Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
SALVATORE FUDA, SINDACO DI GIOIOSA IONICA: “HO PRESO UN IMPEGNO CON LA MIA GENTE, NON MI FERMANO”
Hanno cominciato bruciandogli due cassonetti sotto le finestre dell’appartamento dove vive con la compagna e il figlioletto di tre anni.
Il 6 dicembre hanno sparato numerosi colpi alle due macchine di famiglia, maciullando i finestrini.
E la sera del 31 gennaio hanno voluto rovinargli la festa per il Capodanno, mandando a fuoco due camion della spazzatura appena ottenuti in dismissione dalla Dolomiti Energia di Trento (“perchè quello che in Trentino va rottamato per la Locride è ancora buono”).
Oggi Salvatore Fuda, sindaco trentacinquenne di Gioiosa Jonica, esce di casa sapendo di essere seguito silenziosamente da una pattuglia incaricata di proteggerlo. “Non chiederei mai una scorta. O meglio, spero di non arrivare a questo punto”, dice al telefono con l’Huffington Post. “Questi atti di intimidazione preoccupano e turbano tutta la mia amministrazione. La paura c’è, ma non posso declinare un impegno che ho assunto con la mia città “.
E c’era tutta Gioiosa nella fiaccolata di solidarietà dopo l’attentato alle macchine, il 7 dicembre. I ragazzi del liceo, le famiglie, gli scout, i sindaci della Locride, il vescovo di Locri.
Dalla Leopolda il messaggio affettuoso di un’altra giovane promessa della zona, la candidata sindaco di Platì, Anna Rita Leonardi (Pd), ma anche il sostegno dell’ex ministra calabrese Linda Lanzillotta, costretta a vivere con la scorta.
Fuda, ex segretario locale di Rifondazione comunista e un passato lavorativo nel terzo settore, è stato eletto nel 2013 con una lista civica e un programma che poco a poco sta cercando di concretizzare in un territorio difficile, a volte troppo difficile anche per un giovane politico entusiasta.
Non è soltanto la ‘ndrangheta, dice. “Dobbiamo portare la Locride nella modernità “, riassume. “Abbiamo messo mano a questioni che non si ordinavano da 40 anni, dal cimitero alla internalizzazione del servizio di nettezza urbana. Sa che ancora oggi 1,2 milioni di metri cubi d’acqua sfuggono ai nostri contatori per elusione, evasione e allacci abusivi?”.
Nei mesi scorsi ha postato sulla propria pagina Facebook una foto scattata lungo le strade di Gioiosa: qualcuno aveva infilato una poltrona dentro un cassonetto.
“Ci vuole buon senso, cari cittadini”, ha scritto il sindaco. “Purtroppo molte persone continuano a considerare ciò che sta fuori dalle loro case come qualcosa che non li riguarda. Anche questa è una mia battaglia: far capire ad esempio che se evitiamo gli orrori architettonici nel centro storico allora gli immobili cominceranno a valere di più. Dobbiamo comprendere che il rispetto delle regole vale anche nelle piccole cose, soltanto così liberemo questa terra ed esprimeremo i nostri pregi”.
Non sa, Salvatore, perchè lo hanno preso di mira. Il rogo dei cassonetti era passato quasi inosservato, d’altronde nella zona non sono pochi gli amministratori che subiscono intimidazioni pesantissime dalla criminalità organizzata: uno di loro è Pasquale Cerrati, vicesindaco di Bianco, sotto scorta da pochissimi giorni dopo che gli inquirenti hanno intercettato dei malavitosi pronti a ucciderlo.
A Locri, invece, la mano nera della ‘ndrangheta ha bloccato un’intera squadra di calcio femminile, che proprio il 10 gennaio è tornata a giocare.
