Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’INSULTO AI TEDESCHI: “PER LORO I CAMPI DI CONCENTRAMENTO NON SONO MAI ESISTITI”… MAURO: “SILVIO E’ L’UNICO CHE PORTA VOTI”
“Non lo volevo offendere ma apriti cielo, perchè i tedeschi, per loro, i campi di concentramento non sono mai esistiti. I campi di Katyn, invece, sì; quelli tedeschi, no”. Silvio Berlusconi, in conferenza stampa a Milano per presentare i candidati di Forza Italia, coglie l’occasione per offendere il tedesco Martin Schulz – presidente del Parlamento a Strasburgo ed esponente del Partito socialista europeo oggi candidato alla presidenza della Commissione Ue – e la Germania, accusando i tedeschi di revisionismo storico.
Ripete in pubblico la controversa gag al Parlamento europeo, in cui nel 2003, da premier, consigliò Schulz, allora capogruppo del Pse, un ruolo da kapò in un film sui campi di concentramento tedeschi.
Poi, rincara la dose e invita a non votare le forze che fanno parte del Pse, anche perchè, ripete, “lì c’è quel signore che si chiama Schulz, a cui io involontariamente ho fatto una campagna straordinaria, un signore che non ha grande simpatia non solo per Berlusconi, ma per l’Italia: dunque votare per la sinistra significa votare per lui”. Parole che fanno esplodere un nuovo caso diplomatico.
Per Schulz “Berlusconi è sinonimo di odio, invidia e litigio” ed è “scandaloso” che “le stupidaggini” di oggi siano state dette per vantaggio elettorale, un comportamento che “contraddice quello che l’Italia è: un Paese meraviglioso e con un grande popolo”. Interviene anche il presidente del Partito socialista europeo, Sergei Stanishev, secondo cui si tratta di dichiarazioni “spregevoli” che costituiscono “un insulto all’intero popolo tedesco” e per le quali ha chiesto ad Angela Merkel e al candidato del Ppe Jean Claude Juncker – la famiglia politica europea di riferimento, finora, di Forza Italia – l’”immediata condanna”.
E all’interno dell’Europarlamento c’è chi vuole la cacciata del partito di Berlusconi dalla destra che siede a Strasburgo. Hannes Swoboda, capogruppo dell’Alleanza dei socialisti e democratici (S&D) spiega che “Forza Italia non può più stare nel Ppe” perchè il suo leader “non rispetta gli standard minimi di educazione e comunicazione richiesti in una campagna europea”.
“Il Ppe — aggiunge — deve decidere se è ancora di centro o accetta estremisti”.
Per Swoboda è “surreale” che il Partito popolare europeo, che ha scelto il “conservatore moderato” Juncker per le elezioni europee, “continui a proteggere gente come Orban (il premier ungherese) e Berlusconi, nonostante tutto”.
Swoboda trova che i commenti di Berlusconi siano “nauseanti” e si domanda “cos’altro serva perchè Juncker e il Ppe agiscano”.
L’appello di Stanishev “ad Angela Merkel ed ai leader del Partito popolare europeo, compreso il loro candidato comune Juncker” è stato diffuso con una nota del Pse in cui si afferma che Berlusconi “facendo riferimento ai commenti di dieci anni fa, quando definì Schulz come ‘buono per il ruolo di kapò’ stavolta è andato persino oltre dicendo che ‘per i tedeschi i campi di concentramento non sono mai esistiti’”.
“Questi commenti — ha dichiarato Stanishev — sono un insulto per l’intero popolo tedesco, non solo per Martin Schulz. Di più, sono un cinico tentativo di distrarre l’attenzione dalla vere questioni in gioco in queste elezioni, come il bisogno di più lavoro e più crescita in Europa”.
Il Pse osserva inoltre che nel Congresso del Ppe del 6-7 marzo scorsi a Dublino “Berlusconi è stato uno dei sostenitori chiave della proposta di Juncker per diventare candidato” dei popolari alla presidenza della Commissione europea.
Nessuno dei popolari di Strasburgo ha voglia di commentare le parole di Silvio Berlusconi sui tedeschi e sui campi di concentramento.
Eppure i socialisti hanno chiamato in causa direttamente la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e tutti i leader del Ppe, compreso il candidato alla presidenza della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, chiedendo loro di “condannare i commenti indegni” rilasciati dal leader di Forza Italia che, ricordando di quando diede del kapò a Martin Schulz, ha detto che “per i tedeschi i campi di concentramento non sono mai esistiti”.
Come mai il Ppe non reagisce? “Berlusconi fa dichiarazioni sempre sul filo tra europeismo e antieuropeismo. Si tratta di dichiarazioni che possono diventare imbarazzanti per il Ppe al quale servono i numeri per vincere e dunque serve Berlusconi”, spiega Mauro, tre volte eletto al Parlamento europeo prima con Forza Italia poi con il Pdl, del quale è diventato capo della delegazione.
“Berlusconi ha ripetuto quanto aveva già detto, era sbagliato allora ed è sbagliato oggi. E’ sul destino dell’Europa che si gioca tutto. Europa affossata dai socialisti e da Berlusconi. Per questo motivo invito il Pse a pronunciarsi su quanto sta succedendo oggi in Ucraina e non sulle parole vecchie di Berlusconi”
Sulla vicenda è intervenuto anche il leader dell’Alde Guy Verhofstadt: “Quelle di Berlusconi sono dichiarazioni inaccettabili e gravissime. Il Ppe dovrà rispondere delle sue provocazioni”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
REPORTERS SANS FRONTIERES: IL RAKING 2014 DEL WORLD PRESS FREEDOM INDEX
L’Italia è un paese che ama indignarsi quando qualcuno ci inserisce in una posizione di retrovia in una delle classifiche che misurano qualsiasi parametro stilate da organismi internazionali.
Lo facciamo quando si misura corruzione, innovazione, produttività , formazione, ogni cosa.
