Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
“QUELLI CHE HA INTORNO GLI RACCONTANO DELLE BUFALE”…”SE IL PROBLEMA E’ FAR ELEGGERE TOTI E RONZULLI POTEVANO DIRMELO, COSI’ GLI DAVO UNA MANO”
“Sondaggi negativi? Non credo che Berlusconi la pensi davvero così, è un pretesto suggerito da qualche consigliere. Le stesse cose le avevano dette Toti e Romani. Gli hanno fatto credere delle cose non vere, è stato influenzato e gli hanno raccontato delle bufale. Comunque non mi arrendo, continuerò a fare politica”.
Così l’ex ministro Claudio Scajola a La zanzara su radio 24, dopo l’esclusione dalle liste di Forza Italia alle elezioni europee.
Scajola parla mentre ha finito di raccogliere, dice “venticinque asparagi” nel suo orto. “Ma non voglio andare in pensione”, aggiunge.
E’ rimasto deluso umanamente da Berlusconi, chiedono i conduttori?: “Sì, sicuramente sono deluso da Berlusconi perchè alla fine la scelta era sua e se aveva qualche dubbio non si è confrontato con me. Non mi ha nemmeno telefonato per dirmelo, non se l’è sentita perchè non poteva raccontarmi la bufala che gli hanno raccontato. Sapeva che non reggeva in un confronto con me, non è il Berlusconi che ho conosciuto io. Ed è stato probabilmente costretto a fare questa scelta per garantire qualcuno da eleggere in questa circoscrizione. Persone che avevano paura di un mio successo elettorale. Ma se il problema è far eleggere Toti e Ronzulli potevo dare una mano, potevo essere utile. Ho ancora una capacità di mobilitazione”.
L’ex ministro ha parole dure anche nei confronti di Toti: “Sentirlo dire in televisione che il mio nome poteva essere un danno è stata una coltellata in una ferita, non me l’ha data neppure un avversario politico, nessuno. È arrivata da uno uscito ora da sotto un cavolo, uno che che fa il consigliere politico. Un’infamia”
“Non sento Berlusconi da due mesi- dice ancora Scajola- e quando ci ho parlato mi disse che la mia candidatura era una buona idea. Non capisco cos’è cambiato in questi mesi”.
“D’altra parte- aggiunge, riferendosi alle parole di Berlusconi- quali altri attacchi mediatici potevo ancora subire? E sui sondaggi ho fatto delle verifiche e sono tutti positivi, al contrario di quello che è stato detto a Berlusconi. E’ strano che nel mio partito siano garantisti con i condannati e non con me che sono stato assolto in un processo. Ho preso un calcio nel sedere dal mio partito, ma non vado con Alfano”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
E IL PARTITO SI SPACCA: PER IL GOVERNO IN ARRIVO IL SOCCORSO ROSSO TENUE
Sinistra e libertà è a un passo dalla frattura. Il partito di Nichi Vendola, finito nel mirino del premier, vive infatti ore travagliate.
Una fetta rilevante della pattuglia parlamentare di Sel, delusa dalla “svolta greca“ e dal matrimonio con la lista Tsipras, attende solo le Europee per mollare gli ormeggi.
E nel quartier generale renziano non si fa più mistero di lavorare all’allargamento della maggioranza. In fondo, è quanto sostiene in privato anche l’ex sindaco di Firenze: «Il cantiere è aperto »
Contano soprattutto i numeri. E a Palazzo Madama Sel può contare su sette senatori. Vitali, in un contesto così fluido.
Le prove generali si sono avute ieri, in occasione di alcune votazioni sul Def. La risoluzione che rinvia il pareggio di bilancio al 2016 su cui serviva la maggioranza assoluta di 161 voti – passa con 170 sì.
Otto senatori dell’opposizione – tra i quali cinque di Sel e due ex grillini – votano a favore.
Il Def, invece, ottiene il via libera con 156 voti favorevoli, con il no dei vendoliani
Ufficialmente nulla di strano, visto che il partito di Vendola sostiene compattamente la risoluzione.
