito di Alfano, al «più Italia in Europa» di FI, fino all’«Italia chiamò» di Fratelli d’Italia e alla stessa associazione creata da uno dei suoi leader, Alemanno, che si chiama – neanche a dirlo – Prima l’Italia.
I messaggi politici debbono essere per forza semplici e immediati. Tuttavia colpisce come (esclusa ovviamente la Lega) i vari spezzoni del vecchio centrodestra si siano limitati a girare attorno alla parola Italia, forse nell’illusione di arginare in questo modo la concorrenza degli assai più aggressivi e (temo) efficaci messaggi antieuro del M5S
«I vari spezzoni del centrodestra si sono limitati a girare attorno alla parola Italia»
Ma dietro lo scarso spessore politico di certi slogan c’è qualcosa che va oltre le prossime elezioni europee ed evidenzia piuttosto una contraddizione e un limite che hanno attraversato l’intera esperienza del centrodestra italiano dal momento in cui nacque, grazie a Berlusconi, nel 1994.
Fin dall’inizio esso si trovava ad avere un’identità ancipite.
Da una parte si presentava come una forza moderata, che era in grado di contrapporsi con successo alla sinistra postcomunista e si candidava a rappresentare e sostenere le posizioni della Chiesa su tutta una serie di temi etici.
Dall’altra, soprattutto Forza Italia si proponeva come artefice di una «rivoluzione liberale» imperniata sulla riduzione delle tasse e più in generale della presenza eccessiva dello Stato nella vita dei cittadini.
Ciascuna delle due identità presentava delle contraddizioni interne: ad esempio, la difesa dei valori cattolici era poco conciliabile con il modello individualistico-acquisitivo veicolato dalle tv berlusconiane; e d’altro canto la promessa riduzione della presenza oppressiva dello Stato trovava un ostacolo nella richiesta di protezione e benefici di tipo assistenzialistico ben presente anche fra gli elettori del centrodestra. In ogni caso (e soprattutto) presentarsi come l’alleanza dei moderati e insieme di chi propugnava la rivoluzione liberale dava origine a una contraddizione seria, con cui il centrodestra ha dovuto convivere per un ventennio.
Lo ha potuto fare senza esserne troppo penalizzato (tanto da governare per vari anni) grazie al fatto che la leadership personale di Berlusconi copriva, e annullava nei suoi effetti potenzialmente negativi, la contraddizione anzidetta.
Considerati in un’ottica storica, il carisma di Berlusconi e la sua straordinaria capacità di comunicare direttamente con gli elettori senza bisogno della mediazione partitica, ci appaiono come una grande risorsa politica, ma anche come un non meno grande limite.
Una risorsa perchè hanno fatto sì che il fondatore di FI fosse per anni l’unico politico italiano in grado di muoversi agevolmente sul terreno della nuova «democrazia del pubblico» (secondo la definizione del politologo Bernard Manin).
Ma anche un limite perchè la crisi della leadership carismatica di Berlusconi – accelerata dalle sue vicende giudiziarie, certo, ma resa definitiva da un ovvio dato anagrafico – riconsegna agli ex alleati del centrodestra, pressochè intatta, quella contraddizione iniziale tra due anime poco o punto conciliabili.
Senza che si veda all’orizzonte qualcuno che, dotato di un analogo carisma, possa svolgere la funzione di collante svolta per vent’anni da Berlusconi
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Alfano, Berlusconi | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
FOLENA, TRANFAGLIA, BUTTIGNON, RAITO, RENZAGLIA E LANNA GLI AUTORI, DI DIVERSI ORIENTAMENTI, DELLA COLLETTANEA… LA PRESENTAZIONE NAZIONALE IL 13 MAGGIO A GENOVA
Nel 30° anniversario della morte, gli autori della collettanea dipingono lo storico Segretario del PCI attraverso la loro prospettiva singolare sul piano dell’orientamento politico e dell’expertise di riferimento.
Pietro Folena riflette sulla sua esperienza diretta quale “ragazzo di Berlinguer”; NicolaTranfaglia, ex dirigente nazionale del PCI e ora professore ordinario di Storia della mafia all’Università di Torino, evidenzia la novità del pensiero di Berlinguer e il reale punto di rottura rispetto al comunismo italiano precedente alla sua Segreteria; IvanButtignon, esamina il pensiero e l’azione del leader comunista nel periodo giovanile; Leonardo Raito, professore di Storia contemporanea all’Università di Padova e di Ferrara, scrive del respiro europeista del pensiero berlingueriano.
Miro Renzaglia, direttore della rivista politica-culturale Il Fondo, approfondisce i tratti “anticomunisti” in Berlinguer; Luciano Lanna, ex direttore del Secolo d’Italia, traccia una relazione tra il leader comunista e il movimento del ’77.
