Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI UN ANNO FA DICEVA L’OPPOSTO … E MATTARELLA CHE CI STA A FARE NON SI SA
Ma che cosa deve ancora accadere perchè il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ritrovi la
favella?
Le scene di ieri a Montecitorio parlano da sole.
Un’aula ridotta a bivacco di manipoli, o di ridicoli, da un governo che espropria definitivamente il Parlamento del suo potere di legiferare, imponendo la fiducia su se stesso per far passare una legge elettorale di squisita competenza parlamentare.
Una presidente della Camera, brava donna per carità , ma palesemente inadeguata al ruolo, che assiste impassibile ai funerali dell’istituzione che presiede e inghiotte supinamente il diktat di Palazzo Chigi, terrorizzata dai giannizzeri governativi pronti a fare con lei ciò che han già fatto con i parlamentari disobbedienti, destituendo prima al Senato e poi alla Camera chiunque si mettesse di traverso sulla strada del premier padrone.
E invoca, con voce monocorde e burocratica, “i precedenti”.
Ci sono sempre dei precedenti, nella patria di Azzeccagarbugli. È vero, la ministra Boschi non è la prima a imporre la fiducia su una legge elettorale: prima di lei l’avevano già fatto il ministro dell’Interno Mario Scelba nel 1953 sulla cosiddetta “legge truffa” (un bijou di democrazia, al confronto dell’Italicum) e il governo Mussolini nel 1923 sulla legge Acerbo (questa sì, degna progenitrice dell’Italicum).
Nelle pieghe del regolamento, volendo, si trova sempre tutto e il contrario di tutto pur di sostenere le ragioni del più forte.
Però, un po’ al di sopra dei regolamenti, ci sarebbe la Costituzione.
E l’articolo 72 prescrive che “la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale”. Che c’è di normale nella procedura che costringe il Parlamento a obbedire al governo sulla legge elettorale perchè altrimenti cade il governo e il capo del governo, al prossimo giro, non ricandida più chi non vota la fiducia al suo governo?
E che senso ha il voto segreto sulla legge elettorale, se poi il governo costringe i parlamentari al voto palese sulla fiducia al governo sulla legge elettorale?
Oltre alle regole, poi, c’è la sostanza: oggi l’Italicum e domani il nuovo Senato approvati a colpi di maggioranza, che poi maggioranza non è se si toglie il premio del Porcellum già tolto dalla Consulta in quanto incostituzionale; e, anche volendolo ancora calcolare, la maggioranza non c’è lo stesso, perchè senza i ricatti del premier i parlamentari del Pd contrari all’Italicum e al nuovo Senato sarebbero oltre un centinaio.
Ricordare questi dati di fatto a Mattarella è “tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica”?
Pazienza — diceva Giovanni Sartori quando richiamava Ciampi e Napolitano ai loro doveri — “alla peggio il presidente se ne comprerà un’altra”.
Noi sappiamo per certo che Sergio Mattarella, su quanto accaduto ieri, ha le idee molto chiare. E non perchè ci parliamo (per farlo, tra l’altro, bisogna essere in due).
Ma perchè quanto accaduto ieri è il replay (aggravato dalla fiducia, che neppure B. osò imporre) di quanto accadde nell’ottobre del 2005, quando il centrodestra cambiò la Costituzione e la legge elettorale a colpi di maggioranza.
E Mattarella,allora deputato della Margherita, il giorno 20 pronunciò parole definitive,che abbiamo già citato ma continueremo a ricordare ancora per molto tempo: “Oggi voi del governo della maggioranza vi state facendo la vostra Costituzione, avete escluso di discutere con l’opposizione, siete andati avanti solo per non far cadere il governo, ma le istituzioni sono di tutti, della maggioranza e dell’opposizione”.
Poi ci sono le parole dello Smemorato di Rignano, che per un anno intero se n’è riempito la boccuccia per giustificare il Patto del Nazareno con B. “Legge elettorale. Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato” (Renzi, Twitter, 15-1-2014).
“L’idea di scrivere le regole del gioco con le opposizioni è un fatto fondamentale, un valore assoluto: la legge elettorale non si può approvare a colpi di maggioranza” (18-3-2014).