In realtà , però, è proprio il leader pugliese a salvare in extremis l’unità della pattuglia. I malpancisti, infatti, avrebbero comunque sostenuto il rinvio del pareggio di bilancio, sancendo la frattura del gruppo.
La verità è che i contatti tra l’ala renziana di Sel e il quartier generale del Pd sono ormai molto avanzati.
A Palazzo Madama almeno quattro senatori vendoliani sono pronti a reclamare un progressivo ingresso in maggioranza.
E a Montecitorio i “dissidenti toccano addirittura quota quindici deputati. Sono gli stessi che un paio di mesi fa votarono un documento molto duro verso Vendola.
Tutto si consumerà dopo le Europee, perchè i renziani di Sel sono convinti – anche a causa di recenti sondaggi della lista Tsipras inferiori alla fatidica soglia del 4% – che l’esperimento greco sia destinato a fallire.
I rapporti umani, poi, sono ormai consumati. Anche per questa ragione non è escluso che un gruppetto di malpancisti possa decidere di lasciare il partito anche prima delle Europee.
Con loro potrebbero schierarsi anche alcuni ex grillini, primo passo di quel progetto di Nuovo centrosinistra osservato con attenzione anche dalla minoranza Dem.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
E NON SERVIRANNO A RILANCIARE I CONSUMI: UTILIZZATI PER PAGARE DEBITI E SPESE ARRETRATE
I presunti 80 euro in più che il governo di Matteo Renzi farebbe trovare nelle buste paga a fine maggio verranno spesi dal 53% degli italiani per pagare le spese arretrate e i debiti.
È quanto riporta un sondaggio Ixè pubblicato da Agorà su Rai Tre.
Solo il 29% degli intervistati li utilizzerà come risparmi, mentre il rimanente 18% per aumentare i consumi.
Altra sorpresa stamane: in una intervista a La Stampa, il presidente del Consiglio Matteo Renzi conferma che il bonus Irpef avrà “gradazioni diverse”, ossia che non a tutti saranno dati esattamente 80 euro (come anticipato ieri anche da noi, vedi tabella nella home page).
La formula “10 miliardi a 10 milioni di italiani” è sparita.
Ora i beneficiari degli 80 euro si riducono a 6 milioni, mentre agli altri verrà data una cifra ben più bassa (da 26 a 70).
Poi nell’intervista Renzi ammette che per quanto riguarda le coperture una parte sarà una tantum e non strutturale.
Per concludere con un’altra copertura ipotetica: “si è innescato un processo di revisione della spesa che si basa sull’utilizzo dell’innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione che ci consentirà di recuperare 6 miliardi quest’anno, 15-17 il prossimo e oltre 30 nel 2016”.
Tutto da verificare.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
BENE PD E CINQUESTELLE, RENZI PERDE TRE PUNTI
Il crollo di Forza Italia non si arresta. Il partito di Silvio Berlusconi scende sotto il 17% (16,8) e tocca uno dei suoi minimi storici.
È quanto riportato dai sondaggi Ixè pubblicati da Agorà su RaiTre.
Continuano a godere di buona salute invece il Pd, che si conferma il primo partito con il 33,5% delle intenzioni di voto e il Movimento cinque stelle, al secondo posto col 25,3%.
Non diminuisce il partito del non voto, anzi cresce, e si attesta al 45,2%.
La coalizione del centrosinistra avrebbe il 38,5% dei voti, mente la coalizione di centrodestra si fermerebbe al 31,3%.
Cala di 3 punti la fiducia nel presidente del Consiglio Matteo Renzi, che rimane comunque alta con il 55%.
Al secondo posto c’è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al 38%. Medaglia di bronzo per Beppe Grillo con il 28%.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX CAVALIERE PRIMA SI TRATTIENE E POI ATTACCA I MAGISTRATI: “CON ME FUORI, FAVORE ALLA SINISTRA”… E DOPO PASQUA ANDRà€ IN TV
Questo non è Silvio Berlusconi. Eppure questa è la sede di Forza Italia, quel bonario omone è Giovanni Toti e questa è la presentazione di decine e decine di candidati con Clemente Mastella dotato di chioma color ruggine e Corrado Guzzanti che non ripudia la “mignottocrazia”.