Le due auto di Fuda crivellate dai proiettili hanno attirato l’attenzione e la solidarietà a livello nazionale, anche se sottotraccia. “Ora giro con una macchina prestata da una cugina che non la usa”, chiarisce il primo cittadino, che non vuole cambiare abitudini: “Dovrei installare la videosorveglianza a casa, prima o poi lo farò”, sorride.
“Non ho proprio idea quale sia il messaggio che questi delinquenti mi vogliono consegnare”, continua. “Stiamo facendo così tante cose che potrebbero essersi risentiti per tutto”.
Nonostante la povertà di risorse, Gioiosa Jonica fa parte della rete Sprar che accoglie richiedenti asilo insieme alla collaborazione di altre cittadine della Locride.
Con le borse-studio messe a disposizione, numerosi migranti hanno cominciato a lavorare temporaneamente nelle aziende private o tenendo pulita Gioiosa.
“Sono stato molto criticato perchè purtroppo è passata l’idea che paghiamo gli stranieri oppure gli diamo 30 euro al giorno e non aiutiamo gli italiani poveri”, si lamenta Fuda. “D’altronde se non facessimo fare niente ai ragazzi profughi allora saremmo criticati allo stesso modo”.
Dopo la distruzione dei due autocompattatori nel giorno di San Silvestro, a Gioiosa possono girare soltanto due camion della spazzatura.
“Ma andremo avanti con il progetto della raccolta differenziata”, assicura Fuda, che ha deciso di eliminare le gare d’appalto per la pulizia delle strade e la raccolta rifiuti, internalizzando l’intero servizio: “Abbiamo risparmiato 120mila euro a semestre e questo inciderà anche sulle bollette dei cittadini”.
Scavando e raggranellando risorse ovunque – incluso l’acquisto di autocompattatori di seconda mano – gli abitanti di Gioiosa hanno avuto in dotazione dalla amministrazione cinque contenitori per l’umido, la plastica, il vetro, il metallo, il secco.
“La nostra è una riforma a vasto raggio: partiamo dall’anno zero, vogliamo cambiare tutto, siamo una squadra di assessori trentenni e entusiasti. Ci costituiamo parte civile nei processi di ‘ndrangheta, facciamo bandi per i beni confiscati alla mafia, si tratta di una educazione globale perchè le persone valide di questa zona non debbano più andare via come hanno fatto i miei amici del liceo”.
Salvatore Fuda non è di quegli amministratori del Sud che chiedono tutto allo Stato. Dice che “ogni situazione è determinata dal fattore umano”, e dunque bisogna rimboccarsi le maniche.
Non sopporta per esempio la retorica sulla casta, che finisce per coinvolgere anche i sindaci di piccoli centri in trincea come Gioiosa Jonica: “Per scelta io e la mia giunta non prendiamo rimborsi, usiamo le nostre macchine e usiamo molto del nostro tempo privato per rimanere a disposizione della cittadinanza. Prendo 1500 euro al mese, pulite, non è un lavoro che può arricchirmi”.
Però c’è una cosa che da sindaco non può ottenere, nonostante l’impegno e la buona volontà : “In questo territorio mancano il diritto fondamentale alla salute e la punizione di tutti coloro che si macchiano di reati”.
Il cruccio è l’ospedale di Locri: “Il muro scrostato non c’entra, purtroppo ci sono persone che non prendono seriamente la propria professione e fanno fuggire coloro che vorrebbero lavorare bene”.
Salvatore Fuda, così come i suoi colleghi sindaci, non può fare altro che appellarsi al governo: “Non abbiamo credibilità se siamo costretti a correre a Reggio Calabria per una emergenza, non abbiamo credibilità se il problema criminalità non viene risolto. Da parte nostra stiamo cercando di avere condotte esemplari, il Viminale ha riaperto il tavolo sulla Locride e questo è senza dubbio positivo ma non bastano le parole. Ora lo Stato faccia la sua parte”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
INCREDIBILE GAFFE SU TWITTER
Sta facendo il giro del web la foto di Jim Morrison che ha confuso il senatore di FI, Maurizio Gasparri.