Ma numerose sono ancora le prospettive che il saggio affronta da punti di vista inediti e trasversali, per restituire l’immagine politica e umana di un personaggio cardine della storia politica dell’Italia contemporanea.
Il curatore
Ivan Buttignon è cultore accademico di Economia aziendale (Università di Udine) e Storia contemporanea (Università di Trieste); laureato in Comunicazione d’Impresa e Marketing e in Relazioni Pubbliche delle Istituzioni, ha conseguito un master di secondo livello in Comunicazione storica. Insegna Comunicazione efficace e Comunicazione politica e cura la formazione linguistico—relazionale e strategica di figure politiche. Esperto di politologia, ha all’attivo oltre trenta pubblicazioni scientifiche e cinque monografie. È caporedattore della rivista culturale semestrale Zeta Comunicazione e redattore della rivista politico-culturale Totalità .
Gli autori
Giovanni Fasanella è un giornalista italiano. Ha lavorato all’Unità dal 1975 al 1987. Prima nella redazione torinese, dove negli anni di piombo si è occupato di terrorismo.
Fulvio Salimbeni, docente di Storia contemporaneaall’Università di Udine, di cui dirige il Laboratorio per la ricerca e la didattica della storia.
Pietro Folena è stato un dirigente politico della sinistra italiana e ora si occupa di promuovere la cultura e l’arte con l’associazioneMetaMorfosi.
Michele Mognato è un politico italiano. Alle elezioni politiche del 2013 viene eletto deputato della XVII Legislatura della Re- pubblica Italiana nella circoscrizione VIII Veneto 2 per il Partito Democratico.
Nicola Tranfaglia professore emerito di Storia dell’Europa e del Giornalismo nell’Università di Torino, attualmente professore di Storia della Mafia nella Fa- coltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino.
Leonardo Raito è collaboratore di riviste scientifiche e di testate quotidiane nazionali e internazionali, ha al suo attivo oltre cinquanta pubbli- cazioni scientifiche (14 volumi) sui temi della storia del novecento. Dal 2009 è anche assessore alla pubblica istruzione, università , sport, politiche giovanili e immigrazione della Provincia di Rovigo.
Miro Renzaglia è poeta, scrittore, giornalista, autore e performer teatrale. Ha pubblicato Controversi (Milano, 1988), I rossi e i neri(Roma, 2002), A spese mie (Roma, 2009). Dirige il magazineonline «il Fondo».
Luciano Lanna, giornalista e studioso dei rapporti tra immaginario e feno- meni politici, autore e consulente di trasmissioni televisive del ciclo “La grande storia” di Rai Tre, è stato direttore responsabile del “Secolo d’Italia” e vicedirettore de “L’Indipendente”, ha scritto Il fascista libertario (Sperling & Kupfer, 2011).
Francesco Pira, nato il 9 agosto 1965, è professore aggregato e ricercatore di ruolo in sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Messina dove insegna giornalismo digitale e comunicazione integrata.
Dario Mattiussi, Segretario del Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”, importante Associazione di Volontariato, che promuove studi e ricerche sulla società regionale del novecento nella sua evoluzione politica, sociale ed economica.
Noà«l Sidran è Presidente del Centro di Documentazione Storica “Aldo Mori”, Sezione staccata per il Veneto Orientale dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea.
Marco Gervasoni insegna Storia contemporanea all’Università degli studi del Molise, è visiting professor di Storia politica dell’Europa all’imt di Lucca
La presentazione nazionale del libro collettaneo si terra a Genova il 13 maggio 201
presso il Palazzo della Meridiana-Piazza della Meridiana, 1- alle ore 18,00
Prospettiva Berlinguer
Safarà Editore
argomento: radici e valori | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
DAL 2008 AL 2012 IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE DEI LAUREATI E’ CRESCIUTO DI 11 PUNTI
Nella prima metà degli anni Cinquanta, per le strade circolavano poco più di 400mila automobili e c’erano 4 apparecchi televisivi ogni 1.000 abitanti.
Per vedere Febo Conti, Settenote o la Domenica sportiva comodamente seduti nel salotto di casa, bisognava spendere una cifra che corrispondeva a circa dodici mensilità di un reddito medio, vale a dire il costo attuale di un’utilitaria di fascia media.
Dieci anni dopo, le auto circolanti in Italia erano 2,5 milioni e gli apparecchi televisivi quasi 6 milioni.
Erano gli anni di una crescita non solo economica ma anche sociale. Gli italiani guardavano Non è mai troppo tardi, un programma d’insegnamento elementare condotto dal maestro Alberto Manzi che ha aiutato milioni di italiani ad affrancarsi dall’analfabetismo.