Supponiamo di prendere una classifica relativa al 2014, vedremo dopo che cosa misura, e supponiamo che l’Italia si trovi al posto numero 49, ma che l’hanno prima fosse in posizione 57.
Che l’Italia si trovi dietro a paesi che dall’alto della nostra spocchia guardiamo con altezzosa superiorità come Estonia, Giamaica, Costa Rica, Namibia, Capo Verde, Ghana e altri ancora.
Casualmente di questa classifica si parla sempre poco e solo quando c’è qualche piccolo miglioramento, In passato se ne parlava strumentalmente dando la colpa di tutto a Silvio Berlusconi, ma tendenzialmente se ne parla poco o nulla per evidente vergogna.
Stiamo parlando di una delle garanzie di ogni Stato di diritto, sancita dall’articolo 21 della nostra Costituzione: la libertà di stampa.
Secondo Reporters Sans Frontieres l’Italia sta piuttosto male anche nel ranking 2014 del World Press Freedom Index che ci vede in miglioramento ma ancora nelle retrovie del mondo civile al posto numero 49, appunto.
Non sarà un caso che i paesi dove maggiore è la libertà di stampa hanno minori tassi di corruzione e maggiore tranquillità economica.
Leggete l’elenco dei primi 10 paesi in classifica e vi sarà tutto chiaro.
Quando si cerca di analizzare il perchè di questa grave situazione partono gli scarichi di responsabilità .
Per i giornalisti è colpa degli editori e dei politici. Per gli editori è colpa del sistema politico e delle difficoltà economiche.
I partiti della libertà di stampa in generale se ne infischiano, tutto grasso che cola per loro controllare per benino l’opinione pubblica.
I cittadini poi non devo neppure pensare che il prodotto che viene ammansito potrebbe avere qualche problemino e quindi dei rapporti di Rsf si tende a parlare pochino: molto meglio disquisire dei glutei di Belen o dell’ultimo tweet di Matteo Renzi.
Recentemente Beppe Grillo, a modo suo, ha riproposto il tema di fronte ai giornalisti italiani, forse è stato un po’ troppo aggressivo, ma nessuno ha voluto dare delle contro spiegazioni al fatto che in Italia la libertà di stampa stia così male.
E meno male che Internet sta distruggendo questi mostri mediatico giornalistici e sta dando spazio e forza a media liberi come quello che state leggendo in questo momento.
World Press Freedom Index 2014 Reporters Sans Frontieres
Posizione, Nazione, Punteggio, Variazione, ( Precedente Posizione, Precedente Punteggio)
1 Finland 6,4 0 (1 ; 6,38)
2 Netherlands 6,46 0 (2 ; 6,48)
3 Norway 6,52 0 (3 ; 6,52)
4 Luxembourg 6,7 0 (4 ; 6,68)
5 Andorra 6,82 0 (5 ; 6,82)
6 Liechtenstein 7,02 +1 (7 ; 7,35)
7 Denmark 7,43 -1 (6 ; 7,08)
8 Iceland 8,5 +1 (9 ; 8,49)
9 New Zealand 8,55 -1 (8 ; 8,38)
10 Sweden 8,98 0 (10 ; 9,23)
11 Estonia 9,63 0 (11 ; 9,26)
12 Austria 10,01 0 (12 ; 9,4)
13 Czech Republic 10,07 +3 (16 ; 10,17)
14 Germany 10,23 +3 (17 ; 10,24)
15 Switzerland 10,47 -1 (14 ; 9,94)
16 Ireland 10,87 -1 (15 ; 10,06)
17 Jamaica 10,9 -4 (13 ; 9,88)
18 Canada 10,99 +2 (20 ; 12,69)
19 Poland 11,03 +3 (22 ; 13,11
20 Slovakia 11,39 +3 (23 ; 13,25)
21 Costa Rica 12,23 -3 (18 ; 12,08)
22 Namibia 12,5 -3 (19 ; 12,5)
23 Belgium 12,8 -2 (21 ; 12,94)
24 Cape Verde 14,32 +1 (25 ; 14,33)
25 Cyprus 14,45 -1 (24 ; 13,83)
26 Uruguay 16,08 +1 (27 ; 15,92)
27 Ghana 16,29 +3 (30 ; 17,27
28 Australia 16,91 -2 (26 ; 15,24)
29 Belize 17,05
30 Portugal 17,73 -1 (28 ; 16,75)
31 Suriname 18,2 +1 (31 ; 18,19)
32 Lithuania 19,2 +2 (33 ; 18,24)
33 United Kingdom 19,93 -3 (29 ; 16,89)
34 Slovenia 20,38 +2 (35 ; 20,49)
35 Spain 20,63 +2 (36 ; 20,5)
36 OECS 20,81 -1 (34 ; 19,72)
37 Latvia 21,1 +3 (39 ; 22,89)
38 El Salvador 21,57 +1 (38 ; 22,86)
39 France 21,89 -1 (37 ; 21,6)
40 Samoa 22,02 +9 (48 ; 23,84)
41 Botswana 22,91 0 (40 ; 22,91)
42 South Africa 23,19 +11 (52 ; 24,56)
43 Trinidad and Tobago 23,28 +2 (44 ; 23,12)
44 Papua New Guinea 23,46 -2 (41 ; 22,97)
45 Romania 23,48 -2 (42 ; 23,05)
46 United States 23,49 -13 (32 ; 18,22)
47 Haiti 23,53 +3 (49 ; 24,09)
48 Niger 23,59 -4 (43 ; 23,08)
49 Italy 23,75 +9 (57 ; 26,11)
Vittorio Pasteris
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL 40% DI ELETTORI NEL 2013 HA TRADITO IL PARTITO PER CUI AVEVA VOTATO NEL 2008.. I FLUSSI ELETTORALI DI PD, PDL, M5S, NCD E FDI
Chi aveva scelto il centrodestra nel 2013 per il 59% preferisce Forza Italia mentre l’8% va al partito di Alfano
Le elezioni dello scorso anno sono risultate un vero e proprio terremoto politico. Secondo il Cise del professor D’Alimonte si è registrato il più elevato tasso di volatilità di sempre, ossia la percentuale di elettori che hanno modificato il proprio comportamento di voto rispetto alla tornata elettorale precedente.