Questo non è Silvio Berlusconi, che prova a cucirsi la bocca per non essere sboccato contro i giudici, che celebra l’affidamento ai servizi sociali e poi, consumato il copione, un testo concordato con gli ansiosi collaboratori, non si trattiene: “Sappiamo come ci sia una corrente della giustizia che ha dichiaratamente finalità di intervento nella politica. Io non posso votare e non posso essere votato: è un aiuto per la sinistra”.
Questo sì, questo è Silvio Berlusconi: l’incontrollabile che con una parola fa svenire gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi che stanno lì, in ufficio, esanimi, a impilare carte per annullare la sentenza e scovare giustizia in Europa.
Ma il repertorio classico dura un attimo: stavolta, più che il consenso, Silvio rischia la galera.
E no, allora, questo non è Silvio Berlusconi. Perchè Roberto Gasparotti, assistente inquadratura di un ex Cavaliere stratega di immagini ingannevoli, corre verso il muro di telecamere e ordina di non abusare col primo piano: anche il cerone è sconfitto. Questo non è Silvio Berlusconi. Perchè Giovanna Del Giudice, tacchi a spillo da codice penale, è delusa, demoralizzata, quasi disperata per il viaggio da Napoli soltanto per rendere testimonianza: “Ma come? Io mi avvicino, lo saluto e la scorta mi respinge brutalmente perchè sono una donna e posso ingelosire qualcuno…”.
Ex meteorina al Tg4, assessore provinciale a Napoli, Del Giudice non capisce che i tempi sono andati, che Francesca Pascale è piuttosto possessiva: “Questa è discriminazione. Io ho un marito, due bambini e faccio politica”.
E Francesca è già infuriata per la presenza in Sicilia di Ylenia Citino, ex Uomini e donne, vecchia conoscenza del fidanzato.
Berlusconi l’atteggiamento di un pesciolino d’acqua dolce, dice cose che l’orecchio fatica a recepire e il cervello a interpretare: “In attesa che sia riconosciuta la mia innocenza, non posso che rispettare l’ordinamento e darò corso alle decisioni della magistratura, nonostante le ritenga ingiuste”.
Questo non è Silvio Berlusconi. Che accetta persino con gratitudine l’espiazione ai servizi sociali: “Mi ha fatto piacere. Ho sempre fatto attività di supporto a chi ha bisogno. Lo farò più che volentieri, cercherò di essere utile”.
Poi ci ripensa. Torna in se stesso: “È la prima volta in 20 anni che non sarò candidato nel voto europeo, a causa di un’ingiusta condanna della magistratura che favorisce in tutta evidenza la sinistra. E me ne rammarico”.
In quel momento, mentre Fitto sta per sonnecchiare e l’ex attrice Elisabetta Gardini cerca di ipnotizzare i fotografi, la sedia di Toti sembra ricoperta di chiodini: l’ex direttore Mediaset fa uno sforzo di anca per abbracciare il tavolo, spinge la schiena indietro, s’agita verso sinistra, verso destra.
E forse vorrebbe gridare: Silvio, così ti sbattono dentro. E Silvio, che deve recitare la castità eversiva, non molla il giochino: “Qualcuno può arricciare il naso davanti a questa espressione. Ma se andate a vedere il vocabolario, colpo di Stato si ha quando un governo eletto dal popolo viene sostituitoda un governo nominato senza passare per le elezioni. Negli ultimi vent’anni ne abbiamo avuto 4”.
Nessuna illusione. Sono brandelli di un discorso, noioso, che con prudenza gira intorno a pareggio di bilancio, vincoli europei, moneta unica.