Le grandi trasformazioni avvenute in quegli anni alimentavano l’idea che in Italia, come in altri paesi occidentali, la rigida divisione in classi appartenesse ormai al passato.
E, in effetti, il cambio di struttura economica iniziato negli anni Cinquanta con il processo d’industrializzazione prima e di terziarizzazione poi, hanno segnato una rapida crescita della classe operaia urbana e della classe media impiegatizia, insieme all’affermarsi di una borghesia legata alla piccola industria e al commercio, registrando tassi elevati di mobilità sociale ascendente.
Erano anni in cui a crescere era il numero di posizioni sociali più elevate, e non si poteva fare altro che abbandonare la classe di origine e salire, determinando l’ascesa sociale dei figli delle classi economiche più svantaggiate.
Una mobilità che ha consentito non solo a milioni d’italiani di raggiungere condizioni di benessere individuale, ma a tutto il Paese di crescere e acquistare fiducia in se stesso, dando corpo a un ceto medio sempre più diffuso e dinamico.
MOBILITà€ SOCIALE
È stato questo il grande potere della mobilità sociale: non solo il recupero di efficienza economica legata a una gamma più ampia di opportunità , ma il diffondersi di un sentimento di fiducia che ha spinto a investire per migliorare la propria condizione e a guardare avanti.
Questo imponente processo di mobilità sociale ha avuto il suo apice negli anni Sessanta per rallentare progressivamente nei decenni successivi.
E mentre diminuivano le possibilità di ascesa sociale, crescevano contestualmente i vantaggi determinati dalla posizione di partenza ereditata della famiglia.
Con il risultato che, dagli anni Ottanta, gli eredi delle classi medie e superiori riuscivano con minore frequenza a ricalcare la dinamica ascendente dei padri, e assai più fatica dovevano fare i figli delle classi inferiori per emanciparsi dalle loro origini.
Già negli anni Novanta, le possibilità che avevano i figli d’imprenditori, liberi professionisti, dirigenti di accedere ai vertici della gerarchia sociale superavano di dodici volte le possibilità su cui potevano contare i giovani provenienti da famiglie di classi inferiori.
Non solo: le classi più elevate riescono anche a garantire una protezione più elevata contro i rischi di discesa verso posizioni inferiori, riducendo, quindi, le opportunità di ricambio ai vertici della piramide sociale.
Questo fenomeno si accentua ancora di più nel decennio successivo fino a quando, a cavallo tra il nuovo secolo e i giorni nostri, le traiettorie sociali invertono la direzione.
Gli ascensori sociali si bloccano in salita, mentre aumentano le frequenze delle discese e l’Italia sperimenta, complice anche la crisi economica, una radicale discontinuità storica rispetto agli ultimi cinquant’anni.
Gli individui tra i 25 e i 40 anni rappresentano la prima generazione del dopoguerra a rivelarsi impossibilitata a migliorare la propria posizione rispetto a quella dei propri genitori. E questa condizione non riguarda soltanto l’ascesa verso i livelli superiori dei figli delle classi più svantaggiate, ma anche l’accesso dei figli delle classi medie e alte alle posizioni già occupate dai genitori.
Non solo si accentua, cioè, la posizione di vantaggio derivante dalla provenienza familiare ma i posti disponibili nelle posizioni apicali, complice la crisi economica, si sono notevolmente ridotti, col risultato che molti giovani, pur provenienti da classi elevate, sono costretti ad accontentarsi di essere collocati in posizioni economicamente e socialmente meno prestigiose.
Paradossalmente, ad aggravare gli effetti del blocco della mobilità sociale ascendente è la crescita dei livelli d’istruzione dei giovani.
A parità di titolo di studio, infatti, i figli si collocano in posizioni professionali meno qualificate rispetto a quelle dei loro genitori, rendendo inevitabilmente meno produttivo il loro capitale umano.
A UN ANNO DAL TITOLO
La fotografia di questo fenomeno è nell’indagine che ogni anno il consorzio Almalaurea realizza sulla condizione occupazionale dei laureati.
A un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di disoccupazione dei laureati di primo livello è cresciuto di oltre 11 punti in soli 4 anni, passando dal 15,1% del 2008 al 26,5% del 2012.
E mentre è cresciuta la difficoltà a trovare un lavoro, per gli occupati si sono ridotti i guadagni netti mensili, inferiori di un quinto per i laureati nel 2012 rispetto ai colleghi che hanno conseguito il titolo nel 2008.
Un fenomeno che inevitabilmente induce a ritenere la laurea meno efficace rispetto al passato. Difficile, quindi, pensare che sia un caso il fatto che l’Italia si colloca in fondo alla classifica europea per numero di giovani tra i 30 e i 34 anni che ha conseguito un titolo di studio universitario.
