Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
LA LEGA AVEVA RINUNCIATO A COSTITUIRSI PARTE CIVILE CREANDO PARECCHI MALUMORI INTERNI: COSA C’E’ DA NASCONDERE?… E LA EX SEGRETARIA DI BOSSI RIVELA: “PRESSIONI DELLA MOGLIE DEL SENATUR SU BELSITO PERCHE’ PAGASSE LORO SPESE PERSONALI”
Dopo le società intestate a prestanome che gestivano la discoteca Sol Levante di Cavi di Lavagna e lo storico locale genovese Bar Balilla, la Guardia di Finanza ha sequestrato la casa di famiglia, registrata a nome della moglie.
Fino a qualche anno gestiva bilanci da decine di milioni di euro. Oggi Francesco Belsito, a cui i militari stanno sequestrando 2,4 milioni di euro di beni per il sospetto di una maxi-evasione fiscale, formalmente non ha più nulla.
Ma gli investigatori sono convinti che si sia circondato di una rete di fiduciari allo scopo di proteggere il tesoro accumulato negli anni in cui è maturato lo scandalo dei finanziamenti al Carroccio.
L’operazione è l’esecuzione di un sequestro per equivalente legato all’oscuro trasferimento offshore di 7 milioni di euro di fondi del suo ex partito in Tanzania e a Cipro: nel momento in cui Belsito ne ha avuto la disponibilità , avrebbe dovuto dichiararli al Fisco.
L’abitazione congelata dagli uomini della polizia tributaria, coordinati dal colonnello Maurizio Cintura e dal capo del nucleo tutela entrate Alessandro Coscarelli, ha un valore stimato di circa 700mila euro.
Una cifra che, sommata ai liquidi a suo nome trovati nella filiale della Cassa di risparmio di Alessandria (meno di mille euro), e alle due società , è ancora lontano dall’ammontare del sequestro.
Le Fiamme Gialle stanno cercando di ricostruire il trust che ne ha coperto le sue ultime attività . La maggioranza delle quote societarie del Bar Balilla erano intestate ad Antonella Scuticchio, madre ottantenne dell’ex custode del tesoro leghista.
Il locale continua a funzionare e, se il provvedimento verrà confermato, sarà affidato a un custode giudiziario e i fondi confluiranno allo Stato.
Uno degli interrogativi di queste ore riguarda proprio questo aspetto: come è possibile che sul conto bancario di Belsito fossero stati depositati meno di un migliaio di euro? Dove sono finiti gli utili del bar?
Resta lo sconcerto, tra i militanti leghisti, sulla mancata costituzione parte civile del partito nel processo, motivata da Salvini con la espressione “Inutile prendersela con uno che non ha nulla, i fatti ormai appartengono al passato”.
Ma molti ricordano che Belsito aveva dichiarato a verbale di aver consegnato 20.000 euro in nero a Salvini per la sua campagna elettorale e poi non ha più dichiarato altro.
Sul fronte giudiziaio milanese invece, Nadia Dagrada, ex segretaria ed ex contabile della Lega Nord, ha testimoniato nel processo a carico del Senatur, del figlio Renzo Bossi e dell’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito per appropriazione indebita per le presunte spese personali con i fondi del partito.
Stando alla deposizione di Dagrada, Belsito le avrebbe raccontato di «pressioni sempre più forti da parte della moglie di Bossi e della senatrice Rosi Mauro che lo avevano spaventato, anche perchè a volte, a suo dire, si era trattato anche di minacce».
Le «pressioni», ha chiarito la testimone, erano esercitate per ottenere «pagamenti di spese personali».
(da “il Secolo XIX“)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DEL MEDICO, LA DONAZIONE DELLE CORNEE, LO SQUALLORE DEI PARENTI: “SIAMO UN PAESE RIDICOLO”
Un medico racconta sulla propria pagina Facebook una vicenda dolorosa vissuta in prima persona all’interno di un ospedale romano, dove il compagno gay di un defunto venne escluso e allontanato dalla famiglia nonostante 35 anni di vita e amore insieme.