Un utente ha infatti inviato all’ex ministro la foto del cantante dei Doors spacciandolo per un noto rapinatore slavo.
Un fotomontaggio creato dal gruppo Facebook satirico “Vergogna Finiamola Fate Girare” che prende in giro i dilaganti post populisti che girano su Facebook e Twitter. “Questo è Goran Hadzic, ha commesso più di 50 rapine nel nordest ma ogni volta che viene preso poi è rilasciato. Basta! Mandiamolo via! Renzi a casa!” si legge sulla foto originale del cantante ripresa da Wikipedia, definita proprio oggi dal senatore “una discarica inattendibile”.
L’utente ha inviato il post al senatore via Twitter chiedendogli cosa ne pensasse “di questo ennesimo scandalo italiano” e Gasparri ha risposto: “Una vergogna!”.
Tempo qualche minuto e il senatore viene bersagliato in rete.
Anche se lui prova a difendersi: “Conosco Platone, Hegel, Beethoven, di questa ‘star’ occupatevi voi!”
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
“CAPUOZZO DISSE CHE NEL SUO CASO ERA TUTTO A POSTO”… INTERVISTA A FRANCESCO ROMANO, IL CANDIDATO SU CUI PUNTAVANO IN ORIGINE I GRILLINI
Il lato B ancora insondato del caso Quarto è il percorso tramite il quale il meetup M5s locale ha designato l’avvocato Rosa Capuozzo come candidato sindaco.
Sino a due mesi prima della chiusura delle liste il candidato naturale dei pentastellati era Francesco Romano, un vigile urbano attivista della prima ora, molto noto nella città flegrea.
Romano però fece un passo indietro “per ragioni personali” rimaste sul vago.
Ora le spiega a ilfattoquotidiano.it.
Romano, a Quarto la ‘vox populi’ dice che lei si ritirò per una vicenda di abusi edilizi e condoni molto simile a quella poi emersa per la famiglia Baiano-Capuozzo.
E’ vero. Ma è una vicenda che non mi riguarda personalmente.
Come nel caso del sindaco (che vive in una casa intestata alla famiglia del marito, ndr)
E’ vero, è vero.
Perchè si ritirò, allora? Una volta fissato questo ‘paletto’, doveva valere anche per la Capuozzo.
Dal ‘nazionale’ (il direttorio, ndr) non fu fissato alcun paletto. Mi dissero: “Prosegui e vai avanti”. Mi sono ritirato per scrupolo di coscienza. Conosco la situazione di Quarto, non volevo problemi. Per come sono andate le cose dopo, ne sono contento.
In che modo comunicò la rinuncia?
Dissi ai ragazzi che non me la sentivo di andare avanti.
Come reagirono?
Apprezzarono tutti, dal primo all’ultimo. Avevo una poltrona a portata di mano, ma non me ne importava niente.
Lei non si candidò a sindaco perchè vive in una casa di suo suocero abusiva e non condonata.
In realtà è pure condonata.
Quando la signora Capuozzo si è proposta, non vi ha detto che anche la sua famiglia teneva una pratica edilizia, diciamo così, in ‘discussione’?
Lei ha sempre sostenuto che era tutto a posto.
Come spiega il boom elettorale di De Robbio?
Era l’unico quartese in lista.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
MA LEI REPLICA: “VALUTERO’ LA RICHIESTA”
“Noi siamo il M5S e l’esempio vale più di qualsiasi poltrona. Noi dobbiamo garantire il M5S tutto e per questa ragione chiediamo con fermezza a Rosa Capuozzo di dimettersi e far tornare ad elezioni Quarto“. Si legge sul blog di Beppe Grillo.
Poche ore fa proprio la Capuozzo aveva confermato in un video su Facebook di non avere alcuna intenzione di lasciare l’incarico.
Una dichiarazione, ha precisato durante il flash mob conovocato oggi a Quarto in sua difesa, “non concordata con il Movimento, nè a livello locale, nè con i vertici nazionali”.
E dopo aver saputo della richiesta comparsa sul blog di Grillo ha risposto che “valuterà ” se dimettersi: “Al momento non ho ancora deciso” ha ribadito la Capuozzo durante il flash mob.
Nella nota del Movimento Cinque Stelle si legge che “la strada dell’onestà ha un prezzo. Il prezzo è dover essere, sempre, senza eccezione alcuna, al di sopra di ogni sospetto. Per farlo occorre marcare le differenze tra noi e chi ci ha governato finora in modo netto.
A Quarto, un Comune già sciolto due volte per mafia, dove il Movimento 5 Stelle la scorsa estate è stata l’unica lista politica nazionale autorizzata a correre per le elezioni, lo abbiamo fatto espellendo un consigliere (poi indagato) perchè fece pressioni politiche che contraddicevano il nostro programma. Alla prima avvisaglia abbiamo messo alla porta De Robbio e oggi abbiamo preso consapevolezza di aver inflitto un grande colpo al malaffare”.Secondo la nota i grillini non si sono “piegati, non si è piegata Rosa Capuozzo e lo dimostrano gli atti della Procura, che nella vicenda la considerano parte lesa. Questo per noi è un vanto, la testimonianza diretta che un’altra politica, ma soprattutto un altro Paese, è possibile”.
D’altra parte “è altrettanto naturale che quando una forza come il M5S cresce con tale rapidità questa possa divenire appetibile, anche per chi, come la mafia, negli ultimi 30 anni è stata abituata a stringere accordi e legami con il sistema partitico di centrodestra e centrosinistra. Viviamo nel Paese delle 5 organizzazioni criminali: Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Sacra corona unita, Camorra e oggi, anche grazie al PD, Mafia capitale. Per questo occorre essere ancor più esemplari, soprattutto a Quarto dove c’è il sospetto che alcuni voti fossero stati inquinati“.
Per questo servono “segnali forti, coraggiosi, in totale discontinuità ”, occorrono decisioni per dimostrare “che nessun infiltrato controllerà mai il M5s”.
E i Cinque Stelle si dicono pronti “a tornare alle urne quando vi è il sospetto che qualcuno ci abbia provato”.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
“NON ME NE VADO” IN UN VIDEO FB RIVOLTO PIU’ A GRILLO CHE AI SUOI CONCITTADINI
La sindaca di Quarto, il comune al centro del caso politico-giudiziario che scuote il Movimento dedica la sua domenica alla registrazione di un video postato su Facebook per inviare un messaggio sia interno che esterno.
Ribadisce che i voti della camorra le fanno “schifo”, avverte che le “infiltrazioni potranno sempre esserci”, e poi cita la capogruppo in Regione Valeria Ciarambino, ricordando che a Quarto i Cinque Stelle hanno preso “5 mila voti” e quindi, evidentemente, nessuno si azzardi a sporcare anche quelli.
Ma il vero destinatario del suo messaggio sembra essere il vertice nazionale del Movimento, sempre più imbarazzato per la vicenda che vede indagato per voto di scambio inquinato e tentata estorsione uno dei suoi ex consiglieri, Giovanni De Robbio, che stando all’inchiesta del pm Henry John Woodcock e dell’aggiunto Giuseppe Borrelli della Procura antimafia di Napoli, aveva stretto un patto con la famiglia degli imprenditori Cesarano, ritenuti vicini al clan Polverino.
Benchè la Capuozzo risulti parte lesa nel tentato ricatto, resta la circostanza che la Capuozzo non ha mai denunciato quelle pressioni, oltre al pasticcio di abusi edilizi sulla casa in cui il primo cittadino vive con il marito.
Uno scenario di fronte al quale i big del Movimento avevano progressivamente maturato l’idea di un passo indietro.
I leader in queste ore non avevano escluso, nelle riservate riunioni, di chiedere al primo cittadino un passo indietro. Tanto che ufficialmente ieri il vicepresidente dei pentastellati alla Camera, Michele Dell’Orco, in risposta a Saviano, aveva scritto ieri che “le dimissioni non sono mai state scartate”.
La sindaca Capuozzo aveva nelle ultime ore lasciato cadere tutte le richieste di intervista, avendo ritenuto più efficace un monologo.
Come lei stessa scrive, in alto, a introduzione del video “chiarificatore”. Senza domande. Anzi, “senza filtri e senza travisazioni” (forse intendendo travisamenti del suo pensiero).
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
I ROLEX RICONVERTITI IN REDDITO DI CITTADINANZA PER MANAGER DISOCCUPATI
La storia di discriminazione rivelata da Carlo Tecce sul «Fatto» mette seriamente a repentaglio le nostre relazioni con l’illuminata monarchia saudita, tanto più che i protagonisti italiani sono alti funzionari ministeriali e megadirigenti di aziende pubbliche e private.
Persone di indubbia autorevolezza e di ancora meno dubbia cultura, che sanno dire «è mio» in tutte le lingue del mondo.
I fatti. Era la notte dell’8 novembre e i nostri bighellonavano nel palazzo reale di Ryad al seguito di Renzi in missione per conto di Io, quando i dignitari sauditi hanno offerto a ciascun ospite un pacchetto infiocchettato.
I lupetti alfa dell’economia italica lo hanno scartato con la ritrosia golosa di un bimbo alle prese con la slitta di Babbo Natale, salvo scoprire che qualcuno aveva ricevuto un micragnoso cronografo da poche migliaia di euro, mentre altri — non si sa in base a quali meriti — si ritrovavano gratificati di un Rolex del valore di un monolocale in centro
I cronografati vivevano la disparità di trattamento come un insulto al loro prestigio.
I muri del palazzo rimbombavano delle urla di questi nullatenenti da un milione l’anno di stipendio che si contendevano gli orologissimi polso a polso.
Per rimediare, sia pure tardivamente, al sopruso commesso, i sauditi hanno rovesciato sui rivoltosi una pioggia di Rolex di tutte le taglie che in un soprassalto di dignità nazionale gli uomini della scorta di Renzi si sono premurati di requisire.
Pare che adesso giacciano in un forziere segreto di Palazzo Chigi, pronti a essere riconvertiti in reddito di cittadinanza per manager disoccupati.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
SPRECHI DELLA CASTA: IL BLUFF PADAGNO CI COSTA UN MILIONE L’ANNO
Chi di voi ricorda la “devolution”, l’ambiziosissimo e visionario progetto del leghista Roberto Calderoli, che avrebbe dovuto rivoluzionare in modo epocale e definitivo i rapporti tra lo stato centrale e le autonomie, miseramente naufragato con la caduta di Berlusconi e con l’avvento di Mario Monti?
Il pilastro della riforma era un provvedimento-monstre, la legge-delega sul federalismo fiscale, che tra le sue innumerevoli e spesso incomprensibili norme conteneva anche l’istituzione di una commissione bicamerale “a tempo”, con il compito di vigilare sull’approvazione in tempi celeri dei decreti attuativi.
Ebbene, a sei anni e mezzo di distanza e ad una legislatura dall’approvazione di quella legge, in Parlamento quella commissione, presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti, è incredibilmente sopravvissuta alla legge che l’ha generata, pur non sussistendo più alcuna delle condizioni che ne avevano giustificato la nascita.
Non esistono più i decreti attuativi previsti dalle legge sul federalismo fiscale, non è mai iniziata la fase transitoria alla fine della quale la stessa legge imponeva la soppressione della commissione (che comunque era stata fissata inderogabilmente al 2014), eppure quest’ultima è riuscita addirittura a scavallare una legislatura.
Il paradosso assume dimensioni ancora maggiori se si considera che la commissione è tenuta a redigere un rapporto semestrale sullo stato di attuazione del federalismo fiscale e, arrendendosi all’evidenza, nell’ultimo di questi rapporti si ammette candidamente che, con la scadenza di tutti i termini previsti dalla legge originaria, le competenze restano nel vago.
Una situazione di cui si è reso conto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che nell’ultima legge di stabilità ha soppresso la commissione paritaria che la stessa delega aveva istituito al Mef (la Copaff).
La logica induce quindi a pensare che una decisione analoga verrà presa in Parlamento, ma l’esperienza di un’altra commissione in carica, quella per la Semplificazione, presieduta da Bruno Tabacci, istituita per effetto di una legge del 2005 e reiterata nelle due legislature successive, rappresenta un precedente allarmante.
Anche perchè, a scorrere le convocazioni e i resoconti di entrambi le commissioni, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a qualcosa di molto simile a un dopolavoro: la bicamerale sul federalismo fiscale si riunisce di norma il giovedì mattina, per un’ora scarsa se all’ordine del giorno c’è un’audizione, per qualche minuto se non c’è nemmeno quella.
In genere si aggiorna il calendario e si scioglie la seduta.
A dicembre la commissione si è riunita due volte, mercoledì 2 e giovedì 17: nel primo caso ha ascoltato per circa un’ora in audizione “rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato” e poi si è sciolta, nel secondo caso si è riunita per 15 minuti, immaginiamo per un proficuo scambio di auguri tra i suoi componenti.
Stesso andazzo a novembre, con tre sedute in tutto (il 5, il 19 e il 26), che hanno compreso un’audizione di Luca Antonini, presidente della commissione gemella del MEF, ora abolita da Padoan, e una certamente interessante disquisizione sul federalismo fiscale negli Usa.
Di provvedimenti da esaminare nessuna traccia anche perchè, trattandosi di una commissione consultiva, il lavoro sarebbe platonico.
Quanto ai costi, questi sono ripartiti equamente tra Camera e Senato, ma nel bilancio interno delle due istituzioni non è possibile consultarli, poichè questi vengono assorbiti nella voce “altri organismi bicamerali”, che nel complesso gravano per circa 300mila euro l’anno, con una proiezione di un milione e mezzo di euro su tutta la legislatura.
Una cifra di tutto rispetto per un organismo parlamentare tecnicamente abusivo.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
TUTTI GLI ADDETTI AI LAVORI CRITICANO IL MANTENIMENTO DEL REATO, SOLO CHI SPECULA SULLA PELLE DEGLI ALTRI PER UN PUGNO DI VOTI VUOLE MANTENERLO
La clandestinità resta reato, almeno per il momento. Ma così com’è rende difficile il lavoro delle Procure.
Ne è convinto il capo della polizia Alessandro Pansa, secondo il quale “il problema reale è dato dal fatto che (il reato di clandestinità , ndr) intasa l’attività delle procure. Questo è il problema principale”.
È necessaria, quindi, almeno una riforma: “Probabilmente è preferibile che venga riformato, con un meccanismo che renda più agevole la gestione degli immigrati quando transitano per i nostri confini in maniera illegale”.
E sulla “percezione” dei cittadini: “Occorre far capire che noi gestiamo il fenomeno dell’immigrazione con umanità , con correttezza, con rispetto delle regole nazionali e internazionali, ma anche con grande rigore. Quindi l’opportunità di comunicare un po’ meglio questa trasformazione di questa norma – ha concluso Pansa – è sicuramente molto importante ai fini della percezione della sicurezza”.
(da agenzie)
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Gennaio 10th, 2016 Riccardo Fucile
LA CRONISTA DEL “SECOLO XIX” NEL CUORE DEL CENTRO STORICO SENZA ALCUN PROBLEMA
Rimorchiare, ho rimorchiato: Omar, 36 anni, del Senegal. Ma Colonia non c’entra, nessuna molestia, nessuna violenza: non a Genova, non a me che in città sono sempre andata da sola dappertutto, a tutte le ore.
Alle 23.30 di venerdì sera, stazione di Piazza Principe: qui partono i treni per Piemonte e Lombardia, passano solo due regionali.
Uno da Torino, l’altro da Savona, entrambi termineranno la loro corsa a Brignole, l’altra stazione di Genova città .
Dal primo treno scendono due gruppi di stranieri dalla pelle scura: sono vestiti eleganti, parlano italiano e francese, hanno l’aria di essere arrivati per passare la serata in città dove suona, fra l’altro, una famosa cantante senegalese.
Mi ignorano, alle ragazze penseranno in discoteca, magari dopo qualche drink. E poi si vede che non sono il loro tipo
Quando il convoglio si allontana dal binario, in stazione resta soltanto una clochard: dorme sulle nuove poltroncine dell’ingresso appena ristrutturato. I titolari della tabaccheria, aperta in genere fino alle 22.30, sono ancora nel negozio, impegnati a sistemare sigarette e caramelle sugli scaffali, in vista del sabato di lavoro.
Un tossico, giovanissimo, non trova pace e sale e scende le scale mobili, forse aspetta qualcuno, probabilmente un pusher. Per il resto lo scalo è deserto, Principe non è esattamente un cuore pulsante di notte.
La movida è poco lontana, basta percorrere via Balbi e via Gramsci per essere nel porto antico, via San Lorenzo, i vicoli affollati.
Attraverso le poche strade che mi separano dal centro senza paura e senza intoppi. Nessuno mi importuna. Davanti al bar dei cinesi che sta chiudendo, sull’angolo di Porta dei Vacca, quattro o cinque tiratardi alticci rimasti a chiacchierare mi guardano passare senza fare commenti. Altro step indolore, zero rischi.
Omar mi approccia con garbo all’imboccatura di via del Campo — a meno di un chilometro dalla stazione – e, prima di tutto, mi chiede se voglio comprare della droga: «Hashish? Coca?». «No grazie». Indugio. «Hai dei begli occhi, vuoi chiacchierare un po’?». «Ma sì, perchè no?». Mi ritrovo a bere una birra in un bar di piazza Fossatello con questo senegalese così radicato a Genova da aver messo su (e disfatto, nel giro di pochi anni), anche una famiglia. Ha una figlia che di giorno porta a giocare al porto antico e una moglie italiana, con cui è rimasto in buoni rapporti.
Ragiona del periodo difficile a Genova: «Sono musulmano e odio i terroristi, per colpa loro adesso a Genova ti controllano continuamente».
Gli domando cosa pensi della follia di Colonia ma ho subito il dubbio che non sappia di cosa sto parlando. «Di uomini poco gentili con le donne», spiego. «Che brutta cosa, stai tranquilla, io ho un bel cuore, non si capisce?».
Poi mi chiede se ho un fidanzato, e a quel punto confesso un marito. «E se ci vede mi picchia?» sorride. «Omar, stiamo solo chiacchierando!».
Lungo la strada, sfodera la carta del regalo. E dalla borsa che adorna il suo vestito tradizionale africano, tira fuori un profumo. Me lo fa provare, e poi mi dice il prezzo. Non elegantissimo come modo di fare. Poi capisco: «Mi puoi dare qualcosa, a me non piace l’elemosina, ma questo profumo costa 80 euro, è di play boy».
E, se è per questo, è pure da uomo ma non vado per il sottile. Finisce che sotto casa, dopo aver già pagato le nostre birre, gli offro pure un obolo in moneta per ringraziarlo del profumo e lo saluto.
Declino anche il suo tentativo di abbracciarmi senza problemi.
Genova vs Colonia finisce uno a zero.
Francesca Forleo
(da “il Secolo XIX”)
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