La straordinaria crescita delle economie occidentali, che ha preso avvio nel dopoguerra, ha corrisposto a un ampliamento delle possibilità degli individui di elevarsi dalla condizione di partenza, a una rimozione delle barriere di ceto, a un rafforzamento dei sistemi di protezione sociale, a una crescita generale dei livelli d’istruzione
Per questo il tema della mobilità sociale è centrale nel momento in cui si è impegnati collettivamente nello sforzo di uscire dalla lunga fase recessiva di questi anni.
Un tema che non riguarda soltanto il «quando» si tornerà ai livelli pre-crisi ma anche il «come», visto che il deterioramento delle opportunità di accesso ha fatto tornare gli indici di mobilità sociale indietro di sessant’anni.
Carlo Buttaroni
(presidente Tecnè)
argomento: Lavoro | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
ENTRO IL 2017 RIGUARDERA’ TUTTO I LAVORATORI, TRANNE I MINORENNI, GLI STAGISTI E I DISOCCUPATI DA LUNGO TEMPO
Otto euro e mezzo lordi l’ora. È questa la paga che prenderanno come minimo salariale tutti i tedeschi.
Si annuncia come una rivoluzione la norma che entrerà in vigore in Germania il primo gennaio 2015, sebbene sia previsto un periodo di transizione per alcuni settori.
Entro il 2017 riguarderà tutti i lavoratori, eccetto i minori di 18 anni, gli stagisti e i disoccupati di lunga durata.
La legge sul «Mindestlohn» varata dal Consiglio dei ministri dovrà ora essere approvata dai deputati del Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco e anche dal Bundesrat, la Camera alta, ma entrambi i passaggi non dovrebbero rappresentare problemi
L’introduzione di un salario minimo in Germania è un passo rivoluzionario, in un Paese che storicamente ha sempre lasciato le parti sociali negoziare i salari in autonomia.
Finora le garanzie salariali sono state assicurate agli iscritti ai sindacati, ma il tasso di partecipazione è drasticamente calato da oltre il 70% della fine degli anni Novanta al 59% attuale.
La platea dei sottopagati si è così estesa fino a raggiungere circa 4 milioni, anche a causa della diffusione di contratti flessibili di vario tipo, dal part-time all’impiego stagionale fino ai mini-job a 480 euro mensili.
Forse è per questo che il «Mindestlohn» sfiora l’80% di preferenze tra i tedeschi.
Nelle ultime settimane la Bda, la Confindustria locale, aveva criticato la misura, ritenendola un vero freno al mercato del lavoro per i più deboli, per esempio per i lavoratori di lungo termine e per chi non ha mai lavorato, e perchè ingiusta a livello nazionale, con i salari nell’ex Ddr al momento ancora inferiori a quelli della Germania ovest. Critici anche molti economisti, secondo i quali la nuova norma aumenterà i costi per le aziende, portandole a licenziare: centinaia di migliaia di lavoratori potrebbero perdere il posto
PROGRAMMA SP
Il salario minimo esiste già per legge in ben ventuno dei ventotto Stati membri dell’Unione europea. Naturalmente in ogni Paese è applicato in modo diverso, sia per le tariffe calcolate sia per i criteri di applicazione: si va dagli 1,04 euro orari della Bulgaria agli 11,10 euro del Lussemburgo.
«È fatta», ha dichiarato una fonte governativa al termine della riunione dei ministri a Berlino, riferendosi al «Mindestlohn ». La rivoluzione del mondo del lavoro fa parte del programma di governo ed è stato il cavallo della battaglia elettorale della Spd di Sigmar Gabriel: la sua istituzione per legge era una delle condizioni alle quali i socialdemocratici avevano vincolato l’ingresso nella Grosse Koalition
La Cdu della cancelliera era contraria, preferendo piuttosto l’ipotesi di contrattazioni per categoria affidata ai singoli Laender, cioè degli accordi regionali. Il partito conservatore ha così ceduto per poter giungere alla formazione di un governo con i socialdemocratici
La ministra del Lavoro, la socialdemocratica Andrea Nahles, ha esultato dicendo che il salario minimo «fornirà maggiore equità » in Germania. Nahles ha preparato il disegno di legge e lo ha sottoposto ai colleghi del governo Merkel spiegando come «il salario minimo è giunto così comeè stato concordato nel Patto, a parte qualche eccezione ». È stata questa l’unica concessione fatta ai colleghi della Cdu
«Troppe le eccezioni», è stata la dura critica giunta dalla Linke, unica forza all’opposizione in parlamento assieme ai Verdi, che rivendica il merito di aver introdotto per prima il tema del salario minimo. «Così c’è il rischio concreto di una spaccatura tra lavoratori tutelati e una riserva di manodopera a basso costo e zero tutele che finirebbe per vanificare gli effetti della legge», è stato il commento del leader sindacale Frank Bsirske sul sito di Der Spiegel
La Grosse Koalition ora potrebbe orientarsi su un’altra misura voluta dalla Spd per sostenere il mercato interno e aiutare i ceti meno abbienti. Secondo voci interne al governo, Merkel sarebbe pronta a varare anche una legge per calmierare gli affitti nelle città più care.