Francesco Gagliardi, oculista, ricorda di essere stato chiamato per un espianto delle cornee al San Giovanni.
Il deceduto era gay e secondo la legge non avrebbe potuto donare gli organi ma il primario dell’epoca “si prese tutte le responsabilità ” in quanto medici e infermieri avevano saputo che aveva vissuto con il compagno 35 anni: una vita intera.
Io mi precipito nell’ospedale dove questo signore era morto e parlando con l’infermiere che aveva trattato il caso (altra brava persona) mi viene detto che mancava una firma perchè la donazione era stata richiesta dal compagno del signore morto con cui viveva da 35 anni ma che essendo questo giuridicamente nulla non poteva firmare.
Per la firma si presenta una sorella, l’unica con la quale il defunto aveva mantenuto qualche contatto poichè – apprende sempre il dottor Gagliardi attraverso il racconto degli operatori sanitari – la famiglia lo aveva cacciato di casa in quanto gay.
Ma la scena peggiora quando, finito l’espianto, il medico vorrebbe ringraziare i famigliari per la donazione delle cornee.
Due fratelli della persona appena deceduta stanno, infatti, litigando con la sorella perchè a loro parere dovrebbe cacciare di casa il compagno, sparito dalla corsia dell’ospedale poichè giuridicamente non può assistere nemmeno alle pratiche post-mortem.
La cosa più ripugnante è che stavano redarguendo la sorella che non voleva cacciare il compagno di una vita del suo compianto fratello dalla casa che era intestata al defunto e che ora per legge apparteneva a loro ma che era occupata dall’altro “frocio”.
Ognuno è quello che è ed è responsabile di quello che fa ma la cosa che più mi ha addolorato di questa storia è non aver potuto ringraziare chi ha permesso con la sua caparbietà di realizzare l’ultimo desiderio del suo compagno in quanto non essendo parente nè niente non poteva avere accesso alla camera mortuaria dove venivano fatti i prelievi.
A dieci anni di distanza da quell’episodio, Gagliardi sente di dover chiedere scusa a quell’uomo invisibile per la legge, per l’ospedale e per i famigliari:
Volevo cogliere l’occasione per ringraziare il compagno del signore morto per la sua lezione d’amore e chiedergli scusa per tutto il male che un paese ridicolo e inadatto gli ha fatto.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
“QUALITA’ MEDIOCRE” CON CONSEGUENZE A LIVELLO INFETTIVO
La ricerca di un prezzo sempre più basso ha ridotto in maniera drastica la qualità degli strumenti chirurgici al punto tale che «i bisturi in Italia non tagliano più».
L’allarme arriva dalla Acoi, l’Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani che ha ricevuto segnalazioni da migliaia di medici in tutta Italia.
La «mediocre qualità » dei bisturi utilizzati oggi ha conseguenze sia estetiche, perchè il taglio perde la famosa precisione chirurgica, sia infettive.
A spiegare i rischi diretti per la salute è Diego Piazza, presidente dell’Acoi (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani), secondo il quale «aumentando il trauma cutaneo per incidere una superficie, si aumenta il rischio di contaminazione batterica della ferita. È evidente che, dovendo aumentare la forza per incidere una superficie, si rischia di tagliare oltre le intenzioni dell’operatore. Quanto ai costi, possiamo affermare che si tratta di una scelta antieconomica, perchè per uno stesso intervento può essere necessario utilizzare più bisturi, cosa che non si verificherebbe con un buon bisturi che, al contrario, potrebbe essere utilizzato più volte durante lo stesso intervento». Privilegiare il prezzo a scapito della qualità , si domanda Piazza, «fino a fare scomparire quasi del tutto le caratteristiche minime di funzionalità del prodotto, addirittura dei dispositivi medici ad elevata tecnologia il cui malfunzionamento può avere effetti letali, che tipo di sicurezza e qualità forniamo ai nostri pazienti?».
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
“ACCORDO SINDACALE SUGLI ESUBERI CONTRARIO ALLA LEGGE E AL DIRITTO DELLA UE”
L’accordo sindacale che ha portato alla nascita della nuova Alitalia, sotto il segno di Etihad, è illegittimo.
E illegittimi sono i licenziamenti previsti dall’intesa.
Lo stabilisce un’ordinanza del Tribunale di Roma, che reintegra cinque dipendenti lasciati a casa nel passaggio dalla vecchia alla nuova società . Il tribunale ha spiegato che gli esuberi si basano su “un accordo sindacale contrario alla legge e al diritto dell’Unione europea“.
Una decisione che può guastare i piani della compagnia aerea: ora quanti hanno impugnato i licenziamenti, spiegano gli addetti ai lavori, hanno un’importante arma in più per chiedere di tornare al lavoro.
Secondo il sindacato Cub, si parla di circa 500 lavoratori che hanno fatto ricorso, mentre l’azienda, interpellata da ilfattoquotidiano.it, non ha saputo quantificare il numero di cause in corso.
Il caso riguarda cinque dipendenti di Cai, Compagnia aerea italiana, in parole povere la “vecchia” Alitalia.
Come altre centinaia di colleghi, questi lavoratori sono stati licenziati in seguito agli accordi con la società emiratina Etihad, che nell’agosto del 2014 è intervenuta per salvare la compagnia di bandiera.
L’intesa che inizialmente aveva previsto oltre 2.200 esuberi, ne aveva poi gestito una parte con ricollocazioni e incentivi all’esodo. Avevano firmato i sindacati Cisl, Uil e Ugl. Erano rimasti fuori circa mille dipendenti, licenziati a fine 2014.
Il giudice ricostruisce così la trattativa di quei giorni dell’estate 2014: “Si evince con chiarezza che gli esuberi sono stati decisi nell’ambito sì di una situazione di grave difficoltà economica di Cai, ma che essi costituivano la premessa e la condizione della cessione aziendale; se non fosse stato licenziato un certo numero di lavoratori, Etihad Airways non avrebbe accettato la partnership, Sai non sarebbe stata costituita e la cessione non sarebbe avvenuta”.
Insomma, i licenziamenti erano la condizione per il via libera all’accordo.
E proprio questo viene contestato dal tribunale: “Il trasferimento d’azienda non costituisce un’ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in quanto non determina la soppressione dei posti di lavoro, ma la prosecuzione dell’attività lavorativa da parte di un altro datore di lavoro”.
Il giudice motiva la sua decisione basandosi sulla normativa nazionale e su una sentenza della Corte di giustizia europea.
Da qui, la conclusione: “Il licenziamento del ricorrente è illegittimo, in quanto fondato su un accordo sindacale contrario alla legge e al diritto dell’Unione europea”.
Ora restano da capire le conseguenze concrete che questa ordinanza potrà avere sui licenziati Alitalia.
“Questa decisione può produrre un effetto imitazione a cascata”, spiega Umberto Romagnoli, professore emerito di diritto del Lavoro all’Università di Bologna.
“Chi ha già impugnato il licenziamento può avere buone chance di successo”.
Anche l’avvocato Giuseppe Marziale, che ha seguito la causa insieme alla collega Patrizia Totaro, parla di un “precedente importante”.
Ma attenzione: non vale per tutti i licenziati nell’operazione Etihad. “L’ordinanza può essere significativa solo per quanti hanno già avviato un ricorso contro il licenziamento — precisa Marziale -. Per chi non l’ha fatto, ormai i termini sono scaduti”.
Ma di quanti dipendenti si parla? “A quanto ci risulta, circa 500 persone hanno fatto ricorso”, spiega Antonio Amoroso, sindacalista Cub Trasporti e anch’egli ricorrente. Contattata da ilfattoquotidiano.it, l’azienda non ha fornito cifre in merito.
Ma ha spiegato che farà ricorso contro le cinque ordinanze di reintegro, aggiungendo che su 83 casi definiti (cioè arrivati a una prima sentenza) fino ad ora sono solo 16 i verdetti di reintegro.
Una tendenza che, in vista dei procedimenti d’appello, ora rischia di essere invertita dalla novità del precedente di Roma.
“Tutto ciò è la prova provata che non esistevano nel 2014 così tanti esuberi — sostiene Amoroso -. L’azienda ha approfittato dell’accordo sindacale, contrario alla normativa europea, per avere ammortizzatori sociali con cui mandare a casa i lavoratori più costosi e assumere precari o personale con il Jobs act, con minori tutele”.
Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
CONDANNATO A TRE ANNI E MEZZO PER CONCUSSIONE: HA COSTRETTO UN DOCENTE DELL’ATENEO A VERSARGLI 141.000 EURO PER NON PERDERE LA CATTEDRA
Tre anni e mezzo per concussione. È la condanna inflitta all’ex rettore dell’università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, nei confronti di un docente dello stesso ateneo, il medico romano Sergio Tiberti, dal 2014 Accademico delle Scienze.
Il 12 novembre scorso il pm Giuseppe Deodato aveva chiesto quasi il doppio della pena: sei anni, oltre alla confisca di alcuni alloggi di proprietà dell’ex rettore ad Avezzano (L’Aquila).
Immobili di pari valore rispetto alla somma che Tiberti sarebbe stato costretto a versare a Di Orio: 141 mila euro in nove anni. Se non avesse pagato, sarebbe scattato il licenziamento: questo il ricatto che la vittima, titolare della cattedra di Igiene a Medicina, avrebbe sopportato fino al 2009 quando, assistito dall’avvocato Giorgio Tamburrini, ha raccontato in procura la persecuzione subita.
Carriera rovinata
Le vessazioni erano iniziate nel 2001, quando Di Orio era ancora preside della facoltà di Medicina.
Per non perdere la cattedra Tiberti era costretto a versare almeno 15 mila euro al mese, ma non solo. Fra le tangenti ricostruite dalla procura, da segnalare anche l’acquisto di un’auto in una concessionario sulla Salaria, il pagamento ogni anno del premio assicurativo, il conto aperto in una sartoria e la consegna di assegni circolari. La classica goccia è stata una minaccia pronunciata da Di Orio davanti ad altri colleghi: «Quando il coniglio esce dalla tana…… allora pum pum pum».
Tiberti non ce l’ha fatta più: è stato allora che ha deciso di dire basta.
Lavinia Di Gianvito
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
SONO QUESTI I MODELLI DI FAMIGLIA DA SEGUIRE?
Ancora una volta gli ultras sono genitori. Succede, succede spesso, non dovrebbe succedere mai.
Nel campionato di Allievi Interprovinciali della Figc domenica a Fiorano, paese celebre per il circuito automobilistico alle porte di Modena, durante la gara tra Fiorano e Solierese per il girone C, una sfida tra due dei migliori vivai della zona, i genitori dei ragazzini (14 e 15 anni) in campo se le sono date di santa ragione finchè le società non hanno chiesto all’arbitro, e ottenuto, la sospensione della gara.
Le due squadre stavano giocando tranquillamente quando a un certo punto s’è accesa la scintilla della follia sulle gradinate.
Prima uno scambio di insulti e poi le botte.
Si è accesa così una furibonda rissa e i giocatori, adolescenti nati tra 2000 e 2001, hanno assistito dal campo.
La faccenda è proseguita a tal punto che le due società , in comune accordo, hanno domandato all’arbitro di interrompere l’incontro.
Le squadre sono rientrate negli spogliatoi e solo allora la gazzarra s’è sedata.
“Ora basta” tuona il presidente della Figc di Modena, Vincenzo Credi, che chiederà al giudice sportivo di imporre le porte chiuse per alcune partite del settore giovanile considerate a rischio.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
NON E’ UNO SCONTRO TRA LAICI E CATTOLICI, DESTRA E SINISTRA, MA TRA MEDIOEVO E FUTURO
“Allora come è andata?” mi chiede mia madre al telefono. Le dico “Bene. Benissimo”. A Londra, davanti l’ambasciata italiana, eravamo tantissimi.
“Sai Marco” mi dice lei “Sembrava il ’78”. Le chiedo come mai. Mia madre – come moltissimi della sua generazione – il ’78 l’ha fatto per davvero.
“Perchè erano decenni che l’Italia non vedeva così tanti giovani in piazza per una battaglia di civiltà “.
E in effetti ha ragione, le cento piazze del 23 gennaio hanno visto un protagonismo assoluto dei giovani e dei giovanissimi, etero e gay, senza distinzioni. Da Bolzano a Ragusa, si è vista una nuova generazione di cittadini che ha urlato con forza al Parlamento e al Governo: è ora di svegliarsi.
L’Italia del futuro che non ha paura dell’amore, che vuole finalmente uscire dal medioevo, che non vuole essere complice di questo insopportabile apartheid giuridico per le coppie di persone dello stesso sesso che pesa come un’infamia sul nostro paese.
Come molti anni prima, i giovani sono stati in prima fila nel combattere la segregazione razziale o le discriminazioni delle donne, anche in questo caso sono loro il motore vero del cambiamento culturale nel paese.
Sono ragazze e ragazzi che hanno imparato cos’è l’uguaglianza non nelle sedi di partito, ma viaggiando, facendo l’Erasmus, visitando quei paesi in cui le coppie gay si possono sposare.
E lì hanno visto con i loro occhi che il matrimonio egualitario non ha fatto danni, non ha distrutto la famiglia “tradizionale”, nè ha portato alla fine della tradizione (o della religione, per chi crede).
Questi ragazzi non sono ideologici, non cadono nei tranelli degli integralisti, non si fanno spaventare dai fantasmi agitati per ostacolare il progresso, non combattono una battaglia contro qualcuno.
Si sono appassionati alle questioni dei diritti civili non per fede politica o ideologia, ma attraverso la loro quotidianità : parlando con i propri amici e compagni di scuola omosessuali, imparando a conoscere le loro storie, le loro sofferenze e i loro sogni. Marilena, la figlia di una mia amica, una ragazza cattolica impegnata nello scoutismo, per esempio, è scesa in piazza a Milano perchè nel suo gruppo di amiche più strette c’è una ragazza lesbica, Cristina.
“Devo andare a manifestare in Piazza per Cristina” ha detto alla madre. Marilena non ha la tessera dell’Arcigay e probabilmente non sa nemmeno chi sia Monica Cirinnà , ma ha sentito che la discriminazione nei confronti della sua migliore amica la riguardava da vicino e per questo motivo è scesa in piazza.
“Io credo che l’amore ci renda tutti uguali” mi dice quando la raggiungo al telefono, “E mi fa davvero soffrire vedere che in questo paese io e la mia migliore amica invece non siamo affatto uguali”.
Qualche giorno fa il ministro Galletti ha dichiarato in un’intervista al Corriere di non essere riuscito a convincere la figlia Laura, ventiduenne, ad andare con lui al “Family Day”.
Questo episodio mi ha colpito molto perchè ci da il senso del dibattito nel paese: non c’è nessuno scontro fra laici e cattolici, fra destra e sinistra, semmai la frattura è fra futuro e passato. Innanzitutto, un plauso va al ministro che ha deciso di raccontare la storia, rispettando la scelta della figlia. Probabilmente Laura ha maturato la sua opinione, come Marilena ed altre migliaia di suoi coetanei, confrontandosi con un amico o un’amica omosessuale.
Già , i famosi amici gay che sembrano avere tutti (soprattutto quelli che sono contrari al Ddl Cirinnà ).
