Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
DISEGUAGLIANZE E CITTADINI SENZA GARANZIE, LA RICERCA DELLA FONDAZIONE HUME… 4,7 MILIONI SONO AL SUD
Il quarto Stato della Francia pre-rivoluzionaria c’è anche nell’Italia del XXI secolo. 
A cambiare è solo la definizione: oggi si chiama Terza società ed è composta da nove milioni di italiani (spiccano i giovani e le donne) “esclusi“, che non lavorano o lo fanno in nero, senza alcuna garanzia.
Tutti insieme rappresentano il 29,7% delle forze di lavoro e in più della metà dei casi vivono nel Mezzogiorno.
Secondo la ponderosa ricerca sulla disuguaglianza della Fondazione David Hume anticipata da Il Sole 24 Ore, è l’aumento del loro peso percentuale sul totale dei cittadini, andato di pari passo con l’allargarsi dello storico divario Nord-Sud, che ha determinato l’aumento della disparità tra ricchi e poveri nella Penisola durante gli anni della crisi.
Dal 1993 in Italia il grado di disuguaglianza, misurato con l’indicatore più attendibile che è il cosiddetto “coefficiente di Gini“, oscilla intorno a un valore di 0,33, più basso rispetto alla media dei Paesi Ocse e inferiore a quello del 1973, quando si attestava a 0,37.
Tuttavia durante la recessione si è registrato un andamento “a V”: dopo essere calato intorno al 2008-2009, in seguito l’indice è tornato a salire.
“Come se la crisi avesse prima penalizzato e poi premiato i ricchi”, chiosa Il Sole. Non solo: la distribuzione della ricchezza tra Nord e Mezzogiorno si è ulteriormente divaricata soprattutto a causa dell’aumento dell’indice di Gini interno alle regioni del Sud
Nel frattempo, appunto, è aumentata in modo esponenziale la consistenza della “Terza società ”: nel 2006 gli outsider senza diritti acquisiti e senza un’occupazione stabile erano poco più di 7 milioni, il 24,7% delle forze di lavoro, nel 2009 erano saliti a 7,6 e nel 2012 hanno superato quota 8 milioni.
Poi l’ulteriore boom, che ha portato il numero complessivo a 8,99 milioni di cui 3,2 milioni di occupati in nero, 2,9 milioni che non cercano attivamente lavoro e 2,8 milioni di disoccupati in cerca di un posto.
Il rapporto paragona il loro peso percentuale con quello degli altri Paesi Ocse, arrivando alla conclusione che è il quinto più alto dopo quelli di Grecia, Croazia, Spagna e Bulgaria.
La media Ocse si ferma al 17,2%, quella dell’Unione europea è al 20,2.
Dopo lo scoppio della crisi il fenomeno dell’arricchimento progressivo del cosiddetto 1%, si è verificato nella maggior parte delle economie avanzate, a partire dagli Stati Uniti.
Dove la distribuzione non è peggiorata in modo significativo a partire dal 2009, ma il reddito del top 1% della popolazione è passato dal 16,68% del totale al 17,54 per cento.
Nello stesso periodo il 10% più agiato è passato dall’avere il 45,47% della ricchezza al 47,01 per cento.
Sul fronte opposto, i cittadini Usa considerati “poveri” dall’U.s. Census Bureau hanno toccato, nel 2013, quota 45,3 milioni. Prima del 2009 il “muro” dei 40 milioni non era mai stato superato.
In generale, la disuguaglianza all’interno dei singoli Paesi mostra un forte incremento a partire dal 1982, anche in seguito al boom di Cina e India che hanno visto formarsi per la prima volta una classe media e un drappello di super ricchi.
Ma anche lasciando fuori Pechino e Nuova Delhi l’indice mostra un rialzo a metà anni ’90, per poi mantenersi stabile.
Difficile però dare un giudizio complessivo, perchè le diverse aree del mondo hanno sperimentato dinamiche molto diverse: in Russia e negli altri Paesi dell’ex blocco comunista la disuguaglianza ha fatto un balzo all’insù dopo la caduta dell’Urss, passando da un Gini poco superiore a 0,2 a un picco dello 0,38 a fine anni Novanta, per poi assestarsi a 0,35.
Cina e India hanno fatto registrare, sempre a partire dagli anni Novanta, un aumento dei divari fortissimo ma più graduale.
Mentre il “blocco” dell’Europa occidentale e quello statunitense hanno visto le disparità salire in modo più misurato ma costante.
Al contrario, l’America Latina e la maggior parte dei Paesi africani hanno messo a segno un calo dell’indice dalla fine del secolo scorso in avanti.
Il verdetto è più chiaro se si allarga lo sguardo alle disuguaglianze tra Paesi. Soprattutto, anche qui, per effetto delle eccezionali performance economiche cinesi e indiana, a partire dal 1980 il divario tra i cittadini del globo ha iniziato a scendere, a ritmo sempre più veloce a partire dal 2000.
Nel 2012, il valore dell’indice di Gini era a 0,45, contro lo 0,57 del 1980. Anche escludendo India e Cina, peraltro, la tendenza resta la stessa, anche se meno marcata. Un esito a cui ha contribuito pure il parallelo rallentamento delle economie avanzate. Nel complesso, dunque, il pianeta risulta un po’ meno “disuguale”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: povertà | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO GUIDA I POPOLARI GIOCANDO SU TUTTI I TAVOLI
Cita Mao Tse-Tung e sostiene Emiliano alle regionali.