Roberto Arduini
argomento: Lavoro | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
MEZZO MILIONE SONO LE COPPIE DISOCCUPATE CON FIGLI: IN UN ANNO CRESCIUTE DEL 18,3%, IN DUE ANNI DEL 56,5%…. CALANO GLI ACQUISTI, SI SALVANO SOLO I DISCOUNT (+ 4,8%)
Nell’Italia che lotta per riprendersi dalla crisi economica ci sono ancora un milione e 130mila famiglie senza reddito da lavoro.
Tradotto: si tratta di nuclei familiari al cui interno tutti i componenti attivi (ovvero quelli che partecipano al mercato del lavoro) sono disoccupati.
Una fotografia che non lascia spazio all’ottimismo quello scattato dall’Istat, i cui dati 2013 dipingono una situazione tutt’altro che rosea: nel dettaglio, come detto, si tratta di 1 milione 130mila nuclei, tra i quali quasi mezzo milione (491mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213mila sono monogenitore (nella gran parte dei casi una mamma).
A preoccupare, inoltre, non è solo la cifra in sè, ma anche l’andamento in percentuale del dato.
Il numero delle famiglie dove tutte le forze lavoro sono in cerca di occupazione, infatti, risulta in crescita del 18,3% rispetto al 2012 (+175mila in termini assoluti). Peggio ancora se si confronta il quadro con quello di 2 anni prima: in questo caso il rialzo supera il 50%, attestandosi precisamente al 56,5%.
Si tratta quindi di ‘case’ dove non circola denaro, ovvero risorse che abbiano come fonte il lavoro.
Magari possono contare su redditi da capitale, come le rendite da affitto, o da indennità di disoccupazione, o ancora da redditi da pensione, di cui beneficiano membri della famiglia ormai ritiratisi dal lavoro attivo.
Il ragionamento, ovviamente, viene fatto al nero di ogni forma di lavoro nero.
A soffrire di più, ancora una volta, è il Mezzogiorno, con 598mila famiglie, dove coloro che sono forza lavoro risultano tutti disoccupati.
Seguono il Nord, che ne ha 343mila, e il Centro, con 189mila.
Ma il fenomeno avanza dappertutto. E i conti non tornano, o meglio tornano quelli della crisi, se si va a guardare il numero dei nuclei in cui tutti i componenti che partecipano al mercato del lavoro hanno un’occupazione, pari a 13 milioni 691mila, in calo di 281mila unità (-2%).
Insomma le nuove medie annue dell’Istat, intrecciando i dati su condizioni familiari e occupazionali, non fanno altro che confermare un 2013 segnato fino in fondo dalla piaga della disoccupazione.
Unimpresa: “Cinque famiglie su sette al discount per risparmiare”
Numeri le cui conseguenze si riflettono inevitabilmente sulle dinamiche di consumo degli italiani. I quali, in mancanza di entrate, cercano di risparmiare come possono. In tal senso è emblematico il rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo cui la crisi spinge anche nel 2014 per la spesa low cost.
Le famiglie italiane inseguono sempre di più risparmi e promozioni: cinque su sette hanno provato almeno una volta i discount nel primo trimestre di quest’anno, confermando una tendenza cresciuta con la recessione e consolidatasi nel 2013.
La ricerca è stata condotta tra i 18mila esercizi commerciali associati da Unimpresa, secondo cui la recessione ha ormai radicalmente alterato le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani fa economia e così rispetto al primo trimestre dello scorso anno sono più che raddoppiati, tra gennaio e marzo, gli acquisti di offerte speciali. Aumentano le persone che fanno shopping di cibo nei negozi a basso costo.
Dagli alimenti alle bevande, dice Unimpresa, ma anche prodotti per la casa e abbigliamento, gli sconti fanno gola a tutti e sono la risposta fai-da-te delle persone alla crisi.
Nel carrello della spesa degli italiani finiscono con sempre maggiore frequenza rispetto al passato prodotti offerti sugli scaffali con sconti, specie quelli con ribassi dei prezzi superiori anche oltre il 30% rispetto al listino ufficiale.
Stesso discorso per gli acquisti low cost, che nel primo trimestre del 2014 sono cresciuti del 60%. Lo studio conferma e mette in luce, dunque, una tendenza in atto da tempo, peraltro già rilevata negli ultimi tre anni dall’associazione.