Ebbene, nel 2013 quasi due elettori su cinque (39,1%) hanno cambiato la scelta del 2008, tradendo il partito votato allora.
È un dato che risulta ancor più eclatante se si considera il confronto internazionale: infatti analizzando le 279 elezioni legislative che si sono tenute in 16 paesi europei dal 1945 al 2013, il dato italiano dello scorso anno si colloca al terzo posto.
L’emorragia di voti dei principali partiti è stata davvero impressionante: il Pdl, che aveva trionfato nel 2008, ha perso 6,3 milioni di elettori; il Pd ne ha persi 3,5 milioni, la Lega Nord ha più che dimezzato il proprio elettorato perdendo 1,6 milioni di voti, e così via.
Il calo di voti dei principali partiti ha determinato anche una sorta di sconvolgimento nel profilo degli elettorati, facendo perder loro i tradizionali riferimenti sociali e mettendoli in forte difficoltà nell’individuare domande e aspettative e nell’elaborare nuove proposte.
Il Movimento 5 stelle, al debutto nazionale, si è affermato come primo partito ottenendo circa 8,7 milioni di voti.
L’analisi dei flussi elettorali, che consente di stimare gli spostamenti di voto da un partito ad un altro, ha messo in evidenza la straordinaria trasversalità del movimento di Grillo che lo scorso anno è stato capace di intercettare quasi in egual misura gli elettori delusi dai partiti di centrosinistra e di centrodestra e di richiamare al voto elettori che nel 2008 non avevano votato.
A poco più di un anno da quel terremoto è interessante verificare le dinamiche elettorali attuali, per capire se siamo in presenza di un perdurante «sciame sismico» oppure se le «scosse di assestamento» abbiano lasciato spazio a un nuovo equilibrio. Dall’analisi, effettuata su più campioni per aumentare l’affidabilità delle stime, emerge un livello di fedeltà ai partiti decisamente più elevato rispetto a quanto registrato lo scorso anno.
In particolare circa due terzi degli elettori del Pd e della Lega Nord appaiono propensi a confermare il proprio voto e il 59% degli elettori del M5S risulta fedele alla scelta del 2013.
Tra coloro che avevano votato il Pdl il 59% intenderebbe votare Forza Italia, l’8% Ncd e il 7% Pd.
Quest’ultimo è un dato davvero inedito, tenuto conto della tradizionale impermeabilità tra il partito di Berlusconi e il principale partito antagonista.
D’altra parte si è più volte sottolineato il grande appeal di Matteo Renzi presso l’elettorato di centrodestra e quello centrista.
Gli indecisi e gli astensionisti sono più numerosi tra le fila della sinistra (Sel e Rc 39%), di Fratelli d’Italia (27%), di Udc e Fli (26%) e del Pd (26%), a conferma del fatto che il nuovo corso renziano attrae sì nuovi elettori ma determina anche delusione in una parte di elettorato più tradizionale del Pd che al momento preferirebbe astenersi anzichè scegliere altri partiti.
I flussi di provenienza del voto di ciascun partito evidenziano infatti che tra quanti oggi voterebbero il Pd solo la metà (54%) aveva votato per lo stesso partito lo scorso anno: più bassa è questa percentuale e più elevata risulta la capacità di attrazione di nuovi elettori che, nel caso del Pd, si stima provengano soprattutto da M5S (13%), da Scelta civica (12%), dal Pdl (5%) ma anche da chi si era astenuto lo scorso anno (8%). Il movimento di Grillo ha una fortissima componente di elettori del 2013 (80%) e attrae in misura uguale elettori Pd e Pdl (4%).
Fi ha un elettorato concentrato tra gli ex elettori del Pdl (77%) e fatica ad attrarne di nuovi.
La Lega dopo il severo risultato dello scorso anno appare in crescita, attirando voti dal Pdl (15%) da Scelta civica (12%) e dal M5S.
Da ultimo, Ncd e Fdi, due partiti molto trasversali: il partito di Alfano al momento avrebbe un elettorato proveniente per quasi la metà dal bacino originario (31% da elettori Pdl e 15% da elettori Udc e Fli), per il 20% da Scelta civica, per l’8% dal M5S, per il 6% da Fdi e per l’8% da chi nel 2013 si era astenuto.
Tra gli elettori del partito di Giorgia Meloni solo un quarto proviene da elettori che avevano votato per Fdi nel 2013 mentre il 23% proviene da elettori Pdl, il 15% dal M5S, il 7% dalla Lega e ben 11% da astensionisti.
E analizzando le intenzioni di voto rilevate dopo le festività pasquali l’unica novità di rilievo è costituita dalla lieve crescita del consenso per Fdi che al momento si collocherebbe al di sopra della soglia del 4%.
Gli altri partiti presentano scostamenti minimi rispetto alla scorsa settimana: d’altra parte, è difficile immaginare spostamenti di voto di centinaia di migliaia di elettori in poco tempo.
E, ancora una volta, è opportuno ricordare che non si tratta della previsione dell’esito finale delle europee ma di stime: va tenuto in debito conto l’elevata incertezza che ancora permane, l’incognita dell’astensione e il fatto che le campagne elettorali servono a «smentire» le stime dei sondaggi, dato che ogni partito investe tempo, energie e denaro per mobilitare elettori e aumentare il proprio consenso, contraddicendo quanto i sondaggi fotografano nel corso della competizione.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
AJEESH PINK AMAVA IL CALCIO ED ERA AL SUO NONO GIORNO IN BARCA… DORA, LA MOGLIE DI JELESTINE VALENTINE, 45 ANNI, L’ALTRA VITTIMA, HA DETTO DI AVER GIà€ PERDONATO
Chi si informa su Bloomberg e Bbc non vede la storia con gli occhi di Latorre e Girone, ma con quelli di Ajeesh Pink, un pescatore di 25 anni del villaggio di Eraiyumanthurai nel sud del Tamil Nadu.