Ciò che non si dice però è che anche questi benedetti amici gay sono molto cambiati: c’è una nuova generazione di giovani Lgbti, coetanei di Laura, che non si sente più diversa o speciale a causa del proprio orientamento sessuale, che non vuole vivere nei ghetti o come panda nelle riserve indiane, ma che anzi rivendica senza timori il proprio diritto ad essere cittadini in pieno e non a metà .
Magari anche quelli della generazione di Galletti avranno avuto ai tempi dell’università un collega omosessuale, ma per quegli omosessuali la possibilità dell’uguaglianza non era neanche immaginabile.
Invece i giovani Lgbti di oggi, che poi sono i vostri figli, fratelli, nipoti, non hanno più paura dell’uguaglianza, anzi la pretendono a gran voce. E allora la contrapposizione che si nasconde dietro lo scontro sul Ddl Cirinnà fra lobby gay e Family day, ma fra questi giovani e chi vuole privarli di un futuro.
Immaginate che cosa significhi per un ragazzino omosessuale di provincia scoprirsi gay e non poter immaginare una relazione stabile col proprio compagno tutelato dalle leggi dello Stato? Pensate che odiosa sensazione possa provare nel sapere che a differenza della propria sorella eterosessuale a lui sarà negata la possibilità di crearsi una famiglia?
Già , che cos’è poi il desiderio di famiglia se non un desiderio di stabilità e certezza che faccia da argine alla solitudine e alle avversità imprevedibili della vita?
Proprio l’altro giorno, leggevo su Lettera43, la storia di una coppia di donne, Marina e Laura, che non possono godere della legge 104/1992. E così Marina quando deve assistere Laura, malata di cancro, non può usufruire dei permessi retribuiti come accade per i coniugi e i parenti fino al terzo grado. E già perchè Marina e Laura pur amandosi e vivendo insieme non sono nessuno davanti alla legge. E così Marina deve utilizzare le ferie, che però non sono infinite, per accompagnare Laura a fare i cicli di chemio.
Alla faccia di chi continua a dire in Tv che i diritti dei conviventi sono già tutti garantiti per via giurisprudenziale.
Allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che chi non vota il Ddl sulle unioni civili vuole condannare queste migliaia di giovani gay e lesbiche ad un avvenire di solitudine, precarietà e sofferenza.
E infatti a questi ragazzi che dovremmo pensare mentre discutiamo di grandi sistemi ed emendamenti al Ddl Cirinnà . E a loro che stiamo facendo un torto immane tollerando questo barbaro vuoto normativo
Ecco perchè invito a gettare le maschere. Mi rivolgo ai senatori dissidenti del Pd e a tutti quei parlamentari, come Mara Carfagna, che si dicono a favore delle unioni civili ma contrari al ddl Cirinnà .
Sappiamo tutti che la legge non è perfetta, sarebbe potuta essere migliore e che in futuro si potrà migliorare, ma non possiamo davvero perdere questa occasione storica.
Occorre fare una breccia nella coltre di immobilismo che circonda questi temi da più di trent’anni. È ormai arrivato il tempo di superare questo vuoto normativo che riverbera sofferenze e ingiustizie, quando non vere e proprie crudeltà , su migliaia di cittadini italiani.
Non nascondetevi perciò dietro ai tecnicismi per dire di no al futuro che è già scritto negli occhi di quelle migliaia di ragazze e ragazzi scesi in piazza.
È arrivato il momento di svegliarsi.
Marco Palillo
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
“RAMMARICATO PROFONDAMENTE, INVOCO LA COMPRENSIONE DI TUTTI”: L’IPOCRITA NOTA PER NON ESSERE CACCIATO
Don Angelo, il parroco di Arnasco che durante i funerali non ha benedetto la salma Aicha Bellamoudden, la donna marocchina morta nel crollo della sua casa, ora chiede scusa.
Questa mattina alle undici ha incontrato il vescovo coadiutore della diocesi di Albenga-Imperia, monsignor Guglielmo Borghetti e la Curia ha emesso un comunicato ufficiale dove si spiega che don Angelo Chizzolini “e’ rammaricato profondamente che la decisione del vescovo per un gesto di apertura e piena solidarietà umana e cristiana sia diventata l’occasione per far divampare sentimenti di divisione e polemica. Consapevole che il suo comportamento durante la liturgia delle esequie ha ferito la sensibilità di molti – prosegue la nota – don Chizzolini chiede pubblicamente scusa, se ne dispiace profondamente e invoca la comprensione di tutti, pronto a dimostrare con i fatti i suoi più intimi sentimenti di apertura e tolleranza. I tempi sono difficili e tutti abbiamo bisogno di serenità , comprensione e stima reciproca. I valori del dialogo pacifico e della convivenza civile impongono di non esacerbare gli animi.”
Nell’incontro in Curia monsignor Borghetti aveva chiesto a don Angelo “chiarimenti sulla questione che ha suscitato tanto clamore nella stampa locale e nazionale e nell’opinione pubblica.”
E don Chizzolini, come recita il comunicato ufficiale, “ha spiegato ordinatamente come sono andate le cose dal giorno stesso della tragedia che ha colpito il caro paese di Arnasco; ha dichiarato la sua piena adesione alla scelta operata dal vescovo di concedere la presenza nella Chiesa Parrocchiale della salma della signora Aicha Bellamoudden, vittima della tragedia, per le esequie celebrate in rito cattolico.
Quindi chiede scusa pubblicamente.
Fino alla prossima esibizione.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2016 Riccardo Fucile
FALSATA ANCHE LA CARTELLA CLINICA
Nuovi particolari, emersi dalle dichiarazioni di una testimone, sono stati resi noti sulla morte Giovanna Fatello, la bambina di 10 anni entrata nella sala operatoria della clinica romana Villa Mafalda la mattina del 29 marzo 2014 per un intervento di timpanoplastica.
Nonostante si trattasse di un’operazione di routine la piccola non sopravvisse all’intervento e inizialmente si attribuì la causa a una malformazione, un problema legato alle allergie.
Valentina Leoni e Matteo Fatello, genitori di Giovanna, non si sono però dati pace, dal momento che loro figlia “era perfettamente sana” e i particolari emersi dall’inchiesta hanno dipinto un quadro diverso da quello inizialmente ipotizzato.
Maria Rollo, una delle testimoni chiave, sorella della titolare del bar interno alla Casa di cura, scrive il Messaggero, avrebbe raccontato alla polizia che l’anestetista di Giovanna, subito dopo l’ingresso in sala operatoria della piccola, si sarebbe recato al bar bevendo un caffè in compagnia di due amiche per circa mezz’ora. Una tesi che sarebbe confermata dall’analisi del pm.
Si legge sul Messaggero: “La morte avveniva dopo l’allontanamento ingiustificato dell’anestesista Dauri e in presenza di un altro anestesista non componente dell’equipe operatoria, il dottor Francesco Santilli, che non gestiva correttamente le vie aeree della paziente mediante l’apparato per anestesia Drager Fabius, non monitorava l’efficienza della ventilazione meccanica dopo averla avviata e non verificava visivamente lo stato di Giovanna Fatello per rilevare tempestivamente un eventuale stato di cianosi della pelle e delle mucose, indicativo di difetti di ossigenazione e di ventilazione, derivandone un arresto cardiaco in asistolia conseguita e progressiva ipossia per un tempo di alcuni minuti, tra le ore 9,40 e le ore 9,50”.
Non solo. Sempre secondo il Messaggero il pm ritiene che la cartella clinica fosse stata falsata, con un’errata ora del decesso, e che la macchina per l’ossigenazione non fosse perfettamente funzionante.
La testimonianza di Maria Rollo aggiunge un tassello importante alla ricostruzione della vicenda.
(da “Huffingtonpost“)
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