Confermato il dato più rilevante, secondo cui l’attenzione alle offerte speciali porta i consumatori a fare una vera e propria incetta di beni a basso costo: i cittadini sono diventati super esperti dei volantini, puntano le promozioni e nelle buste della spesa finisce solo quanto è proposto in offerta, mentre restano sugli scaffali dei supermercati e dei piccoli negozi su strada tutti gli altri prodotti.
L’altra faccia della medaglia, ovviamente, sono gli incassi degli esercenti: secondo prime stime l’impatto sui conti potrebbe arrivare ad avere un’incidenza negativa del 65-70%.
Elemento che aggraverebbe un quadro già profondamente depresso, con i consumi che nel 2013 sono scesi del 2,6%.
I dati del sondaggio Unimpresa indicano che i piccoli negozi sono sempre meno frequentati (-6,5%) e il trend è negativo anche per i supermercati (-2,1%); solo i discount segnano una tendenza positiva (+4,8%).
argomento: povertà | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
“USO IMPROPRIO DELLE NOSTRE ANALISI PER FINI ELETTORALI: VOGLIAMO UN’UNIONE MONETARIA CHE MARCI DI PARI PASSO A UN’UNIONE FISCALE, BANCARIA E POLITICA”
Nella corsa verso le elezioni parlamentari il mese prossimo, i partiti populisti anti europeisti, come il Fronte Nazionale di Marine Le Pen in Francia, hanno alimentato il fuoco del nazionalismo raccontando agli elettori che due influenti premi Nobel all’Economia vicini al centrosinistra – Amartya Sen e Joe Stiglitz — sono contrari all’idea di un’Europa più unita.
Ma in una dichiarazione rilasciata il 10 aprile i due premi Nobel si lamentano dell’uso improprio e della manipolazione delle loro opinioni per scopi politici opposti.
“Siamo molto afflitti di fronte all’uso improprio delle nostre analisi sul funzionamento dell’euro, una manipolazione che sta avvenendo in alcuni discorsi in Francia e in altri paesi europei”, spiegano i due Nobel.
In tutta Europa le champagne elettorali stanno diventando sempre più impetuose e ardenti, dal momento in cui le imminenti elezioni per il Parlamento europeo sono viste come una battaglia chiave tra sentimenti pro e anti europeisti sull’onda della crisi dell’euro. La posta in gioco è diventata sempre più pesante nelle ultime settimane, dopo il successo elettorale del Fronte Nazionale alle elezioni locali in Francia.
In risposta alla persistente crisi economica, unita alle paure sociali dell’immigrazione, i partiti di estrema sinistra ed estrema destra stanno riaffermando l’identità nazionale e invocando il ritorno della sovranità nazionale come soluzione alle difficoltà dell’Europa. Questo [atteggiamento] li colloca contro gli elettorati pro Europa che vedono un’ulteriore integrazione come l’unico in grado di ripristinare la crescita in una economia globale, rimettere sotto controllo l’altissimo tasso di disoccupazione in Europa e rispondere ai problemi sociali.
Questa dichiarazione rilasciata dai due premi Nobel non lascia dubbi sulla loro posizione: “Siamo fortemente a favore di un’Europa più unita, con essenzialmente più integrazione politica. Un’unione monetaria dovrebbe andare di pari passo a un’unione fiscale e a un’unione bancaria, che speriamo avvengano entrambe nei tempi dovuti. Mentre crediamo che istituire un’unione monetaria senza un’integrazione bancaria, fiscale e fondamentalmente politica sia un errore economico, rimaniamo fortemente pro Europa, piuttosto che anti europeisti, dal momento in cui vogliamo molto di più di una semplice unione monetaria”.
Nathan Gardels
(da “The WorldPost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
DAL 2007 PERSI 800 SPORTELLI… E ORA RENZI DARA’ UNA ULTERIORE MAZZATA ALL’OCCUPAZIONE: INDOVINATE CHI PAGHERA’ IL MILIARDO CHE IL GOVERNO HA MESSO A CARICO DELLE AZIENDE DI CREDITO
Le banche spingono l’acceleratore sulla rottamazione degli sportelli, iniziata già da qualche anno sotto la spinta della crisi e delle transazioni online.
Dopo i circa 800 persi dal 2007, nei prossimi anni è prevista la chiusura di circa altri 1.500 filiali, considerando solo i grandi istituti.
Sono questi gli aggiornamenti dei piani industriali dei 14 principali istituti di credito. E non è una sorpresa: dal 2007 il sistema bancario italiano ha perso circa 800 sportelli passando da circa 32.800 a 31.900 secondo i dati che si ricavano dalla Banca d’Italia che comprendono oltre 600 banche fra Spa, popolari e banche di credito cooperativo.
