Aprile 25th, 2015 Riccardo Fucile
TROPPO ERRORI E COLPI DI MANO NON HANNO TROVATO OPPOSIZIONE NEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che è lì per governare, non per cambiare la Costituzione,
dichiaratamente con la riforma del Senato e surrettiziamente con l’Italicum.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che le leggi elettorali non le modificano i governi e le loro maggioranze (specie se inesistenti come la sua, che sta in piedi solo grazie al premio di maggioranza del Porcellum abrogato dalla Corte costituzionale), ma i Parlamenti, con maggioranze possibilmente più ampie.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che sia lui sia i suoi ministri hanno prestato questo giuramento nelle mani del capo dello Stato: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione…”.
La Costituzione del 1948, non quella che hanno in mente lui e Verdini.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che il suo consulente per l’Italicum, il professor Roberto D’Alimonte, ha candidamente confessato ciò che molti giuristi, anche su questo giornale, vanno sostenendo da tempo: “In realtà questo sistema elettorale introduce l’elezione diretta del capo del governo”.
Cioè non si limita a cambiare le tecniche di voto, ma modifica i rapporti fra il governo e il Parlamento.
Di fatto, trasforma l’Italia in una Repubblica presidenziale senza toccare la Costituzione, che invece è costruita intorno alla Repubblica parlamentare, dove la sovranità appartiene al popolo ed è affidata per delega alle due Camere: non al governo, nè tantomeno al suo capo.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi il comma 4 dell’art. 72 della Costituzione: “La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale”; il che sembra escludere il ricorso alla fiducia, che strozza il dibattito, blocca gli emendamenti e coarta la libertà dei parlamentari.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi l’art.67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Sostituire con 10 fedelissimi altrettanti deputati Pd in commissione Affari costituzionali perchè non obbediscono ai suoi ordini e minacciano di votare secondo coscienza è un tradimento della Carta.
Specie se il mandato che hanno ricevuto dagli elettori, il 25-26 febbraio 2013, non prevedeva alcuna riforma elettorale simile all’Italicum, ma al contrario il superamento del Parlamento dei nominati con un sistema che restituisse la parola ai cittadini.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi ciò che diceva il centrosinistra quando, nel 2005, il governo Berlusconi impose a colpi di maggioranza (ma senza fiducia)la controriforma costituzionale “Devolution” e poi quella elettorale “Porcellum”, e in particolare ciò che disse alla Camera il 20-10-2005 il deputato della Margherita Sergio Mattarella: “Oggi voi del governo e della maggioranza vi state facendo la vostra Costituzione, avete escluso di discutere con l’opposizione, siete andati avanti solo per non far cadere il governo, ma le istituzioni sono di tutti, della maggioranza e dell’opposizione”.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che porre la questione di fiducia sull’Italicum è un ricatto al Parlamento.
E porla sulle pregiudiziali di costituzionalità è un abuso inaudito per impedire alla Camera di ravvisare eventuali profili incostituzionali della legge: infatti nella storia repubblicana i precedenti sono soltanto due, risalgono al 1980 e non riguardano leggi elettorali.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che le repubbliche presidenziali prevedono robusti contrappesi allo strapotere del presidente della Repubblica-capo del governo.
Negli Usa e in Francia accade sovente che il presidente sia di un colore e la maggioranza parlamentare del colore opposto.
Nulla di tutto ciò è previsto nel premierato presidenzialista che esce dal combinato disposto Italicum-nuovo Senato.
Che, anzi, consegna al capo del governo e del primo partito il controllo assoluto della gran parte dei parlamentari, non più scelti dai cittadini ma nominati con i trucchetti dei capilista bloccati (Camera) e dei consiglieri regionali e sindaci cooptati (Senato).
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che un’emergenza umanitaria come l’esodo biblico di decine di migliaia di cittadini in fuga dalle guerre del Medioriente e dell’Africa non può essere affrontata come un problema di ordine pubblico con strumenti militar-polizieschi (peraltro spuntati, come i nostri droni da ricognizione Predator di fabbricazione Usa, che per fortuna sono disarmati e necessitano di riconversione a scopi bellici, previa autorizzazione americana, tempo previsto almeno un anno).
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che, al di là della propaganda elettorale, le sue recenti missioni a Washington e a Bruxelles spacciate per strepitosi successi hanno ottenuto risultati vicini allo zero: Obama non l’ha autorizzato ad armare i droni, ha respinto le richieste di un coinvolgimento Usa nel Mediterraneo e in Libia e gli ha chiesto di prolungare la missione militare italiana in Afghanistan; e l’Ue ha rinviato ogni decisione seria a data da destinarsi.
Ci vuole qualcuno che ricordi a Renzi che perseverare nell’operazione Triton che ha aumentato di 1700 unità i morti nel Mediterraneo nei primi tre mesi e mezzo del 2014, per risparmiare 30 milioni, anzichè ripristinare subito la missione Mare Nostrum che salvava più vite perchè si proponeva non solo la difesa dei sacri confini, ma anche il recupero e il salvataggio dei migranti, si chiama “strage di Stato”.
L’unico che può, e forse deve, ricordare a Renzi tutte queste cose si chiama Sergio Mattarella.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 25th, 2015 Riccardo Fucile
“VUOLE SOLO AFFERMARE IL PROPRIO POTERE, INSOFFERENTE NON SOLTANTO AI CONTROLLI, MA ANCHE AI CONTRIBUTI”
Non è per sottolineare il “ve l’avevamo detto”. È perchè se qualcuno avesse dato retta prima ai professoroni forse il clima attorno alle imprescindibili riforme targate Renzi-Boschi, sarebbe stato un po’ meno giubilante.
“Quando abbiamo messo in guardia sul rischio che si correva con questo tipo di cambiamenti c’è stata una levata di scudi”, spiega Stefano Rodotà .
“Poi, pian piano, tanti commentatori sono giunti alle nostre stesse conclusioni, magari attraverso parole diverse come “democratura” o rischio plebiscitario. Ci si è resi conto tardi di quello che stava avvenendo. Non è solo una valutazione di cronaca. Ma una riflessione che ci porta a dire che se fosse stato condiviso quel giudizio da subito, probabilmente si sarebbe formata un’opinione pubblica in grado di costituire un minimo di argine”
Questo secondo lei avrebbe fermato Renzi?
No. Ma non avrebbe costruito attorno a lui un’aurea da riformatore illuminato, di persona che coglieva un’esigenza fondamentale, che poteva essere soddisfatta esclusivamente da lui e in quel modo. Forse ci sarebbe stato un discorso pubblico meno appiattito e meno incolto: la cattiva politica è figlia della cattiva cultura. E — aggiungo — la cattiva politica è anche quella della minoranza del Pd. All’inizio era Renzi a essere minoritario, non dimentichiamolo. L’inadeguatezza si è tradotta in incapacità politica.
Dicono che siete distruttivi.
Non è così: abbiamo fatto diverse proposte, per migliorare il bicameralismo e andare incontro all’esigenza di una maggiore speditezza dei lavori. Si poteva ottenere un buon risultato, prevedendo la concentrazione di una serie di poteri nella Camera, con contrappesi adeguati. Invece si è tutto chiuso attorno all’idea della “decisione” come unico bene che cancella tutto quello che il sistema delle garanzie rappresenta. Sono arrivato a dire che Renzi aveva perduto una grande occasione! Si poteva fare una buona riforma costituzionale complessiva, in cui integrare naturalmente anche la legge elettorale: la legge elettorale è un pezzo cardine di qualsiasi sistema costituzionale. Affermare che cambia solo il meccanismo politico significa ignorare un principio elementare.
Cosa pensa della sostituzione dei dieci del Pd in Commissione?
Sappiamo tutti cosa significa il divieto di vincolo di mandato previsto dall’articolo 67 della Carta. Dire che “vale solo per l’aula e non per le Commissioni” è una sgrammaticatura costituzionale.
S’invoca la disciplina di partito.
Ma la disciplina di partito non si fa rispettare forzando le regole della Costituzione! Esistono meccanismi interni alle forze politiche. La quantità di parlamentari sostituiti indica anche la qualità del cambiamento di fronte al quale ci troviamo. C’è stata una sorta di espulsione di un pezzo di partito, messo in condizione di non potersi esprimere su una materia così delicata: non ci si sta occupando di una legge qualsiasi, ma della legge elettorale, cioè quella regola che consente ai cittadini d’intervenire nel processo politico. Questa espulsione è di estrema gravità .
A questo si aggiungono i canguri, le sedute fiume, i voti di fiducia…
Una volta la buona borghesia — quando si voleva stigmatizzare il comportamento di qualcuno, senza arrivare a una condanna definitiva — diceva: “Quello vive ai margini della legalità ”. Ecco, Renzi e la sua maggioranza vivono ai margini della legalità costituzionale. Possiamo dire, in riferimento alla sentenza della Consulta sul Porcellum, continuano a essere pienamente immersi in una situazione di illegittimità costituzionale
Forzature che svelano un’insofferenza o la volontà di mostrarsi più forte di tutto e di tutti?
L’agire di Renzi è la migliore prova della fondatezza delle critiche che gli sono state mosse. C’è un bisogno di affermare il proprio potere, insofferente non solo dei controlli, ma anche dei contributi. Pensiamo al Jobs Act, a come sono stati ignorati i pareri delle Commissioni lavoro sui licenziamenti collettivi. Le leggi approvate, compreso il Jobs Act, sono vere e proprie deleghe in bianco: tutto questo trasferimento di poteri nelle mani del governo alla fine arriva nelle mani del presidente del Consiglio. Ha ragione il professor Gianni Ferrara quando dice che l’esito finale è il governo del primo ministro. Vedo, nelle dichiarazioni e nei comportamenti del premier, un ossessivo bisogno di affermare una supremazia. Ma contemporaneamente anche il segno di una debolezza, cioè la possibilità di imporsi solo attraverso continue forzature, senza le quali non è in grado di costruire un consenso. E le debolezze sono sempre pericolose
Siamo in grado di fare un bilancio politico?
I fatti di queste settimane possono essere considerati una prova generale di quello che sarebbe il modo di governare di Renzi, se la legge elettorale e la riforma del Senato venissero approvate: concentrazione del potere e assenza di un adeguato sistema di controlli. In una parola, quel mutamento della forma di governo che il ministro Boschi — non sempre a suo agio con le categorie del diritto costituzionale — aveva smentito
Che giudizio dà della minoranza del Pd?
Tutte le fragilità dell’attuale situazione dipendono dal non aver colto immediatamente i rischi delle proposte del premier-segretario. E questo ha reso più difficile ricondurre a ragione e a Costituzione i progetti di riforma. Viste le difficoltà , cadere nella trappola della trattativa su eventuali modifiche alla legge di riforma del Senato, significa rimanere in una condizione politica minoritaria e di poca presa. L’influenza su ciò che accade mi pare nulla: si sono presi ripetuti schiaffi in faccia.
Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA RIFORMA CHE INTERESSA GLI ITALIANI? VEDERLI TUTTI IN AULA
La vera riforma istituzionale sarebbe vederli finalmente in aula. Tutti. O almeno qualcuno. 
Non è la prima volta che disertano, ma ci sono situazioni in cui fa più male.
Ieri, per esempio. Il ministro degli Esteri riferiva alla Camera sulla tragedia di Lo Porto, l’italiano ucciso da un drone di Obama, e ad ascoltarlo erano in trentacinque. Gli altri seicento assiepavano stazioni e aeroporti, ma forse erano già ripartiti il giorno prima o quello prima ancora.
Forse non erano mai arrivati.
Tanto chi li controlla? Chi dà peso al loro lavoro?
Gli scranni vuoti svuotano di senso il rito della democrazia.
Le polemiche contro il governo che risuonavano ieri mattina nell’aula deserta erano urla nel silenzio, meri esercizi di stile.
Come puoi pensare che il Paese ti ascolti, se non ti ascoltano nemmeno le persone che sono state elette con te?
La Camera è la piazza dove si discute, ma una piazza abbandonata toglie autorevolezza a qualunque cosa vi accada.
Prima di decidere la legge elettorale che servirà a selezionare gli inquilini futuri di Montecitorio, bisognerebbe chiedersi quale sarà il loro ruolo.
Quello attuale oscilla tra il passacarte, il menefreghista e il latitante. E, con un morto di mezzo, lo squallore della scena diventa insopportabile.
A proposito della falsa partecipazione dei potenti al suo lutto, il padre di Lo Porto ha detto: «Tanto domani berranno il caffè e si saranno già dimenticati tutto».
È stato ottimista, perchè domani era già ieri.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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