Un discorso che sarà replicato in tv la settimana prossima con una serie di interviste. Poi evoca i patti di riforma con Matteo Renzi, che tratta come se fosse il fantasista olandese di un Milan ormai archiviato, un ragazzo di talento che vorrebbe in squadra, e invece gli tocca il baciamano a Iva Zanicchi: “Ho proposto l’elezione diretta del presidente della Repubblica”.
Son vent’anni che lo ripete. E da vent’anni portava con sè Claudio Scajola: “Una scelta molto dolorosa”. Ma l’ex ministro ha scoperto che l’hanno escluso perchè i suoi voti ostacolavano la riconferma di Licia Ronzulli e Lara Comi: “Cosa le posso rispondere, caro mio. Ho avuto la sensazione — spiega — di aver un grosso seguito in Liguria e Piemonte e questo successo preoccupava i miei colleghi di partito”.
Quello non era Berlusconi.
Ma questo Scajola non scherza mica.
Carlo Tecce
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
OGNI PARTITO MANTIENE IL SUO DRAPPELLO DI SOSPETTI MAFIOSI, CORROTTI E MANGIATORI DI SOLDI PUBBLICI
Quanti impresentabili, nelle liste per le prossime elezioni europee.
Forza Italia candida Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo Canavese, Comune sciolto per mafia. Secondo la Direzione distrettuale antimafia, Bertot sarebbe il beneficiario del voto di scambio mafioso organizzato dal suo segretario comunale in combutta con un imprenditore calabrese e i vertici della ‘ndrangheta di Torino (già condannati per voto di scambio).
Guido Podestà , presidente della Provincia di Milano, è a processo per le firme false presentate a sostegno del listino Formigoni alle Regionali del 2010.
Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi è sotto inchiesta per abuso d’ufficio a Tempio Pausania per la nomina del presidente dell’Autorità Portuale di Olbia.
Giampiero Samorì, candidato di Forza Italia nel Nord Est, è accusato di associazione a delinquere insieme ad altri imprenditori per la bancarotta della Banca Tercas.
Fratelli d’Italia candida Agostino Ghiglia, condannato nel 1986 a nove mesi di reclusione senza condizionale per un’aggressione a due studenti fuori dal liceo Volta di Torino.
Si autocandida il fondatore del Movimento Bunga Bunga, Marco Di Nunzio, indagato a Mantova per firme false.
È candidato anche Davide Vannoni, inventore del metodo Stamina e sotto indagine per la sua gestione del trattamento per le malattie neurodegenerative. A metterlo in lista il movimento politico Io cambio-Maie (Movimento associativo italiani all’estero).
Forza Italia candida, al Sud, Clemente Mastella, che nei giorni scorsi è stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, in qualità di capo di un partito considerato alla stregua di un clan.
Raffaele Fitto, ex ministro ed ex presidente della Puglia, in primo grado è stato condannato a 4 anni di reclusione per corruzione , illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio.
Anche il molisano Aldo Patriciello è un condannato in via definitiva a 4 mesi per finanziamento illecito.
Il Nuovo Centro-destra candida Lorenzo Cesa: arrestato nel 1993 e condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nello scandalo Anas (mazzette per 30 miliardi di lire) e poi salvato da un cavillo e dalla prescrizione.
Poche settimane fa Cesa è stato coinvolto nell’inchiesta di Napoli sulle mazzette agli ex vertici di Finmeccanica.
Giuseppe Scopelliti, dimissionario presidente della Regione Calabria, è stato condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.
Paolo Romano, presidente del consiglio regionale della Campania, è indagato per peculato, per rimborsi non documentati per circa 22 mila euro.
Per Fratelli d’Italia corre Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, indagato per finanziamento illecito ai partiti per un appalto relativo a un sondaggio sulla qualità dei servizi scolastici.
Antonio Iannone, presidente della Provincia di Salerno, è indagato per la gestione dell’Asl e del Cofaser.
Il Partito democratico candida, al Sud, Andrea Cozzolino. Non è indagato, ma su di lui di recente Roberto Saviano ha scritto un tweet al veleno, ricordando che il Pd non ha mai fatto chiarezza sui presunti brogli che avvelenarono le primarie per il sindaco di Napoli del 2011, vinte dal rampollo di Bassolino e poi annullate da Bersani.
