Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
LA DEMOCRAZIA PRESA A CALCI DAL LEADER MAXIMO
“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”, dice don Vito Corleone nella celeberrima scena del Padrino, ed è lecito chiedersi qual è l’offerta che i diciannove consiglieri piddini non potevano rifiutare per dimettersi in massa, far decadere il Consiglio comunale e procedere così all’affondamento del sindaco di Roma Ignazio Marino.
Attenzione, lungi da noi pensare che l’integerrimo Matteo Orfini potesse far trovare nel letto di qualche eventuale dissenziente una testa di cavallo mozzata.
Anche perchè (sia detto senza offesa) non è che il commissario romano del Pd somigli così tanto a Marlon Brando.
Resta però il dubbio che certe atmosfere di Mafia Capitale siano filtrate attraverso le finestre sbarrate del Nazareno.
Almeno a leggere le cronache che parlano di una trattativa lunga e affannosa, risolta con promesse di ricandidature alle prossime elezioni e altro ancora.
Qualcuno, ma guarda tu, si sarebbe fatto prendere da “dubbi, sensi di colpa e di incoerenza”(Corriere della Sera), con casi di coscienza gravi assai (“Io insieme a quel fascista non posso firmare…).
E sì, magari intonavano pure “Bella ciao”.
Comunque, i diciannove Pd, alla fine, le dimissioni le hanno sottoscritte (nell’attesa ansiosa che Alfio Marchini confermasse le sue) e visto che non c’era Spezza pollici nei paraggi, mentre Carminati e Buzzi risultano ancora dietro le sbarre, resta l’interrogativo su quale diavolo di motivo abbia spinto un manipolo di consiglieri comunali sani di mente a tagliarsi i cosiddetti, rinunciando a un posto di lavoro fisso per altri tre anni e ai relativi emolumenti.
Il bene di Roma? Qui a Roma? In Campidoglio? Via non scherziamo.
Purtroppo l’eterno e farsesco Bagaglino della politica romana, accompagnato dalle stravaganti furbate di un sindaco improbabile, rischia di oscurare il dramma di una democrazia rappresentativa presa a calci dal leader maximo di partito e di governo, e dai suoi accoliti.
E non ci vengano a raccontare che Matteo Renzi si è voluto tenere fuori da questa storia perchè se i veleni e i pugnali sono stati preparati dai signorsì Orfini, Causi, Esposito, le impronte digitali portano tutte a Palazzo Chigi.
Una strage insensata di legalità che, prima di tutto, ha buttato nel cesso il voto popolare delle primarie Pd e dell’elezione diretta da parte di 650 mila romani.
Il candidato vincente si è mostrato un incapace? Bisognava pensarci prima perchè con questo sistema chissà quanti sindaci e governatori dovrebbero andare a casa. Vogliamo parlare del silenzio tombale a cui è stato ridotto un consiglio comunale sprangato e imbavagliato perchè nessuno conoscesse le vere ragioni della crisi ?
Antonio Padellaro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2015 Riccardo Fucile
“HANNO LASCIATO SPROFONDARE L’URBE NELLA MELMA, ORA VOTARE SUBITO”
È stata Roma? Nelle ombre della Suburra qualcuno ha tramato, ventisei congiurati sono stati trovati, Ignazio Marino è ora suo malgrado libero e nell’innocenza perduta della sua città , a Claudio Amendola, attore, 52 anni, viene in mente il Senato di tutta un’altra epoca: “Evidentemente in Campidoglio c’era un Bruto dietro la colonna”.
Confessa: “Saturazione per quello che leggo ogni giorno” e “per una volta” è d’accordo con il Vaticano: “Siamo alla farsa”.
La farsa dice.
A prescindere da tutte le responsabilità , dagli scontrini, dalle Coop, da Mafia Capitale, dalle etichette che preferisce dare a questo casino, a emergere è la qualità politica, il livello di chi ha gestito la vicenda.
Vuole definirlo?
Ridicolo.
Parla del Pd?
Parlo della Capitale d’Italia abbandonata a se stessa dalla totale assenza della politica. L’atteggiamento del Pd, del primo partito d’Italia e del governo verso Roma mi terrorizza. Hanno lasciato che la nave madre andasse allo sbando girandosi dall’altra parte. E la nave madre non è una scialuppa. Non la puoi osservare allontanarsi alla deriva.