Che è successo a Mario Mauro? Raggiungiamo l’ex parlamentare europeo mentre è in trasferta in Armenia.
Scopriamo così che alle Regionali 2015 c’è davvero chi può sperare che vincano tutti, nessuno escluso.
All’ex ministro e presidente di Popolari per l’Italia è infatti riuscita l’impresa di sostenere il Pd in Puglia, Forza Italia in Liguria, Marche e Campania, il candidato di Ncd-Fi-Lega in Umbria e Flavio Tosi in Veneto.
Non è la quadratura perfetta del cerchiobottismo, ma poco ci manca.
“Il governo — giura — non c’entra nulla”, anche se due fedelissimi come la senatrice Angela D’Onghia e il deputato Domenico Rossi sono sottosegretari.
Non si fa in tempo a domandarglielo, che Mauro spazza via il potenziale “equivoco”: “Non è perchè faccio un’alleanza con Emiliano che cambio idea sull’Italicum o sulla riforma costituzionale su cui è difficile dare la fiducia”.
Traduzione: difficile, ma non impossibile.
Oppure difficile e pertanto impossibile.
Insomma, poi si vede. Intanto ripete allo sfinimento che “si tratta di consultazioni locali, necessariamente influenzate da assetti e candidati specifici…”.
Non fa menzione del fatto che al posto di Emiliano s’era ventilata una sua candidatura. Sarà un lapsus, ma parlando del patto col centrosinistra cita il compagno Mao: “C’è grande confusione sotto il cielo”.
E i Mauro-boys hanno deciso di contribuirvi, mettendo a segno una serie di accordi in multicolor che sembrano seppellire il sogno di ricomporre il “campo popolare”.
In Umbria sposano la causa del sindaco di Assisi Claudio Ricci che è sostenuto da Forza Italia, Fratelli d’Italia, Ncd e Lega Nord.
Convolano poi a nozze con Forza Italia supportando Giovanni Toti in Liguria e il socialista berlusconiano Stefano Caldoro in Campania.
Ma siccome hanno una parola buona per tutti, in Puglia sostengono apertamente il dem Michele Emiliano e in Veneto, tra il leghista duro e puro Luca Zaia e la renziana Alessandra Moretti, reputano “più funzionale” il progetto centrista nato intorno a Flavio Tosi.
Il fatto è che le alleanze variabili che Mario Mauro va stringendo su e giù per l’Italia ricordano tanto le variegate appartenenze che hanno connotato i suoi ultimi anni da onorevole: da Forza Italia a Monti, da Scelta Civica a Alleanza per l’Italia e poi nel gruppo misto delle autonomie (Gal).
Quando glielo si fa notare tira fuori le unghie il mite Mauro che fu ministro della Difesa.
E ha pure gioco facile nell’affondarle a destra e a manca, elencando le contraddizioni altrui che renderebbero “adeguate ai tempi” la preferenze tripartisan in vista del 31 maggio.
“Non mi sembra che altrove alberghi maggior coerenza”, dice al fattoquotidiano.it l’ex-ciellino, ex-dc, ex-forzista ed ex-pidiellino ed ex-montiano.
“Ricordo, sommessamente, che questa legislatura è nata da un accordo tra Pd e Forza Italia e prosegue con accordi ancora diversi. E che i due partiti continuano ad avere atteggiamenti ondivaghi. E’ uno degli aspetti curiosi del fare politica al tempo di Renzi, dove si parla tanto di partito della nazione ma tutti i partiti sono percorsi da profonde differenze e divisioni che sul territorio si manifestano con più forza. Scandalizzarsi è stupido”.
E giù esempi di “maionese impazzita” spalmata da Venezia ad Agrigento: “Qualche giorno fa un esponente del Partito Democratico ha vinto le primarie ad Agrigento, salvo poi, dopo un ripensamento dello stesso Pd, essere diventato il candidato di Forza Italia. E sempre per star lì penso alla frattura in Liguria tra la candidata del Pd e il candidato del Pd che corre contro di lei”.
La coerenza, rileva Mauro, non trionfa manco a destra. “Nelle Marche il campione di centro destra diventa l’ex presidente del Pd”.
E passiamo alla Lega, che nel Veneto sta vivendo l’ultima pesante frattura.
“Non posso che sostenere Tosi. Vivo a Milano e con quelli del Carroccio ho sempre avuto ottimi rapporti anche stando su campi differenti nel contesto europeo. Ma quella era una Lega federalista con un’idea molto radicata di migliorare l’Europa, oggi ha assunto un tratto marcatamente nazionalista. Ora tocca mettere insieme un fronte che su altro ha molti valori in comune. L’europeismo è imprescindibile”.
E quindi no a Zaia e sì a Tosi. Il punto però è cosa succede l’indomani del voto, dopo aver donato un pezzetto di “centralismo democratico” a tutti i possibili vincitori. I Mauro-boys staranno a destra o a sinistra?
“Per noi il campo di riferimento resta il centro destra, ammesso che la definizione abbia ancora un senso. Il progetto resta quello di mettere insieme idee liberali e popolari confermando questo posizionamento”.
Il fatto è che oggi a volte è possibile e a volte no, dipende.