Suo padre, dopo un incidente che gli portò via due arti nel 2003, morì.
Una brutta malattia portò via anche la mamma nel 2005 e Ajeesh fu costretto a lasciare la scuola a 14 anni per mantenere le due sorelle minori.
Viveva con la zia quando cominciò a lavorare nella pesca per portare il pane a casa. Amava il calcio e aveva un fisico da body builder.
Secondo il racconto dei suoi compagni di pesca, che va verificato in un processo, il 15 febbraio 2012 era al suo nono giorno sul peschereccio St Anthony. Come il timoniere, Jelestine Valentine, 45 anni, aveva chiuso gli occhi mentre il peschereccio purtroppo andava alla deriva.
Scambiato per una minaccia terroristica, secondo gli indiani, il timoniere è stato colpito per primo alla testa. Ayesh invece correva con gli altri sotto la pioggia di colpi quando fu colpito sul petto.
Secondo il racconto del suo capitano cominciò a sanguinare a destra poi cadde a terra gridando : “Mamma, mamma”.
La sorella più piccola aveva 17 anni e nell’intervista televisiva trasmessa da Bloomberg piangeva guardando una sedia di plastica con sopra la foto del fratello. Certo, le sorelle hanno ricevuto 189 mila dollari di risarcimento dall’Italia per ritirare la causa civile ma preferivano il fratello.
La moglie di Jelestine Valentine, 45 anni, si chiama Dora. Oltre ai soldi italiani ha ottenuto un lavoro al dipartimento della pesca del Kerala.
È cattolica e ha perdonato. È convinta della colpevolezza dei due marò ma non vuole che siano condannati.
Su quello che è accaduto il 15 febbraio del 2012 esistono due versioni.
Per il Governo italiano: “Alle ore 12 la petroliera italiana Enrica Lexie veniva avvicinata da un’imbarcazione da pesca, con a bordo cinque persone armate con evidenti intenzioni di attacco. I militari del battaglione San Marco in accordo con le regole d’ingaggio in vigore, mettevano in atto graduali misure di dissuasione con segnali luminosi fino a sparare in acqua tre serie di colpi d’avvertimento, a seguito dei quali il natante cambiava rotta”.
Secondo i pescatori indiani sul St Anthony dormivano tutti dopo una notte di pesca. La barca avanzava senza essere governata in rotta di collisione con la petroliera.
Il capitano Freddy Louis, ha raccontato di essere stato svegliato dal suono della sirena e di avere scoperto il timoniere Jelestine già morto.
Poi un ‘fuoco continuo a distanza di circa 200 metri’ avrebbe ucciso anche Ajesh.
Il rapporto — pubblicato da Repubblica — del capo del terzo reparto della marina italiana, inviato in India dopo l’incidente, non è molto favorevole ai marò.
Secondo l’ammiraglio Alessandro Piroli, le perizie balistiche eseguite dagli indiani davanti ai nostri Carabinieri, asseverano che “le munizioni sono del calibro Nato 5,56 mm fabbricate in Italia”.
Il proiettile tracciante estratto dal corpo di Valentine Jelastine è stato esploso dal fucile con matricola assegnata al sottocapo Andronico.
Il proiettile estratto dal corpo di Ajiesh Pink è stato esploso dal fucile con matricola assegnata al sottocapo Voglino”.
Insomma, un caso ancora molto complesso.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
SANTANCHE’: “BERLUSCONI HA INTORNO DEI CRETINI”… NUOVI ATTI DEPOSITATI AL RIESAME DI NAPOLI
Nicola Cosentino e il drappello dei suoi fedelissimi in Senato non volevano arrendersi. Mandavano ultimatum al Cavaliere attraverso Denis Verdini.
Chiedevano la candidatura alle europee per Nicola e le poltrone dei vari coordinamenti provinciali. Nick ‘o mericano ordinava ai suoi senatori: “Andate da Berlusconi 4 o 5 di voi, ditegli o si fa così oppure significa che noi ce ne andiamo, mo’ ormai i senatori valgono dieci volte tanto. O ci date tutti i coordinatori provinciali oppure qua va a picco tutto”.
Non solo. Negli ultimi mesi elaboravano una strategia di dissenso da Forza Italia “su scala nazionale”, immaginavano un gruppo “di 24, 25 senatori” nelle chiacchierate con Raffaele Fitto, si confrontavano proprio con l’attuale capolista Fi nel Mezzogiorno, sulle fratture esplose nel partito del Cavaliere.
Trenta pagine fitte di conversazioni; tutte recentissime, datate gennaio, febbraio o marzo scorso. Cosentino al telefono con D’Anna, con l’inseparabile “socio” Denis Verdini, con Daniela Santanchè. Sono i nuovi atti depositati al Riesame di Napoli dai pm Antonello Ardituro, Francesco Curcio e Fabrizio Vanorio per dimostrare che l’ex sottosegretario Pdl deve restare in carcere e che il suo potere non è finito.
A detta del senatore Enzo D’Anna che chiedeva la vicinanza del parlamentare pugliese al caso Campania, Fitto li sosteneva e caricava, mentre ancora combatteva le resistenze del Cavaliere, e soprattutto del suo nuovo entourage, per conquistare la cima della lista sud alle europee. “Dopo il 10 aprile – avrebbe promesso Fitto, secondo ciò che riferisce D’Anna a Cosentino – Digli a Nicola che qui cambia tutta la strategia. Che, se ce ne andiamo adesso, questo ci fa passare per traditori e facciamo la fine di Alfano”. E Nicola, ascoltanto al telefono, approvava: “Ah no, quella non la dobbiamo fare”.