Nicola Caputo, consigliere regionale della Campania, è invece finito nello scandalo dei rimborsi allegri per una fattura di circa 21 mila euro.
Anna Petrone, consigliere regionale della Campania, è indagata per peculato nell’inchiesta sui rimborsi facili, per una somma di circa 11 mila euro.
Giosi Ferrandino, ex sindaco di Casamicciola e attuale sindaco d’Ischia, è stato raggiunto da una richiesta di rinvio a giudizio per la vicenda della costruzione di una caserma forestale nel bosco della Maddalena, a Casamicciola, su una particella catastale diversa da quella che era stata originariamente destinata dal Comune.
Andrea Giambartolomei, Vincenzo Iurillo e Diego Pretini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
RACCOMANDATA AI RENZIANI DALL’AMICA MANSI, LA NUOVA PRESIDENTE DELL’ENI MANDAVA IL FIDO APICELLA A TRATTARE CON L’AMICO DI SCARONI
Ci sono flash intriganti nel day after di Emma Marcegaglia alla presidenza dell’Eni.
Il primo è la gioia di Antonella Mansi, presidente della Fondazione Mps: “Sono felicissima. È stata la mia presidente in Confindustria ed è una persona con cui non ho mai perso i contatti”. Nel 2008 furono incoronate insieme, Antonella alla presidenza di Confindustria Toscana, Emma al vertice nazionale.
Qualcuno è convinto che proprio la banchiera di Siena abbia aperto per l’amica di Mantova le porte del cerchio magico renziano, al quale è legata.
Il secondo flash è datato 9 ottobre 2010. Mansi dichiara “piena solidarietà e fiducia a Emma Marcegaglia”, che, sintetizzava Repubblica, “si sospetta fosse oggetto di ricatto da parte del Giornale di Vittorio Feltri per avere attaccato il governo”.
Era uscita la famigerata intercettazione tra il vicedirettore del quotidiano berlusconiano, Nicola Porro, e il portavoce di Marcegaglia, Rinaldo Arpisella.
Il giornalista minacciava con tono paradossale una sorta di “trattamento Boffo” come ritorsione per un’intervista mancata. Arpisella reagiva con una lezione di vita: “Ti parlo da amico… Ci sono sovrastrutture che passano sopra la mia testa, la tua testa, (…) che ci pisciano in testa, non ci considerano neanche. Ma tu non sai che cazzo c’è altro in giro (…) il cerchio sovrastrutturale”
Tenete a mente il “cerchio sovrastrutturale” e passiamo al terzo flash.
Il giornalista e senatore Massimo Mucchetti dice sul Corriere della Sera a proposito dell’Eni: “Il rinnovamento è nelle mani del presidente Marcegaglia. Forza Emma, fatti dare il riporto dell’audit negato al tuo predecessore Giuseppe Recchi. La responsabilità sull’audit serve ad aprire i cassetti. Per esempio quelli della sede di Mosca”.
Difficile dire se questa attesa di Emma giustiziera dei rapporti passati tra il silurato Paolo Scaroni e il regime di Vladimir Putin sia convinta o ironica.
In ogni caso impone una ricognizione dei rapporti tra Marcegaglia e il mondo di Scaroni e del suo sodale Luigi Bisignani.
Quarto flash. Il suddetto Arpisella, un mese prima della telefonata con Porro, chiama Bisignani che lo sgrida con autorevolezza – quasi fosse al centro del “cerchio sovrastrutturale” – per una lettera scritta malamente dalla presidente di Confindustria per raccomandare qualcuno presso un’istituzione di Londra.
Bisignani sentenzia che la manager mantovana “assieme a quello di Siena ha fatto una cacata pazzesca”.