“Nel centro destra italiano alligna il caos totale e le risse finiscono per allontanare i moderati e costringerli a fare scelte contingenti su scala locale con il solo obiettivo di dare giunte credibili alle regioni. Certo non andiamo dall’altra parte, ma ci poniamo il tema di una ricostruzione dell’area che non può essere la mera riproposizione dell’esistente e delle vecchie sigle più o meno in buona salute. Non è convincente e non è vincente”.
Con questo programma ripartirà la lunga marcia verso destra del compagno Mauro-Tse-Tung.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
IN ITALIA E’ TUTTO UN’ANOMALIA
Un presidente del Consiglio, non eletto (a differenza di come aveva promesso), minaccia di approvare una
legge elettorale a colpi di una maggioranza frutto di una legge elettorale anticostituzionale. Nata con un premio di maggioranza che la Consulta ha bocciato.
Maggioranza figlia di un altro segretario di partito che si era presentata alle urne con un altro programma. Dove non si parlava di tagliare (o far finta) il Senato, tagliare l’articolo 18, mantenere le liste bloccate.
Sostituisce i propri deputati in commissione Affari Costituzionali se non votano come lui.
Legge elettorale che, assieme alla riforma Costituzionale (lo dice D’Alimonte in una intervista al FQ), cambia il modello della Repubblica, andando verso l’elezione diretta del premier, togliendo potere al Parlamento.
Tutto normale? A me non sembra.
Non mi risulta che la gente abbia votato PD per questo nel 2013 (e non parlatemi delle europee che non c’azzecca nulla, per dirla alla Di Pietro).
A me non sembra che si sia discusso molto, in Parlamento, di legge elettorale e di Senato, visto che si sono approvate le leggi a colpi di canguro e minacce.
A me non sembra che la gente volesse le larghe intese, volesse le maggioranze allargate con NCD di Alfano e le riforme del paese con Berlusconi.
Che fa propaganda sui numeri dei contratti stipulati, usando i numeri come fa comodo loro, nascondendo le crisi (Piombino, Thyssen, Ilva, Whirlpool) sotto il tappeto. Sventolando riforme e assunzioni sulla scuola.
Lo ripeto: tutto regolare?
(da “unoenessuno.blogspot.it“)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
UN ANNO FA I FAVOREVOLI ERANO IL 58%… ALTRO CHE “GLI ITALIANI STANNO CON ME”
Nell’arco di un anno le valutazioni sull’Italicum, la nuova legge elettorale, si sono rovesciate: dal 58% di favorevoli e 30% di contrari si è passati al 51% di giudizi negativi contro il 34% di positivi.
Nelle ultime settimane il dibattito sull’Italicum si è infiammato per le numerose contrapposizioni che accompagnano l’iter parlamentare: da quella tra i partiti di governo e di opposizione, a quella altrettanto accesa tra maggioranza e minoranza del Partito democratico fino a quella all’interno di Forza Italia che da tempo si è disimpegnata rispetto al patto del Nazareno suscitando dissensi in una parte dei parlamentari azzurri.
Nonostante la rilevanza mediatica sulla riforma il livello di conoscenza di mantiene molto modesto: infatti il 35% dichiara di conoscere nei dettagli (5%) o a grandi linee (30%) la nuova proposta.
Si tratta di una quota di poco superiore a quella registrata nel sondaggio dello scorso dicembre (29%).
Nell’arco di un anno le posizioni sull’Italicum si sono rovesciate; se a marzo dello scorso anno all’indomani dell’insediamento del governo Renzi prevalevano nettamente i giudizi positivi (58% i favorevoli e 30% i contrari), nel dicembre scorso hanno preso il sopravvento i contrari (45% contro 32% favorevoli) e nel sondaggio odierno si osserva un ulteriore aumento di giudizi negativi che raggiungono il 51%, contro il 34% di positivi.
I favorevoli prevalgono solo tra gli elettori del Partito democratico, gli elettori centristi sono molto divisi, tra gli altri prevale il dissenso con il picco più elevato i grillini.
Nel merito dei principali punti della riforma, l’Italicum divide gli elettori, facendo registrare una forte polarizzazione delle opinioni: infatti, riguardo al premio di maggioranza i favorevoli rappresentano il 46% e i contrari il 44%; la possibilità di esprimere la preferenza escludendo i capilista bloccati nei 100 collegi incontra il favore del 44% degli italiani e la contrarietà del 47%; e la soglia di sbarramento fissata al 3% risulta apprezzata dal 44% e sgradita dal 43%.
L’unica eccezione a questa polarizzazione delle opinioni è rappresentata dalla presenza del capolista bloccato nei 100 collegi elettorali: si tratta di un provvedimento molto inviso (61% contrari e 26% favorevoli).
La forte aspettativa di potersi esprimere sulla scelta dei candidati influenza anche le opinioni sulla riforma del Senato: quasi due italiani su tre (61%) plaudono alla riduzione dei senatori e alla fine del bicameralismo paritario ma vorrebbero che il Senato continuasse ad essere eletto dai cittadini.
Solo il 17% si dichiara d’accordo con i tre principali punti della riforma mentre il 9% è contrario su tutto.
In generale gli elettori del Partito democratico si dichiarano nettamente più favorevoli al premio di maggioranza, alla soglia di sbarramento al 3%, alla possibilità di esprimere preferenze anche se non per i capilista.
Gli elettori di Forza Italia accentuano il gradimento per la possibilità di esprimere preferenze e per la soglia di sbarramento, mentre i pentastellati sono decisamente critici su quasi tutto e i leghisti apprezzano un po’ più della media il premio di maggioranza,la soglia di sbarramento e le preferenze.
Un ulteriore elemento di complicazione è rappresentato dal clima politico che accompagna i processi di riforma: in presenza di toni accesi gli elettori tendono a «chiamarsi fuori» o ad esprimersi a favore o contro indipendentemente dal merito delle questioni, rafforzando la loro convinzione che la politica sia distante dai cittadini e guidata da interessi di parte anche quando discute di provvedimenti che dovrebbero riguardare tutto il Paese.
La sfiducia nei partiti condiziona quindi profondamente le aspettative degli elettori i quali esprimono tre indicazioni: innanzitutto richiedono la possibilità di scegliere direttamente, che si tratti degli eletti al parlamento o dell’elezione del premier o del presidente della Repubblica.
La forte richiesta di un voto di preferenza è un effetto del discredito della politica e del processo di disintermediazione molto diffuso nel Paese.
Sono lontani i tempi dei referendum dell’inizio degli Anni 90 nei quali ci fu un vero e proprio plebiscito contro il voto di preferenza.
E neppure gli scandali degli ultimi anni che hanno visto coinvolti consiglieri regionali eletti con voto di preferenza, sembrano attenuale questa domanda.
In secondo luogo gli elettori auspicano la semplificazione del quadro politico e la riduzione del numero di partiti.
Infine reclamano la governabilità che viene associata alla stabilità dell’esecutivo, alla rapidità e all’efficacia dell’azione di governo, alla modernizzazione del paese. In una parola, al cambiamento.
Ma anche qui affiorano alcune contraddizioni: il cambiamento viene rivendicato da tutti ma è accettato da pochi, perchè cambiare e riformare significa mettersi in discussione, rinunciare alle rendite di posizione e navigare in mare aperto.
E non tutti sono disposti a farlo.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Renzi | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
“IN NESSUNA DEMOCRAZIA LE COSTITUZIONI E LE LEGGI ELETTORALI LE FANNO I GOVERNI”… “SU QUESTI TEMI NON ESISTE DISCIPLINA DI PARTITO”
Pierluigi Bersani avverte Matteo Renzi sull’Italicum: «Non siamo un partito che ha un padrone. Su temi
come questi non può esserci un meccanismo nè di disciplina di partito nè di corrente. Ogni parlamentare dovrà prendersi singolarmente la sua responsabilità ».
L’ex segretario del Pd sceglie la sua Piacenza per replicare al premier, che ha minacciato la crisi di governo, se la nuova legge elettorale non verrà approvata.
La città dove ieri ha concluso le manifestazioni per il 25 aprile.
Precedute su twitter da un messaggio che la dice lunga sul suo stato d’animo.
«Per me, il 25 aprile è il coraggio di pagare il prezzo delle proprie idee».
Prima del corteo, Bersani passeggia salutando la folla e stringendo molte mani. Poi si ferma a parlare.
E bolla la minaccia di Renzi come «una pressione indebita sul Parlamento: in nessuna democrazia le costituzioni e le leggi elettorali le fanno i governi. Non vedo quindi nessun collegamento tra la discussione che si è aperta e la vita del governo».
Alla domanda se alla fine voterà contro l’Italicum, la sua risposta non lascia dubbi. «Nelle regole della nostra ditta c’è scritto che di fronte a temi costituzionali ogni parlamentare deve prendersi singolarmente la sua responsabilità ».
Ribadisce che in ogni caso lui «resterà nel Pd» ma «sulla legge elettorale non si è riusciti a chiarire bene che cosa è in gioco. Qui non si sta discutendo di un comma di una legge elettorale, ma dell’incrocio tra la legge elettorale e la riforma della Costituzione. Quindi si sta cambiando il sistema, cosa che meriterebbe un po’ di attenzione. Può venire il dubbio che andiamo verso un presidenzialismo senza contrappesi, un meccanismo sconosciuto a tutte le democrazie del mondo, può esserci questo rischio. È una cosa da poco»?
Si sfoga: «Siamo un partito democratico, ma c’è modo e modo di gestirla questa democrazia. Non siamo certo un partito che ha un padrone».
Allarga le braccia: «Diciamo con un eufemismo che la discussione interna può essere ben migliorata».
Non risparmia un’altra frecciata a Renzi.
«Chi ha la responsabilità di dirigere questo partito ha il dovere di cercare la sintesi nel pluralismo, che è una ricchezza del nostro partito». Cita perfino il codice etico del Pd.
Il pensiero torna al messaggio su twitter sul coraggio di pagare il prezzo delle proprie idee. Un concetto che per Bersani «ha un significato nella vita di tutti i giorni».
Non solo il 25 aprile.
«È ovvio che il prezzo di allora era ben più alto. Oggi difendere le proprie idee non costa così tanto e ci aspetterebbe che tutti lo facessero. Invece non accade sempre». Quasi a sottolineare lo stupore per la mancata attenzione riservata alle obiezioni della minoranza del Pd.
Come l’ultimo sgarbo per il mancato invito alla festa del Pd di Bologna.
Bollato da Renzi come «errore». Salvo aggiungere la battuta: «Gli manderemo la macchina così non deve venire a piedi».
Bersani taglia corto: «Non si può prendere tutto come uno scherzo. Per il me il caso è chiuso, ma non vorrei solo che i volontari pensassero che dopo trent’anni ho deciso di non andare, perchè qualcuno aveva fatto girare anche questa voce».
Andrea Montanari
(da “La Repubblica“)
argomento: Bersani | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
IL PADRE DEL COOPERANTE UCCISO: “NON VOGLIAMO SOLDI E RISARCIMENTI, VOGLIO SOLO PIANGERE SU QUELLO CHE RIMANE DI MIO FIGLIO”
“Mio figlio era un tesoro. Non lo dico da padre: può chiedere a chiunque. Le risponderanno tutti allo stesso modo. Viveva per gli altri. Non si meritava uno spettacolo del genere”.
Lo “spettacolo” è il Parlamento italiano deserto, venerdì, mentre il governo lo informa sulla morte di Giovanni Lo Porto.
Le parole sono di suo padre Vito.
Sono passate 24 ore da quando ha visto la Camera vuota, non riesce ancora a crederci. “È come se quei signori avessero detto: ‘A noi non ce ne frega niente. È morto? Pazienza. Ne muoiono tanti’. Mi hanno fatto vergognare di essere italiano”.
Secondo il New York Times, Barack Obama sapeva già della morte di suo figlio, ma non ne avrebbe parlato con Matteo Renzi. Altri invece ipotizzano che l’avrebbero fatto. Lei ha avuto contatti con il presidente del Consiglio?
Io con Renzi non c’ho mai parlato. Forse ha telefonato alla mia famiglia (Lo Porto e la moglie sono separati, ndr), ma non lo so. E a questo punto non mi interessa nemmeno. Non credo che Renzi avrà mai la sensibilità di chiamarmi, o venirmi a trovare a Pistoia. Però mi sembra impossibile che lui e Obama non sapessero che mio figlio fosse morto. Sono convinto che ne fossero a conoscenza entrambi e che abbiano deciso di fingere di non sapere, con un tacito accordo. Probabilmente hanno voluto prendere tempo.
Le cronache e le fotografie del loro incontro a Washington riportano ampi sorrisi e pacche sulle spalle. Crede davvero che potessero nascondere un’informazione del genere?
I politici sono anche attori, sanno fare la loro parte. Sorridevano come due fratellini. È una mancanza di rispetto, ma non sono sorpreso. Renzi mi dà l’idea di un fanciullo, un bimbo un po’ viziato, che ama giocare. Spero davvero che non lo sapesse, non voglio credere che non riesca a rispettare una tragedia familiare. Ma ripeto: non ho mai avuto il piacere di parlare col signor Renzi. A questo punto non è importante. Quel che è fatto, è fatto: mio figlio non tornerà indietro. Spero solo che riportino a casa il suo corpo.
Giovanni è stato ucciso da un drone. I Servizi si sarebbero accorti del tragico errore solo quando hanno visto che venivano seppellite sei persone, mentre i terroristi dovevano essere quattro. Qualcuno le ha spiegato la dinamica dell’operazione che è costata la vita a suo figlio?
No. Siamo stati in contatto continuo con la Farnesina in questi anni. Sono sempre stati corretti. A dicembre ci hanno detto di stare tranquilli, che qualcosa si stava muovendo. Poi più nulla. Ora ci dicono che sarebbe morto a gennaio. Noi l’abbiamo saputo solo giovedì. Tutto qui. Non so nient’altro su quello che è successo. Solo che mi sembra impossibile che l’uomo più potente del mondo non ne fosse a conoscenza. E che non ne abbia parlato con il nostro presidente del Consiglio.
Sul corpo di Giovanni invece le hanno fatto sapere qualcosa?
Nulla. Pare che l’abbiano riconosciuto attraverso il dna. Quindi dovranno pur avere qualcosa di suo. Per il resto, ripeto, io non so niente. Ho solo domande. Come hanno ottenuto questo dna? Cosa rimane di mio figlio? Hanno il suo corpo? Il presidente degli Stati Uniti si è impegnato solennemente a far tornare la sua salma in Italia. Io gli chiedo solo questo, non voglio altro. Abbiamo ascoltato le sue scuse, le accettiamo. Ora ci restituiscano il suo corpo. Non vogliamo soldi, risarcimenti o altro. Facciano tornare Giancarlo. In ogni modo, anche a pezzi. Voglio solo piangere su quello che rimane di mio figlio.
Tommaso Rodano
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
I SERVIZI SEGRETI HANNO COLLABORATO?… COSA SAPEVANO GLI AMERICANI DELLE ATTIVITà€ PER LOCALIZZARE L’OSTAGGIO POI UCCISO DAL DRONE?… SILENZI E STRATEGIA DEL MALE MINORE
La verità sulla morte del cooperante italiano Giovanni Lo Porto è lontana. 
Forse, col tempo riusciremo ad acchiapparne pezzi sparsi, ma solo se riusciremo a orientarci nel tourbillon di informazioni che saranno fatte filtrare dagli Stati Uniti e dall’Italia.
Sapendo, però, che si tratta di informazioni che alla base hanno una serie di interessi da soddisfare. Quelle made in Usa andranno tutte decriptate.
Se a farle circolare sarà la Cia, la centrale investigativa responsabile dell’operazione in Pakistan con l’uso di un drone, avranno l’obiettivo di difendere pezzi e settori dell’organizzazione dalle ingerenze della Casa Bianca e dalle mire del Pentagono.
Le veline e le soffiate di ambienti vicini ai nostri servizi saranno invece funzionali a dimostrare che il governo italiano, e Matteo Renzi in primo luogo, non sapevano del blitz di gennaio e meno che mai della morte del nostro cooperante.
È la strategia del male minore, accettare che l’intelligence americana ha fatto tutta da sola passando sulla testa degli 007 italiani, mettere nel conto critiche e giudizi sul peso dell’Italia nel rapporto con gli Usa, ma salvare la faccia del presidente del Consiglio.
Sperare nell’efficacia degli strumenti parlamentari per arrivare a una verità accettabile, è pura utopia dopo lo squallore di un ministro degli Esteri che parla davanti ai banchi vuoti di Montecitorio.
Con una opposizione presente e soprattutto degna del nome e della funzione, si sarebbero potute porre una serie di domande al ministro Paolo Gentiloni probabilmente utili per iniziare a ricostruire un percorso di verità .
Così non è stato.
Aspettiamo martedì, quando il sottosegretario di governo con delega ai servizi segreti, Marco Minniti, dovrà riferire al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo della nostra intelligence.
Nell’attesa, proviamo noi a ragionare e a mettere insieme le tessere del mosaico.
Ricostruzione di una morte
Il blitz del drone targato Cia è del 14 gennaio di quest’anno, l’obiettivo da colpire è nella Shawal Valley, nel nord del Waziristan, un’area di montagna sul confine tra Pakistan e Afghanistan.
Il Predator centra il target e ammazza i due cooperanti, Lo Porto e l’americano Weinstein. A quella data, quindi, Lo Porto è vivo.
La sua è una prigionia lunga, che dura dal 19 gennaio 2012.
Questo è un primo dato che dimostra l’esistenza di contatti tra i rapitori e l’intelligence italiana.
Non si tiene un ostaggio così a lungo in vita, con tutti i rischi e i “costi” che la sua gestione comporta, se non si vuole arrivare ad incassare un riscatto.
Fonti dell’intelligence italiana fanno filtrare la notizia che già nel 2013 ci sarebbero stati contatti con la banda dei sequestratori, e parlano anche di una “pista” molto credibile per individuare l’area del covo dove Lo Porto era prigioniero attiva fino a dicembre scorso, quindi un mese prima dell’attacco americano. Informazioni arrivate all’intelligence italiana tramite confidenti e contatti locali.
Alleati che viaggiano su binari paralleli
E allora, una prima domanda da porre all’onorevole Minniti è la seguente: i servizi italiani hanno informato i colleghi americani sugli sviluppi della situazione, visto che sapevano che in quei mesi gli americani avevano scatenato in quell’area una vera e propria offensiva contro i covi qaedisti (si parla di almeno 30 operazioni con i Predator)? Hanno “socializzato” le fonti informative sul campo, come si dovrebbe fare tra alleati?
Oppure, sapendo che gli americani sono contrari ad ogni forma di trattativa con i terroristi, hanno deciso di fare tutto da soli?
Sono domande semplici, ma essenziali per capire lo sviluppo degli avvenimenti.
La Cia afferma di non aver saputo della presenza degli ostaggi nel covo bombardato. E c’è poco da credergli, perchè non è necessario essere un esperto di strategie di intelligence per sapere che il monitoraggio di quelle aree attraverso i satelliti spia è continuo, soprattutto quando si devono preparare operazioni di attacco.
La certezza che Lo Porto fosse vivo era tale almeno fino al 3 febbraio, quando nel suo discorso di insediamento il capo dello Stato, Sergio Mattarella, rivolge un pensiero accorato e denso di speranza alla liberazione dell’ostaggio.
Quirinale a sua insaputa
Delle due l’una, o i servizi italiani non sapevano della morte di Lo Porto, oppure, pur avendo se non la certezza, almeno dei sospetti, non hanno informato il Quirinale.
Punto finale da chiarire.
Il 17 aprile, Renzi e Obama si incontrano riservatamente alla Casa Bianca. Il premier italiano mette sul piatto addirittura la possibilità di prolungare la presenza dei militari italiani in Afghanistan oltre la data stabilita e contravvenendo a quanto detto invece il 17 dicembre scorso dal ministro della Difesa Roberta Pinotti: ossia che il contingente di 750 militari nell’area di Herat si sarebbe pian piano ridimensionati in modo che a fine 2015 rimarranno solo 75 italiani, concentrati a Kabul.
L’Italia, quindi, dà il proprio sostegno agli americani, cedendo anche stavolta alla politica degli slogan, puntualmente dimenticati.
Ma in quell’incontro si sarebbe parlato anche di altro.
Secondo indiscrezioni circolate e mai nettamente smentite, il presidente Usa avrebbe informato il capo del governo italiano della eventualità che un ostaggio italiano fosse una vittima collaterale del raid con il drone.
È questo un passaggio importante, che però non annulla un dato fin qui emerso: l’assoluta subalternità dell’Italia alle strategia Usa in materia di lotta al terrorismo qaedista su un campo difficile come quello pachistano-afghano.
Mancanza di coordinamento tra servizi, informazioni tenute gelosamente nascoste agli alleati, tutto questo sarà certamente ammesso nei vari passaggi parlamentari.
L’importante, per il momento, è salvare la faccia del governo, del suo presidente e del ministro degli Esteri.
La verità può attendere.
Enrico Fierro e Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
LA LIBERAZIONE E’ UN BICCHIERE DI BAROLO A 5 EURO: BENVENUTI NEL 25 APRILE DELLA REPUBBLICA DI EATALY
Mio padre mi diceva sempre: “Ricordati, ragazzo, che le persone sono più importanti delle cose”.
Oscar Farinetti lo ripete spesso nel suo ultimo libro, Mangia con il pane, dedicato al padre Paolo, un partigiano della brigata Matteotti.
“Le persone sono più importanti delle cose”.
Ieri, per celebrare il 70esimo anniversario della Liberazione, il patron dei ristoranti ha acquistato una pagina di pubblicità su un inserto dedicato alla Resistenza e diffuso dal quotidiano torinese La Stampa.
Non ci sono immagini di partigiani, nè fotoche ricordino gli orrori del nazifascismo o ritratti di persone.
Ma in compenso ci sono tre oggetti, tre cose: una bottiglia di vino e due libri.
Il vino è un Barolo Borgogno che, si legge nella paginata di pubblicità , “nasce nelle nostre migliori vigne” e “cresce per almeno quattro anni nelle botti più grandi della nostra cantina, quelle che riescono a esaltare il rapporto eleganza-potenza del Barolo di Barolo”.
Roba da partigiani piemontesi, insomma.
Vino a cui è stato dato nome “Resistenza”. Non manca la spiegazione: “Resistenza sulle tradizioni, sui metodi di produzione che ci hanno tramandato i nostri padri nobili del Barolo”.
Il tutto è accompagnato dall’invito: “Per festeggiare il 25 aprile nei ristorantini di Eataly solo per oggi 5 euro al calice”.
A piè pagina c’è la promozione per due libri: Giustizia e libertà in Langa e Mangia con il pane. L’autore? Oscar Farinetti.
Il patron di Eataly spiega però che tutto questo un senso ce l’ha.
Non è mica commercio, non si tratta di sfruttare a fini economici la festa della Liberazione. No, è tutto strettamente collegato.
Sia il vino sia il libro Mangia con il pane sono infatti dedicati al padre Paolo, comandante capo della XXI brigata Matteotti “Fratelli Ambrogio”.
In una lunga intervista all’Huffington Post, sempre ieri lo stesso Farinetti ha affermato: “Ora ci vorrebbe una nuova liberazione ma Renzi da solo non basta”, e ricordato che “nelle scelte di mio padre, anche in quelle imprenditoriali, c’erano sempre degli obiettivi poetici. Il padrone è orientato al profitto e soltanto al profitto. Mio padre non era così, puntava all’armonia del gruppo, aveva come priorità ì le persone: era un portato di quell’esperienza straordinaria vissuta lì sui monti”.
In verità il padre fu coinvolto in una rapina a un’ambulanza piena di buste paga Fiat, condannato per ricettazione e infine salvato dall’amnistia di Togliatti.
Era un eroe, Paolo Farinetti, poi è diventato un imprenditore (si inventò l’Unieuro) ma non diventò mai un padrone “orientato al profitto”, il padre.
Che è poi la storia raccontata nel libro, interamente dedicato alla vita del padre. Passata per la Liberazione e le Langhe, quella terra centrale nei mesi precedenti al 25 aprile e resa celebre da Beppe Fenoglio.
Il libro trasuda un rispetto assoluto, una sorta di devozione da parte del figlio Oscar. Sulla quarta di copertina si legge: “Padre che partigiano lo è stato sempre, le cui regole di vita erano semplici ma inderogabili: le persone sono più importanti delle cose, i dubbi sono meglio delle certezze e le critiche meglio dell’adulazione, distingui tra il difficile e l’impossibile e sappi individuare le priorità , non mollare mai. Regole riassumibili in quel ‘mangia con il pane’”.
Oscar c’ha aggiunto il vino.
La Liberazione è un bicchiere di Barolo a 5 euro.
Benvenuti nel 25 Aprile della Repubblica di Eataly. Molte cose, poche persone.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume | Commenta »
Aprile 26th, 2015 Riccardo Fucile
QUANDO IL PRESIDE GLI DICEVA: “ANCHE QUEST’ANNO SEI IL PEGGIORE DELLA CLASSE”
Siccome tutti ripetono che va assolutamente evitato un uso politico e di parte del 25 Aprile, ieri su
Repubblica il sottosegretario renziano Luca Lotti informava che “cambiamo la Costituzione nel solco della Resistenza”.
Oscar Farinetti, dal canto suo, scevro come sempre da ogni interesse pecuniario (come scrive sulla copertina del suo ultimo libro: “Mio padre mi diceva sempre ‘Ricordati, ragazzo, che le persone sono più importanti delle cose’”), ha acquistato una pagina dell’inserto dell’amica Stampa sui 70 anni della Liberazione. Titolo: “Viva la Resistenza!”.