Numerosi gli sfoghi anche con la Santanchè, la quale gli dice: “Ma io lo so che tu sei un uomo con le p… Lo hai dimostrato con quello che hai fatto finora. Perciò allora tu devi andare lì, da Berlusconi, e devi dirgli chiaramente in faccia come stanno le cose… Perchè chi vuole bene a Berlusconi deve preservarlo da errori catastrofici, perchè se no qua tra un po’ non ci ritroveremo più nessuno. Perchè Berlusconi può anche avere intorno dei cretini, ma lui non è cretino”.
E Nicola adirato: “Ma io non riesco a incontrarlo, non me lo passano neanche al telefono … La sua corte me lo proibisce”.
In un’altra conversazione, l’instancabile Cosentino torna sull’argomento e spiega con una chiara metafora il suo allontanamento dal cerchio magico. “A Dudù non sto simpatico…dice che non mi vuole molto bene”.
E ride al telefono, alludendo in maniera inequivocabile al rapporto conflittuale che ormai lo oppone a Francesca Pascale, la first girl berlusconiana, napoletana, già consigliere provinciale a Napoli ai tempi di Cosentino “regnante”: come deputato, come leader regionale e come sottosegretario al fianco di Tremonti.
Tempi lontanissimi. Oggi è enorme, e pubblica, la distanza che separa l’allora potente proconsole campano dall’attuale fidanzata del Cavaliere. Proprio nella sua prima intervista politica a Repubblica, del 20 marzo scorso, Francesca Pascale aveva puntato il dito contro Cosentino, a suggellare il no contro l’ipotesi di un suo rientro: “Cosentino con il suo atteggiamento sta imbarazzando tutto il partito”, scandì Francesca.
Scatenando così l’ira pubblica di Cosentino.
Intanto, Nick era alla vigilia di un altro arresto e non lo sapeva.
Conchita Sannino
(da “la Repubblica“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE E I TIMORI DEI PARENTI DELLE VITTIME
Fin dalla tarda notte di giovedì Raffaele Guariniello ha analizzato ogni codicillo della decisione della Cassazione.
Poi ieri ha emesso la sua personale sentenza: «Sono molto soddisfatto. La Cassazione ha stabilito un principio molto importante: per la prima volta si riconosce che i colpevoli di un incidente sul lavoro siedono anche in consiglio di amministrazione»
Dottor Guariniello, i parenti delle vittime protestano. Che cosa risponde loro?
«Rispondo che hanno ragione a chiedere giustizia. Siamo al termine di una vicenda paradossale: noi ci abbiamo messo tre mesi a chiudere le indagini complesse su un dramma che ha scosso il Paese. Lo abbiamo fatto grazie a una preparazione specifica che si è accumulata nel corso del tempo alla Procura di Torino. Poi però ci sono voluti sei anni per arrivare al giudizio della Cassazione. Questa è una distorsione che va sanata. Lo dico a chi governa: a mio parere è necessario mettere mano a un sistema così. Per evitare che i tempi lunghi diano l’idea dell’impunità ai colpevoli e della giustizia negata alle vittime».
Nel processo Thyssen c’è il rischio della prescrizione dei reati?
«Quel rischio non c’è ma bisogna agire comunque in fretta. Per rispondere a una legittima domanda di giustizia da parte dei cittadini e dei parenti delle vittime. Io considero la Cassazione un punto di riferimento imprescindibile per la giustizia italiana. Dal 1988 mi leggo tutte le sentenze. Quante volte ho trovato scritto che un certo fatto era reato ma che non era più perseguibile perchè era passato troppo tempo? Ecco, questa è la distorsione da superare».
Che cosa la convince della sentenza della Cassazione?
«Il riconoscimento della colpevolezza di tutti gli imputati. Fino a poco tempo fa di fronte a un incidente sul lavoro ci si limitava a indagare sulla meccanica dei fatti e sul comportamento delle figure intermedie, capisquadra e capireparto, responsabili di quel tratto del processo produttivo. Ora invece si è riconosciuto che la responsabilità è anche di chi compie le scelte strategiche dell’azienda. Per questo dico che con questa sentenza il processo per un incidente sul lavoro entra per la prima volta nella stanza del consiglio di amministrazione».
Nel nuovo appello potrete chiedere pene più severe?
«Certamente e, se mi sarà assegnato, come mi auguro, l’incarico di seguire quel processo, credo che lo farò. Fino a ieri i reati ascritti agli imputati erano due (omicidio colposo e disastro colposo) e ora diventano tre».
Paolo Griseri
(da “La Repubblica”)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
DIETRO LE DICHIARAZIONI BELLICOSE, OLTRE GLI ULTIMATUM, AL DI LA’ DEI PATTI NON RISPETTATI, RESTANO TROPPI FRENI ALL’IDEA DELLE URNE
Dove potrebbe andare Berlusconi e dove mai potrebbe andare lo stesso Renzi? La verità è che nessuno – per interessi diversi – pensa oggi di sfidare la sorte, precipitando verso elezioni politiche anticipate.
Non le vuole il Cavaliere e neanche il premier, «l’unico a sperare che salti tutto è Grillo», dice infatti il vice segretario del Pd, Guerini: «Grillo soltanto, però. Non i grillini che stanno nel Palazzo»
Certo, l’incidente di percorso va sempre messo in conto, ma ai partiti di centrodestra e centrosinistra già basta e avanza la roulette russa del voto europeo, autentico spartiacque in questa fase di transizione, perchè in base al risultato saranno tracciati i confini del futuro sistema politico.
E a meno di non volersi consegnare ai Cinquestelle, sanno di essere condannati a fare insieme le riforme.
D’altronde c’è un’analogia tra l’attuale legislatura e quella passata alla storia come il «Parlamento degli inquisiti», ultimo atto della Prima Repubblica.
Allora le forze del pentapartito erano consapevoli che solo producendo riforme avrebbero potuto sperare di sopravvivere: non si erano mai visti deputati e senatori tanto operosi.
