Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
I FEDELI DI SALVINI PERDONO I CONGRESSI OVUNQUE, SALVO IN LIGURIA E FRIULI… MARONI GIA’ PREPARA IL DOPO-SALVINI … E AL SUD “NOI CON SALVINI” FA FLOP
Il processo di rottamazione salviniana nei gangli della Lega, a oltre due anni dall’incoronazione del leader, procede più che a rilento.
E così a febbraio, alla fine della tornata dei congressi regionali, Matteo Salvini rischia di portare a casa solo la Liguria, con l’elezione del fedelissimo Edoardo Rixi.
Oltre al Friuli Venezia-Giulia che da un anno e mezzo è nelle mani del fidato capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga.
In tutto il resto della “Padania”, l’altro Matteo è in affanno.
Il caso più eclatante è quello del Piemonte, che esce da un decennio di controllo da parte di Roberto Cota, e dove la Lega è chiamata a congresso il 14 febbraio.
Contro il trentenne ed ex assessore regionale Riccardo Molinari, fedelissimo di Salvini, è schierata Gianna Gancia, moglie di Roberto Calderoli, che negli ultimi mesi è stato molto attivo in regione per sostenere la consorte.
I motivi della battaglia piemontese di Calderoli non sono chiari: fonti vicine a Salvini si chiedono il perchè di questo accanimento.
“Roberto ha avuto carta bianca da Matteo, in Senato si muove come vuole, come è successo con i milioni di emendamenti alle riforme. Cosa vuole ancora?”.
Altri ipotizzano che Calderoli sia infastidito dal fatto che, sul fronte alleanze e nelle trattative col Cavaliere, Salvini ha scelto come interlocutore privilegiato Giancarlo Giorgetti.
Non c’è solo il vicepresidente del Senato a remare contro.
Anche l’europarlamentare Gianluca Buonanno, molto radicato in Valsesia, ha deciso di sostenere la Gancia, pare in polemica con via Bellerio per essere stato allontanato dai talk show per via delle pistole esibite e di altre esternazioni fuori dalle righe. In questo quadro, la corsa di Molinari, che pure ha raccolto le 350 firme necessarie per la candidatura, appare molto in salita.
Al punto che Salvini starebbe decidendo — e la conferma arriva da ambienti vicini al leader- di far saltare il congresso e nominare commissario almeno fino a dopo le comunali: si parla un quarantenne lombardo, il consigliere regionale Pietro Foroni.
In Veneto la strada appare più in discesa, ma il candidato che succederà all’esule Flavio Tosi dopo un anno di commissariamento della Liga non è certo un ragazzo di Salvini.
Si tratta dell’ex sindaco di Vittorio Veneto Gianantonio Da Re, sessantenne, già sodale dell’ex ras di Treviso Gianpaolo Gobbo e bossiano da sempre.
Insomma, un uomo della vecchia guardia.
Lorenzo Fontana, veronese e uomo forte di Salvini a Bruxelles, è stato indotto dal leader a fare un passo indietro: troppo alto il rischio di una sconfitta ad opera di Da Re, che è molto legato al governatore Zaia di cui è uno dei padri politici.
E così la soluzione unitaria per il congresso del 7 febbraio appare come un compromesso del giovane leader con i vecchi padroni della Liga dai tempi del Senatur. Con un nodo in più: contro il candidato in pectore si sta muovendo il potente sindaco di Padova Massimo Bitonci.
Spine anche in Emilia, dove poco prima di Natale il candidato salviniano, il 24enne piacentino Matteo Rancan, è stato sconfitto al congresso dal consigliere comunale di Reggio Emilia Gianluca Vinci, che non è certamente ostile al leader, ma è stato un ammiratore del sindaco di Verona Tosi, di cui voleva importare il modello amministrativo in Emilia.
Nello scorso ottobre, in Romagna il segretario regionale e deputato Gianluca Pini ha passato la mano a un suo fedelissimo, Jacopo Morrone, con una soluzione unitaria e per acclamazione.
I romagnoli storicamente sono un po’ a lato rispetto alle faide leghiste del lombardo-veneto, ma la lunga segreteria Pini si è distinta per una certa autonomia da via Bellerio: schema che dovrebbe ripetersi anche con Morrone.
La potentissima Lombardia è già andata a congresso a novembre del 2015, dopo una serie di rinvii che i maligni attribuiscono alle difficoltà dell’allora candidato salviniano, Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Pirellone.
Alla fine l’ha spuntata Paolo Grimoldi, deputato, vecchia conoscenza di Salvini dai tempi dei Giovani padani.