Lo stesso Arpisella ha raccontato ai magistrati napoletani, che avevano arrestato Bisignani per l’inchiesta P4, di averlo incontrato “agli inizi del 2010 per risolvere una diatriba interna a Confindustria tra le grandi aziende pubbliche del settore energetico fornitrici (e quindi chiamate monopoliste come Eni ed Enel) e le altre aziende associate fruitrici. Ne parlai con Bisignani per favorire una ricomposizione delle tensioni in atto e lui si riservò di parlarne con Scaroni, cosa che avvenne in quanto la cosa rientrò”.
Se proviamo a unire i puntini viene fuori che l’unica cosa vera che ci hanno raccontato sulla nomina di Marcegaglia alla presidenza dell’Eni è la sua appartenenza al genere femminile.
Per il resto il suo profilo appare come l’ideale punto di compromesso tra le tre esigenze forti in campo.
La prima, una caratura renziana, di cui sono garanti Mansi e i suoi amici.
La seconda, una sufficiente affidabilità per Scaroni ed eventuali cerchi sovrastrutturali al suo fianco: hanno già subito un defenestra-mento a cui non hanno creduto fino all’ultimo (e di cui bisognerà dare merito a Matteo Renzi), gli è stato risparmiato un presidente con la tentazione di aprire i cassetti.
La terza, contenuta nella seconda, non tirare troppo la corda con Silvio Berlusconi affidando i rapporti energetici con l’amico Putin a un presidente troppo innovativo.
Che Marcegaglia sia un’imprenditrice innovativa non lo sospetta nessuno. La sua azienda è stata condannata nel 2008 per aver pagato tangenti a un dirigente Eni in cambio di commesse, e suo fratello Antonio Marcegaglia ha patteggiato undici mesi di reclusione con la condizionale per corruzione.
E proprio ieri è scoppiata la protesta dei lavoratori della stabilimento Build Tech di Milano.
I signori Marcegaglia hanno deciso di spostare la produzione a Pozzolo Formigaro, provincia di Alessandria, a 80 chilometri dalla sede attuale.
Decisione presa “proprio per salvaguardare il posto di lavoro ai nostri 167 dipendenti”, ha detto l’azienda. La Fiom li considera licenziamenti mascherati, e prepara uno sciopero del gruppo nel quale da tempo denuncia un’incidenza degli infortuni quattro volte la media nazionale.
L’ultima vittima è Lorenzo Petronici, facchino di 58 anni, morto l’8 aprile scorso nello stabilimento di Ravenna, forse con la soddisfazione di aver dato la vita per il successo di un’imprenditrice donna. E renziana.
Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
OGGI CDM PER APPROVARE IL DECRETO: TAGLI LINEARI SU SALUTE (2,4 MILIARDI), DIPENDENTI PUBBLICI, SPA PUBBLICHE, ACQUISTI E ALTRO… IL RISCHIO È CHE LA UE BOCCI LE COPERTURE
Il giorno è arrivato. Oggi Matteo Renzi regala la quattordicesima agli italiani che guadagnano poco.
Il lavoro di scrittura del decreto è ancora in corso mentre andiamo in stampa — tanto che non è chiaro se il Consiglio dei ministri si terrà stamattina, come previsto inizialmente, o nel pomeriggio — ma la sostanza è chiara: i soldi che arriveranno con lo stipendio di maggio sono certi per tutto il 2014 e nella busta paga si leggerà chiaramente che sono un gentile regalo del nuovo governo.
Sperando che i beneficiati se ne ricordino nelle urne il 25 maggio.
Anche perchè la faccenda sta creando di nuovo tensioni col Tesoro: ieri i tecnici di via XX settembre hanno chiarito con un intervento una tantum di questo genere potrebbe innescare le rimostranze della Commissione Ue.
Cpme che sia, l’intervento — secondo le bozze circolate ieri — costa 6,7 miliardi e si rivolge a chiunque guadagni meno di 24-25mila euro, incapienti compresi (cioè chi mette assieme meno di ottomila euro l’anno e quindi non paga tasse sul reddito): per tenere dentro tutta la platea il testo non lavora sugli sgravi Irpef, ma su un bonus che dovrebbe riguardare i contributi previdenziali.
In sostanza sarà il datore di lavoro ad anticipare la somma scontandola poi dai soldi che deve versare ad esempio all’Inps, lo Stato poi verserà la differenza.
Il beneficio sarà di 620 euro massimi complessivi per gli ultimi otto mesi del 2014 e di 950 euro l’anno a regime (tra i 77 e i 79 euro al mese, l’anno prossimo).
In pratica a maggio il bonus sarà compreso tra 26 e 77 euro, a seconda della fascia di reddito.
Nel decreto dovrebbe trovare posto anche la riduzione dell’Irap per le imprese, finanziata dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento: l’aliquota principale dovrebbe passare quest’anno dal 3,9 al 3,75% per scendere al 3,5 dal 2015 (scendono, però, anche le altre aliquote Irap, come quella per banche e settore agricolo).
Sulle coperture del bonus, invece, c’è ancora grande incertezza.
Circa 2,2 miliardi dovrebbero venire dal maggior gettito Iva dovuto al pagamento dei debiti della P.A. e dalla elevata tassazione delle plusvalenze generate dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia (dal 12 al 26%).
Gli altri quattro miliardi e mezzo, invece, sono recuperati attraverso tagli di spesa. Dalle bozzesi capiscono due cose: saranno tagli lineari (e non, dunque, recupero degli sprechi attraverso buone pratiche) e costituiranno una sorta di manovra lacrime e sangue per parecchi comparti della spesa pubblica.
Il bersaglio principale, come previsto, è la sanità : circa 800-900 milioni quest’anno e un altro miliardo e mezzo dal 2015 per un taglio strutturale di 2,4 miliardi.
Nel mirino ci sono tutti i comparti: dai farmaci alle convenzioni alla spesa ospedaliera fino all’acquisto di beni e servizi.
Difficile che una tale sforbiciata non abbia effetti sui servizi resi ai cittadini (il ministero, comunque, fa resistenza e sta tentando di limitare i danni).
Sotto tiro — e anche questa non è una novità — gli stipendi degli statali, magistrati (che già protestano con l’Anm), organi costituzionali e Bankitalia compresi. In sostanza il tetto massimo dei guadagni di chi lavora per la P.A. viene fissato al livello dello stipendio del capo dello Stato, circa 240mila euro l’anno (ora è a 311mila, al livello dei guadagni del primo presidente della Cassazione): il compenso massimo, però, varrebbe solo per i vertici dell’amministrazione, per gli altri dirigenti — anche non di primo piano — sono previsti tetti a scalare fino a 90 mila euro. Il governo ritiene di ricavarne 400-500 milioni (ma il contenzioso sarà enorme).
Tra le ipotesi ci sono poi tagli e taglietti di varia natura: dai 200 milioni quest’anno più 900 il prossimo della Difesa (compresi, pare, gli acquisti di sistemi d’arma, quindi anche gli F35) ai 44 milioni che palazzo Chigi ha deciso di tagliarsi da solo; da qualche spicciolo (15 milioni) preso al Fondo per l’editoria ai 100 milioni di risparmi spegnendo i lampioni (il programma montiano “cieli bui”); dal taglio del 70% sulla spesa del 2011 per le auto blu alla sforbiciata lineare ai bilanci delle società partecipata (del 2% quest’anno, del 2,5 dal 2015); dai 167 milioni sottratti a Caf e patronati nel biennio alla riduzione del 5% degli acquisti della P.A., contratti in essere compresi (e anche qui il contenzioso sarà parecchio).
Tra le ipotesi c’è pure il ritorno (parziale) dell’Imu sui fabbricati rurali, misura che non piacerà ad Angelino Alfano.
Roba particolarmente dura, che potrebbe — invece di consacrarlo — incrinare il matrimonio tra Renzi e l’elettorato. Lui, però, punta sui soldi in busta paga e sui soliti fuochi d’artificio: il premier, oggi, potrebbe annunciare il taglio dello stipendio suo e di tutti i ministri.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 18th, 2014 Riccardo Fucile
SMARTPHONE, RISPUNTA LA TASSA
Altro che 80 euro in più nelle tasche degli italiani per andare a mangiare fuori tre pizze in più all’anno.
Il regalo del governo Renzi più che in pizzerie verrà speso per la tassa su telefonini, tablet, personal computer e televisori.
Si tratta dell’equo compenso per copia privata dovuto alla Siae dai produttori di supporti digitali. Un indennizzo che chi compra dispositivi elettronici dotati di memoria (come appunto i telefoni e pc) deve versare alla Siae e quindi agli autori ed editori per le copie private (di canzoni, film, libri, ecc.) che su quel dispositivo verranno copiati.
Una possibilità questa, concessa dalle moderne tecnologie, che ad esempio permettono di registrare brani coperti da diritto d’autore su più supporti elettronici. Secondo quanto riporta il Giornale, appena dopo Pasqua, martedì 23 aprile, il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini per risolvere il tira e molla incontrerà attorno allo stesso tavolo le parti interessate: Siae, produttori e consumatori.
Una vecchia storia
Già la scorsa settimana, a margine di una presentazione stampa, il ministro aveva dichiarato: “E’ mio dovere aggiornare le tabelle che sono ferme al 2009″. In realtà , la tabella dell’equo compenso, doveva essere aggiornata già dal 2012 dal governo Monti, ma niente fu fatto a riguardo.
Così la patata bollente era passata alla fine del 2013 nelle mani di Enrico Letta e del predecessore di Franceschini, il dalemiano Massimo Bray.
“A febbraio — riporta il Giornale — era tutto pronto: il decreto avrebbe accolto i desiderata della Siae guidata da Gino Paoli (sì, proprio lui). La gabella sugli smartphone sarebbe passata da 0,9 a 5,2 euro (+478%); idem per i tablet (da 1,9 a 5,2 euro) e per le smart tv (da zero a 5 euro).
Sui computer il balzello sarebbe salito a 6 euro (da 1,9 per quelli senza masterizzatore e da 2,4 per quelli con), mentre il prelievo sulle memorie portatili come le chiavette Usb sarebbe quasi raddoppiato (da 0,5 a 0,9 euro per Gigabyte).
Un totale, come detto, da quasi 200 milioni, più che doppio rispetto all’attuale prelievo”.
Franceschini ci mete la faccia
Poi, sempre la scorsa settimana, Franceschini spiegava: “Dobbiamo mettercelo tutti in testa, perchè in Italia questa consapevolezza non c’è. Il diritto d’autore consente la libertà all’artista, quello che gli garantisce il suo spazio di creatività . E’ in cima all’agenda europea, perchè tutte le nuove tecnologie comportano questioni attinenti al diritto d’autore”.
Quindi continua e, consapevole che in questo caso, ovvero quando si tratta di pagare, la faccia ce la mette lui e non Matteo Renzi afferma: “Probabilmente mi prenderò fischi da tutti, perchè così accade quando si devono fare mediazioni di questo genere, ma io ho l’obbligo di legge di rivedere le tabelle del 2009 che dovevano essere aggiornate nel 2012″.
L’interpellanza
La situazione non è ancora chiara, o forse non lo è mai stata. Così alcuni parlamentari tra cui Stefano Quintarelli, Andrea Romano e Cristina Bargero lo scorso 11 aprile hanno posto al Ministro un’interpellanza, con il quale hanno chiesto di rendere pubblici gli esiti dell’indagine sulle nuove “abitudini digitali” dei consumatori commissionata dal precedente Ministro Bray.
I parlamentari spiegano nella richiesta che questa ha l’obiettivo di “verificare se le copie private di opere musicali e cinematografiche siano davvero cresciute negli ultimi tre anni, tanto da legittimare un aumento dell’equo compenso del 500 per cento, come richiesto dalla Siae”.
La risposta è arrivata alla Camera da parte di Enrico Costa, sottosegretario alla Giustizia, che ha precisato che “sarà cura del Governo rendere noti i criteri sulla base dei quali verranno parametrati i compensi”.
(da “Libero Quotidiano“)
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