E c’è la Smemorata di Montevarchi, al secolo Maria Elena Boschi: “Cerchiamo la più ampia condivisione, non abbiamo un modello elettorale preferito, per noi vanno bene allo stesso modo il Mattarellum o lo spagnolo corretto, o anche il sistema dei sindaci. L’importante è che un accordo ci sia e non si proceda a colpi di maggioranza. Ci interfacceremo con B. come con gli altri” (Ansa, 6-1-2014).
“Le riforme, quelle costituzionali e quella elettorale, non si fanno a colpi di maggioranza” (Ansa, 21-6-2014).
Poi ci sono i paggetti del Duo Toscano, come Ettore Rosato, capogruppo Pd “facente funzioni” (dopo le dimissioni di Speranza), figura tragicomica di quella “cupidigia di servilismo” denunciata da Paolo Sylos Labini.
Ieri alla Camera, siccome la menzogna era all’ordine del giorno, ha portato anche lui il suo contributo spiegando che la fiducia era necessaria a causa di un Parlamento che “in 10 anni non è riuscito a riformare il Porcellum” e a dare agli italiani una legge elettorale decente.
E lui lo sa bene,visto che del Parlamento fa parte da 12 anni (tre legislature).
Purtroppo per lui, il Porcellum non c’entra nulla perchè non c’è più da un anno e mezzo: nel dicembre 2013 è stato spazzato via dalla sentenza della Consulta, che l’Italicum tradisce.
E una legge elettorale esiste: è il proporzionale con preferenza unica disegnato dalla Corte, lo stesso sistema con cui l’Italia andò alle urne nel ’92.
Ci sarebbero poi le bugie di Renzi dopo la cura, che dice l’opposto di prima della cura, quando girava l’Italia e mieteva consensi promettendo “una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti” (3-4-2011).
Ma di balle, ieri, abbiamo già fatto il pieno: non c’è bisogno di rievocarne altre.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
GIUSEPPE LAURICELLA NON VOTA L’ITALICUM, MEGLIO CHIARIRE PRIMA DI ESSERE “FUCILATO” DAL REGIME
Per capire la vicenda del deputato Pd Giuseppe Lauricella bisogna partire dalla fine. Alla Camera si sta votando l’ultima pregiudiziale di costituzionalità sull’Italicum, la legge elettorale fortemente voluta dal Premier Renzi.
L’Aula è piena: la presidente Boldrini dichiara aperta la votazione. È tempo per i deputati di scegliere da che parte stare. Passano pochi secondi e la votazione viene dichiara chiusa.
La maggioranza tiene, le pregiudiziali vengono respinte.
Ma è proprio nello spazio tra il prima e il dopo, tra il pensiero e la decisione che comincia il “travaglio” dell’onorevole Lauricella.
Un bisogno fiosiologico lo costringe a una corsa in bagno e il voto è perso.
La sua giustificazione, spiegata in un’intervista al Mattino, vale più di ogni altra considerazione: “Vuole la verità ? E’ una verità che appartiene alla sfera fisiologica. Non politica. In quei due minuti son dovuto correre al bagno”.
Eppure nonostante la sua assenza Lauricella non ha dubbi: l’Italicum passerà .
Certo la sua assenza, dato per assodato il bisogno fisiologico, qualche dubbio lo ha suscitato visto che lui, membro della commissione parlamentare Affari Costituzionali, aveva esaminato per mesi, da studioso di diritto costituzionale qual è, tutte le contraddizioni di una legge che proprio non gli piaceva.
Nonostante questo era riuscito, la scorsa settimana, con un colpo d’ali a non farsi sostituire nell’ondata di avvicendamenti nella sua commissione: “Alla riunione di gruppo – disse nei giorni del tumulto – ho preso una posizione diversa rispetto alla minoranza: sono dell’idea che sulla legge elettorale dobbiamo andare avanti”.
Cambi repentini di opinione che hanno costretto il deputato in una situazione scomoda, accusato da più parti di trasformismo si difende così: “È la strumentalizzazione politica di un bisogno fisiologico. Non regge, non ho tradito nessuno”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
CRITICHE FEROCI ANCHE AI BERSANIANI: “L’ATTEGGIAMENTO TENTENNANTE DELLA MINORANZA È PURE PEGGIORE”
Compagni in ordine sparso, a Montecitorio e sui social network. 
L’annuncio della fiducia sull’Italicum frammenta il Pd in Parlamento e fa esplodere la base — o la sua rappresentazione più o meno fedele — sulle piazze virtuali.