Ma quando il Pds decise di rompere gli indugi, pensando finalmente di conquistare Palazzo Chigi, al voto vinse Berlusconi.
È un precedente da tenere in considerazione.
E adesso che la Seconda Repubblica volge al termine, «solo con le riforme – come dice il coordinatore del Nuovo centrodestra, Quagliariello – si può confidare in una transizione morbida. Altrimenti…».
Perciò non è un caso se – dietro un surplus competitivo dovuto alla campagna elettorale – tanto Berlusconi quanto Renzi non sono interessati alla rottura.
«Vogliamo andare avanti», dice infatti il premier: «Non per durare ma per fare». Certo è piccato per l’atteggiamento del leader di Forza Italia, che però non ha rotto il patto del Nazareno – così si è affrettato a precisare – ma ha chiesto di «rivederne i termini».
E qui si entra nei «dettagli» a cui Renzi si mostra allergico, e che tuttavia fanno parte delle regole del gioco in una trattativa assai complessa.
Di sicuro non sono stati i «costituzionalisti» a far capire a Berlusconi che la riforma del Senato «così com’è non va bene», e che l’Italicum è «incostituzionale»: più semplicemente si è fatto (fare) due conti e ha capito che le due riforme sono per lui a saldo negativo, che soprattutto la legge elettorale «è tagliata su misura per Renzi. Troppo su misura».
E siccome la trattativa per Forza Italia è stata gestita da Verdini, la considerazione del Cavaliere ha fatto di nuovo levare nel movimento azzurro quel venticello sull’affinità elettiva tra il premier e il plenipotenziario forzista, anch’egli fiorentino, che avrebbe esortato il suo leader a non spezzare il filo – come fece a suo tempo con D’Alema e Veltroni – per non perdere di credibilità .
Di sicuro c’è che Berlusconi si sente ed è incastrato: se rompesse sulle riforme, romperebbe con una parte consistente dei suoi elettori (che le vuole) e con una parte altrettanto consistente del suo partito (che non vuole le elezioni).
Per certi versi anche Renzi è incastrato: la minaccia delle urne infatti è un’arma scarica, siccome l’Italicum – che ancora non è nemmeno legge – è inservibile perchè è stata pensata per una sola Camera, e il Consultellum lo costringerebbe quasi certamente dopo il voto alle larghe intese. Eppoi, come ai tempi del «Parlamento degli inquisiti», deputati e senatori faranno di tutto pur di non venire rottamati in anticipo.
Ma la sortita del Cavaliere non ha solo infiammato la campagna elettorale, ha anche prodotto un paradosso politico, perchè – come sostiene Quagliariello – «con la sua nuova posizione, che è strumentale e in quanto tale inaccettabile, sui contenuti delle riforme Berlusconi si è portato sulle nostre posizioni».
Che il Senato non possa trasformarsi in un «dopolavoro» l’aveva già detto proprio il coordinatore del Nuovo centrodestra, e fin dall’approvazione alla Camera il suo partito aveva chiesto di «modificare l’Italicum».
Si vedrà come si svilupperà la trattativa, quale tattica e quale tempistica adotterà Renzi, che nel suo partito incontra ancora forti resistenze ed è deciso a superare l’impasse con un passaggio ai gruppi parlamentari e in direzione.
Non c’è dubbio però che i protagonisti delle riforme non vogliono e non possono rompere.
La difficoltà di un’intesa non è dettata dalla vicinanza delle elezioni, sta piuttosto nel fatto che non si conosce l’esito delle elezioni.
Perchè i futuri rapporti di forza avranno un peso determinante nella conclusione della vertenza. Cosa accadrebbe, per esempio, se uno dei contraenti il patto dovesse fare crac?
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
“FORZA ITALIA NON ROMPE, DEVE RECUPERARE SU GRILLO”
Ne ha parlato soltanto con pochissimi e fidati. Ma il piano esiste, eccome. Se tutto dovesse finire nelle sabbie mobili, se Berlusconi si dovesse rivelare un ostacolo insormontabile sulle strade per le riforme, Matteo Renzi ha in già in mente cosa fare. «Non mi faccio cuocere a bagnomaria. Facciamo l’Italicum anche per il Senato e torniamo a votare»
Certo, per ora si tratta di una nube lontana, un’operazione rischiosa da adottare soltanto come extrema ratio.
Escluso che Renzi solleverà la questione oggi al Quirinale, nel colloquio che avrà con Napolitano.
Per il momento il premier ha ordinato di gettare acqua sul fuoco rispetto ai proclami bellicosi di Forza Italia. «Keep calm and carry on», come ha scritto in un sms.
Tanto più che, nei numerosi contatti di ieri tra palazzo Chigi e il quartier generale forzista, a Renzi è stato assicurato che solo di campagna elettorale si tratta.
Tanto è vero che la linea pacta servanda sunt è stata ribadita in serata da una dichiarazione alla camomilla di Giovanni Toti: «Nessuno può osare pensare che Forza Italia non rispetti i patti».
Eppure l’operazione Italicum di Renzi resta nei cassetti di palazzo Chigi, pronta a essere dispiegata nel caso le elezioni europee portassero il Pd a un risultato lusinghiero e la riforma della Costituzionale finisse impantanata.
La legge elettorale per il Senato sarebbe ricalcata su quella della Camera — ballottaggio compreso — ma per venire incontro al Nuovo centrodestra le soglie di sbarramento interne alle coalizioni sarebbe abbassate al 4 per cento.
Perchè è chiaro che, se Forza Italia si sfilasse, il nuovo Italicum dovrebbe passare con i soli voti della maggioranza.
«Se Fi dovesse cambiare idea e tirarsi indietro — ha ribadito ieri sera Maria Elena Boschi — andremo avanti con la maggioranza, con i numeri che abbiamo». A quel punto, Napolitano permettendo, sarebbe solo un problema di convenienza elettorale. Votare a ottobre 2014 sarebbe possibile, anche se ovviamente durante il semestre europeo il capo dello Stato farà di tutto per non “regalare” al paese un’altra campagna elettorale.
Altra ipotesi sarebbe quella della primavera 2015. Entrambe le finestre elettorali darebbero comunque a Renzi la possibilità di ripresentarsi davanti agli elettori senza il pesante fardello di tagli — 17 miliardi — che la spending review prevede per il 2015.
Oltretutto sarebbe il prossimo Parlamento, a quel punto, a scegliere il nuovo presidente della Repubblica.
Il premier potrebbe contare su gruppi parlamentari più fedeli e meno a rischio di imboscate come quelle dei 101 che tradirono Prodi.
E tuttavia, almeno fino al voto del 25 maggio, questi discorsi restano tra le quattro mura dello studio del premier. Ora è il momento di concentrarsi sul presente ed evitare quella che Renzi con i suoi definisce la «bersanizzazione della campagna elettorale ». Ovvero la sindrome pericolosissima che prende il Pd quando i sondaggi sono favorevoli.
Quell’atteggiamento “abbiamo già vinto” che costò la vittoria a Bersani. Il premier è fiducioso sul risultato ma resta prudente. «Grillo inventa la storia della rimonta ma non è così. Comunque non dobbiamo mollare ».
Semmai i renziani iniziano a essere preoccupati per i sondaggi al ribasso del Cavaliere. Gli esperti elettorali democratici hanno infatti rilevato che ogni voto in uscita da Forza Italia, invece di andare all’Ncd, finisce per ingrossare il paniere del M5s.
Per cui una Forza Italia crollata al 16 per cento equivarrebbe a un M5S cresciuto oltre il 26 per cento. Un risultato che certo a palazzo Chigi nessuno si augura.
In ogni caso gli sforzi di Renzi e dei suoi collaboratori sono ora tutti concentrati a far rientrare la fronda interna al Pd, una ricucitura indispensabile per andare avanti.
Sms sono partiti in queste ore dal ministro Boschi, dal sottosegretario Delrio e dallo stesso Renzi indirizzati ai dissidenti. L’appello è: non offriamo sponde a Berlusconi, «evitiamo le divisioni». Ma il premier ha anche ammesso che il governo non si impiccherà su una settimana in meno o in più di discussione. Lo fa sapere in un giro di telefonate alle «teste calde» dem Lorenzo Guerini, il vice segretario: «I tempi slittano, è inevitabile. Il 16 maggio il Senato sospende l’attività . Però entro quella data potremmo chiudere in commissione. Il risultato politico ci sarebbe comunque».
La sinistra del Pd spera in questo allungamento dei tempi per cambiare il testo.
I dissidenti dem sono convinti che sia l’unico effetto positivo del caos scatenato da Berlusconi. «Togliere la riforma del Senato dalla campagna elettorale per le europee è un bene, così possiamo riprendere a parlare dei contenuti», osserva Felice Casson. Tutto questa apertura al dialogo non convince un renziano duro e puro come Giachetti, sempre più pessimista.
«Il nostro problema — confida — non è Berlusconi ma la minoranza interna. Si accaniscono sulla riforma del Senato ma è l’Italicum il loro vero obiettivo. Faranno di tutto per fermarlo».
Francesco Bei e Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Aprile 26th, 2014 Riccardo Fucile
“NON AIUTERA’ AD ASSUMERE, MA A SFRUTTARE”…. “NON CAMBIA NULLA, E ADDIO CAUSE DI LAVORO”
Lo scontro interno alla maggioranza ha distolto l’attenzione dai veri effetti sul campo del decreto lavoro.
Ad oggi, il testo è un ibrido che scontenta tutti (Ncd e Sc in testa), ma non mette di traverso nessuno. “Il decreto creerà occupazione”, si è difeso il ministro Poletti.
La cognizione delle novità arriva più dalle imprese che dai lavoratori. Il motivo è semplice: i destinatari sono i precari, milioni di persone con contratti “atipici”, fuori dalla rappresentanza dei grandi sindacati. Nessuno gliele ha spiegate.
DAL LATO IMPRESA
È un’arma. E come tutte le armi nelle mani sbagliate farà molti danni. Per le aziende serie, diciamo con un’etica, non cambia molto, anzi in parte peggiora la situazione, per le altre… molte imprese non vedevano l’ora di avere mano libera”.
La sintesi del decreto lavoro — lato imprenditori — è di Francesca, 31 anni, che da tre guida le filiali italiane di una grande multinazionale dell’abbigliamento con centinaia di dipendenti.
“Pochi giorni fa ricevo una chiamata dalla direzione — spiega al Fatto — mi avvisano che siamo al 21 per cento di contratti a tempo determinato sul totale dei dipendenti, bisogna scendere al 20 come prevede il testo del governo”.
Cosa comporta? “Che dovrò graziarne qualcuno mettendolo a tempo indeterminato e spremere all’osso tutti gli altri. Detto brutalmente: la riforma non mi aiuterà ad assumere nessuno, ma a sfruttare di più quelli che ho”.
In cambio, il testo introduce limiti al ricorso ai contratti atipici, fissando delle soglie sul totale dell’organico.
“La cosa incredibile è che per compensare la libertà di manovra fino a 36 mesi dei contratti a termine, si sono imposti questi paletti. Da una parte ti do mano libera, dall’altra ti impongo soglie arbitrarie. Come si fa a dire a un’azienda che da un giorno all’altro deve stabilizzare l’80 per cento dei dipendenti? Giustamente non si fidano delle imprese, ma così puniscono chi, come noi, era già vicino alla soglia e comunque non faceva più di 12 mesi di tempo determinato”.
È il paradosso di un testo che scontenta Ncd e Scelta civica che invece lo giudicano troppo blando sulla flessibilità in entrata.
Chiedono di liberalizzare ancora di più i contratti a termine con un numero maggiore di proroghe.
“Da me funziona così: entri con un contratto di 6 mesi, rinnovabile per altri sei. Finiti i due contratti, o scattava l’indeterminato o finiva il rapporto di lavoro — spiega Francesca —. Molte aziende, invece, alla seconda scadenza ti fanno stare a casa venti giorni e poi ti fanno un altro contratto. Il vantaggio è indubbio: perchè prorogano il contratto senza bisogno di motivarlo con la cosiddetta causale e nessuno può impugnarlo davanti al giudice del lavoro”.
“Certo ci fanno un favore — spiega Paolo, proprietario di una piccola azienda torinese che lavora nel campo dell’impiantistica industriale —. Prima potevo fare un solo rinnovo all’anno, adesso arrivo a cinque. È un modo per sfruttare il lavoro temporaneo, uno strumento che andrebbe maneggiato con cura, lo dico da imprenditore”.
La differenza, quindi, la fa soprattutto il fattore umano. “La mia è un’azienda di famiglia con 40 anni di esperienza, c’è tutto l’interesse a stabilizzare e fidelizzare i dipendenti — spiega Paolo —. Ma con la crisi non è facile. Io lavoro con la Fiat, vi lascio immaginare. Abbiamo picchi di lavoro e lunghi tempi morti senza commesse. Ricorrere ai contratti a termine è inevitabile. Assumere costa troppo, e da questo punto di vista il decreto non sposta di una virgola la situazione. È l’Italia del gattopardo”.
Eppure il testo è stato presentato quasi in concomitanza con l’uscita dei dati Istat sulla disoccupazione (al 13 per cento). “Il decreto non precarizza, anzi crea lavoro”, ha spiegato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
“L’occupazione si crea abbassando i contributi, cioè il cuneo fiscale, così si aiutano solo gli imprenditori a evitare grane, ma non ad assumere. A me fanno concorrenza le aziende dell’Est, un mio collega paga solo 300 euro di contributi al mese. Non c’è contratto che tenga”.
DAL LATO DI CHI CERCA
So che così è anche peggio di prima, ma, è triste dirlo, la percezione di chi è già precario è che non si possa peggiorare più di così”.
Aldo, romano, 29 anni, da 4 entra e esce da una grande azienda pubblicitaria con sedi in tutto il mondo. Le novità introdotte dal decreto lavoro lo lasciano quasi indifferente. Neanche le proroghe fino a cinque volte senza motivazione lo spaventano. “Lì si usa già di tutto, anche contratti di un mese e mezzo con ritenuta d’acconto. Dovresti lavorare da casa e invece ti chiedono di andare lì tutti i giorni. Se superi il numero di rinnovi o proroghe, ti fanno assumere da un’altra azienda, che però fa sempre parte del gruppo e si ricomincia”.
Una differenza rispetto a prima, però, riesce a intravederla: “Ad oggi ci sono persone che stanno in azienda da nove anni con contratti a termine.
Molte, esauste, alla fine hanno fatto causa. Adesso, senza obbligo di motivare rinnovo del contratto a termine sarà difficile appigliarsi a qualcosa. Ma gli espedienti si erano già trovati”.
Quali sono li spiega dopo essersi assicurato per l’ennesima volta l’anonimato: “Si accordano con il lavoratore, gli danno 500 euro e lui promette di non fare causa quando se ne va. Nello stipendio compare una voce fittizia, tipo ‘consulenza’ e tu te ne stai buono. Certo non possono mettere per iscritto l’accordo ma alla fine accetti e porti a causal’aumento una tantum”.
Aldo non è l’unico che non riesce a leggere le novità del decreto. Eppure gli esempi non mancano, a partire dall’apprendistato.
Il testo uscito dalla camera abbassa dal 30 al 20 per cento il vincolo all’assunzione degli apprendisti già sotto contratto: senza, non è possibile siglarne di nuovi.
“C’erano tre apprendisti nell’ufficio di Roma. Uno l’hanno cacciato, agli altri due hanno fatto un contrattino di sei mesi, mai rinnovato”.
“E’ curioso — spiega Luca, 30 anni di Modena, che lavora in un impresa di macchine agricole — dove lavoravo prima avevo un contratto di apprendistato, ma facevo le stesse cose degli altri impiegati, con le stesse responsabilità . Ce n’erano anche altri come me, ma solo uno è rimasto dentro. Però ci sarebbe la formazione, che da contratto è obbligatoria, e invece non l’ho mai fatta, nè io nè gli altri apprendisti in azienda. Ora il decreto lascia margine di libertà all’azienda se farla interna o affidarsi alla regione. Non so se sia un bene”.
Nella versione del testo uscita dalla Camera, l’impresa, in mancanza di un progetto formativo regionale entro 45 giorni dal contratto, può anche fare a meno della formazione.
Anche se gli sgravi sono legati proprio alla formazione “esterna” (e non sul lavoro). “Quindi è peggio, perchè il contratto verrebbe snaturato. Ma anche così, non mi sembra cambi molto, io non la facevo e gli altri neanche. Col tempo mi sono reso conto che è solo un contratto che gli permette di pagare meno contributi e risparmiare sui costi. In pratica cercano ‘apprendisti con esperienza’”, spiega Luca.
La flessibilità non lo preoccupa. “Ci sono abituato. Quando me ne sono andato in un’altra azienda, mi hanno fatto un contratto di sei mesi, poi uno di due anni mezzo, tutto entro la soglia dei 36 mesi. Alla fine non me l’hanno rinnovato. L’avvocato mi diceva: dai che gli facciamo causa, ma ho rinunciato. Inutile restare dove non ti vogliono. Ma io sono fortunato, vivo a Modena, dove c’è un tessuto produttivo che ti aiuta. Fossi nato in Sicilia o in Campania questo discorso non potrei farlo”.
“È normale che un giovane precario dica che per lui non cambia niente”. Spiega Luigi Marinelli, dell’Unione sindacale di base: “È la conseguenza del fatto che i sindacati li hanno lasciati soli”.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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