Il ruolo del web
Il calo è stato più forte soprattutto per le Spa situate per lo più nei centri urbani e che hanno fatto massiccio ricorso alle tecnologie di banca on line mentre quelle popolari o le Bcc, radicate nei piccoli centri o in quelli rurali e con una clientela più avanti negli anni stanno cercando di mantenere la rete magari riducendo gli spazi e il personale impiegato.
Sono lontani i tempi nei quali le banche si contendevano le filiali dismesse dalle rivali per motivi Antitrust a colpi di offerte milionarie valutando ogni singolo sportello centinaia di migliaia di euro con l’ausilio di perizie e analisi di società di consulenza. La crisi economica, il crollo del mercato immobiliare e l’introduzione delle nuove tecnologie hanno reso quelle analisi preistoria.
Analizzando i piani industriali delle grandi banche (Unicredit, Intesa, Mps) si ricava un cambio di rotta verso uno sportello con meno operazioni di tipo tradizionale di «cassa» e più consulenza, che resta indispensabile per siglare un mutuo o stipulare un finanziamento per un’impresa.
La ritirata
Da qui al 2017 così Intesa Sanpaolo prevede di passare da 4100 a 3300 sportelli (erano 6100 nel 2007), Unicredit di ridurre 500 sportelli da qui al 2018 sulle attuali 4100 e Mps 200 degli attuali 2300.
Una «ritirata» che si nota già nei centri urbani costellati di filiali vuote o riconvertite in altri esercizi commerciali.
Lo scoglio per chiudere la filiale alle volte è rappresentato dagli alti costi di riconversione: togliere i vetri blindati costa infatti diverse migliaia di euro così come rimuovere il caveau, oppure dalla rescissione dei contratti di affitto.
Per questo a volte si vedono negozi ed esercizi commerciali che mantengono le vetrine e i serramenti del precedente utilizzo.
La filiale del «futuro» ha così meno sportelli di cassa e più uffici di consulenza. Sarà più vasta se di una banca grande e frutto dell’accorpamento di due o tre mentre più piccola ma con meno impiegati se di un istituto di minori dimensioni.
Il sindacato
«Finchè si parla di efficientamento possiamo starci, ma questa politica di tagli lineari farà perdere il contatto con il territorio e con le famiglie».
Così ha commentato i dati Lando Maria Sileoni, Segretario generale della Fabi, sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari. «Fino ad ora la chiusura degli sportelli ha prodotto degli esuberi per il personale di banca. Noi vogliamo impostare il confronto sul rinnovo del contratto di categoria proponendo un nuovo modello di banca. È vero – aggiunge –, le operazioni bancarie allo sportello sono diminuire del 40% negli ultimi due anni ma bisogna spingere sulla riconversione del personale con nuove attività , nuovi mestieri, un nuovo modello bancario. È necessario – ha quindi proposto Sileoni – che le banche abbandonino le vecchie politiche e che, invece, amplino la gamma di servizi, puntando, oltre che sulla tradizionale attività creditizia, anche sull’offerta di consulenze specializzata anche in materia assicurativa, pensionistica e fiscale».
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Lavoro | Commenta »
Aprile 21st, 2014 Riccardo Fucile
RUSPE AL LAVORO PER COSTRUIRE LA CIVITAVECCHIA-LIVORNO: CHILOMETRI DI AUTOSTRADA CHE INTACCHERANNO PARCHI, MACCHIA VERDE, CITTà€ ETRUSCHE… QUANDO SAREBBE BASTATO RADDOPPIARE L’AURELIA…. MA DIETRO CI SONO (I SOLITI) COLOSSI DELLE INFRASTRUTTURE
Le lenzuola bianche tracciano il percorso, sono come le briciole di Pollicino, basterebbe seguire “loro” per capire dove, quando e in che modo la Maremma è prossima a cambiare — per sempre — la sua fisionomia.
Sopra le lenzuola le scritte figlie dell’abbandono, della rabbia dei cittadini, della solitudine dei cittadini, delle non risposte della politica, l’ottusità della politica: “No al corridoio Tirrenico”; “No alla Sat”; “Pd vergogna”.
E via così, chilometro dopo chilometro, tra una ruspa, una scavatrice e una betoniera, una deviazione e un rientro di carreggiata, polvere ovunque, per buona parte dei 242 chilometri necessari a unire Civitavecchia a Livorno
“È una battaglia in solitaria — racconta Emma, una delle proprietarie prossime all’esproprio — e la portiamo avanti da decenni. Adesso, però, sembra realmente tutto finito. Siamo stati sconfitti”.
Pessimismo, con qualche ragione. “Non possiamo parlare, almeno credo — spiega uno degli operai durante il turno della mattina — comunque negli ultimi mesi abbiamo stretto i tempi di lavoro”.