Alla deriva è Roma.
Il Pd e il governo hanno permesso che Roma restasse senza timone. Con un sindaco sfiduciato, dimessosi e poi riconfermatosi, con il caos quotidiano, con la giunta che lo abbandona e il partito e la coalizione che fanno finta di niente come fossero dei passanti qualunque. Da cittadino romano sono sorpreso di quanto si possa andare oltre ogni giorno. La realtà supera quotidianamente la fantasia. Ma che è? Ma che stiamo vivendo?
Sono domande lecite.
Vent’anni fa l’avrei detta in un altro modo, ora ho i capelli bianchi e mi controllo. Quindi mi ripeto: ma che è ‘sta cosa? Ma che modo di fare è?
Lei sostiene che il governo non si sia occupato di Roma.
Non lo sostengo io, è nei fatti ed è anche in quella notevole battuta di Marino: “Renzi chiama tutti tranne me”.
Aveva ragione Marino?
Non mi risulta che Renzi si sia fatto sentire per dare una mano. Evitare ogni problema e ogni difficoltà d’altronde è un po’ nel suo stile.
Nello stile Renzi?
Non so dove abbia imparato l’arte, ma l’ha imparata. Dove c’è un problema, una gatta da pelare, un casino, Renzi non c’è. È un presidente del Consiglio perfetto per le buone occasioni rassicuranti e per i pranzi istituzionali, ma del tutto assente quando le questioni si fanno spinose. Da Roma, a tutto il resto.
E quando la questione è spinosa che succede?
Che Renzi, quando c’è qualche cazzo serio in questo Paese, manda sempre qualcun altro, il sottosegretario di turno. Possiamo dire mille cose già dette da tutti, ma la verità è che la situazione di Roma rende evidente e mette a nudo l’assoluto disinteresse del governo verso le sorti della città .
Roma è restata sola?
Roma è in parte responsabile, ma — e qui parlo da romano — nell’ottica nazionale sembra sacrificabile. Non è amata da nessuno, Roma. E non è possibile che si auspichi da più parti, con godimento che la merda debordi e Roma ne venga sommersa.
Sta per arrivare il Giubileo.
E vedremo l’inferno. La città non è pronta e questa volta non è un modo di dire: ad accogliere altri milioni di persone non è pronta veramente. Anche lì, nessuno che abbia avuto il cuore di dire al Vaticano: “Guardate che celebrarlo in queste condizioni proprio non si può”.
Avrebbe potuto farlo Marino.
Era un po’ in difficoltà . Forse avrebbe dovuto pensarci qualcuno più in alto. Non è accaduto e adesso sarà il caos. Vivremo cose che non abbiamo mai vissuto.
Cose che voi umani…
Esattamente. Se sopravviveremo, forse tra qualche anno avremo anche le Olimpiadi. Altra scossa di terrore. Sarebbe un’occasione straordinaria, un po’ come quella capitata ai milanesi con l’Expo. Ci sono opere che dureranno per i prossimi vent’anni a Milano. Qui avere qualche dubbio sarebbe lecito.
Non nutre la stessa fiducia verso le Olimpiadi romane?
E come faccio? Noi siamo quelli che hanno visto costruire la stazione di Vigna Clara per i Mondiali di Italia 90. Un simbolo dello spreco perchè poi, solo di questo si tratta in fondo. Di tante occasioni sprecate una dietro l’altra. Una fila di rimpianti.
Politicamente a Roma cosa dovrebbe accadere ora secondo lei? Una reggenza provvisoria o la chiamata alle urne?
Non scherziamo. Si deve votare. Alla prima data utile.
Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
A DESTRA NASCE UN NUOVO CONTENITORE POLITICO NEL SEGNO DEI QUARANTENNI
I segnali si erano già avuti all’assemblea della Fondazione An, quando la mozione dei quarantenni appoggiata da Alemanno e Fini ebbe la peggio per 222 voti a 266 su quella della grande alleanza Meloni-La Russa-Gasparri- Matteoli.
Una sconfitta di misura che ha però rappresentato la consapevolezza che il binomio tra l’ex presidente di An e il suo colonnello potesse ancora rappresentare una fascia degli ex An e il conseguente desiderio di coltivare questa base.
Da qui il progressivo distacco degli uomini di Alemanno da “Fratelli d’Italia” e le sue dichiarazioni sempre più critiche verso l’isolamento della Meloni e la sua deriva lepenista e salviniana.
Un altro segnale lo aveva dato Gianfranco Fini pochi giorni fa quando, ospite della Gruber, un po’ a sorpresa non aveva escluso un suo ritorno in campo a tempo pieno.
Il progetto è stato messo a punto durante una riunione a Roma 48 ore fa e doveva rimanere segretato fino a fine prossima settimana, quando diventerà ufficiale e presentato alla stampa.
Che sia in stato avanzato lo dimostra il nome scelto, Azione Nazionale, che ricalca la sigla AN, e il fatto che si sta già lavorando sul simbolo.
L’intesa Fini-Alemanno permetterebbe di unire la esposizione mediatica del primo alla presenza territoriale organizzativa del secondo.
Sullo sfondo, la cordata dei quarantenni che hanno bagnato le polveri all’assemblea dlla fondazione An, per lo più dirigenti locali che credono nella necessità di un rinnovamento dela destra italiana.
Nodi da risolvere restano sia il progetto politico, anche perchè tra Fini e Alemanno rimangono posizioni differenti su diversi temi, che la forma che andrà ad assumere nel tempo questa loro iniziativa comune, destinata a suscitare, come sempre a destra, discussioni e polemiche.
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
DUE IMPRENDITORI SI SONO VISTI RICEVERE A SORPRESA DAL COSTRUTTORE PESSINA NELLA SEDE DEL PD
La stanza si trova al secondo piano della sede del Partito Democratico in via Sant’Andrea delle Fratte 16, cuore di Roma, a due passi da Piazza di Spagna.
Per tutti il Nazareno, come viene definito il palazzo che ospita la sede del Pd a causa della sua vicinanza all’omonimo largo.
Per Guido Stefanelli e Massimo Pessina, gli editori dell’Unità , il Nazareno è invece un comodo ufficio nel quale i due soci della Piesse (che controlla l’Unità Srl con l’80 per cento, mentre il Pd tramite la società Eyu Srl ne controlla il 19 per cento e Guido Veneziani il residuo uno per cento) incontrano imprenditori di ogni colore e provenienza per parlare di affari.
Il Fatto ha raccolto il racconto di due imprenditori che vogliono per ovvie ragioni restare anonimi e che si sono ritrovati a sorpresa a partecipare a incontri nella sede del Pd nei quali si discuteva non di linea politica del Pd o di linea editoriale dell’Unità ma di appalti.
Il problema della confusione dei ruoli è strutturale.
L’Unità è stata salvata dal fallimento grazie a un concordato reso possibile dai milioni di euro del gruppo Pessina Costruzioni.
L’ad e di fatto socio di maggioranza della controllante dell’Unità Srl Guido Stefanelli è amministratore delegato anche della Pessina Costruzioni.
Il Pd è quindi socio dei manager che controllano una società di costruzioni dal fatturato di 74 milioni di euro con un utile di 13 milioni circa e con un indebitamento che ammonta a 99 milioni di euro dei quali 28 milioni verso le banche.
Dati del bilancio al 31 dicembre del 2014.
Secondo la Pessina però il debito reale “ammonta a 23,9 milioni euro”. Inoltre la società vanta “un portafoglio ordini consolidati sui 20 anni pari a 420 milioni euro”. La Pessina si occupa di costruzioni ma anche di servizi nel settore ospedaliero e di housing sociale.
Sono numerosi i casi di potenziale conflitto di interesse di un editore impuro (per altro non certo isolato nel panorama editoriale italiano) con l’aggravante che in questo caso però il socio e beneficiario del salvataggio dell’Unità è un partito politico.
Il nostro giornale già si è occupato di alcune vicende come quella dell’appalto da 140 milioni per la costruzione dell’ospedale di La Spezia aggiudicato alla Pessina nel maggio del 2015 dall’Agenzia regionale della Liguria a guida Pd allora.
La gara era stata bandita anche grazie ai fondi del ministero della salute un anno prima e validata con un parere del’Anac di Raffaele Cantone nell’aprile 2015.
Un altro potenziale conflitto di interesse è stato segnalato dal consigliere di opposizione di Sel Tommaso Grassi al comune di Firenze.
Pessina Costruzioni è una delle due società (oltre alla Investire Sgr della Finnat) ad avere presentato offerte per costruire appartamenti di edilizia sociale per riqualificare la caserma Gonzaga-Lupi di Toscana ora passata dalla proprietà del Demanio al Comune guidato da Dario Nardella.
Le polemiche su questo doppio ruolo degli azionisti della società Piesse, da un lato soci-editori del Pd e dall’altro offerenti in gare bandite da autorità legate o controllate dagli enti del Pd, non hanno consigliato prudenza a Guido Stefanelli e Massimo Pessina.
Il Fatto ha raccolto il racconto anonimo, per ovvie ragioni, di due importanti operatori del settore delle costruzioni che hanno incontrato i due soci dell’Unità nella sede del Pd per parlare non di giornali o di politica ma di appalti.
Al secondo piano del Nazareno Massimo Pessina e Guido Stefanelli possono disporre di una sorta di ufficio di rappresentanza proprio a due passi dalle stanze del segretario-premier Matteo Renzi e del vice segretario responsabile delle infrastrutture del Pd Debora Serracchiani. Stefanelli e Pessina hanno la sede dei loro affari a Milano ma scendono a Roma,un po’come fanno i parlamentari, il mercoledì e il giovedì.
La Pessina Costruzioni dispone di una sede a Roma nel quartiere Prati in via dei Gracchi.
Però — almeno per gli incontri che il Fatto ha ricostruito—Pessina e Stefanelli hanno preferito vedere gli imprenditori nella sede del partito.
Gli operatori del settore hanno raccontato al Fatto di essere stati ricevuti in una stanza proprio di fronte a quella di Renzi e di avere visto anche il tesoriere del partito Francesco Bonifazi che incrociava nei paraggi, come se la stanza fosse usata anche da lui.
Il secondo piano è rigorosamente vietato ai giornalisti e al pubblico e permette una riservatezza assoluta.
Inoltre la location ovviamente incute soggezione agli altri imprenditori che non possono permettersi di chiamare “Francesco” il tesoriere del Pd e “Debora” la responsabile infrastrutture.
Il Fatto ha sentito Guido Stefanelli sul punto. “Escludo categoricamente di avere effettuato incontri con imprenditori nella sede del Pd. Noi abbiamo una formale autorizzazione del responsabile organizzazione — o del tesoriere — non ricordo a stare qua perchè abbiamo la tv dell’Unità e la usiamo per questo fine editoriale. Noi facciamo i nostri incontri al primo piano ma solo per l’Unità . Per le questioni della società di costruzione abbiamo altri uffici nella sede di via dei Gracchi”.
Al Fatto, invece, risulta che in alcuni giorni nella stanza al secondo piano è stata notata persino l’architetto Patrizia Malatesta, che non c’entra nulla con l’Unità ma invece segue le pratiche amministrative, anche quelle per partecipare alle gare, con il ruolo di key account manager di Pessina Costruzioni.
Al Fatto l’architetto Malatesta dice: “Mi sembra uno scherzo” e non risponde sul punto.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO 5 MESI DI INGIUSTA DETENZIONE, IL GIUDICE DI PACE BLOCCA LA DETENZIONE AL CIE… ORA FARA’ LA RICHIESTA DI DIRITTO DI ASILO
Torna libero dopo più di cinque mesi di detenzione Abdel Majid Touil, il 22enne marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità tunisine perchè ritenuto ingiustamente il fiancheggiatore dei terroristi islamici responsabili dell’attentato al museo del Bardo il 18 marzo scorso.
Lo ha deciso il giudice di pace di Torino Giovanni Pomero accogliendo l’istanza dei difensori e della Procura di Torino contro il trattenimento al Centro di identificazione ed espulsione (Cie), un passaggio che preannunciava l’espulsione in Marocco del giovane.
Nonostante la decisione del giudice di pace di non convalidare il trattenimento, rimane pendente il provvedimento di espulsione.
Sono tre i possibili scenari: i legali di Touil potrebbero presentare un ricorso al giudice di pace di Milano contro l’espulsione, chiedere lo status di rifugiato politico per il giovane, oppure la Questura di Milano potrebbe revocare il provvedimento.
Se espulso dall’Italia Touil rischierebbe nuovamente l’estradizione in Tunisia, un’estradizione negata dall’Italia mercoledì 28 ottobre perchè nello Stato arabo è ancora vigente la pena di morte.
Su questo argomento ha fatto leva stamattina la difesa degli avvocati Silvia Fiorentino e Guido Savio a cui si è aggiunto l’intervento del sostituto procuratore Vincenzo Pacileo: “La procura della Repubblica di Torino ha ritenuto di presenziare all’udienza e ha aderito alla richiesta dell’avvocato Guido Savio, difensore del Touil, di non convalidare il trattenimento ritenendo, in adesione ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti umani, che l’espulsione del medesimo possa esporlo a gravi rischi personali”, ha spiegato il procuratore capo Armando Spataro in un comunicato.
Questo intervento, previsto dalle norme ma usato raramente, potrebbe lanciare un segnale alle istituzioni che affronteranno il caso in futuro.
Giunto in Italia su un barcone dalla Libia, Touil è sbarcato a Porto Empedocle il 17 febbraio scorso e poco dopo aveva già in tasca il decreto di espulsione firmato dalla Questura di Agrigento, motivo per il quale è stato portato al Cie dopo la scarcerazione.
“Penso che dopo la sentenza di oggi le autorità potrebbero annullarlo in autotutela”, afferma l’avvocato Savio.
Nel frattempo il legale ha chiesto ai funzionari della polizia torinese di non lasciare uscire dal Cie Touil prima dell’arrivo dei difensori e della madre Fatima: “Grazie a Dio è uscita fuori la verità ”, ha dichiarato all’Ansa, partita in treno da Milano per raggiungere il figlio.
“Stamattina ha parlato con la mediatrice marocchina che lo ha seguito nel carcere di Opera ed era ancora molto confuso”, spiega Savio.
Nei giorni scorsi il giovane non riusciva a riconoscere la voce della madre al telefono nè l’avvocatessa Fiorentino che lo ha seguito in tutti questi mesi.
Touil si trova nel Cie di Torino da mercoledì pomeriggio, cioè da quando è stato scarcerato per ordine dei giudici della Corte d’appello di Milano che hanno negato l’estradizione.
Il giovane era finito nel carcere di Opera il 20 maggio scorso su richiesta delle autorità tunisine che volevano fosse estradato.
Secondo i pm di Milano Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone il ragazzo non aveva legami con gli attentatori che hanno provocato la morte di 24 persone tra cui quattro italiani.
Andrea Giambartolomei
(da “La Stampa”)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
VIETATE LE FOTO DEI DEFUNTI IN MOMENTI DI ECCESSIVA FELICITA’
Ci vuole rispetto nel ricordare i defunti. Lo riporta La Nuova Sardegna, con questa giustificazione il comune di Cagliari ha deciso che le foto nei cimiteri non potranno ritrarre i defunti nei momenti di eccessiva felicità o in costume da bagno.
Nella foto eterna ci vuole decoro. Niente occhiali da sole, banditi boxer o bikini.
Petto nudo? Neanche a parlarne.
Il regolamento comunale — non ancora in vigore — parla chiaro: qualcuno, sbirciando tra le tombe, potrebbe sentirsi offeso.
Meglio evitare, allora, esaminando le immagini dei defunti prima di autorizzarne l’inserimento nella lapide.
Una specie di ultimo esame — anzi ultimissimo — per chi non c’è più.
I figli di una coppia hanno portato una foto dei genitori, deceduti, durante una vacanza al mare perchè è così che li vorrebbero ricordare, ma la loro foto “non è decorosa”.
Un vicende che è poi stata affrontata durante il consiglio comunale:
Il gruppo del Pdl, primo firmatario Stefano Schirru, ha presentato una interrogazione all’assessore Anna Paola Loi, che tra le varie deleghe ha anche quella ai servizi cimiteriali.
Di fronte alla richiesta di spiegazioni l’esponente della giunta Zedda ha replicato proiettando in aula una carrellata di immagini: uomini e donne in posa in momenti felici, espressioni rilassate, foto scattate in vacanza.
Oggi quegli uomini e quelle donne non ci sono più e la maggior parte attende sepoltura o ha una lapide senza foto. Perchè quella scelta dai familiari è stata bocciata.
La scelta del “decoro” fotografico nei cimiteri sta mettendo in difficoltà la giunta comunale perchè da una parte c’è chi sostiene che il funzionario comunale non abbia il diritto di scegliere come i famigliari dovrebbero ricordare i loro cari al cimitero, dall’altra parte c’è chi chiede una maggiore omogeneità nelle foto: espressioni non troppo felici per rispetto del dolore di chi va al cimitero.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
“SECONDO VOI, DOVEVO VOTARE PER ANDARE A CASA? E POI CHI ME LO DAVA DA MAGNA’?”
“Berlusconi? Che me ne fregava? Chi c’era c’era, o lui o un altro era uguale. Era l’arcinemico di Di Pietro? Ma che cazzo me ne frega, mica stavo guardando ‘ste cose. L’importante era andare avanti, non potevo perdere il posto di lavoro“.
Sono le parole del senatore di Forza Italia, Antonio Razzi, che, a La Zanzara (Radio24), racconta finalmente la verità sul suo passaggio dall’Italia dei Valori al centrodestra nel dicembre 2010.
“Secondo voi, dovevo votare per andare a casa?” — continua il parlamentare — “E poi chi me lo dava da magna’ fino a 65 anni? Dovevo vivere. Io nella mia vita ho sempre pensato agli altri, perchè sono una persona sin troppo buona e me lo dice sempre mia moglie. Aiuto sempre tutti e una volta tanto ho pensato a me. Quello che ho detto a telecamere nascoste (all’ex deputato dell’Idv Francesco Barbato, ndr) è la verità . Tutti pensano ai cazzi loro, una volta tanto ho pensato ai cazzi miei“.
E spiega: “All’età di 62 anni in Svizzera ti devi licenziare e quindi non avrei avuto più nessun lavoro. Io devo votare per non lavorare più? Oh, e mica sono scemo! Io non volevo andare a casa, perchè c’avevo da pagare il famoso mutuo che ora, grazie al Signore, ho finito. E meno male! Altrimenti che me magnavo, i ‘matuni’ della casa (i mattoni della casa, ndr)? Ma chi non l’avrebbe fatto?”.
Razzi, che è stato prosciolto da ogni accusa assieme all’altro transfuga dell’Idv, Domenico Scilipoti, precisa: “Il magistrato mi ha detto che non ho commesso nessun reato. E io gli ho risposto: ‘A me mi puoi anche arrestare, così almeno in carcere magno gratis’.
“Qualsiasi cittadino, in tutto il mondo, avrebbe fatto lo stesso. Chi vota per non lavorare più? Io dovevo votare per andare a casa e per non lavorare più?”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
“DEMOCRAZIA RIDOTTA A ELETTI CHE RATIFICANO DAL NOTAIO SCELTE ALTRUI, IL PD HA RIINUNCIATO A NOME E DNA”
“Chi mi ha accoltellato ha 26 nomi e cognomi ma un solo mandante”. “Il Pd ha perso il suo nome e il suo dna”.
E ancora: “Speravo che la crisi si potesse chiudere nell’aula in modo da poter spiegare con un dibattito chiaro e trasparente cosa stesse accadendo. Invece si è preferito andare dal notaio, così gli eletti sono stati ridotti a meri ratificatori di decisioni prese altrove”.
Quello che Ignazio Marino avrebbe voluto dire da sindaco al consiglio comunale di Roma, lo ha detto da ex sindaco in una conferenza stampa che sarà ricordata come la prima dopo la sua decadenza ufficiale.
Teso ma mai dimesso, l’ex primo cittadino ha attaccato “i consiglieri che hanno preferito dimettersi e sottomettersi invece di affrontare un discorso pubblico”, poi ha proseguito, “dicendo ora quello che avrei detto in assise civica”.
Il chirurgo ha raccontato quanto fatto dalla sua giunta negli ultimi due anni, ricordando l’eredità scomoda ricevuta dalla precedente amministrazione e passando in rassegna i provvedimenti più importanti adottati dal suo governo.
“Roma con me è tornata virtuosa” ha detto, facendo cenno alla pedonalizzazione integrale di via dei Fori imperiali, alla fine dell’era dei residence, alla candidatura della capitale per le Olimpiadi del 20124, all’approvazione del progetto per il nuovo stadio della Roma.
“Abbiamo smesso di consumare suolo e riempire di cemento l’agro romano, e forse questo ha disturbato qualcuno” ha sottolineato Marino.
“Ho chiesto all’aula di spiegarmi i motivi di questa crisi, non ho avuto risposte — ha continuato l’ex sindaco — Ho commesso errori? Certo, ma come si dice in chirurgia, il chirurgo che non sbaglia è quello che non entra in sala operatoria. Quali sono gli errori che ho commesso? Quali le delibere sbagliate?” sono state le domande a cui l’esponente politico non ha ricevuto risposta”.
Poi gli attacchi ai vertici del Pd: “Avrei parlato al Partito democratico, il partito che ho fondato e che oggi più mi ha deluso per il comportamento dei suoi dirigenti. Perchè il Pd ha rinunciato ai principi della democrazia rinunciando al suo nome e al suo dna“. Non è mancato una nuova accusa ai consiglieri comunali dem: “Dal notaio si va per vendere o comprare qualcosa, chi si professa democratico non può fare questo”.
Infine i ringraziamenti e il classico in bocca al lupo a chi verrà dopo di lui: “Auguro buon lavoro al commissario che verrà , perchè di lavoro ne avrà tanto da fare. Io finisco qui, ma spero che dalle nostre scelte si riparta. E’ in gioco il futuro di Roma. Si può fermare una squadra, non si possono fermare le idee”.
Dopo l’intervento, l’ex sindaco ha risposto alle domande dei cronisti presenti in sala. E in questo frangente le accuse al Pd sono state fortissime, a partire dai rapporti con il premier Matteo Renzi. “Non ho avuto rapporti turbolenti col presidente del Consiglio perchè nell’ultimo anno non ho avuto rapporti” ha detto Marino.
Che poi, sulla premeditazione delle dimissioni, ha sottolineato che “chi mi ha accoltellato ha 26 nomi e cognomi e un solo mandante. Certo quando un familiare ti accoltella, pensi se è stato un gesto inconsulto o un gesto premeditato? Io questa riflessione non l’ho ancora fatta. Ma non mi fa piacere vedere da democratico — ha detto ancora — che il Pd è andato dal notaio con chi ha militato nel partito di Berlusconi“.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
DEI 19 CONSIGLIERI “DIMISSIONATI” SOLO 5-6 RIENTRERANNO IN COMUNE… IL GIORNO DELLA COMPRAVENDITA
“Posso entrare per l’ultima volta qui in Campidoglio?”. Sono le 16 in punto quando il consigliere Pd, Orlando Corsetti, chiede ai vigili urbani, che stazionano davanti l’ingresso di palazzo Senatorio, se gli consentono il passaggio.
E loro, bonariamente, in quest’atmosfera da fine impero su Marte, rispondono: “Ultima volta per questa legislatura… alla prossima ci rivediamo”.
Il terrore, ma anche la certezza, di quasi tutti i 19 consiglieri del Pd è proprio quello di non tornare più a sedere nell’aula Giulio Cesare.
Con questo stato d’animo i dem hanno firmato la lettera di dimissioni, con la quale hanno messo fine, insieme ai gruppi di opposizione, all’era Marino. Le firme sono in tutto 26.
I gradi di separazione, dei consiglieri capitolini, dal sindaco ormai decaduto, ma soprattutto dalla propria carriera politica ormai incertissima, sono stati i seguenti in queste ore difficilissime.
Prima il coro del “dimettiamoci tutti”. Poi le litanie del “tengo famiglia”, ossia “mi devo in qualche modo salvare e mi devono dare qualche cosa in cambio del mio sacrificio”. E infine, appunto, il sacrificio.
Che per quasi tutti loro non prevede ricompense e contropartite. I calcoli che hanno fatto dicono, più o meno, che dei 19 posti Pd in consiglio comunale, dopo le prossime elezioni, ne resteranno 5 o 6.
“Ma non è vero”, cerca di rincuorare la truppa allo sbaraglio, la super orfiniana, Giulia Tempesta, che aggiunge: “Il nostro partito avrà tempo per recuperare e qui dentro ci ritroveremo di nuovo tutti insieme appassionatamente”.
Insomma, malumori, psicodramma, dubbi su dubbi, hanno caratterizzato i due giorni più lunghi dei consiglieri, che hanno ormai rinunciato al seggio.
Sono i giorni della detronizzazione del sindaco ma anche quelli della fine, per molti, della propria carriera politica.
Giovedì sono servite sette ore di riunione. Anzi, sette ore di urla prima di capire cosa fare. Dimissioni di massa o sfiducia? “Non possiamo votare con il centrodestra o con Gianni Alemanno. E neanche dimetterci in massa con loro”, andava dicendo, per esempio, Dario Nanni, colui che, con la morte nel cuore, almeno così viene descritto dai colleghi, si è lasciato convincere.
A lui rispondono i duri e puri, i fedelissimi alla linea Orfini: “Non importa con chi, l’importante è che lo mandiamo via”.
Marino chiede, tramite ambasciatori, un incontro ai gruppi di maggioranza. “Ascoltiamolo, diamogli questa possibilità “, dice timidamente qualcuno.
Lo psicodramma va avanti. Si aggiungono altri dubbi. Si susseguono gli interventi di chi vorrebbe dare al sindaco la possibilità di riferire. Ma nulla di fatto.
I più vogliono staccare la spina il prima possibile: “Non esiste. Neanche per idea. Basta”. Il sindaco ritira le dimissioni e formalmente è di nuovo in carica. “E adesso dimettiamoci tutti. Non lo vogliamo più vedere”, è la decisione finale.
Parte così la caccia ai voti grillini. I dem provano a sondare gli umori, ma si scontrano con un muro: “Marino deve riferire in Aula, non ci prestiamo ai vostri giochetti”. Telefonate su telefonate.
Si prova la carta Alfio Marchini. “L’importante è che l’esperienza fallimentare della giunta Marino finisca il prima possibile”, dirà il capogruppo Alessandro Onorato: “Lo facciamo per il bene di Roma”.
Alfio Marchini però è a Milano, quindi bisognerà aspettare le 15 del giorno successivo per poter formalizzare le dimissioni. I vertici del partito speravano di chiudere la partita già giovedì sera.
La notte, prima della fine, sarà lunghissima. Bisogna blindare tutti ed evitare ripensamenti. Nel mezzo c’è anche un incontro tra Matteo Renzi e il commissario del Pd romano.
L’appuntamento per il giorno seguente è alle 13 in via del Tritone, nella sede del gruppo consiliare. Adesso bisogna passare dalle parole ai fatti. E quindi, arriva il notaio per formalizzare e garantire la validità delle firme.
Orfini non può permettersi errori di alcun tipo. I dem si presentano alla spicciolata. Occhi bassi e musi lunghi.
Qualcuno si concede ai cronisti e ostenta serenità . È la presidente dell’assemblea, Valeria Baglio: “Stiamo compiendo un atto, firmeremo le dimissioni, segno di unità di un gruppo. Ognuno di noi ha riflettuto su una situazione complessa e con grande senso di responsabilità abbiamo pensato a Roma. Da oggi siamo pronti a guardare al futuro ed a provare a riconsegnare a Roma l’orgoglio che merita”.
Nella sede dei gruppi arrivano anche i consiglieri Roberto Cantiani dell’Ncd e Daniele Parrucci del Centro Democratico.
Si arriva a quota 26 con i consiglieri della lista Marchini e con le firme di Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato del movimento politico che fa capo a Raffaele Fitto e di Svetlana Celli della Lista Marino.
Il notaio prepara l’atto e lo fa firmare in Campidoglio, dove i consiglieri nel frattempo si sono spostati e sono entrati per l’ultima volta.
Marino è nella stanza accanto, nel bunker espugnato.
(da “Huffingtonpost”)
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