Facebook ribolle: “Fate come Mussolini e i democristiani”
L’account ufficiale del Pd su Facebook pubblica le parole del premier: “Se non vogliono fare le riforme andiamo a casa subito, come prevede la nostra Costituzione. Questo significa mettere la fiducia”.
Ci sono poche decine di commenti positivi (“Non accettare compromessi, vai avanti Matteo”, “Grandissimo Presidente, il Paese ha bisogno di te”) ma soprattutto un profluvio di proteste.
L’intervento con più apprezzamenti — i “mi piace”, per chi frequenta Facebook — è di Alessandro Rocca: “Gli unici due precedenti di fiducia sulla legge elettorale sono Mussolini con la legge Acerbo, e De Gasperi nel 1953 con la legge truffa. Complimenti, siete entrati nella storia”.
Gennaro Aulitano ha “strappato la tessera”, mentre Emanuele Fuffa si spende in altre congratulazioni ironiche: “State raccogliendo un sacco di applausi! Bravi (da un dirigente provinciale del Pd, ovviamente dimessosi)”.
Alberto Pieri (anche per lui decine di likes) ce l’ha con tutti: “Considero il presidente del Consiglio l’erede di Berlusconi, i suoi atteggiamenti irrispettosi non mi sorprendono più; ma l’atteggiamento tentennante della cosiddetta minoranza lo trovo peggiore della ferrea obbedienza della maggioranza del Pd”.
Passiamo alla minoranza, dunque.
Speranza, Bersani ed Enrico tra osanna e ironie
“A sinistra c’è Speranza”. Gioco di parole abusato, ma che torna buono — su Facebook — per chi ha apprezzato lo strappo dell’ex capogruppo, che non voterà l’Italicum.
Per l’ex pupillo bersaniano non ci sono solo complimenti.
Su Twitter, molti chiedono più coraggio: “Contro! Si vota contro! — scrive Nadia Madeddu — Basta astensioni da conigli!”.
Altri invece si aspettavano fedeltà : “Bersani non le ha detto che nel Pci sarebbe stato cacciato? — scrive Pietro Mancini — E non ha doveri verso la maggioranza che l’ha eletta?”.
Anche Pier Luigi Bersani affida ai social network la sua scelta sulla fiducia. I suoi commentatori, o molti di essi, non si accontentano: “Per una volta sia coerente — gli scrive Stefano Cardarella — Voti no e faccia cadere un governo che si permette di essere così anacronistico e menefreghista. Abbia la dignità di fare questo”.
Carmine Capacchione è lapidario: “Siete ridicoli e patetici, non avete saputo governare e ora vi state suicidando”.
C’è chi insiste sul paragone tra Renzi e Mussolini e come per magia, su Twitter, compare un profilo “troll” di Benito Mussolini, con occhi spiritati ed espressione minacciosa: “Non ci fermerete!”.
Poi c’è Enrico Letta. Dieci giorni fa, da Fabio Fazio, annunciava una sorta di addio alla politica.
Da quel momento non ha passato un giorno senza lanciare siluri su chi l’ha cacciato da Palazzo Chigi.
Ieri, sull’Italicum: “Dopo lo strappo voluto dal governo non voterò #fiducia”. Piovono hashtag e critiche. Silvia Pd scrive: “Agire così quando è stato al governo con #Berlusconi! Non votare fiducia è atto legittimo ma vile delusa davvero! #Italicum”. Un’altra Silvia rincara la dose: “Che poi è la stessa legge elettorale voluta dai suoi 35 saggi #incoerenza #italicum #rancore”.
La solitudine del renziano ortodosso
C’è pure il compito ingrato di chi difende le posizioni del leader senza averne il carisma.
Sul suo profilo Facebook, il “povero” Ettore Rosato — capogruppo reggente a Montecitorio — è abbandonato a se stesso. In mattinata scrive, con sicumera: “Vedrete, alla fine i voti contrari nel Pd si conteranno sulle dita di una mano”.
Sulle dita di una mano, invece, si contano i “mi piace”: 4.
Ma fioccano insulti: “Fate schifo… siete peggio dei fascisti…”, “Ma come fa a guardarsi allo specchio? Non si fa schifo da solo?”, “fascista!”, “E certo, se si vedono minacciare la poltrona. Ma non vi fate schifo neanche un poco?”.
Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
OLTRE I 40 NO…LETTA: “L’AVESSE FATTO IL PDL SAREMMO SCESI IN PIAZZA”
Un ex premier, Enrico Letta. Due ex segretari del Pd, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani. Una ex presidente del partito, Rosy Bindi. Il capogruppo dimissionario, Roberto Speranza. I due sfidanti di Renzi alle ultime primarie, Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
E poi Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina, Danilo Leva, Andrea Giorgis, Marco Meloni… E l’elenco dei dissidenti dem che non voteranno la fiducia a Renzi è destinato a allungarsi.
Lo “strappo” non poteva essere più netto. L’ombra della scissione si allunga.
La tentazione di gruppi parlamentari autonomi e soprattutto il progetto di un nuovo Ulivo, sembra dietro l’angolo.
L’Ulivo di Prodi, Letta, Bindi, Cuperlo e che potrebbe reclutare anche D’Alema.
Dopo lo sconcerto, le divisioni, ore lunghissime di incontri e colloqui in cui le sinistre dem si sono squagliate davanti alla sorpresa della fiducia sull’Italicum, a cui nessuno voleva credere.
Le minoranze sono spaccate. Procedono quindi in ordine sparso.
“Area riformista” la corrente dei bersaniani, è lacerata tra chi segue la linea di Speranza («La fiducia è un errore gravissimo, per questo non la voto, non metto la mia firma su questa violenza al Parlamento») e chi invece trova inconcepibile non sostenere il “proprio” governo.
Però la schiera di quanti non voteranno la fiducia a Renzi aumenta.
Il calcolo della minoranza è che saranno 40-50 i deputati che non risponderanno alla “chiama”.
Tra irritazione e amarezza il conflitto nel Pd è esploso. Nessuno sa con esattezza dove condurrà , se sarà ancora possibile la convivenza nello stesso partito.
Molti ne dubitano, questa volta.
Letta, che del resto ha già deciso di lasciare il Parlamento, si sfoga: « Se l’avesse fatto Berlusconi di approvare le regole da solo e di blindarle con il voto di fiducia saremmo scesi in piazza. Ora che queste forzature avvengono a casa nostra non si può far finta di niente e applicare la doppia morale».
Bindi prende la parola in aula, illustrando tenacemente i suoi emendamenti, e lancia il j’accuse: «Negherò fiducia ad un atto improprio del governo. Se non avesse messo la fiducia, non avrei partecipato al voto finale del provvedimento. Ma ora non si può non prendere in considerazione un voto contro una legge resa immodificabile. La fiducia è una prepotenza frutto della paura non del coraggio».
Civati ironizza: «Se prima eravamo in quattro… sono colpito che siano così tanti e così autorevoli gli esponenti del Pd che si dissociano dalla decisione della fiducia». L’assemblea serale di “Area riformista” è una resa dei conti interna.
Esplodono malumori. C’è chi accusa Speranza di avere lasciato la corrente senza guida, allo sbando, assumendo una posizione estrema.
I “moderati” Enzo Amendola, Cesare Damiano, Luciano Pizzetti, la fiducia la voteranno. Il pressing dei renziani continua richiamando alla lealtà al partito, al gruppo, al governo. Il sottosegretario Pizzetti invita a non buttare alle ortiche la corrente e il ruolo che ha svolto finora: «La fiducia sulla legge elettorale non è un dono di Dio, ma neppure l’anticamera dell’inferno ».
Giorgis ribadisce che «la fiducia è sul provvedimento e non sul governo» ed è stata un errore.
La tensione è altissima. La spaccatura dei bersaniani è una vera e propria frammentazione.
Il portavoce della corrente Matteo Mauri si dissocia da Speranza: «È stato un errore la scelta di Roberto di dimettersi da capogruppo. E’ stato un errore ancora più grave il suo annuncio di non volere votare la fiducia, fatto in completa solitudine. Una scelta che ha sorpreso tutti».
E l’ex capogruppo precisa e giustifica: «La mia decisione è una scelta politica personale che non impegna “Area riformista”, non chiedo a nessuno di seguirmi. Non potevo stare a fare la foglia di fico come capogruppo».
La corrente, che ha fatto spesso da “pontiere” tra renziani e sinistra, è in impasse.
I toni si alzano, a seguire Speranza dovrebbero essere 20-25.
Sinistradem, cioè i cuperliani, si riuniranno anche stamani. Sul voto finale al provvedimento, che sarà a scrutinio segreto, i dissidenti potrebbero essere ancora di più. Fassina è per un secco “no” e denuncia la dignità calpestata del Pd.
«La scissione? Non votare la fiducia al governo lascia i segni».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
SONO I PARTITI CHE FANNO MUOVERE LE BANDIERE
Travestita da prova di forza, ieri è andata in scena alla Camera la prima, pubblica e plateale prova
di debolezza di Matteo Renzi.
Mettere la fiducia sulla legge elettorale è sbagliato sul piano del metodo, perchè dimostra l’incapacità di costruire un ampio e sicuro consenso politico su una regola fondamentale, ed è sbagliato soprattutto nel merito perchè come diceva lo stesso premier a gennaio – per far accettare l’alleanza con Berlusconi – non si cambia il sistema di voto a colpi di maggioranza, tanto più se quella maggioranza riottosa è tenuta insieme dalla minaccia del voto anticipato.
Perso per strada Berlusconi, Renzi sembra aver perso anche la politica, sostituita da una continua prova muscolare.
Che non può però nascondere la rottura evidente tra la sinistra del Pd e il presidente del Consiglio, che è anche segretario del partito.
È contro la minoranza interna, infatti, quel voto di fiducia: che diventa così un attestato di sfiducia reciproca tra Renzi e la sinistra Pd, una sfiducia così forte da finire fuori controllo, fino a una decisione che sfida il Parlamento, ma soprattutto il buon senso.
Renzi ha il diritto di portare avanti le sue riforme, anche la legge elettorale, e il Paese ha bisogno di cambiamento.
In politica però non conta solo il “quanto”, cioè il saldo del voto finale, ma anche il come, vale a dire il percorso, le alleanze, il consenso che si sa costruire.
Qui si porterà a casa la legge, dissipando però il patrimonio accumulato col metodo seguito per l’elezione di Mattarella, che ha fatto per un breve momento del Pd non solo il partito di maggioranza relativa, ma la spina dorsale del sistema politico e istituzionale.
Tutto gettato al vento, perchè la minoranza continua a considerare Renzi abusivo (mentre ha vinto legittimamente le ultime primarie, così come aveva perso le precedenti) e perchè il leader preferisce comandare il suo partito piuttosto che rappresentarlo nel suo insieme.
Così non si va lontano, prigionieri di due mentalità minoritarie.
Ma come leader e premier, Renzi ha oggi una responsabilità in più.
Può avere i numeri: ma dovrà capire che senza il Pd nel suo insieme, il governo è nudo di fronte a se stesso, perchè i partiti sono cultura, valori, storia e tradizione: quel che fa muovere le bandiere.
A patto di non usarli come un tram.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica“)
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Aprile 29th, 2015 Riccardo Fucile
LA PRESENZA DELL’AMORE DIETRO L’AUTORITA’, QUELLA CHE MANCA ALLE ISTITUZIONI
Non si sa se essere più affascinati o turbati dal video di questa donna di Baltimora che prende a ceffoni il figlio vestito da guerriero Ninja per riportarlo sulla retta via, quella di casa.
Il ragazzetto era andato ai funerali dell’ennesimo nero finito sotto le grinfie della polizia.
La cerimonia si è subito trasformata in un’occasione di rivolta. Anche il fanciullo col cappuccio in testa ha inveito e tirato sassi.
Finchè alle sue spalle si è stagliata la figura inconfondibile della Grande Madre, protettrice della cucciolata e tutrice dell’ordine costituito: il suo.
Il timore che il suo bambino si stesse ficcando nei guai l’ha indotta a raggiungere il luogo dei tafferugli e a intervenire con metodi spicci ma persuasivi per riportare la pace sociale. «Vieni subito via di lì!» gli ha intimato, nell’intervallo tra uno schiaffone e l’altro.
Il ribelle, che di fronte ai poliziotti sembrava un leone, al cospetto della donna si è rimesso a cuccia, riconoscendole quell’autorità che nega alle istituzioni di uno Stato sentito come un nemico.
Dietro le mani a badile della madre, invece, avverte in qualche modo la presenza dell’amore.
Forse non è così facile da accettare, ma non è così difficile da capire.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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