Traduzione: è il momento di segnare il tracciato, di rendere irreversibile un processo partito alla fine degli anni Sessanta, a partire dal 1968, quando l’Italia viveva l’ultima eco del boom dei Cinquanta e scopriva cosa voleva dire contestare.
Scopriva le bombe, gli attentati, i morti, gli insabbiamenti.
Ma puntava ancora alla velocità su gomma.
Un’idea nata negli anni Sessanta Quarantasei anni di genesi, di grandi progetti, in parte mutati, cambiati per necessità , per oliare il sistema, non per rispondere alle aspettative dei cittadini.
Di miliardi da distribuire sempre ai soliti “e come spesso accade non è l’interesse generale a dominare le scelte infrastrutturali, ma la sete di guadagno di singoli gruppi industriali o finanziari, come nel caso della Livorno-Civitavecchia” spiega Roberto Cuda, autore del libro Strade senza uscita.
Ma per raggiungere certi traguardi è fondamentale la politica.
Accade così che Capalbio, paesino al centro del progetto e storica roccaforte della sinistra radical-chic, nelle prossime amministrative vivrà un aspro momento di scontro tra due liste. Peccato che sono tutte e due del Pd.
Peccato che sono tutte e due a favore del corridoio tirrenico.
“Da queste parti non si scappa — interviene Maria, cittadina di Capalbio — decidono loro, vogliono loro, ci imbavagliano. Ma c’è anche di peggio, vada a vedere chi c’è tra i protagonisti…”.
La signora Maria si riferisce ad Antonio Bargone, uomo di Stato “prestato” ai privati e con cognizione di causa. Ex deputato comunista, quindi Pds, quindi progressista, trova la sua perfetta collocazione parlamentare grazie a Romano Prodi che nel suo primo governo, epoca Ulivo, lo nomina sottosegretario per i Lavori pubblici, incarico poi confermato da Massimo D’Alema.
Caduto l’esecutivo presieduto dal lìder Maximo, Bargone diventa l’uomo giusto per l’incarico di amministratore delegato di Sat, Società autostrade Tirrenica Spa. Non solo, sempre a lui, il 15 settembre del 2009, viene assegnata la carica di commissario della Livorno-Civitavecchia: controllato e controllore nella stessa persona, alla faccia del conflitto d’interessi.
“Pagheremo tre volte” , urla un anziano che vive vicino a Tarquinia. Perchè? “Primo: ci devastano il paesaggio, secondo ci prendono le terre e crolla il valore degli immobili.
Terzo, una strada gratuita diventerà a pagamento, anche per i residenti. E senza alcun motivo. Ma lo ha visto il vecchio progetto?”.
Vecchio, nuovo, ancora vecchio diventato improvvisamente nuovo.
Dipende dalle stagioni, dalle necessità , dalla pecunia a disposizione, dal tempo che passa.
Sta di fatto che in questi quarantasei anni il tracciato ha subito varie evoluzioni. La prima ipotesi, sponsorizzata per decenni, era quella di costruire un’autostrada parallela all’Aurelia: tutti pronti ad asfaltare 13 Siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale, boschi e colline, i monti dell’Uccellina e la laguna di Orbetello, parchi e riserve naturali , alterare gioielli etruschi come Tarquinia e Vulci. Ovvi i dubbi generali.
Con la stessa Anas coinvolta nel presentare un progetto alternativo e di minore impatto paesaggistico ed economico: potenziare l’Aurelia e basta, con il costo di un solo miliardo. Niente da fare, e nonostante l’idea piacesse persino agli ambientalisti. Poi nel 2010 improvvisamente cambia tutto: il Cipe boccia il rimborso da 3,8 miliardi concesso ad Anas e Sat per la realizzazione del primo progetto, follia far pagare allo Stato l’intero importo.
Cosa accade, quindi? Che torna attuale la sovrapposizione dell’Aurelia, ma non come strada a quattro corsie (come diceva l’Anas), ma proprio un’autostrada, e un budget da due miliardi. Tutti finanziamenti a favore dei soliti di sempre, perchè Sat è in mano a tre grandi società : Holcoa (vari soggetti legati al mondo cooperativo), Vianco (Vianini Lavori Spa-Caltagirone) e Autostrade, quindi Benetton; ognuno dei tre possiede il 25 per cento, seguiti da Monte dei Paschi (15%) e Società autostrade Ligure Toscana (Gavio).
“Occhio alla ruspa”, urla un operaio nei pressi di Tarquinia, “non intralci il lavoro”.
Ci mancherebbe. Poco lontano Gassman e Trintignant sfrecciavano con la loro Aurelia verso Castiglioncello.
Era l’Italia del 1963, l’Italia del Sorpasso, quando l’asfalto era simbolo di progresso e le lenzuola servivano solo per vestire il letto di casa.
Alessandro Ferrucci e Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »