Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
I SECESSIONISTI VENETI INTERCETTATI, CASO PSICHIATRICO PIU’ CHE GIUDIZIARIO: “BISOGNA FAR SALTARE LE BANCHE, UNA PARTE DELLA POLIZIA STARA’ CON NOI”… ARRIVA IN SOCCORSO SALVINI
«Male che vada, ci troviamo a casa mia a tagliare il salame…». «No, più che tagliare il salame noi abbiamo bisogno di caricare i candelotti di dinamite!».
Non scherzavano gli “indipendentisti” veneti e padani mentre, tra un “pota” e l’altro, organizzavano la guerra per separare la Lombardia e il Veneto, ma anche la Sardegna e in seguito la Sicilia, dal resto dell’Italia.
LINGUAGGIO DA BR
“L’Alleanza”, così avevano chiamato il loro gruppo, utilizzando un linguaggio che stava a metà tra quello dell’osteria e quello delle Brigate Rosse: «Il nostro obiettivo è abbattere lo Stato….pota!».
Poi avrebbero separato comune per comune, paese per paese, campo per campo.
In un domino infinito di separatismi che nelle idee un po’ farneticanti dei 24 arrestati stamattina dai carabinieri del Ros di Brescia avrebbe dovuto portare alla nascita di un nuovo stato padano, armato e «autoritario».
Nelle intercettazioni non mancano spunti comici e qualche ingenuità , si ascolta l’esasperazione per le tasse troppo alte e si misura la disperazione per la crisi.
Ma, alla fine, c’è davvero poco da ridire. «Allora, Adalberto, sta attento a cosa dovrebbe succedere – spiega in una conversazione Giancarlo Orini, “il presidente”, il vero capo dell’organizzazione: «Bisogna far saltar le banche….Ci sarà una piccola parte di Carabinieri o della polizia che starà dalla parte degli insorti, poi una piccola parte sempre dei Carabinieri o della Polizia o della Guardia di Finanza che starà dalla parte dello Stato…la parte più forte che potrebbe essere l’esercito e gli altri che se ne stanno a guardare…staranno a vedere, stanno a vedere e si metteranno dalla parte dei vincitori, come è successo in altri paesi…».
«In Libia», risponde Adalaberto. «In Libia, esatto, zio porco…dai leggi, leggi, poi ci sentiamo».
IL NUOVO SODALIZIO
Da leggere è un’inchiesta del settimanale l’Espresso che parla della “milizia anti tasse del nord-est”. Eredi degli uomini che “fecero l’impresa” della Serenissima, piazzando il famoso “tanko”, ovvero un carrarmato artigianale sotto il campanile di San Marco a Venezia nel 1997, i seguaci di questo nuovo gruppo radunato sotto le insegne di “Brescia Patria”, aveva intenzioni molto più serie e non solo dimostrative.
Almeno così emerge dalla lettura degli atti che hanno portato in carcere alcuni personaggi noti e meno noti, ex militanti della Lega e “Serenissimi” tra cui l’ex parlamentare leghista Franco Rocchetta, detto “L’ideologo”.
Tra gli indagati Roberto Bernardelli, detto “Il Facoltoso” per aver finanziato il movimento con 3500 euro in contanti.
Poi ci sono altri personaggi sconosciuti, ma molto attivi sul fronte del secessionismo, fondatori di un vero e proprio gruppo clandestini armato, in grado di rifornirsi di pistole e mitra attraverso legami con la malavita albanese.
Associazione con finalità di terrorismo è infatti l’accusa contenuta nel provvedimento che disegna un quadro inquietante dei malumori più estremi del nord.
Da una parte, scrive il gip, «i dirigenti del nuovo sodalizio teorizzano e mettono in pratica un volto pubblico e legale di propaganda», vedi ad esempio l’ultimo referendum farsa per la secessione del veneto, dall’altra costituiscono «una struttura organizzativa segreta, con reclutamenti mirati, i cui veri fini non potevano essere divulgati.
Nel programma dell’organizzazione – prosegue il gip bresciano – si afferma la necessità dell’uso della violenza, al fine di provocare e guidare in armi una rivolta popolare, per giunger alla proclamazione della repubblica Veneta. Il nuovo sodalizio non ha un’azione simbolica o meramente dimostrativa, come nel maggio del 1997, ma al contrario ricerca armi leggere e progetta mezzi blindati effettivamente operativi e dotati di armi pesanti costruite ad hoc, con un piano che, pur avendo ancora di mira Venezia e altre città (tra le quali Brescia), stavolta prevede un’azione militare in senso proprio, con resistenza armata, per di più coinvolgendo al contempo un’ampia platea di manifestanti».
IL GOVERNO IN ESILIO
Il momento, insomma, era arrivato. : «Guarda che siamo noialtri che possiamo cambiare la storia…dal ’97 in qua tutti i tentativi politici c’è l’hanno fatta prendere in quel posto…Se qualcuno ha una soluzione migliore della nostra dammi l’indirizzo che mi metto subito a disposizione…» dice nel giugno 2012 Flavio Contin, proprio uno dei “Serenissimi” coinvolto nell’assalto del campanile di San Marco nel ’97.
All’epoca venne assolto dall’accusa di terrorismo e adesso è di nuovo indagato per associazione eversiva. ha riallacciato i contatti, è di nuovo attivo e di nuovo sogna una secessione armata.
Avevano anche il progetto di evitare la galera attraverso un rifugio all’estero, magari in Svizzera, dove sarebbe stato proclamato “il governo in esilio”. altri due indagati, fermati stamattina, Roberto Abeni e Corrado Manessi, spiegavano le basi teoriche: «Sappi che l’indipendentismo non è nè di destra nè di sinistra…è trasversale…noi siamo un movimento antica sta, alla Grillo, tanto per essere chiari…e soprattutto il nostro obiettivo è quello di abbattere lo stato italiano di cui non riconosciamo alcuna autorità politica….Che questo sia ben chiaro».
Terroristi, li definisce il giudice. E forse non si va lontano: « Quando semini un terrore del genere e qualcuno lo ammazzi davvero…allora vedrai che non c’è più nessuno che lo…lo sai, durante il processo di Torino delle Brigate Rosse…ci voleva la giuria popolare della corte d’Assise…non ne trovavano, li gambizzavano prima…à‰ storia!»
(da “la Stampa“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
VARATI SOLO 462 DECRETI ATTUATIVI DEI 1.277 NECESSARI… UN PAESE AUTO-AVVILUPPATO IN UNA MIRIADE DI LACCI E LACCIUOLI
Una cosa simile forse non potrebbe accadere nemmeno nell’isola di Atrocla, parto della fantasia del geniale scrittore polacco Alexander Moszkowsky, dove la burocrazia è talmente opprimente da tenere occupata tutta la popolazione per l’intera giornata e metà della notte a compilare moduli. In Italia, invece, succede tutti i momenti che un trasporto eccezionale deve andare via terra da una parte all’altra della penisola: ogni volta che si attraversa una frontiera regionale, si deve chiedere il permesso compilando gli appositi formulari.
Rigorosamente tutti diversi, ovvio, da Regione a Regione.
Come se l’Italia non fosse da un secolo e mezzo uno Stato unitario, ma una somma di staterelli qual era ai tempi di Cecco Beppe.
Ed è già tanto che l’autista non debba pagare ogni volta «un fiorino», come capita nel film «Non ci resta che piangere» a Roberto Benigni e Massimo Troisi, catapultati nel Medioevo, alle prese con un ottuso doganiere.
Fra le perle che in tre mesi e mezzo di audizioni ha collezionato la commissione parlamentare bicamerale per la Semplificazione presieduta da Bruno Tabacci, eccone una particolarmente brillante.
Simbolo non soltanto delle follie burocratiche, ma anche di come siamo riusciti a complicarci la vita scimmiottando il federalismo.
Folgorante è la metafora, contenuta nella relazione conclusiva approvata lunedì sera all’unanimità dai presenti, che paragona l’Italia al Gulliver di Jonathan Swift, imprigionato a terra dai tanti fili sottilissimi dei Lillipuziani. I quali, argomenta il rapporto, vanno sciolti uno ad uno se si vuole far ripartire il Paese.
Una immagine, peraltro, a cui ricorreva frequentemente anche l’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa.
La battaglia contro la burocrazia ha presentato in passato risvolti grotteschi, e risultati inesistenti. Se è vero che dal 1994 al 2008 a 5.868 misure di semplificazione hanno replicato 6.655 misure di complicazione, vale a dire 787 in più, sono servite a ben poco le norme successivamente varate nel tentativo di ridurre l’enorme macigno delle nostre leggi (già vent’anni fa Sabino Cassese sosteneva che fossero 150 mila, contro le 7.325 della Francia e le 5.587 della Germania).
Per Alessandro Pajno, che ha studiato a lungo la faccenda, «la riduzione dello stock normativo, che pure era un obiettivo importante, ha mostrato i suoi limiti e ha assunto un valore prevalentemente spettacolare ma non di sostanza riducendosi all’eliminazione di norme che non risultavano in concreto più applicate».
La tagliola è dunque calata inutilmente su 67.872 atti normativi di varia natura, già inutili.
Decisamente più importante è quello che continua a verificarsi tuttora.
Chi ha ancora negli occhi l’immagine della catasta di «350 mila leggi inutili» bruciate quattro anni fa in una caserma dei Vigili del fuoco con il lanciafiamme dall’ex ministro Roberto Calderoli, dovrebbe sapere che oggi, secondo i dati forniti dalla Corte dei conti alla commissione Tabacci, per ogni dieci norme abrogate ne entrano in vigore dodici nuove di zecca.
Senza che molte di esse, però, riescano mai a diventare operative: causa il gioco perverso dei decreti attuativi regolarmente dimenticati.
Si racconta nella relazione di cui stiamo parlando che al 4 febbraio scorso erano stati varati appena 462 adempimenti dei ben 1.277 necessari per mettere in moto le leggi approvate durante i governi di Mario Monti ed Enrico Letta.
Poco più di un terzo.
Il problema, dice il sottosegretario alla Presidenza Giovanni Legnini, è spesso legato alla previsione, contenuta nella norma uscita dal Parlamento, che quei decreti vengano emanati «di concerto» fra vari ministeri.
Previsione che molte volte «si rivela strumentale a rendere difficoltosa o impossibile l’adozione dell’atto, vanificando così tutte quelle norme che si limitano a rimandare a un successivo atto la definizione di determinate misure». Insomma, una tela di Penelope smontata senza neppure essere tessuta.
L’ex premier Romano Prodi ha ricordato un mese fa a Bologna che ci sono provvedimenti di liberalizzazione del primo pacchetto Bersani approvati nel 1997 che aspettano ancora le disposizioni essenziali per attuarle
«Le norme sempre più dettagliate, lungi dal rivelarsi efficaci», aggiunge la relazione della commissione Tabacci, «sono state fertile terreno di coltura per un contenzioso giurisdizionale arrivato a livelli insostenibili quando non di diffusi fenomeni corruttivi». Mentre «la complicazione normativa ha consentito alla struttura burocratica di sviluppare una efficace strategia difensiva per le responsabilità penali, trovando rifugio nella copertura legislativa».
Il tutto alla mercè anche di un regionalismo spesso dagli aspetti assurdi, come testimonia appunto il caso dei trasporti eccezionali. Referenti diversi, procedure diverse, perfino moduli diversi.
Lo sportello unico delle imprese, per dirne una. «Istituito nel 1998 e non ancora pienamente efficace», ha denunciato il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, indicandolo come esempio di «tortuosità e lentezza dei processi di riforma».
A cui contribuisce l’insensata frammentazione delle competenze, che determina anche costi e handicap competitivi astronomici per le imprese.
Con lo sportello unico pienamente funzionante, tutte le pratiche di un intero anno a carico del sistema produttivo si potrebbero risolvere con meno di dieci milioni, a fronte delle diverse centinaia spese oggi.
La Federdistribuzione ha calcolato che l’1,15% del fatturato del commercio si volatilizzi ogni anno per spese di burocrazia: 1,4 miliardi l’anno.
Mentre l’associazione dei trasportatori Confetra ha rammentato che secondo l’Ocse sono necessari in Italia mediamente 19 giorni per un’operazione di export, contro i 10 di Francia e Spagna, i 9 della Germania e addirittura i 7 dell’Olanda.
Ma non crediate che siano tutte rose e fiori quando invece le competenze regionali risultano meno coinvolte.
Perchè se quelle hanno certo complicato (e non poco) la vita di strumenti quali lo sportello unico, anche l’arretratezza tecnologica dell’amministrazione ci mette del suo. Su questo terreno si è perso un sacco di tempo per cose insensate: basta considerare che in vent’anni si è cambiato per ben quattro volte il nome dell’organismo pubblico che se ne deve occupare. Dall’Aipa, Autorità per l’informatica, si è passati al Cnipa, Centro nazionale per l’informatica, alla DigitPa, e infine all’Agenzia per l’Italia digitale.
La conseguenza è un confronto avvilente nella qualità della nostra infrastruttura con quella dei nostri concorrenti. Mentre l’agenda digitale, che avrebbe dovuto rivoluzionare i rapporti di cittadini e imprese con la controparte pubblica, per esempio mettendo in rete tutte le amministrazioni consentendo l’archiviazione di tutti i documenti solo in formato elettronico, è sostanzialmente al palo.
A un anno di distanza, dice un monitoraggio del Servizio studi della Camera, sono stati adottati solo 17 dei 55 adempimenti necessari. Inutile allora stupirsi di quanto ha denunciato davanti alla commissione Tabacci il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi, rammentando come già nel 2011 fosse stata «adottata una norma che sanciva il principio dell’acquisizione d’ufficio» dei documenti già in possesso delle pubbliche amministrazioni. «Peccato che, salvo lodevoli eccezioni», ha concluso, «la prassi degli uffici non si sia uniformata a questo principio».
Sergio Rizzo
(da il Corriere della Sera“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LAVORA PER AGGIRARE E LIQUIDARE OGNI MEDIAZIONE ISTITUZIONALE E PER INSTAURARE UN RAPPORTO DIRETTO CAPO-MASSA
La crisi ita liana sta pro du cendo uno dei feno meni poli tici più inquie tanti, oggi, in Europa: un
popu li smo di tipo nuovo, viru lento e nello stesso tempo isti tu zio nale.
Tanto più pre oc cu pante per chè emer gente non al mar gine ma nel cen tro stesso del sistema di potere.
Non dal basso (come avviene per i movi menti così eti chet tati) ma “dall’alto” (dal cuore del potere ese cu tivo, dal Governo stesso), assu mendo come vet tore (altro para dosso) l’unico par tito che con ti nua a defi nirsi tale.
E che fino a ieri ten deva a pre sen tarsi, a torto o a ragione, come la prin ci pale bar riera contro le derive auto ri ta rie e popu li sti che.
Mi rife ri sco al rozzo Stil novo intro dotto da Mat teo Renzi, con la con vin zione che non si tratti, solo, di una que stione di stile.
O di comu ni ca zione, come fret to lo sa mente lo si clas si fica.
Ma che tutto ciò che si con suma sotto i nostri occhi alluda a una muta zione gene tica del nostro assetto isti tu zio nale e dell’immaginario poli tico che gli fa da con torno, in senso, appunto, populista.
Se infatti per popu li smo si intende l’evocazione (in ampia misura reto rica) di un “popolo” al di fuori delle sue isti tu zioni rap pre sen ta tive e per molti versi con trap po sto alla pro pria stessa rap pre sen tanza (al corpo dei pro pri rap pre sen tanti ricon fi gu rati in “casta”), allora non c’è dub bio che Renzi ne inter preta una variante par ti co lar mente viru lenta.
E’ tipico di Renzi, da quando ha var cato la porta di palazzo Chigi, lavo rare per aggi rare e ten den zial mente liqui dare ogni media zione isti tu zio nale (a comin ciare dal Par la mento) per isti tuire un rap porto diretto capo-massa.
Le mani che di cami cia osten tate nei palazzi del potere (come fosse il lea der di un movimento di desca mi sa dos anzi chè pro ve nire da una tra di zione demo cri stiana di lungo corso e da uno dei più for ma li stici pezzi dell’establish ment quale è stato in que sti anni il Pd).
Il les sico da ricrea zione sco la stica, anche dove si parla di cose serie.
Il discorso al Senato – lo ricor date? -, volu ta mente sgan ghe rato, infor mal mente
invol garito, con quello sguardo per duto lon tano, nell’occhio delle tele ca mere per sembrare pun tato sull’intimità delle fami glie, comun que oltre i volti pre oc cu pati dei senatori seduti davanti…
Tutto allude a una volontà , espli cita, di far tabula rasa della “società di mezzo”, delle mol te plici strut ture di media zione del rap porto tra popolo e Stato, che siano le forme con so li date della demo cra zia rap pre sen ta tiva (il Par la mento in primo luogo), o quelle sperimen tate della rap pre sen tanza sociale e dei gruppi di inte resse (sin da cati, Con fin du stria, liqui dati tutti come con cer ta tivi).
E di ver ti ca liz zare quel rap porto sull’asse per so na liz zato dell’uomo solo al comando. Del “mi gioco tutto io”. Anche “quello che è vostro”.
Ora non c’è dub bio che in que sta spe ri co lata ope ra zione Renzi può con tare su un dato sacro santo di realtà , costi tuito appunto dalla macro sco pica crisi della Rap pre sen tanza. Dei suoi sog getti e dei suoi isti tuti, ben visi bile nei fatti di cro naca: nell’impotenza mostrata dal Par la mento a più riprese, dalla crisi che portò al governo Monti alle ver go gnose scene che accom pa gna rono l’elezione del Pre si dente della Repub blica.
Nel discre dito dei par la men tari (quasi tutti), dei con si glieri regio nali, degli ammi ni stra tori pro vin ciali e comu nali, giù giù a cascata lungo tutta la scala degli organi elet tivi, nes suno salvo.
Per sino nello sta tus dei pro ta go ni sti attuali: nes suno dei tre lea der che si spar ti scono la scena, da Grillo, a Ber lu sconi a Renzi stesso è un “par la men tare”.
Ma a dif fe renza di chi di quella crisi non ha voluto nep pur pren dere atto (la pre ce dente mag gio ranza Pd, che infatti si è andata a schian tare senza nep pure capire per chè), e di quanti (pochi) su quella crisi si arro vel lano per cer carne una uscita in avanti (noi della lista per Tsi pras, per fare un nome), Renzi ha deciso di quo tarla alla pro pria borsa.
E’ il primo che ha scelto con sa pe vol mente di capi ta liz zare sulla crisi degli ordi na menti rap pre sen ta tivi.
Per valo riz zare il pro prio per so nale ruolo nel qua dro di un modello di gestione del potere espli ci ta mente post-democratico. O, dicia molo pure senza temere di appa rire retrò, antidemocratico.
Fon dato su una forma estrema di deci sio ni smo, non più nep pure legit ti mata dai con te nuti, ma dal metodo. Deci dere per deci dere. Deci dere in fretta.
Anzi, fare in fretta anche senza deci dere, per chè comun que, quello che con terà al fine del con senso, non sarà un fatto con creto ma piut to sto il rac conto di un fare (Crozza docet)
Per que sto hanno ragione, ter ri bil mente ragione, gli autori del docu mento di Libertà e giu sti zia, lad dove denun ciano il reale rischio di un auto ri ta ri smo di tipo nuovo.
Basato sullo scon quasso dell’architettura isti tu zio nale e sulla rot ta ma zione dell’idea stessa di demo cra zia rap pre sen ta tiva, fatta con gio va ni li stica non cu ranza (con “stu den te sca spen sie ra tezza”, per usare un’espressione gobet tiana), nel qua dro di una par tita in cui l’azzardo pre vale sul cal colo, la velo cità sul pen siero.
E’ pos si bile, come temono (o spe rano) in molti, che Mat teo Renzi “vada a sbat tere”.
Che, come il cat tivo gio ca tore di poker costretto a rilan ciare con ti nua mente la posta ad ogni mano per duta, alla resa dei conti (all’emergere dell’ice berg som merso del fiscal com pact e delle decine di miliardi da pagare) fac cia default. Prima o poi.
Ma, appunto, dalla vici nanza di quel prima o dalla distanza di quel poi dipende l’ampiezza dei danni (irre ver si bili) che è desti nato a fare.
Den tro que sta for bice tem po rale, si gioca la pos si bi lità di costruire un’alternativa poli tica, di sini stra, par te ci pa tiva, non arresa ai vin coli euro pei, come vuole l’Altra Europa con Tsipras, e al malaf fare ita liano.
Anche solo una testa di ponte, per tenere quando si dovranno calare le ultime carte.
Marco Revelli
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
I GRUPPI SONO DIECI: I NEO-RIFORMISTI SI ORGANIZZANO CON SPERANZA, EPIFANI E BERSANI…I GIOVANI TURCHI SI ISOLANO E CUPERLO CONVOCA UNA CONVENTION CON NICHI VENDOLA
Lasciate ogni Speranza o voi ch’entrate. Speranza, con l’iniziale maiuscola perchè di nome fa Roberto ed è il leaderino del nuovo correntino generato dalla Babele democratica che quantomeno vorrebbe arginare, rintuzzare, raddrizzare “il pensiero unico renziano”.
Per dirla alla Bersani. “Evitare che Renzi faccia troppe cazzate”.
Addentrarsi nella minoranza del Pd è peggio che entrare nell’inferno dantesco. Non c’è pathos. Solo noia, più la fatica per orientarsi.
Viene in mente l’autocritica di Piero Fassino dopo la catastrofica sconfitta alle politiche del 2001 contro Berlusconi: “Abbiamo perso perchè siamo tristi”.
Fatte le dovute proporzioni, è più o meno la stessa situazione per la minoranza dem devastata dal tornado di Matteo Renzi, dalle primarie dell’Immacolata in poi. Civatiani a parte, le truppe che nel dicembre scorso raccolsero uno striminzito e inatteso 18 per cento attorno a Gianni Cuperlo oggi si dedicano prevalentamente a due attività : nei giorni dispari si frammentano, in quelli pari si mescolano
La riunione per organizzare la controffensiva
Nella sala Berlinguer è nato quello che con grande enfasi è stato chiamato correntone. Il problema è nella natura double face della conquista renziana.
Quella che è minoranza nel partito a livello parlamentare ha numeri più consistenza grazie ai nominati del Porcellum in piena era Bersani.
Di qui i circa cento tra deputati e senatori alla riunione iniziata alle venti.
Un’area riformista che assembla spezzoni delle vecchie correnti: bersaniani, ex dalemiani, ex lettiani (che però alle primarie erano renziani e oggi sono divisi, così dicono, in tre tronconi, roba da non crederci), ex giovani turchi (Stefano Fassina), ex fassiniani nel senso di Piero (Cesare Damiano), finanche fioroniani o ex popolari
Da Martina a Epifani: tutti insieme contro Matteo
A parole, l’obiettivo è ambizioso: dare un’anima riformista al Pd. Nei fatti, spiega uno dei partecipanti, c’è molto realismo: “Questo non è il momento di costruire nuovi leader, si tratta di organizzare un minimo di differenza rispetto al renzismo dominante”.
In pratica, prepararsi a una lunga marcia nel deserto. Anche per questo il capo scelto non provoca emozioni o sussulti. Speranza, appunto.
Unto direttamente da Bersani settimane fa.
I detrattori del giovane capogruppo sostengono si tratti di un renziano in sonno, il vero motore del complotto contro Enrico Letta.
In ogni caso, dialogante con l’attuale premier. E questo potrebbe depotenziare le minacce sui quattro fronti di scontro: lavoro, programmazione finanziaria (Def), Italicum e riforma del Senato.
Tre a presiedere: la De Micheli, Leva e Fornaro. In prima fila, il padre nobile dell’operazione: Guglielmo Epifani. Assente, invece, ma non in spirito, Pier Luigi Bersani.
Poi, in ordine sparso: il ministro Martina, Stumpo, D’Attorre, Amendola, Pizzetti, Damiano Fassina, Gasbarra, Martini, Zoggia, Pollastrini, Chiti, Manciulli, Manconi, Mucchetti. Lo stesso Speranza e persino Cuperlo.
Il tweet di Boccia: “Troppi spifferi nonostante il sole”
Strano destino quello di Cuperlo, ex dalemiano. Così come la parola che più rende l’idea di quanto sta accadendo nel Pd è straniamento.
Una volta divelto il potere della storica “Ditta” di derivazione comunista, si procede a tentoni, alla ricerca di spiragli più che di nuove frontiere.
Cuperlo si muove in solitudine e ieri è andato alla riunione dei riformisti pur conoscendo il retropensiero alla base del correntino.
Ossia contrastare e boicottare la convention che lo stesso Cuperlo ha convocato per il 12 aprile, aperta anche a Sel. Tra quelli che vanno per conto loro c’è anche l’ex lettiano Francesco Boccia, che ieri ha malignamente twittato: “Troppi spifferi nonostante il sole… nel Pd nascono nuove correnti. La rottamazione le moltiplica o si moltiplicano per la rottamazione?”.
La sinistra ai margini: rigurgiti ex dalemiani
Ieri sera, alla stessa ora, al Nazareno a Roma, sede nazionale del Pd, si sono riuniti anche i giovani turchi sopravvissuti agli sconquassi renziani: il ministro Orlando, Orfini, Verducci, la Velo, la giovane Pini e altri ancora.
In teoria, dovrebbero essere a sinistra del correntino, ma trattandosi soprattutto di ex dalemiani l’aspetto tattico viene prima di quello strategico.
I loro numeri sono più piccoli dei riformisti. Nel rispetto della tradizione frazionista, il loro avversario sembra più la fazione di Speranza che il premier.
Nulla di nuovo sotto il sole. Quel che resta delle vecchie correnti del Pd cerca di sopravvivere.
Per la serie: buonanotte sinistra.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LA CANDIDATA IMBAGLIONE E L’ASSENZA PER MALATTIA: IN LIZZA A LOIANO, MANCA AL LAVORO DA LUGLIO
Di giorno in malattia per il Comune di Bologna, di sera in giro per Loiano a fare campagna elettorale, tra comizi e danze in balera.
Va avanti così da oltre 8 mesi la campagna di Tamara Imbaglione, ex segretaria di Maurizio Cevenini, candidata a sindaco con la lista Loiano nel cuore (e il sostegno del Pd bolognese).
Un caso che ha insospettito molti tra i corridoi di Palazzo d’Accursio, dove Imbaglione lavora presso la segreteria di Luca Rizzo Nervo.
«Nulla di strano, ho subito due interventi, le attività politiche sono fuori dall’orario lavorativo», spiega la candidata, annunciando però che da lunedì chiederà l’aspettativa (non retribuita).
Ma il caso potrebbe ora creare serio imbarazzo nel Pd, che aveva già incassato mugugni per l’endorsement alla candidata civica.
È da maggio 2012 che Imbaglione lavora in Comune presso la segreteria dell’assessore alla Sanità e allo Sport: «Svolgendo principalmente mansioni di segretaria della Consulta per lo Sport e della Consulta sulla Bicicletta», spiega il suo sito.
A metà luglio, poco prima si iniziasse a parlare pubblicamente della sua candidatura, è andata in malattia per problemi di salute, ritornando in servizio solo per alcuni giorni a cavallo della fine anno.
Tutt’ora, dunque, per Palazzo d’Accursio la candidata sindaco è in malattia.
Nel frattempo però la sua campagna elettorale è andata avanti tra incontri e serate di autofinanziamento, aumentati soprattutto con l’approssimarsi del voto.
Sul web, tra social network e siti, sono tante le foto che testimoniano le iniziative elettorali degli ultimi mesi.
Comizi, incontri, conferenze, ma anche istantanee in cui la candidata balla il liscio, durante una serata danzante organizzata per raccogliere fondi per la lista civica benedetta dal Pd.
In Comune qualcuno se n’è accorto e ha cominciato a storcere il naso, ma la diretta interessata non vede nulla di strano nell’evolversi della sua corsa a sindaco.
«Ha avuto due interventi, l’ultimo a gennaio, quello che faccio per Loiano lo faccio la sera e posso farlo, è fuori dall’orario di lavoro.
La malattia dovrebbe finire venerdì, sempre se mi riammetteranno al lavoro», spiega Imbaglione, specificando più tardi che da lunedì ha comunque chiesto l’aspettativa.
Scorrendo la lunga lista di appuntamenti elettorali, in gran parte serali, ce n’è anche qualcuno pomeridiano che risulta confermato (come l’incontro con l’Auser alle 16 del 12 novembre).
Al convengo serale sulla sanità montana del 14 marzo scorso tra i relatori c’era anche Rizzo Nervo, che sul tema è di poche parole.
«Sono informato del fatto che ha avuto problemi di salute che le rendevano impossibile il lavoro d’ufficio – dice l’assessore – le regole sulla malattia sono inequivocabili, non spetta a me verificare il sussistere della malattia. Faccio l’assessore, non il medico del lavoro».
(da “il Corriere di Bologna”)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
IL COLLE: “AVEVA CHIESTO LUI DI ESSERE RICEVUTO”… FRA UNA SETTIMANA LA DECISIONE DEL TRIBUNALE: DOMICILIARI O SERVIZI SOCIALI
A poco più di una settimana dalla decisione del Tribunale sul suo destino prossimo, Silvio Berlusconi sale al Quirinale per incontrare Giorgio Napolitano.
Al centro del colloquio – inevitabilmente – l’agibilità politica del leader di Forza Italia. Deciso – spiegano fonti vicine al leader azzurro – a tentare qualsiasi strada per evitare un lungo periodo fuori dalla scena.
Una nota del Quirinale spiega che l’incontro è avvenuto in risposta ad una richiesta in tal senso avanzata dall’ex premier: «Il presidente della Repubblica Napolitano – recita il comunicato ufficiale del Colle – ha ricevuto questa sera al Quirinale il presidente di Forza Italia, Berlusconi, che aveva chiesto di potergli illustrare le posizioni del suo partito nell’attuale momento politico», si legge nella nota.
IL CONTO ALLA ROVESCIA
Il 10 aprile il tribunale di Milano deciderà se affidare Berlusconi ai servizi sociali o mandarlo agli arresti domiciliari.
La settimana scorsa il leader di Forza Italia, riferiscono fonti parlamentari azzurre citate dall’agenzia Agi, ha chiamato il Quirinale per parlare con Napolitano.
Era la vigilia dell’incontro tra il Capo dello Stato e il presidente americano, Barack Obama. In quell’occasione, l’ex premier ha illustrato al Capo dello Stato le sue perplessità sull’azione dell’Unione europea e degli Usa riguardo la crisi ucraina, comunicando al presidente della Repubblica informazioni legate ai suoi contatti diretti con Vladimir Putin.
Sempre in quell’occasione, l’ex presidente del Consiglio ha avanzato una richiesta specifica alla prima carica dello Stato: un incontro per parlare del percorso delle riforme e per illustrare, come informa in serata una nota del Colle, «le posizioni del suo partito nell’attuale momento politico».
Del resto Berlusconi, viene fatto notare, è il capo di una forza politica e in quanto tale qualsiasi richiesta di incontro non può rimanere inascoltata.
ITALICUM E RIFORME COSTITUZIONALI
Il leader azzurro ha varcato oggi il portone del Quirinale. Sul tavolo, il percorso delle riforme, la ribadita volontà di Berlusconi di appoggiare il “pacchetto” portato avanti da Matteo Renzi, a partire dalla legge elettorale e dalle riforme costituzionali.
Ma – spiegano fonti di Forza Italia – l’ex premier avrebbe anche manifestato al presidente della Repubblica tutta la sua preoccupazione in vista del 10 aprile. Berlusconi, spiegano fonti azzurre, mette in conto il fatto che sarà costretto per un periodo a dover fare i conti con la giustizia.
Ma l’ex capo dell’esecutivo vorrebbe conservare la sua agibilità politica, soprattutto in vista della campagna elettorale per le Europee e del percorso delle riforme in Parlamento.
Sarebbe interesse di tutte le istituzioni, compresa la carica più alta dello Stato, è il ragionamento, che il capo di una forza politica così importante e rappresentativa di quasi 10 milioni di voti, conservasse la possibilità di guidare il suo partito e di restare sulla “scena”.
«Dalla decisione del 10 aprile dipende non solo l’efficacia delle riforme in cantiere, ma la loro stessa legittimità », scrive oggi il “Mattinale”. «Sarebbe interesse di un presidente del Consiglio, che punti ad essere non una meteora fosforescente e acrobatica ma uno statista che ama l’Italia, porsi il problema in termini seri e gravi. E così il Capo dello Stato», aggiunge la nota politica azzurra.
L’AGIBILITA’ POLITICA
Ed è questa, spiegano i fedelissimi del Cav, la “causa” che Berlusconi sarebbe andato a perorare direttamente al Colle.
E che vorrebbe, almeno nelle intenzioni, sottoporre anche all’attenzione di Renzi, anche se al momento non è previsto, come conferma Giovanni Toti senza tuttavia escluderlo in futuro, alcun incontro.
Berlusconi è convinto che l’obiettivo da perseguire in questo momento è quello di arrivare al completamento dell’iter delle riforme.
La preoccupazione – sottolineano fonti di FI e che accomuna anche il Pd, che ne ha parlato nella riunione del direttivo oggi al Senato – è che con Berlusconi fuori dai giochi il patto con Renzi possa saltare.
Del resto, osserva un big azzurro, non mancano i mal di pancia nel partito, di chi vorrebbe che Forza Italia non sia più la “sponda” del governo e si differenziasse.
Ad acuire i malumori, poi, la partita sulle candidature Europee e le esclusioni di “peso”, che potrebbero, una volta uscito di scena il Cavaliere, portare Forza Italia a disattendere la parola data sulle riforme.
Ma l’ex premier tiene il punto. Pur consapevole che gli equilibri sono delicati. Questa mattina anche sul voto che abroga il reato di clandestinità gli azzurri si sono espressi in ordine sparso.
Ma dietro il comportamento in Aula si nasconde un malessere più profondo, dettato dai sondaggi che non sarebbero entusiasmanti e dall’elevata aleatorietà sul futuro del partito. Al di là dei contrasti sulle liste, c’è il problema dei fondi: in cassa non ci sono soldi, tanto che una parte dei dipendenti potrebbe dover ricorrere alla cassa integrazione. Poi c’è, sottolineano fonti del partito, il tema successione.
Berlusconi insiste col dire, ai suoi interlocutori, di non volere che i figli subiscano la stessa persecuzione di cui lui è vittima da vent’anni.
E, quindi, di non volere che scendano in politica. La questione si porrà , semmai, ragiona un azzurro della prima ora, quando si andrà al voto per le politiche.
Ma, riferiscono più fonti forziste, Barbara sarebbe sempre più tentata dal misurarsi e starebbe insistendo nel chiedere più spazio.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
I DEPUTATI DI FORZA ITALIA PENSAVANO A UNO SCHERZO QUANDO HANNO RICEVUTO LA MAIL DI BRUNETTA
Quando la mail proveniente dall’indirizzo del “gruppo Forza Italia-Pdl” alla Camera è arrivata a tutti i parlamentari azzurri in molti hanno pensato a uno scherzo.
Vista la data in cui è stata spedita: 1° aprile, tra le 19 e le 20. E soprattutto visto l’oggetto: “Per un Dudù act”.
Tanto che, per fugare ogni dubbio, Renato Brunetta ha pubblicato tutto il materiale sul sito della sua fondazione www.freefaudation.com.
Una valanga di slide per indottrinare i parlamentari sulla svolta animalista del partitone azzurro in vista delle europee. Con l’obiettivo di intercettare i voti animalisti.
Ben quarantadue pagine per spiegare cosa preveda il modello anglosassone, il modello americano, la normativa comunitaria, per fornire elementi sull’arretratezza del nostro paese.
E, gran finale, le parole d’ordine per un welfare a quattro zampe.
Le pagine sono firmare non da Silvio Berlusconi ma dalla zampetta di Dudù.
Suggestiva la premessa di Brunetta (o di Dudù) tesa a sensibilizzare i parlamentari azzurri, avvezzi come si sa, alla prosa più che alla poesia.
Eccola, in perfetto stile da partito dell’amore: “Gli animali domestici ci riempiono di affetto, ma non sempre sono ricambiati”.
E ancora: “Oltre alla compagnia e al conseguente benessere, specie in termini di umore, determinato dalla presenza di un animale in casa, soprattutto per le persone sole e anziane, significativo il caso della pet therapy, in cui la presenza di un animale agevola la partecipazione attiva dei pazienti alle cure mediche”.
Dunque, amare gli animali è giusto, fa bene.
E a questo punto, sostiene Dudù con piglio riformista, bisogna passare dalle parole ai fatti. Consapevole che l’interesse sulle questioni si misura dai capitoli di spesa, ecco la proposta di un “vero e proprio modello di welfare animale” “che non abbia, però, costi per lo Stato e in cui le risorse necessarie al finanziamento delle iniziative a favore degli animali siano reperite all’interno dello stesso settore tanto da un punto di vista pubblico (es. multe per chi non rispetta gli animali) quanto da un punto di vista privato (es. attraverso la stipula di polizza assicurative) partendo dal presupposto che l’amore incondizionato non ha prezzo”, slogan che evoca quello (del padrone di Dudù) sull’amore che trionfa sempre sull’invidia e sull’odio.
L’iniziativa, che secondo i sondaggisti è tutt’altro che banale sul fronte della caccia al voto animalista, si è prestata all’ironie di più di un parlamentare di Forza Italia.
Nel repertorio delle battute si va dal “ci chiameremo partito cinque stalle” all’“ormai, con Berlusconi interdetto, siamo nelle mani di Dudù.
Un dato di cronaca: nessuno ha sollevato obiezioni sul welfare animale del barboncino più famoso d’Italia.
Sul welfare dei proprietari degli animali, ovvero sul tema del mercato del lavoro e dintorni invece, Forza Italia appare più incerta.
Prima ha aperto al provvedimento Poletti, poi ha chiuso, ora attende. Chissà .
Il Dudù act invece è pronto, diffuso nell’unanimità del disinteresse dei parlamentari.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CLUB AZZURRO DI ROMA NORD DOPO I MAXI SCONTI DAI VETERINARI LANCIA LA NUOVA INIZIATIVA: “VOTO DI SCAMBIO? NO, AIUTO AGLI ANZIANI IN DIFFICOLTA'”
“Tutti i tesserati al nostro Club Forza Silvio possono usufruire di protesi dentali scontate al 50%”.
E’ la promessa di Vincenzo Leli, presidente del Club Forza Silvio XV Municipio, Roma nord, quartiere ritenuto tra quelli agiati, già noto per il progetto sul risparmio nelle cure veterinarie per gli animali domestici “azzurri”.
“Abbiamo deciso di affrontare seriamente le richieste di chi popola il nostro territorio, sempre più alle prese con la crisi, e di portare quindi avanti iniziative a sostegno non solo dei numerosi anziani, ma anche di tutte quelle persone che in difficoltà economica non riescono a curare i denti” spiega Leli.
Che aggiunge: “Abbiamo stipulato un accordo con uno studio odontoiatrico per offrire agli iscritti del nostro circolo dei prezzi abbordabili come mai prima d’ora sull’acquisto di dentiere e protesi mobili. Basta che gli anziani si presentino da noi. Il benessere psico-fisico è un diritto di tutti, a prescindere dalle possibilità economiche che si hanno a disposizione in tempi di forti difficoltà finanziarie. E poi la solidarietà si deve attuare con i fatti”
Ma non le sembra un voto di scambio?
“Assolutamente no, è solo per aiutare la gente del nostro quartiere che non ce la va a tirare avanti”, ne è convinto il presidente del club, 37 anni, dipendente Ama, “venite a vedere con i vostri occhi quante persone ci bussano per chiedere aiuti economici e benefici concreti”.
(da “Huffigntonpost“)
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Aprile 2nd, 2014 Riccardo Fucile
LANZA: “QUESTA VOLTA I MEZZI SONO PIU’ GROSSI E SPARANO DAVVERO”… CONTIN: “BISOGNA ESSERE REALISTI IN MANIERA FANATICA”
«Guarda che siamo solo noialtri che possono cambiare la storia… dal ’97 in qua… tutti i tentativi politici ce l’hanno fatto prendere in quel posto… Se qualcuno ha una soluzione migliore della nostra dammi l’indirizzo che mi metto subito a disposizione…», diceva il 15 giugno 2012 Flavio Contin, uno dei Serenissimi coinvolto nell’assalto al campanile di San Marco del 9 maggio 1997, all’epoca assolto dall’accusa di terrorismo e oggi nuovamente indagato per associazione eversiva.
Stavolta ha evitato il carcere perchè ultrasettantenne, ma molte sue parole intercettate dai carabinieri del Ros sono alla base degli arresti dei suoi presunti complici.
«Noialtri siamo sicuri di vincere», proseguiva Contin in quella conversazione. «Bisogna essere realisti ma in maniera fanatica, perchè sennò guarda, non ce la facciamo… perchè passa tempo… ed abbiamo due nemici: lo Stato italiano e il tempo a disposizione… Sì, davvero… Allora: o ci svegliamo fuori o molliamo tutto… e ci rassegniamo a diventare italiani… come gli altri… Basta, non c’è altra soluzione».
Gesti eclatanti
Uno degli indagati finiti in carcere, Tiziano Lanza, in un colloquio registrato in macchina il 27 gennaio 2013, spiegava a proposito del progetto politico secessionista da propagandare e proporre attraverso gesti eclatanti: «Se incidi il cristallo dell’indivisibilità … lo incidi… l’impatto mediatico sarà una roba bestiale… Niente tornerà più come prima, di questo sono convintissimo…. Dopo l’evento che faremo noialtri può darsi che obbliga lo Stato italiano, quello sì… ma prima di tutte quelle raccolte di firme e compagnia bella, bisogna che tu fai quell’azione lì… dura… violenta …».
Dalle frase captate dagli investigatori, l’obiettivo sembrava quello di evitare la galera attraverso il rifugio all’estero dove proclamare una sorta di governo in esilio.
A febbraio 2013 lo stesso Lanza confidava al figlio: «Lucio Chiavegato ( il leader dei Forconi del Nord, arrestato anche lui, ndr) è uno che vuole fare carriera politica… ma comunque grazie a lui ho conosciuto queste due persone qua che mi hanno raccontato la loro storia… Adesso c’è un progetto (…) Ci sono trenta gruppi di indipendentisti veneti… però ognuno fa per conto suo… e non sa chi è quello… quello più determinato… Adesso la situazione è molto diversa… c’è un’alleanza straordinaria… Piemonte, Sardegna, Brescia… perfino in Sicilia (…) Ma questa volta nessuno si farà arrestare… Quello che è chiamato Governo veneto non sarà qua ma sarà in un Paese neutrale , uno di questi in cui dobbiamo trovare appoggio… contattare il ministro degli Esteri di quel paese…».
Programmi d’azione
Altri due indagati fermati nell’operazione, Roberto Abeni e Corrado Manessi, sono stati intercettati al telefono il 21 giugno scorso, mentre Abeni raccontava: «Allora io gli ho detto “Sappi che l’indipendentismo non è nè di destra nè di sinistra… è trasversale… però tu sappi che noi non siamo qua… non siamo un movimento anticasta alla Grillo, tanto per essere chiari… e soprattutto il nostro obiettivo è quello di abbattere lo Stato italiano che noi non riconosciamo come… di cui non riconosciamo nessuna autorità politica nè morale e civile… Che questo sia ben chiaro, altrimenti…” (…) Il tuo obiettivo dev’essere quello di abbattere lo Stato italiano». Inquietanti, per gli inquirenti, suonano le parole con cui sempre Lanza svelava a una ragazza i programmi d’azione: «Intanto cominciamo con riprenderci quello che abbiam ripreso con la forza… Ma verranno a prenderci le teste di cuoio com’è accaduto nel ’97… Sì, è vero, potrebbe essere… ma questa volta sono i mezzi molto più grossi e sparano davvero… Volete venire lo stesso? Noi non dichiariamo guerra, ma se voi volete… Il monopolio della violenza ce l’avete solo voi… questa volta non si porteranno via la bandiera calpestata come hanno fatto nel ’97… Non ci manderanno i siciliani a prenderci… (…) Saremo noi che dalla Svizzera o da un’altra capitale europea che ci ospita… in conferenza stampa diremo quello che vogliamo… Ascolteranno anche i veneti… “ma sono veneti armati”… Contro uno stato di merda del genere cosa vuoi fare… c’è da stare solo alla regola del fucile…».
E ancora: «Io voglio arrivare a poter dire loro: Andatevene dall’Italia e chiedete perdono per 147 anni di crimini contro la nostra popolazione e di ruberie… andatevene e vivrete… rimanete e morirete… perchè noi instaureremo veramente il clima di terrore… sai come ci divertiremo… finalmente la mafia anche qua… finalmente il loro sistema importato anche qua… Ah, tu hai fatto un decreto legge … Cioè tu cos’è? Sei il giudice? Ah tu sei quello che ha firmato il pignoramento… Ah… Io so dove abiti… tuo figlio si veste sempre di rosso… tua moglie prima di andare via gli fa una bella carezzina sulla testina gialla… “io vi denuncio”… Tu cos’è che fai? … Quando semini un terrore del genere e qualcuno lo ammazzi davvero… o per lo meno lo segni bene… allora vedrai che non c’è più nessuno che… lo sai durante il processo di Torino delle Brigate rosse… ci voleva la giuria popolare della Corte d’assise… non ne trovavano, le gambizzavano prima… È storia».
Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera”)
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