Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
RENZI ALL’ASSALTO DELLE PARTECIPATE TRA TAGLI E NUOVE NOMINE DI AMMINISTRATORI UNICI SCELTI DA LUI
Magari l’ultima ispirazione gliel’ha fornita il film di Checco Zalone che ironizza sulla passione italiana per il posto fisso: Matteo Renzi lo ha visto a Torino con la famiglia e ha riso “dall’inizio alla fine”.
Fatto sta che uno dei primi compiti nell’agenda del governo per il 2016 è l’assalto alle partecipate pubbliche, statali, regionali e comunali. Obiettivo: dimezzarle da 8mila a 4mila, con l’obiettivo futuro di arrivare a mille.
In vista del primo consiglio dei ministri del nuovo anno (la prossima settimana) il presidente del consiglio, insieme al ministro Marianna Madia e i tecnici dei ministeri della Pubblica Amministrazione e del Mef, mette a punto il primo pacchetto di decreti attuativi della riforma approvata l’estate scorsa.
Ci sono tagli e azzeramenti di cda ma anche nuove nomine nelle partecipate pubbliche.
Perchè in molti casi – almeno “un centinaio” dicono gli esperti ma potrebbero essere molti di più a seconda del testo finale – i consigli di amministrazione verranno sostituiti da amministratori unici nominati dal governo, dalle regioni o dai sindaci, a seconda della proprietà .
Insomma, un discreto giro di nomine in nome della razionalizzazione della spesa e alla vigilia delle amministrative 2016. E il controllo di tutte le partecipate potrebbe essere assegnato direttamente a Palazzo Chigi, non al Mef.
E allora via all’assalto alle partecipate, nervo scoperto per tutti i governi, anche per quelli tecnici come l’esecutivo Monti che pure si cimentò nella difficile impresa senza riuscire a cavarne granchè.
Cioè senza riuscire a eliminare gli inutili carrozzoni pubblici che servono da parcheggio per gli ‘esodati’ della politica. Eppure è proprio nelle norme varate dal governo Monti che Renzi trova quella possibilità per le partecipate pubbliche di optare tra amministratore unico e cda, norma che il nuovo premier vuole assolutamente mantenere così com’è.
Riservandosi la prerogativa di decidere per decreto in quali società nominare gli amministratori unici al posto dei cda, secondo le prime bozze non definitive del testo.
Di certo, sono escluse le società a partecipazione pubblica e privata, che per legge richiedono un consiglio di amministrazione. Ed escluse sono anche quelle quotate in borsa e quelle da privatizzare, come Enav e Ferrovie.
Nel mirino del governo ci sono la Sogin, Invimit, Sogei, Anas, Gse, Consip, Invitalia e tante altre.
Potrebbe scaturirne un discreto giro di nuove nomine di amministratori unici sull’onda dell’esigenza di razionalizzare la spesa pubblica in termini di persone impiegate e compensi.
Gli esperti del campo parlano al minimo di “un centinaio” di nuove nomine, cifra che potrebbe lievitare se la scure si abbatterà anche su enti, fondazioni e istituti pubblici di solito zeppi di cda e ben elencati nella lista annuale dell’Istat sulle “unità istituzionali che fanno parte del settore delle Amministrazioni Pubbliche”, i cui conti concorrono all’indebitamento della pubblica amministrazione.
E’ la nuova sfida di Renzi. Che dovrà muoversi come funambolo tra la difficoltà di scontentare i potenziali bacini di voti che ruotano intorno alle partecipate pubbliche e la necessità di darci un taglio in vista delle amministrative 2016, duro banco di prova per il segretario del Pd.
La soluzione potrebbe essere individuata tra tagli e nomine ‘razionalizzanti’, dunque: non più cda ma un uomo solo al comando, dove si può.
Con un accentramento di potere che potrebbe ricordare il ruolo che la riforma Rai assegna all’amministratore delegato di viale Mazzini Antonio Campo Dall’Orto o addirittura la figura dei presidi disegnata dalla ‘#buonascuola’.
Naturalmente si tratterà di sfrondare la selva delle controllate, abolendo quelle inutili, razionalizzando la spesa di quelle che assicurano un pubblico servizio.
Uno dei nodi ancora aperti è sul controllo delle partecipate pubbliche. Al governo si ragiona su una regìa unica per tutte, le 80 del Mise, le dieci delle agenzie fiscali e altre. Una cabina che però pare non destinata al Mef. Piuttosto la possibilità è che sia affidata direttamente a Palazzo Chigi. Renzi ne sta discutendo con Pier Carlo Padoan. Si punta a trovare la quadra entro il prossimo consiglio dei ministri.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
REGNO UNITO E GERMANIA LE METE PREFERITE… 3.300 DA MILANO, 2.949 DA ROMA, 1.885 DA NAPOLI, 1.653 DA TORINO
Sono 90mila gli italiani che nel 2014 hanno trasferito la loro residenza all’estero, il 30,7% in più rispetto al 2012.
E la metà di loro è under 40, cresciuti in due anni del 34,3%: in pratica, ogni mille under 40 ci sono 3,3 giovani che hanno lasciato l’Italia.
Se ne vanno per cercare fortuna, per inseguire un lavoro, una passione o una nuova carriera, principalmente nel Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Stati Uniti e Spagna.
E’ quanto emerge dalle elaborazioni dell’Ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Istat, che indicano come in termini assoluti ci siano stati 11mila trasferimenti in più negli ultimi due anni.
Milano è in testa con quasi 3.300 cambi di residenza verso l’estero effettuati da italiani nella fascia d’età compresa tra 18 e 39 anni, seguita, per numeri assoluti, da Roma (2.949), Napoli (1.885) e Torino (1.653).
Se prendiamo in considerazione però i trasferimenti degli italiani all’estero, in rapporto al totale dei residenti italiani under 40, si parte di più da Bolzano, Imperia, Trieste, Pavia e Como.
Città , a parte l’universitaria Pavia, di confine, dove l’emigrazione di ‘corto raggio’ è più immediata.
Foggia, Taranto e Caserta le province dove il rapporto è più basso: meno di 2 ogni mille under 40 hanno trasferito la propria residenza all’estero.
Elevate le differenze a Roma (863 trasferimenti in più rispetto al 2012), Palermo (829), Napoli (757) e Milano (451).
Diminuiscono invece i trasferimenti in due anni a Belluno, Rimini, Vibo Valentia, Vercelli, Potenza, Novara e Verbano-Cusio-Ossola.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
VOGLIONO TRASFORMARE LE “LOGGE DEI TIRATORI” IN UNA SALA CONGRESSI
Un’antica architettura del Seicento costruita a Gubbio, una tra i monumenti più significativi della bellezza paesaggistica della città umbra rischia di non esistere più.
Le “Logge dei Tiratori”, così chiamate perchè in passato i mercanti di panni vi facevano liberamente “tirare” le stoffe, sono diventate oggetto del contendere tra Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e il Quirinale.
L’aspra battaglia che si sta consumando da due anni fra il Comitato per la tutela dei beni architettonici e paesaggistici di Gubbio e la Fondazione riguarda, in particolare, la volontà di quest’ultima di trasformare l’antico opificio di una sala da congressi, corredata di vetrate, parquet, ascensore, impianti di condizionamento e tutto il necessario per ospitare manifestazioni e eventi.
La disputa sul processo di “vetrificazione”, così come l’ha ribattezzato Maria Grazia Fiorucci, Presidente del Comitato, è stata sottoposta all’attenzione del Presidente della Repubblica Mattarella che, tramite le parole di Louis Godart, da gennaio 2016 divenuto Consulente del Presidente per iniziative ed eventi culturali e espositivi, si mostra fermamente contrario alla realizzazione di uno spazio chiuso e ad un’ opera di modernizzazione del luogo.
Nella lettera, pubblicata su Repubblica, la risposta del Quirinale sembra incontrovertibile:
“Gentile dottoressa Fiorucci, il Presidente ha ricevuto la Sua lettera e mi prega di risponderLe. Condivido pienamente la posizione del Comitato che difende l’antico opificio del Seicento. […] Vetrificare questo mirabile monumento significa ferirlo e deturparlo. Trasmetto copia di questa mia lettera al Ministro Franceschini. Con viva cordialità , Loius Godart”.
Il Presidente Fiorucci, dalla sua, paragona la situazione di Gubbio a quella di due grandi città italiane: “Le Logge vetrificate sarebbero cancellate come monumento perchè perderebbero la loro essenziale identità formale e funzionale. Sarebbe come vetrificare la Loggia dei Lanzi a Firenze o le arcate dell’Arena di Verona, o quelle del Colosseo”.
Le Logge, rarissimo esempio di architettura preindustriale, cesserebbero inoltre di esistere come cerniera paesaggistica tra le opere monumentali cittadine.
Ma le recenti autorizzazioni confermate dall’attuale sindaco Filippo Maria Stirati sembrano presagire il peggio.
L’intervento del soprintendente Stefano Gizzi rallenta con paletti più seri le volontà di coloro che vorrebbero far scomparire per sempre le Logge anche se le concessioni rilasciate dai suoi predecessori non sono revocabili.
Il primo via libero formale all’inizio dei lavori di vetrificazione venne concesso dall’allora commissario straordinario Luisa D’Alessandro, attuale moglie di Gianlorenzo Fiore, ex prefetto di Perugia e ora membro del Comitato d’indirizzo della Fondazione.
Al momento, grazie al duro “no” del Quirinale, la situazione resta bloccata.
Il messaggio di Mattarella riuscirà , forse, ad impedire l’avanzamento dei lavori e confermare lo status quo della preziosa struttura e di tutto il patrimonio artistico e ambientale circostante.
(da “Hufffingtonpost”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
AVEVANO UNA SOCIETA’ CHE PIAZZAVA POLIZZE ASSICURATIVE NON VALIDE IN ITALIA E GESTIVANO UN ENORME PARCO AUTO CHE VENIVANO RIVENDUTE IN EST EUROPA PUR RESTANDO DICHIARATE IN ITALIA
La Guardia di finanza di Udine ha scoperto una società , riconducibile a una coppia di coniugi friulani, evasori totali, che operava in un mercato parallelo di polizze assicurative automobilistiche «di comodo», senza i requisiti di legge per operare sul mercato italiano.
Le indagini, coordinate dalla Procura di Udine, hanno permesso di ricostruire la vendita di 3.274 contrassegni assicurativi, riconducibili a società di assicurazione estere polacche, francesi, lussemburghesi, a favore di cittadini residenti sul territorio nazionale, sostanzialmente inefficaci ai fini della copertura assicurativa Rca.
È stato accertato che molti certificati assicurativi venivano stampati autonomamente dagli indagati.
I due soci dell’azienda indagata, che non dichiaravano alcun reddito, nonchè la società stessa, erano inoltre intestatari di ben 760 autoveicoli, 201 dei quali rivenduti all’estero, in particolare in Est Europa, senza osservare le disposizioni di legge.
I due coniugi sono indagati in concorso per omessa dichiarazione dei redditi, attività di assicurazione abusivamente esercitata e truffa.
Sono stati individuati redditi non dichiarati per 2,2 milioni di euro euro e l’omesso versamento per la tassa di circolazione degli autoveicoli per circa 63.000 euro.
Secondo quanto emerso dalle indagini della GdF di Udine sulla coppia di coniugi evasori totali, sarebbero state centinaia le autovetture «fantasma» che entravano in un limbo in cui per le autorità di controllo italiane risultavano ancora intestate, con le relative targhe, a ormai inesistenti proprietari italiani, mentre in realtà i mezzi circolavano in Paesi stranieri.
Alcuni di questi mezzi, prima della vendita, erano stati anche oggetto di provvedimenti di fermo amministrativo per debiti con l’erario di precedenti proprietari.
Le indagini bancarie svolte hanno consentito inoltre di scoprire che, per impedire la ricostruzione del reale giro d’affari, i pagamenti avvenivano sistematicamente in contanti e con l’uso di carte ricaricabili.
Presso l’abitazione di uno degli indagati è stata rinvenuta una somma di 64.500 euro in banconote e in una carta ricaricabile movimentazioni per 1,4 milioni di euro.
Sono state anche contestate violazioni amministrative alla normativa antiriciclaggio per l’esecuzione di pagamenti con denaro liquido sopra la soglia legale ed è stato accertato come uno degli indagati non presentava alcuna dichiarazione dei redditi, in quanto aveva dichiarato una fittizia residenza Aire in Slovenia.
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
LA PATACCA DELLE TUTELE (DE) CRESCENTI
Edoardo – ingegnere aerospaziale di 29 anni – è dipendente di un’azienda che offre consulenza e manodopera alle case automobilistiche.
Attraverso di essa, per oltre un anno – tra il 2014 e il 2015 – lavora all’interno di Alfa Romeo a Modena.
Nel maggio del 2015 la sua società gli propone di rescindere il contratto a termine e firmarne uno nuovo a tempo indeterminato a tutele crescenti, appena introdotto dal Jobs Act.
Edoardo accetta, ma nel settembre 2015, Fiat (casa madre di Alfa Romeo) decide di sciogliere improvvisamente il rapporto di consulenza con la sua azienda e così da un giorno all’altro lui si trova senza impiego.
La ditta prova a ricollocarlo in due incarichi temporanei che svaniscono, uno dopo un mese e mezzo di lavoro, l’altro dopo soli tre giorni.
Edoardo è così costretto a chiedere un periodo di aspettativa forzata e senza stipendio che durerà fino a marzo, al termine del quale, salvo novità , ci sarà il licenziamento.
E vista la breve durata (meno di un anno) del rapporto a tempo indeterminato, le tutele per lui in caso di disoccupazione rischiano di essere minime
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
I CARABINIERI LI HANNO INCASTRATI RISALENDO A DOVE AVEVANO ACQUISTATO I FUOCHI ARTIFICIALI… NESSUNA PISTA ISLAMISTA, LE CROCIATE SONO RINVIATE
Hanno finalmente un volto i responsabili degli atti vandalici nei confronti della natività che in questi giorni, dopo l’episodio di Pitelli, hanno dato vita a un caso nazionale
I due italiani, un operaio e un senza lavoro del posto, hanno 19 e 20 anni: nella notte del 30 avevano rovinato con petardi la Natività degli studenti della scuola primaria Pellico. I due hanno confessato.
Come detto, i vandali sono giovanissimi e in una di queste sere di festa hanno approfittato del tempo libero e dell’oscurità prendendo di mira la natività del borgo.
Hanno usato i fuochi d’artificio, acquistati a Castelnuovo Magra, per bucare la sagoma della Vergine e rovinare gli altri figuranti del presepe.
I due giovani sono stati incastrati dai Carabinieri della Compagnia di Sarzana che con i tradizionali metodi di indagine sono riusciti a reperire importanti testimonianze e luogo in cui sono stati venduti i giochi pirotecnici utili per commettere lo scempio nonostante l’area fosse sprovvista di telecamere.
I carabinieri hanno raggiunto i due giovani, li hanno interrogati e poco dopo sono crollati, in lacrime. Hanno confessato tutto e ammesso di essere gli autori della prima razzia di Ameglia.
Ora verranno denunciati per danneggiamento aggravato in concorso.
Ma le indagini non si fermano. Mancano ancora dei tasselli per completare il puzzle di Ameglia.
Il lavoro dei Carabinieri infatti proseguirà per capire se i due denunciati sono gli stessi autori dell’incendio di un altro presepe sempre nella zona di Ameglia.
I militari stanno cercando di capire se i due episodi sono legati tra loro, oppure, se si tratta di una bravata messa in atto da altre persone.
E’ certo però che almeno uno dei capitoli di queste vicende, in cui le natività diventano oggetti di scherzi di cattivo gusto, si può dire chiuso.
Chiara Alfonzetti
(da “Città di Sarzana”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
LA GIUNTA SFASCIO-LEGHISTA PREMIA I DIRIGENTI A PIOGGIA: BONUS EXTRA PER TUTTI
Elevati e immutabili, a dispetto di una crisi che non risparmia quasi nessuno. Merito anche di un “bonus” quasi sicuro, salvo penalizzazioni.
Sono gli stipendi dei dirigenti della Regione Liguria e del consiglio regionale, da anni anime distinte della stessa medaglia.
Retribuzioni che, soprattutto ai massimi livelli, ne fanno i principi indiscussi delle tante burocrazie liguri.
Peraltro al pari, com’è noto, dei loro compagni di viaggio politici – assessori e consiglieri – i cui emolumenti fanno impallidire i compensi di qualunque amministratore locale, dal sindaco del capoluogo in giù .
Il punto di riferimento non è casuale, anzi.
Il Comune di Genova ha attuato da tempo una politica di rigore anche nella corresponsione della cosiddetta retribuzione di risultato.
Un surplus che spetta ai dipendenti pubblici, ed è assai più alto per i dirigenti, in funzione di alcuni obiettivi “strategici” e del comportamento tenuto dal dipendente. Uno sforzo che, senza voler entrare nel merito delle singole valutazioni, ha prodotto non solo risparmi notevoli, ma sfocia anche in un’immagine più verosimile dei rendimenti effettivi di ciascun graduato: da poco più di 16mila euro e rotti fino a 0 è la forbice, ampia, dei premi distribuiti in Comune e riferiti alle prestazioni nel 2014.
Un divario che racconta da un lato come il tentativo di cucire i bonus sul reale rendimento esista davvero.
E di come i dirigenti del Comune, pur conservando stipendi di tutto rispetto, a causa della riduzione del “tesoretto” che alimentare i premi, negli ultimi abbiano perso per strada fino a 20 mila euro lordi e più.
Evidentemente Toti e leghisti al seguito hanno preferito continuare sulla strada di Burlando: todos cabelleros, altro che meritocrazia annunciata.
(da “il Secolo XIX”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
SINDROME DISSOLUZIONE: RISULTATO AMMINISTRATIVE, SENTENZA CORTE STRASBURGO E COMPIMENTO DEGLI 80 ANNI
L’ammainabandiera di Forza Italia, in vista delle amministrative e ancor più delle politiche (col listone a imprinting leghista), rischia di polverizzare quel che resta del partito.
Il panico e la voglia di fuga segnano anche questi primi giorni dell’anno tra i berlusconiani. Subito dopo l’Epifania i “colonnelli” forzisti si sono dati appuntamento a Roma per fare il punto della situazione: bisogna evitare di restare sepolti dalle macerie.
Mentre il capo resta sempre più distante e disinteressato ad Arcore. Ci sarano capigruppo, ex An, pochi altri dirigenti.
Renato Brunetta — dopo le voci che continuano a rincorrersi su un suo avvicendamento — è il più nervoso: «Se davvero mi fa fuori, io esco e faccio un mio partito, poi voglio vedere…» è lo sfogo fatto in queste ore dal capogruppo a pochi amici.
Il fatto è che il 2016 rischia di segnare l’uscita di scena del Cavaliere, come ragionano i dirigenti più alti in grado.
Incombono tre “minacce” in pochi mesi. Non solo il risultato delle amministrative di giugno. Ma anche la sentenza attesa per maggio della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che, come hanno spiegato i legali al loro assistito, difficilmente sovvertirà gli effetti della legge Severino riabilitandolo in Italia.
E infine la terza mannaia più simbolica che concreta: gli 80 anni tondi che compirà a settembre. Così, la chiusura della sede del partito il 31 gennaio, con annesso licenziamento degli 80 dipendenti, è solo un aspetto dello smantellamento che porta molti a parlare di “ibernazione” di Forza Italia.
Le cinque-sei componenti in cui è frazionato ormai il partito giocano in proprio per salvare la pelle.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 4th, 2016 Riccardo Fucile
SE IL BUCO DELL’EVASIONE FISCALE IN ITALIA FOSSE LA META’ DEGLI ATTUALI 122 MILIARDI, IL PIL SALIREBBE DEL 3,1%
A prima vista sembra una tesi di quelle fatte apposta per compiacere il pensiero corretto: se l’evasione calasse drasticamente, il Paese crescerebbe molto di più.
Ogni anno fra Iva, contributi previdenziali, Irpef e Ires vengono sottratti al Fisco 122 miliardi.
Se – per ipotesi – fossero la metà , il Pil crescerebbe del 3,1 per cento, i consumi del 5,2, gli investimenti del 5,9, i posti di lavoro di ben 355mila unità .
Possibili numeri simili concedendo ancora più fondi ad uno Stato già onnivoro e più inefficiente di altri? Ovviamente no.
Una ricerca apparsa di recente sull’Economist conferma quel che molti studiosi sostengono da tempo: quanto più le tasse sono alte, tanto più è probabile che aumenti la propensione ad evadere.
I numeri citati da Sergio Mattarella, raccolti in una indagine di Confindustria, devono essere accompagnati da un caveat: la pressione fiscale è troppo alta perchè sono in troppi ad evadere.
Ma le ragioni per le quali c’è troppa evasione non hanno solo a che fare con la tendenza tutta italiana a non fare il proprio dovere. Basta mettere in fila i numeri dell’analisi.
Prendiamo il numero medio dei pagamenti da effettuare in un anno per adempiere agli obblighi fiscali: in Italia sono quattordici, in Germania nove, in Francia otto.
O il numero delle ore necessarie a calcolare il dovuto: 269 l’anno, appena sei in meno di quelle chieste ad un portoghese, 51 in più di quelle imposte ad un tedesco, il doppio di quelle che servono ad un francese.
Se dividiamo quelle ore per una media di otto ore al giorno sono 33 giorni, poco meno di tre al mese.
Ovviamente non si tratta del tempo necessario ad una normale dichiarazione dei redditi, o ad una fattura Iva.
La gran parte di quel tempo – ben 198 ore all’anno – servono a calcolare le imposte dovute sul lavoro.
Ecco una prima conferma alla tesi di cui sopra: quanti più dipendenti si occupano in un’azienda, tanto più è alta la possibilità di rimanere ingarbugliati nelle fitte maglie degli adempimenti.
Quando si ha a che fare con fenomeni di massa, le risposte non possono essere univoche. Però la logica dei numeri aiuta a farsi un’idea.
Prendiamo il numero dei lavoratori indipendenti, le cosiddette partite Iva: in Italia sono uno su quattro, in Grecia uno su tre, in Germania e Francia uno su dieci.
O ancora la dimensione delle imprese: in Italia il valore aggiunto prodotto da imprese con meno di dieci occupati sfiora il trenta per cento; in Grecia è del 35 per cento, in Germania del 15.
Tanto più è piccola l’impresa, tanto più è alta la propensione ad evadere e bassa la probabilità di ricevere un controllo dal fisco.
A proposito di controlli: l’indagine calcola che il 99 per cento dei contribuenti ha la probabilità di ricevere un controllo ogni 33-50 anni. Non tutti però.
Fatti cento il numero dei dichiaranti, nel 2014 sono stati fatti accertamenti sul 98 per cento delle grandi imprese, il 25 per cento delle medie, il 3 per cento delle più piccole. Alcuni sono convinti che proprio per questa ragione il governo non avrebbe dovuto alzare la soglia per l’uso del denaro contante, o i criteri per la punibilità in sede penale dell’evasione Iva.
Ma secondo gli estensori della ricerca il problema è un altro: la scarsa volontà politica di combattere l’evasione su larga scala.
«Va fatto un uso integrato delle banche dati, costantemente aggiornate». E soprattutto «è indispensabile realizzare l’integrazione dell’Anagrafe tributaria con le banche dati di altre amministrazioni pubbliche».
Insomma, gli strumenti ci sono. Si tratta di farli funzionare.
Alessandro Barbera
(da “La Stampa”)
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