Un candidato che, raccontano in Lega, è stato più tollerato dal leader che realmente desiderato. Tra i due infatti, nonostante l’apparente armonia, sottopelle cova una antica rivalità . Tanto che a via Bellerio si sospetta che la vecchia guardia maroniana, a partire dall’assessore regionale Gianni Fava, pensi a lui come candidato da far crescere e lanciare nel momento in cui la stella di Salvini dovesse appannarsi. Non subito però.
Al congresso federale previsto entro fine 2016 (ma che potrebbe tenersi già a primavera) non sono previsti candidati alternativi al segretario in carica.
Lo scacchiere delle regioni, molto importanti nel Carroccio, non sorride al leader.
Tra i leghisti, una delle ipotesi che circola è che questi risultati siano dovuti a resistenze della base rispetto all’ipotesi di costruire un partito unico su base nazionale, fondendo la Lega con “Noi con Salvini”.
Un progetto che il leader accarezza da tempo, ma che non si è concretizzato. Anche per le difficoltà incontrate nel centrosud nel tentativo di costruzione di una classe dirigente potabile.
Con questi numeri, il progetto “national” in chiave lepenista sembra destinato a restare nel cassetto
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA PERIZIA E LA DENUNCIA DEL M5S: “ANDAVANO RISTRUTTURATI DAL 2009″… LI HA SOTTOSCRITTI ZAIA IN QUALITA’ DI VICE DI GALAN
Un danno erariale milionario subìto dalla Regione Veneto a causa di una delibera firmata nel 2006 dall’attuale presidente della Regione, Luca Zaia, all’epoca vicepresidente del governatore Giancarlo Galan.
Un prodotto finanziario sottoscritto dalla Regione che avrebbe causato una grave emorragia di soldi pubblici.
È l’accusa formulata dal capogruppo M5S alla Regione Veneto Jacopo Berti, che ha consegnato al sostituto procuratore della Corte dei Conti del Veneto, Chiara Imposimato, la documentazione relativa a due prodotti finanziari acquistati tra l’aprile e il giugno del 2006 dalla Regione Veneto per coprirsi dai rischi sulle fluttuazioni dei tassi di interesse relativamente a un debito di 330 milioni di euro, il 24% circa dei debiti dell’ente. “Abbiamo la certezza che acquistare questi derivati sul debito è stata una follia — ha sostenuto il consigliere regionale Berti al termine dell’incontro durato più di due ore — perchè sono del tutto sfavorevoli per noi e ad oggi abbiamo perso già 57 milioni di euro, regalandoli alle banche. Complessivamente la Regione perderà 150 milioni di euro da qui al 2036, secondo i nostri calcoli”.
La Procura della Corte dei Conti, che si era già interessata in passato a questa operazione finanziaria, ha aperto un fascicolo
La delibera regionale che ha deciso l’adozione di questi prodotti finanziari, la numero 1117 del 18 aprile 2006, porta la firma dell’attuale governatore leghista del Veneto (allora vicepresidente della giunta Galan) Luca Zaia.
Secondo Berti “al momento della firma nel 2006 si sapeva che nel 65% dei casi i derivati sarebbero stati sfavorevoli per la Regione”.
La giunta aveva replicato, nel corso della discussione per l’approvazione del rendiconto di bilancio 2014, che la scelta del 2006 “andrebbe valutata alla luce delle condizioni dell’epoca” e che fu “una manovra prudenziale”.
A condurre una battaglia contro la decisione della giunta Galan era stato negli anni scorsi anche il gruppo del Pd.
In dettaglio la Regione aveva stipulato due contratti a copertura di altrettanti prestiti obbligazionari: uno con la banca irlandese Depfa, firmato il 20 aprile 2006 e attivo fino al 2026, per 200 milioni di euro, l’altro con l’italiana Banca Intesa, siglato il 6 giugno 2006 e attivo fino al 2036, per 129 milioni di euro.
In entrambi i casi il meccanismo assicurativo scelto è quello dell’Interest rate Collar: in pratica, una sorta di “corridoio” che garantisce a chi compra il prodotto finanziario di pagare sempre tassi compresi all’interno di una forbice definita da un valore massimo (Cap) e un valore minimo (Floor).
Se i tassi d’interesse superano il tetto più alto la banca subentra al pagamento ma al tempo stesso al cliente (in questo caso alla Regione) viene richiesto di pagare sempre un valore pari al minimo stabilito, anche se i tassi sono inferiori.
Nel caso della Regione Veneto, per il contratto con Depfa Bank il tasso massimo stabilito è del 5,35%, quello minimo tra il 2,9% e il 4,08 per cento.
Per quello con Banca Intesa il valore massimo è il 5,48%, il minimo tra il 3,2% e il 4,1 per cento.
“Ma i tassi di interesse, in questi anni, non hanno mai superato il 5,3% neanche una singola volta — spiega il consigliere regionale Berti — quindi le banche non si sono mai attivate per coprire la Regione, mentre i tassi minimi sono stati quasi sempre inferiori al 4% e quindi noi abbiamo dovuto pagare continuamente”.
Il calcolo del rischio per la Regione era stato effettuato nel 2006 con il modello del “sistema di tesoreria e risk management per gli enti locali Poleis” della società Brady Italia.
Nette le conclusioni di una nuova perizia, consegnata dal M5S alla Corte dei Conti, in cui si stabilisce che l’andamento dei tassi ha sfavorito la Regione: “Il flusso di cassa è sempre stato sfavorevole con un’intensità di perdite crescente”, si legge nel documento di cui ilfattoquotidiano.it è in possesso ma il cui autore, un docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è rimasto finora sconosciuto per volontà del gruppo del M5S.
“Una ristrutturazione per entrambi i derivati sarebbe stata consigliabile già a partire dall’anno 2009”.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
“UN PARTITO AL 10% NON SERVE PIU’ ALLE TUE AZIENDE”… IL CAVALIERE: “NON LASCIO CAMPO APERTO A SALVINI”
L’ultimo assalto al fortino, i più intimi lo hanno portato in questi giorni.
Al tavolo da pranzo di casa Berlusconi, Fedele Confalonieri, Gianni Letta e Nicolò Ghedini sono tornati alla carica: “Silvio non puoi andare oltre, i sondaggi sono in caduta, il partito allo sbando, ma che te ne fai di Forza Italia al 10 per cento? Non conviene neanche alle aziende questa guerra a Renzi”.
Il Cavaliere, raccontano, resta turbato. Ribatte che lui non può “lasciare campo libero a Matteo Salvini”, non può essere lui il candidato premier, occorre prima trovare il “moderato” che possa guidare il centrodestra.
Ma i dubbi lo assalgono. Ha spiazzato perfino i fedelissimi la notizia del sondaggio di dicembre per testare Fi al fianco di Renzi e delle sue riforme. Risultato: il partito crollerebbe al 5, ma col voto contrario di martedì prossimo al Senato lo stesso sondaggio non riconosce più del 10.
L’indiscrezione di un incontro segreto Berlusconi-Verdini nelle ultime 48 ore a Roma è smentita ufficialmente da entrambi i fronti.
Di certo, l’assemblea coi gruppi di mercoledì ha sortito l’effetto di un rompete le righe (“Potrei essere alle Bermuda”, “Scusate ma tra poco ho il Milan”).
Così, tra i fedelissimi è scattata la corsa disperata al si salvi chi può.
Per oggi a pranzo Antonio Tajani ha convocato una decina di parlamentari a Roma per una riunione “ristretta” per decidere dove riparare.
Martedì al ristorante Archimede sempre a Roma hanno pranzato Paolo Romani, Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri, con lo stesso interrogativo: lombardi e ex An stanno provato a serrare il blocco della “vecchia guardia”.
Poche ore dopo, martedì sera, in un altro ristorante, una decina di senatori e “nuovi dirigenti” che si riconoscono nell’ex campione olimpico Marco Marin, coordinatore veneto. E in questo scenario c’è chi, come i big Giovanni Toti e Mara Carfagna lavorano sulle primarie.
Il fatto è che il leader che quest’anno veleggia verso gli 80, resiste ancora nel fortino. L’ultimo colpo assestato è di queste ore: avrebbe quasi convinto Guido Bertolaso, ex sottosegretario e capo della protezione civile, ad accettare la candidatura a Roma.
Sarebbe lui il “super candidato col quale, se accetta, vinciamo”, annunciato due giorni fa ai parlamentari.
Chiunque, pur di mettere fuori gioco Giorgia Meloni.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
APPALTI SOSPETTI AFFIDATI DAL SINDACO GRILLINO ALLA COOP VICINA A BUZZI
Dopo Quarto, Pomezia. Risuonano i nomi di Mafia Capitale nella principale operazione del sindaco a Cinque Stelle di Pomezia, Fabio Fucci, ovvero la gestione dei rifiuti: il Consorzio Nazionale Servizi, la Cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi, e Alessandra Garrone, la compagna di Buzzi che sedeva nel cda della cooperativa Formula Ambiente, finita ai domiciliari.
L’appalto del Comune sui rifiuti è forse l’atto più importante di un’amministrazione molto chiacchierata e finita sulle cronache nazionali qualche mese fa per un caso di Parentopoli: nel corso della trasmissione L’Aria che tira, Fucci affermò che l’assessore Veronica Filippone si era già dimessa.
In verità aveva solo annunciato a giugno che si sarebbe dimessa a novembre, unico caso al mondo di dimissioni post-datate.
L’imbarazzo era legato al fatto che la Filippone è la compagna del sindaco a Cinque stelle. Poi, la vicenda sollevata dall’Unità oggi sulla sanatoria degli abusi edilizi da parte dell’amministrazione a Cinque stelle.
Ma occorre tornare indietro di qualche mese per imbattersi nell’opacità vera del sistema Pomezia.
A quando cioè il sindaco Fucci, insediato a giugno del 2013, proroga l’appalto per la gestione dei rifiuti e la pulizia urbana tra il Comune di Pomezia e il Consorzio Nazionale Servizi e la sua affiliata Formula Ambiente.
Formula Ambiente è una società “partecipata” della Coop 29 giugno di Salvatore Buzzi prima per il 49 per cento poi per il 29 per cento.
E nel suo consiglio di amministrazione sedeva Alessandra Garrone, compagna di Buzzi. Il quale, come noto, era nel consiglio di sorveglianza del Consorzio Nazionale Servizi. Un ruolo cruciale nel sistema di Mafia Capitale, come si legge nelle carte dell’inchiesta.
In quel momento tra le varie attività del CNS c’è l’appalto del comune di Pomezia, arrivato alla sesta proroga.
Segue il dossier Salvatore Forlenza, il dirigente del CNS nel settore rifiuti. Forlenza un anno dopo sarà indagato per turbativa d’asta nel processo di Mafia Capitale.
Il sindaco dei Cinque stelle avvia l’appalto a dicembre 2013. E le procedure vanno avanti per mesi. L’ultimo bando di gara è emesso il 2 settembre del 2014 e si conclude l’11 dicembre 2014, quando Mafia Capitale è già scoppiata e l’Operazione Mondo di Mezzo ha portato agli arresti di Buzzi e Carminati.
Salvatore Buzzi in quel momento viene estromesso dal consiglio di sorveglianza del CNS e la sua compagna arrestata e rimossa dal cda di Formula ambiente insieme agli altri esponenti coinvolti nell’inchiesta. Sono i giorni in cui alla Camera Alessandro Di Battista presenta una interrogazione per denunciare il sistema delle proroghe degli affidamenti al CNS da parte di Marino sulla base del teorema “come faceva a non aver visto nulla?” e al tempo stesso metteva in guardia il governo sul CNS.
Evidentemente non lo ha ascoltato il sindaco di Pomezia, dove proprio al CNS veniva affidato l’appalto.
“Il sindaco di Pomezia è incorruttibile” è una frase delle telefonate di Buzzi che i Cinque stelle hanno fatto rimbalzare ovunque come una coccarda di legalità . L’appalto secondo le opposizioni è sospetto.
In particolare, secondo il Pd che ha già affidato le carte a un plotone di legali, ci sono diverse irregolarità sia della ditta appaltatrice sia delle procedure del comune. La cooperative dove Buzzi aveva un ruolo determinate vincono con un ribasso di gara dello 0,13, anomalo rispetto alla cifra di 50 milioni di appalto.
Mentre le altre due ditte che si presentano non raggiungono il punteggio minimo sull’offerta tecnica, secondo la valutazione dalla commissione del Comune.
Del resto una certa disinvoltura nella gestione di queste cose il sindaco dei Cinque Stelle Fucci l’aveva dimostrata nell’appalto sul servizio della manutenzione del verde.
Il bando fu bloccato dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone: “illegittimo” perchè “limita la concorrenza” e l’ampliamento della platea delle imprese di gara.
Da quando c’è Fucci il Comune di Pomezia le spese per incarichi legali sono cresciute a dismisura: solo nel 2015 oltre un milione e mezzo di euro.
Qualcuno lo ha avuto anche l’avvocato Giovanni Pascone – ex magistrato del Tar, dipendente del Comune — prima di essere cancellato dall’albo degli avvocati perchè compariva come socio occulto di una società di vigilanza, e prima di essere condannato a due anni e sei mesi dopo essere stato trascinato dall’agenzie delle entrate in tribunale per un presunto danno erariale da 20 milioni di ero.
Non è l’unico personaggio discusso che gravita nell’orbita del sindaco.
Alla guida della Multiservizi Fucci ha nominato tal Luca Ciarlini, indagato per frode. Nessuno si è scandalizzato più di tanto quando nel comune di Pomezia circolava Salvatore Forlenza, per seguire direttamente la questione dei rifiuti.
Prima che fosse indagato nell’ambito di Mafia Capitale. Ma a quel punto le procedure di gara erano già state stabilite.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
NEL CENTRODESTRA E NEL M5S MANCA UN CANDIDATO… A SINISTRA RESTA L’INCOGNITA MARINO, BERLUSCONI PENSA A BERTOLASO
Con Roberto Giachetti in campo a Roma, anche gli altri partiti e le coalizioni alternative al Pd non hanno più alcuna scusa per prendere tempo.
Come sta facendo il centrodestra che ancora non riesce a fermare la pallina su un nome. Le uniche forze che sembrano avere già deciso sono quelle a sinistra dei Dem, ovvero Sel e Sinistra italiana costola scissionista del Pd, che puntano tutte le fiches su Fassina.
L’ex viceministro non intende fare alcuna alleanza con Giachetti e nemmeno le primarie. Spiega: «Le primarie servono a scegliere chi interpreta meglio un programma condiviso attorno al quale si costruisce una coalizione. Non mi pare ci siano condizioni per un programma condiviso». Fine della discussione.
REAZIONE “FREDDA” DI PARTE DEL PD
Ma anche dentro lo stesso Pd la candidatura di Giachetti non fa saltare tutti per la gioia. La sinistra Dem romana storce il naso per una candidatura considerata troppo vicina a Renzi. Dal governatore laziale Zingaretti non è arrivano segnali positivi: un silenzio rumoroso. I centristi del partito guardano il radical-dem Roberto con diffidenza per la sua doppia tessera del partito Radicale e le sue battaglie per i diritti civili poco graditi alla curia romana.
CHE FA MARINO?
Poi c’è l’ex sindaco Marino che potrebbe candidarsi a sindaco con una lista civica: potrebbe scippare a Giachetti 4-5 punti magari fondamentali in una competizione nella quale il Pd parte svantaggiato dopo la catastrofica esperienza della sindacatura Marino, soprattutto dopo l’esplosione di Mafia Capitale.
IL M5S IN VANTAGGIO MA SENZA NOME
La strada per Giachetti infatti è tutta in salita e il vantaggio dei 5 Stelle che sulla carta dei sondaggi sono il primo partito nella capitale potrebbe rivelarsi incolmabile. Ma i grillini ancora non hanno fatto una scelta.
Hanno 233 candidati a consigliere comunale: tra questi dovrà saltare fuori l’aspirante sindaco sulla base dei una votazione sul web. In pole position però ci sono due consiglieri comunali uscenti, Marcello De Vito e Virginia Raggi.
Quest’ultima sembra la favorita anche perchè sostenuta da Alessandro Di Battista. Il quale, se si candidasse, avrebbe molte chance di vincere a mani basse, sempre secondo i sondaggi però. Ma non può scendere in pista perchè le regole interne al movimento glielo proibiscono: chi ha un mandato elettivo non può concorrere ad un altro.
MELONI CONTRO MARCHINI, MA SPUNTA BERTOLASO
Poi c’è l’imprenditore indipendente Alfio Marchini con la sua Lista “Io amo Roma”, sostenuto da pezzi del centro proveniente da Forza Italia e che si sono messi in proprio come Fitto e Quagliariello. Berlusconi avrebbe voluto sostenerlo subito perchè corrisponde al suo identikit: imprenditore, bello, piace alle donne, moderato, un po’ di sinistra ma che guarda a destra.
Ma sulla strada di “Arfio”, come lo chiamano a Roma, si è messa Giorgia Meloni che lo ha sempre accusato di essere stato sempre troppo vicino agli ex comunisti, di avere fondato e finanziato la fondazione Italianieuroperi di D’Alema, di aver tentato pure di candidarsi alle primarie del centrosinistra alla passata tornata elettorale quando vinse Marino.
Allora Berlusconi le ha chiesto di candidarsi lei, se lo vuole. Ma Giorgia ha nicchiato: teme di perdere le elezioni e di perdere anche il suo status di leader nazionale dei Fratelli d’Italia.
Oggi Berlusconi ha fatto il nome di Bertolaso che dovrebbe unire il centrodestra (nella sconfitta?)
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI AVER ASSUNTO FIGURE PROFESSIONALI ESTERNE SENZA CONCORSO E SENZA PROCEDURA PUBBLICA, MA PER CHIAMATA DIRETTA
Abuso d’ufficio. Gli ex sindaci di Roma Ignazio Marino e Gianni Alemanno saranno interrogati a breve nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sui presunti illeciti legati alle procedure di nomine dirigenziali in Campidoglio in violazione del Testo Unico degli Enti Locali.
Con loro nel registro degli indagati, riporta Il Messaggero, altre 58 persone tra funzionari e dirigenti e politici, alcuni ancora in carica.
L’ipotesi della Procura di Roma è di aver assunto figure professionali esterne senza concorso e senza procedura pubblica. Per chiamata diretta, quindi, evitando di considerare i 23mila dipendenti già in servizio presso il Comune. Nell’ottobre del 2013 il Fatto.it aveva denunciato la crescita continua dello staff dell’ex sindaco del Pd.
A occuparsi dell’inchiesta è il pm Francesco Dall’Olio.
In dicembre il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza ha depositato al magistrato un’informativa in cui, oltre all’abuso d’ufficio, si ipotizza anche il reato di truffa.
A cominciare dai prossimi giorni quindi comincerà la tornata di interrogatori sui compensi elargiti, in molti casi, superiori a quanto previsto dalla norma.
Gli accertamenti, che hanno preso spunto la scorsa estate da un’informativa delle fiamme gialle, non coinvolgono l’attuale amministrazione guidata dal commissario Francesco Paolo Tronca.
Gli inquirenti prendono in esame nomine fatte dal 2008 in poi poichè eventuali irregolarità avvenute in precedenza sono coperte da prescrizione. Per quanto riguarda la presunta truffa gli inquirenti ipotizzano siano state scelte persone in base a titoli non veritieri.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
IL CASO DEL VILIPENDIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E LA CORSA ALLE CONGRATULAZIONI
La Destra italiana per un giorno ha messo da parte il caso Marò (proprio quando sarebbe stato necessario un approfondimento, alla luce delle trattative in corso) e la polemica sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina che la vede ovviamente schierata contro i rappresentanti della “legalità ” (dai magistrati alle forze dell’ordine) e appiattiti sulla demagogia da osteria di Salvini, per dedicarsi alle note di congratulazioni a Francesco Storace che ha rinunciato in appello alla prescrizione nel processo che lo vede imputato di vilipendio al capo dello Stato e per il quale è stato condannato in primo grado a soli 6 mesi con la condizionale.
IL REATO
I delitti di vilipendio politico erano già noti al Codice Zanardelli del 1889. Il Codice Rocco (1930) li mantenne come delitti contro la personalità dello Stato, entro il sistema penale dello Stato fascista.
Nonostante le pressioni di una dottrina giuridica generalmente abrogazionista, la Corte costituzionale rigettò la questione di legittimità dell’art. 290, chiarendo che il bene del prestigio delle istituzioni non solo meritava tutela, ma aveva rilievo costituzionale. In questo modo i reati di vilipendio trovavano la loro giustificazione anche nel nuovo regime democratico.
IL FATTO
I fatti risalgono al 2007, quando il presidente Napolitano aveva condannato con parole di grande indignazione una “goliardata” de La destra, l’allora nuovo partito del senatore Storace, fuoriuscito da Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini: spedire alla 98enne senatrice a vita Rita Levi Montalcini delle stampelle, per “sostenerla fisicamente” e come simbolo del fatto che quella maggioranza, a sostegno del secondo governo Prodi, si reggeva “solo con le stampelle dei senatori a vita”.
“Mancare di rispetto, tentare di intimidire la professoressa Rita Levi Montalcini, che ha fatto tanto onore all’Italia, è semplicemente indegno” aveva tuonato Napolitano in difesa della senatrice premio Nobel, che aveva già provveduto a difendersi da sola con una lettera a Repubblica.
Ed ecco le parole che hanno portato Storace alla sbarra per vilipendio.
“Non so se devo temere l’arrivo dei corazzieri a difesa di Villa Arzilla, ma una cosa è certa: Giorgio Napolitano non ha alcun titolo per distribuire patenti etiche. Per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione familiare, per evidente faziosità istituzionale. E’ indegno di una carica usurpata a maggioranza”.
Risulta evidente che gli estremi per contestare il reato vi erano tutti.
Ha invece ragione Storace sul fatto che lo stesso non sia stato contestato ad altri che hanno usato termini anche più volgari ( vedi il cinquestelle Sorial).
Storace successivamente chiese un incontro con Napolitano e si scusò per le frasi pronunciate: dopo un “chiarimento” di tre ore, il presidente accettò le scuse e dichiarò che per lui il caso era da considerarsi chiuso.
Nel frattempo il ministro della Giustizia di allora, Clemente Mastella, ritenne di doversi ugualmente procedere contro Storace per il reato di vilipendio, valutazione di sua competenza.
E da qui per oltre sette anni, tra sospensioni varie e polemiche, si è arrivati , per un reato che prevede la condanna fino a 5 anni di reclusione, a una sentenza di primo grado piuttosto mite: sei mesi con la condizionale, applicando varie attenuanti.
Due giorni fa l’appello che avrebbe dovuto sancire la prescrizione per i termini ormai scaduti e la rinuncia alla stessa da parte dell’imputato, con aggiornamento della corte al 1 giugno.
I COMMENTI
Scrive Gianfranco Fini su “Liberadestra” sotto il titolo “Onore al merito”: “Storace ha dato un bell’esempio di cosa voglia dire essere di destra in materia di legalità : aver fiducia, nonostante tutto, nella giustizia. Se si sbaglia si paga e se si è onesti, in questo caso intellettualmente, si chiede che ciò venga sancito in tribunale, affinchè tutti lo sappiano. Confidare nella prescrizione del reato per farla franca non è certo politicamente così censurabile come salvarsi grazie ad una legge ad personam. Anche per questo spiace che quasi nessuno a destra, aldilà della attuale collocazione, abbia sottolineato come la scelta di Storace sia stata bella e significativa.”
Stesso concetto espresso da Menia: “Il coraggio di affrontare il giudizio è un qualcosa che appartiene al bagaglio della destra alta e pulita, che rifugge la scorciatoia della prescrizione”. “Il concetto di libertà di espressione – aggiunge Menia – va tutelato da ogni forma di prevaricazione, cosi’ come accaduto in questo caso”.
Spicca il silenzio della Meloni, non pervenuta causa cattivi rapporti in corso.
Storace replica lamentandosi del “silenzio del centrodestra” e parla di “dignità che non si ammanetta», di “libertà di opinione e privilegi di casta in gioco”, di “condanna perchè ho osato dire a quel Capo dello Stato (nemmeno tutto) quello che penso”.
IL NOSTRO COMMENTO
Viene spontanea una riflessione: ma Storace non si era scusato? O è tutta una farsa?
Perchè i casi sono due (per un uomo di destra, come direbbero Fini e Menia).
O resti sulle tue posizioni, non vai a a scusarti con Napolitano e ti fai processare, col rischio di finire realmente in carcere, senza fare tanti appelli alla libertà di espressione, visto che eri ben consapevole dell’esistenza del reato contestato.
O, dopo che hai chiesto scusa (ammettendo quindi di aver fatto una cazzata), mantieni una posizione coerente e non fai la vittima: non ti hanno condannato alla fucilazione, ma a 6 mesi con la condizionale.
Tutti capiscono che rinunciare alla prescrizione in questo caso sia più facile che se la condanna fosse stata a 5 anni senza condizionale, suvvia.
E’ il nulla sul nulla.
La “destra alta e pulita” cui fa cenno Fini probabilmente si sarebbe vista meglio in altre circostanze, magari non votando leggi ad personam come hanno fatto in tanti a destra in tempi passati o non accettando alleanze spurie per mero calcolo politico.
L’onore e il merito sono due valori importanti: meritano un palcoscenico di livello, non il teatrino della politica, meglio non abusarne.
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
PD 33,1%, M5S 26%, LEGA 13,5%, FORZA ITALIA 10,7%, SINISTRA ITALIANA 4,8%, FDI 4,3%, AREA POP. 3,7%… SOLO IL 41% DEI CINQUESTELLE CONDIVIDE L’ESPULSIONE DELLA CAPUOZZO
Il caso Quarto, con il sindaco Rosa Capuozzo che non si dimette nonostante l’espulsione decretata dal Movimento 5 Stelle dopo la mancata denuncia del ricatto ai suoi danni, divide l’elettorato di Beppe Grillo.
Ma non tra contrari e favorevoli, bensì tra chi preferisce non prendere posizione e chi, invece, si schiera dalla parte del M5s.
E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato da Ixè per il programma Agorà di Raitre. Secondo la rilevazione, il 41 per cento degli intervistati ha bocciato l’azione del sindaco di Quarto, che dalla sua parte, invece, può contare sul 19% degli elettori grillini.
Molto più corposa la fetta di chi ha deciso di non decidere: il 40 per cento, “segno di una vicenda controversa e non a tutti chiara” ha detto Roberto Weber, presidente Ixè.
Partiti
Il sondaggio, inoltre, fa il consueto punto sulle intenzioni di voto degli italiani. In tal senso, non ci sono novità clamorose, con il Partito democratico in leggera flessione e il Movimento 5 Stelle stabile nonostante la ribalta mediatica del caso Quarto.
Nella fattispecie, i democratici perdono lo 0,3 per cento nell’arco di una settimana, passando dal 33,4 al 33,1 per cento, tornando quindi sui livelli di un mese fa. M5s, invece, resta al 26%.
Altro peggioramento per la Lega Nord, al 13,5 per cento (-0,2), e continua emorragia per Forza Italia. Il partito di Berlusconi perde un altro mezzo punto percentuale, dal 11,1 al 10,7 per cento.
All’area di centrodestra si dovrebbe aggiungere anche il valore di Fratelli d’Italia (4,3) per un totale — non scientifico — di 28,5 (in teoria sufficiente per andare al ballottaggio).
Se si votasse oggi, infine, l’affluenza sarebbe al 54 per cento.
Riuscirebbero a entrare in Parlamento Sinistra Italiana, che secondo Ixè è al 4,8, e Area Popolare di Angelino Alfano (3,7).
La fiducia nel governo Renzi continua a scendere e arriva al 27 per cento con una flessione del 2 per cento in una settimana, ma calano anche gli indici di fiducia per tutti i principali leader politici da Luigi Di Maio a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini.
(da agenzia)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
I PROFUGHI COSTRETTI A PAGARE 1.000 EURO DI TANGENTE, COME SE LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI PREVEDANO IL PIZZO AI MAFIOSI… INSORGE LA UE: “VIOLAZIONE DELLA DIGNITA’ UMANA” E PRIMO DIETROFRONT DEL GOVERNO DANESE
La Svizzera come la Danimarca. Berna ha deciso di imporre ai rifugiati di consegnare fino a 1.000 franchi svizzeri (circa 900 euro) dei loro beni per pagare le spese di accoglienza. Lo riporta la radio svizzera Srf precisando che all’arrivo alla frontiera ai rifugiati viene consegnato un volantino nel quale è scritto a chiare lettere “di consegnare i propri beni in cambio di una ricevuta”.
Il programma 10 vor 10 ha mostrato la ricevuta di una rifugiata siriana, che la donna ha detto di aver ricevuto dalle autorità quando ha dovuto consegnare più della metà del denaro che la sua famiglia aveva ancora dopo aver pagato i trafficanti per raggiungere il Paese.
La donna ha anche mostrato il foglio informativo destinato ai profughi, su cui si legge: “Se avete proprietà di valore maggiore di mille franchi svizzeri quando arrivate in un centro di accoglienza dovete consegnare tali asset economici in cambio di una ricevuta”.
L’emittente ha citato l’autorità per l’immigrazione Sem, che motiva la misura dicendo che la legge chiede ai richiedenti asilo e rifugiati di contribuire quando possibile ai costi per il processamento delle loro pratiche e all’assistenza sociale.
“Se qualcuno se ne va volontariamente entro sette mesi, può riavere indietro il denaro e portarlo con sè. Altrimenti i soldi coprono i costi che genera”, ha dichiarato una portavoce.
Inoltre, in Svizzera chi ottiene il diritto di restare e lavorare deve consegnare il 10% della paga per un periodo fino a 10 anni, sino a che avrà ripagato 15mila franchi, secondo quanto riportato.
Copenaghen invece sta rivedendo la proposta di confiscare le proprietà dei rifugiati per pagare la loro permanenza, dopo le critiche dell’Agenzia per i Rifugiati dell’Onu. I cambiamenti introdotti nelle leggi danesi sull’asilo e l’immigrazione nonchè la possibile confisca dei beni dei migranti sollevano questioni di conformità con la Convenzione Europea dei Diritti umani che la Danimarca è obbligata a rispettare. Questo il monito rivolto da Nils Muiznieks, commissario dei Diritti Umani del Consiglio d’Europa, a Inger Stojberg, ministro per l’Immigrazione, integrazione e alloggio in una lettera inviata lo scorso 12 gennaio e resa nota oggi.
Nella lettera il commissario, che si dice “profondamente preoccupato“, attacca alcuni cambiamenti apportati all’Aliens Act lo scorso novembre e il nuovo pacchetto di emendamenti in discussione in Parlamento esprimendo il suo “sgomento” per la proposta di confiscare i beni dei richiedenti asilo.
“Ritengo che tale misura possa essere una violazione della dignità umana delle persone a cui viene applicata”, sottolinea Muiznieks, aggiungendo che potrebbe anche condurre a una violazione del diritto alla proprietà sancito nella convenzione europea dei diritti umani.
Il commissario critica anche le nuove norme introdotte lo scorso novembre che “aumentano la possibilità di detenere i richiedenti asilo sotto speciali circostanze come per esempio un loro arrivo massivo e allo stesso tempo indeboliscono importanti garanzie legali rispetto alla detenzione”.
Questo, afferma Muiznieeks, “potrebbe portare a utilizzare la detenzione dei richiedenti asilo in maniera sproporzionata e indiscriminata, in contraddizione con quanto stabilito dall’articolo 5 della convenzione europea dei diritti umani (Cedu), che protegge il diritto alla libertà ”. Il commissario evidenzia che per la Corte di Strasburgo la detenzione dei richiedenti asilo può essere usata solo come ultima alternativa.
Sul nuovo pacchetto di emendamenti il commissario esprime poi una “forte preoccupazione” pure per la proposta di aumentare da 1 a 3 anni il periodo che i beneficiari di protezione temporanea sussidiaria devono attendere per aver diritto alla riunificazione familiare“.
Questa misura potrebbe essere incompatibile con quanto stabilito dall’articolo 8 della Cedu, sul rispetto della vita familiare, e con la convenzione dei diritti del bambino dell’Onu.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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