Sopratitolo: “Per la serie: non dimenticare”.
Svolgimento: “Solo per oggi” (cioè ieri) si può sorseggiare un calice del barolo “Resistenza 2007”, alla modica cifra di 5 euro, in esclusiva “nei ristorantini di Eataly”: signori, praticamente regalato.
Un tempo si beveva per dimenticare, ora invece si beve per ricordare.
Purchè si beva giusto: anche il vino, come il libro, è dedicato “al comandante Paolo Farinetti, eroe della resistenza partigiana”, che altri non è se non il suo papà ,coinvolto in una rapina a un’ambulanza piena di buste paga Fiat, poi condannato per ricettazione e infine salvato dall’amnistia di Togliatti.
L’offerta speciale purtroppo è limitata alla giornata di ieri, ma potrebbe esser tosto replicata per brindare al varo delle riforme elettorali (quella che rende superflue le elezioni per la Camera) e costituzionale (quella che abolisce le elezioni per il Senato e lo trasforma in un dopo lavoro per consiglieri regionali e sindaci).
Tanto più che esse avvengono “nel solco della Resistenza”, come appunto assicura il Lotti.
Invano nella sua biografia si rintracciano tracce di sapienza storico-giuridico-costituzionale, salvo accontentarsi di un diploma di maturità scientifica con 90/100 al liceo Pontormo di Empoli, dove il preside — ricorda un ex compagno di classe — non faceva che ripetergli “Lotti, anche quest’anno sei il peggiore della classe”.
Dall’alto di cotanta cattedra, il 33enne Partigiano Lotty è stato assistente di Renzi alla Provincia di Firenze, poi capo-segreteria e capo-gabinetto al Comune, poi membro della segreteria Pd fin dai tempi di Epifani e ora nel governo Renzi è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria e al Cipe.
Però lo chiamano “Lampadina” per via dei capelli ricci color giallo evidenziatore, quindi di resistenza — sia pur minuscola — un po’ dovrebbe intendersi.
Il resto deve averglielo spiegato Denis Verdini, con cui è inseparabile almeno dal 2009, quando stipulò con lui il patto segreto per fregare Giovanni Galli, bravo ex portiere e ingenuo candidato sindaco Pdl, portando le truppe berlusconiane a votare Matteo.
Poco dopo organizzò la memorabile gita premio del sindaco ridens dal nano ridens ad Arcore, dove attese nel giardino della villa che il pranzo dei due fidanzatini fosse consumato per salutare il Caimano e arruffianarselo con qualche battuta sul Milan. Insomma un’esistenza tutta nel solco della Resistenza , coronata dalla regia prestata alle candidature dell’indagato (allora, ora non più) Bonaccini in Emilia Romagna, del condannato De Luca in Campania e dell’imputata Paita in Liguria.
Tanto per far invidia a Denis.
Senza dimenticare la grande abbuffata di nomine negli enti pubblici, i rapporti coi servizi segreti e la Guardia di Finanza (do you remember il generale Adinolfi, ora indagato per Cpl Concordia?) e la distribuzione di prebende e prepensionamenti ai giornaloni in crisi, direttamente proporzionali al numero di sue interviste ai giornaloni in crisi.
Francesco Bei di Repubblica, per esempio, interpella il Partigiano Lotty come fosse Beppe Fenoglio, Arrigo Boldrini, Alessandro Galante Garrone, Claudio Pavone e lo descrive “regista delle celebrazioni del 25 Aprile” contro l’“abisso di ignoranza” che avvolge la memoria partigiana.
Lotti ci crede e si dice indignato perchè molti ragazzi “non hanno la più pallida idea di cosa sia la Resistenza”.
Ma niente paura: “Stiamo lavorando su un progetto con l’Anpi per far entrare nelle scuole questo pezzo di storia”.
Per la verità quel pezzo di storia ci è sempre entrato, nelle scuole: basta studiare.
Ma lui comprensibilmente non lo sa, però precisa che “io questa storia la sento mia”: “Usiamo tutti i mezzi — Twitter ma anche la street art — per coinvolgere i ragazzi in questo racconto”.
La storia via Twitter, in 140 caratteri: che ideona.
E poi ci sono “gli spot con Alex Zanardi e Samantha Cristoforetti”, mica cazzi. Il più è fatto.
Resta da dare l’ultimo colpo di piccone alla Costituzione, perchè “noi ci ispiriamo ai valori dell’antifascismo — giustizia, libertà , eguaglianza — facendo politica tutti i giorni”.
Dev’essergli apparso in sogno Piero Calamandrei per spiegargli che fare a pezzi 50 articoli della Costituzione nata dalla Resistenza e impedire ai cittadini di scegliersi i propri parlamentari con una legge decisamente peggiore della legge Acerbo del Duce, è il miglior modo di celebrare la Liberazione.
O forse, quella notte, il Partigiano Lotty aveva semplicemente mangiato pesante. Infatti spiega: “Non vedo contraddizioni tra quello che portiamo avanti noi e quei valori di 70 anni fa”.
Le vede purtroppo l’Anpi, che infatti firma appelli e promuove manifestazioni contro la svolta autoritaria Italicum-nuovo Senato.
Ma quelli — si sa — sono decrepiti e non hanno Twitter. E poi sono partigiani: dunque, di parte.
Lui invece è di Lotti e di governo.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »