Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
LA RESA DELLA POLITICA AL POPULISMO D’ACCATTO…E LA PERCEZIONE CONTA SOLO QUANDO FA COMODO, SUI REATI FISCALI NON VALE
Le interviste sul reato di immigrazione clandestina rilasciate dai ministri delle Riforme e dell’Interno a Corriere della Sera e Repubblica sono uno straordinario documento per il nitore con il quale dichiarano la resa della politica al populismo giudiziario: cioè alla strumentalizzazione delle valenze simboliche del diritto penale, in chiave di rassicurazione collettiva rispetto a paure ingigantite o addirittura create proprio da campagne politiche e/o mediatiche volte a metterne a reddito elettorale gli enfatizzati rischi.
Per motivare la marcia indietro del governo sull’abolizione del fallimentare reato, caldeggiata (a favore di più snelle sanzioni amministrative) dal capo della polizia come dal procuratore nazionale antimafia, Maria Elena Boschi prende atto dell’unanimità «degli addetti ai lavori», ma aggiunge che «in questa specifica fase per poter depenalizzare i reati di immigrazione clandestina occorre preparare prima l’opinione pubblica».
Lei stessa snocciola i dati sui crimini diminuiti nel 2015 rispetto al 2014, ma valorizza di più il fatto che, «se guardiamo ai mezzi di comunicazione, il fenomeno sembra triplicato e questo aumenta la percezione dell’opinione pubblica. Forse si può arrivare a eliminare quel reato se si prepara bene il terreno, oggi non credo giusto farlo».
Allo stesso modo, Angelino Alfano trova normale «giocare due partite intrecciate ma diverse: una sulla realtà e l’altra sulla percezione della realtà ».
La realtà «è che calano i reati», ma «non dobbiamo dare agli italiani l’idea di un allentamento della tensione sulla sicurezza proprio mentre chiediamo di accogliere i profughi».
Dai due importanti ministri si deduce quindi che nel governo ci si orienta a non fare una cosa che si ritiene giusta, o ad adottare una soluzione che si sa sbagliata, solo in considerazione del dividendo di consensi che si immagina di poterne lucrare o del dazio elettorale che si teme di doverne pagare.
La seconda lezione è che nel rapporto con i cittadini i ministri mostrano di ritenere che la logica sia un optional , le opzioni penali una specie di segnaletica simbolica, e il reato un cartello stradale la cui destinazione sia il seggio della prossima consultazione elettorale, in vista della quale gli italiani vadano trattati come bambini sprovveduti, incapaci di comprendere una realtà sfaccettata, ma bisognosi di «essere preparati» a essere impressionati favorevolmente da una «percezione» anzichè persuasi da un ragionamento.
La terza lezione è che la scusa della «percezione» vale solo quando conviene: poche settimane fa, quando un’altra (complessivamente sennata) depenalizzazione ha spostato dal binario penale a quello amministrativo le sanzioni di taluni illeciti fiscali, bersagliato dalle critiche il governo Renzi si è ben guardato dal rimangiarsela e dall’adoperare l’argomento che gli italiani in quelle norme magari avrebbero potuto «percepire» un via libera all’evasione fiscale.
E del resto, tanto sulla legge elettorale e sulle modifiche del Senato, quanto sul Jobs act e sulla riforma della scuola, il governo, a torto o a ragione ma legittimamente convinto delle proprie ragioni, ha fatto spallucce alle «percezioni» aspramente dissenzienti di parte dell’opinione pubblica.
Strappa infine un sorriso la buffa contraddizione per la quale di colpo basta che sull’immigrazione i giornali e tv più vicini all’opposizione facciano «buu!» al governo, ed ecco che a far finta di spaventarsi è proprio l’esecutivo che teorizza la «disintermediazione» e propugna l’irrilevanza dei giornali di cui contesta e irride i titoli che non gli garbano.
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
LA RESISTENZA DEL SINDACO, IMBARAZZO E NERVOSISMO IN PARLAMENTO, I BIG ANDRANNO IN TV PER TAMPONARE…ANSIA DA INTERCETTAZIONI SU FICO E DI MAIO
Il colpo d’occhio è impressionante. In Transatlantico non si vede neanche un parlamentare dei Cinque stelle.
Tutti in Aula, anche durante le lunghe pause, quando solitamente brulicano i capannelli. Neanche un caffè, pur di evitare la buvette zeppa di cronisti.
Ecco Danilo Toninelli, col passo lungo: “Quarto? No, guardi non sono io che me ne occupo”.
Imbarazzo, nervosismo. Perchè il caso non è chiuso. Il sindaco Rosa Capuozzo resiste. Chiusa nel suo bunker alterna momenti di sconforto a momenti di rabbia.
Al momento non molla e per questo, alla Casaleggio associati, si discute di un piano b: “24 ore massimo, poi si passa al modello Gela, con l’espulsione”.
Una mossa che lava la coscienza, ma che non toglie il sindaco.
Nel senso che, da espulsa, la Capuozzo se ha la fiducia del consiglio può continuare a governare. A Gela, ad esempio, dopo l’espulsione il sindaco ha fatto ricorso in base a una norma dello statuto e ha guadagnato tempo.
La via maestra sarebbero le dimissioni in blocco dei consiglieri per far cadere la giunta, ma al momento la mossa non è in discussione.
Il caso ormai è nazionale, non più (e solo) una storiaccia del paese più infiltrato della Campania.
L’intercettazione in cui esce il nome di Roberto Fico fa vibrare i nervi dei grillini già tesi in questi giorni: “Chiamatemi l’avvocato — sbotta il presidente della vigilanza appena la legge – che voglio annunciare una querela”.
Dopo una veloce riunione con l’avvocato, Fico dirama una nota: “Sono pronto a denunciare chiunque arbitrariamente manipolerà il contenuto di conversazioni telefoniche per farne false interpretazioni al fine di gettare fango sulle persone oneste”.
La precisazione, accade sempre, rilancia tutti gli interrogativi. Perchè Fico fa sapere che, nella telefonata in questione del 16 dicembre, ha detto “Andate avanti e cercate di lavorare tranquillamente”.
Il che significa che da Quarto qualche grido di dolore, o lamentela era arrivato a Roma. Il sindaco era sotto pressione, si sentiva ricattata, evidentemente qualcuno dei suoi ha parlato coi vertici per investirlo della questione.
Il che significa che il caso, nel direttorio, era arrivato prima dell’inchiesta, nei termini che chiarirà l’annunciata valanga di intercettazioni.
Solo per dilettantismo i vertici non ci hanno messo mano? O c’è altro?
Sapevano che il sindaco era sotto ricatto e non aveva intenzione di denunciare colui che la ricattava e poi è stato espulso da movimento?
In queste ore nel tribunale di Napoli girano parecchi cronisti di giudiziaria certi che troveranno qualche telefonata tra De Robbio, il presunto mediatore coi clan e i vertici dei Cinque Stelle. In particolare — questa è la voce che gira — con Di Maio.
Si spiega anche con queste paure l’atteggiamento paranoico di queste ore: il deserto in Parlamento ma soprattutto il rapporto coi media.
Di Battista sarà a Otto e mezzo, con un giornalista. Di Maio sarà a Ballarò, anche lui senza contraddittorio politico. Proprio l’assenza di contraddittorio diventa l’oggetto degli attacchi del Pd. Il fuoco lo aprono Alessia Rotta, Andrea Marcucci e Stefano Esposito.
In altre trasmissioni chi tratta gli ospiti su indicazione della Casaleggio associati fa sapere quali sono i giornalisti sgraditi.
Su Quarto i grandi moralizzatori si sentono davvero in trincea. Rispetto ai rifiuti di Livorno, alle questioni ambientali di Gela, ai dissidi su Parma questo capitolo ha una peculiarità .
Arriva nel cuore del direttorio, dove già nei mesi scorsi si è consumata una tensione proprio tra Di Maio e Fico su come gestire il caso.
Sul blog di Beppe Grillo è iniziata la controffensiva, con l’ex comico che dedicherà un post al giorno ai sindaci discussi e discutibili degli altri partiti e, come primo caso, ha iniziato con Brescello, il paesino che fu di Don Camillo e Peppone.
Intanto a Quarto i carabinieri hanno finito le perquisizioni a casa del sindaco e al Comune.
E la Capuozzo è ancora sindaco del Movimento Cinque stelle.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
LA MOSSA SBAGLIATA DEL PADRE, IL RUOLO DEL FRATELLO, LA DIFESA DEL MINISTRO
Ciò che per anni è stato il vanto della famiglia Boschi, oggi ne è diventata è la croce. Banca Etruria è stata la spilla dorata portata sul petto da Pier Luigi Boschi, e dai suoi due figli Emanuele e Maria Elena. Questo era il passato prossimo, però. Il presente racconta un’altra storia.
Boschi senior, in quanto ex vicepresidente della Popolare aretina, aspetta la multa che Bankitalia sta preparando per lui e per gli altri componenti dell’ultimo cda per la loro malagestione.
Emanuele ha dato le dimissioni dall’ufficio “Servizio controllo dei costi” dell’Etruria ed è andato a cercar fortuna in una società del tesoriere del Pd.
Il ministro delle Riforme, infine, teme la bufera politica che può investire il governo se da Arezzo arrivasse dalla procura di Arezzo un avviso di garanzia per suo padre. Ipotesi al momento assai remota, anche se non è del tutto escluso che possa maturare nelle prossime settimane.
LA NOMINA
Che la “partita” in corso sulle sorti di Banca Etruria non sia soltanto una faccenda aretina, ormai lo hanno capito anche i sassi.
Gli interessi in gioco si trovano a Roma: Bankitalia, Consob, il governo Renzi, le opposizioni. Una partita che si è fatta complicata e che ruota attorno al destino giudiziario di un solo uomo: Pierluigi Boschi.
Nel 2011 accetta l’invito dell’allora presidente Giuseppe Fornasari a sedere nel cda, perchè Fornasari aveva bisogno di uno che rappresentasse il mondo degli agricoltori toscani.
L’Etruria in quel momento è florida, ma di lì a poco le cose cambieranno. Nel dicembre del 2012 il pool degli ispettori di Bankitalia entra nella sede centrale di Arezzo. Ne uscirà nove mesi dopo, a settembre, con una relazione choc.
Per Boschi cominciano i guai. A lui gli vengono contestate «violazioni sulla governance », «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni», «carenze nel controllo della gestione del credito», «omesse e inesatte segnalazioni all’organo di vigilanza».
Sono quattro censure di tipo amministrativo senza alcun rilievo penale ma che gli costano 144.000 euro di multa.
SALVATO DA UNA PERIZIA
I conti reali della Popolare, scoprono però gli ispettori, non sono quelli raccontati dai manager.
Scrive il capo del team di vigilanza Emanuele Gatti: «Al 31 dicembre del 2012 sono emerse posizioni in sofferenza per 1.2 miliardi di euro, incagli per 933,8 milioni e previsioni di perdita per 931 milioni. Le differenze rispetto alle evidenze aziendali sono pari, nell’ordine, a 187,4 milioni, 85,5 milioni e 136,7 milioni». Tradotto: c’è uno scarto di 410 milioni di euro.
La relazione finisce al procuratore Roberto Rossi che apre due inchieste, per false fatture e per ostacolo alla vigilanza sull’operazione di vendita immobiliare “Palazzo delle Fonti”. I rinvii a giudizio per quattro ex manager, tra cui Fornasari, sono quasi pronti.
Sul registro degli indagati il nome di Pierluigi Boschi non c’è mai finito, perchè una consulenza tecnica richiesta dal pm ha smontato l’ipotesi di reato di falso in bilancio, che – quella sì – avrebbe potuto coinvolgere anche altri membri del cda. Ma secondo il perito Giuseppe Scattone, la vendita di Palazzo delle Fonti era reale e non fittizia.
L’INGRESSO NEL DIRETTTORIO OMBRA
Si arriva al maggio dello scorso anno, quando Banca Etruria su sollecitazione di Palazzo Koch cambia 8 dei 15 consiglieri di amministrazione.
Presidente è Lorenzo Rosi, sempre della cordata “cattolica” e moderata di Fornasari, e vicepresidente senza delega diventa Pierluigi Boschi.
L’aria per l’istituto aretino è cambiata: Bankitalia per limitare i danni ora spinge perchè si fonda al più presto con un partner di “elevato standing”, nonostante niente abbia detto quando il cda dell’Etruria deliberò nel 2013 la vendita di 130 milioni di euro di obbligazioni subordinate ai risparmiatori e alle famiglie.
Boschi dunque dal maggio 2014 entra a far parte di quella “commissione informale” cui è stato dato il mandato di gestire l’offerta arrivata dalla Popolare di Vicenza.
«Fino al gennaio 2014 le riunioni della commissione sono state verbalizzate e il contenuto è stato illustrato al cda», ammette in una memoria difensiva un alto dirigente. Dopo quella data la commissione informale (composta dal presidente Rosi, i due vice e altri due-tre consiglieri) diventa una sorta di governo ombra dell’Etruria, che decide di rifiutare la proposta di Vicenza.
Una scelta che, da un punto di vista economico, ha una sua logica. Ma per gli ispettori di Bankitalia che tornano ad Arezzo tra il dicembre 2014 e il febbraio 2015 c’è qualcosa che non va: «L’assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale ‘commissione’ ha concorso a rendere poco trasparente il processo decisionale ». E a proposito del cda: «Il consesso ha per lo più ratificato scelte e decisioni assunte in altre sedi».
La mancanza di trasparenza è una delle 12 censure di Bankitalia che pendono sulla testa di Boschi senior.
Potrebbero assumere un qualche rilievo penale solo se il Tribunale fallimentare decretasse lo stato di insolvenza (l’udienza è prevista entro febbraio) e la procura, sulla base di questo, vi ravvisasse anche gli estremi della bancarotta fraudolenta.
Ma non siamo a questo punto. Tra le censure per Boschi (in concorso con altri) «l’assenza di interventi idonei a ristabilire l’equilibrio reddituale del gruppo», il premio sociale da 2,1 milioni ai dipendenti, le anomalie in alcune operazioni immobiliari, «le fideiussioni rilasciate dai garanti prive di efficacia», e la spesa in consulenze salita a 15 milioni di euro nel biennio 2013-2014.
LE TRAVERSIE DEI FIGLI
In quest’ultima censura la famiglia Boschi, suo malgrado, si ricongiunge. Perchè a esprimere agli ispettori di Palazzo Koch «riserve sull’opportunità del conferimento di due consulenze, una da 1,1 milioni alla società Bain, e l’altra da 235 mila euro alla Mosaico», è stato l’audit del “Servizio program e cost management”.
L’ufficio dove lavora Emanuele Boschi, il figlio di Pier Luigi. È entrato all’Etruria nel 2007, quando ancora il padre non sedeva nel cda.
È stato a lungo funzionario addetto al servizio sul contenimento delle spese, uno di quegli uffici che – appunto – doveva lanciare gli allarmi rossi. Ad aprile ha lasciato la Popolare e, scrive il quotidiano Libero, è andato a lavorare nell’ufficio di Luciano Nataloni (ex cda, indagato nel filone di inchiesta sul conflitto di interessi).
Poi lo scorso giugno è diventato presidente di Mantellate Nove, società che si occupa di servizi legali fondata da quattro soci tra cui il parlamentare Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd e amico di Maria Elena Boschi.
Il ministro delle Riforme, per il decreto “salva banche” del governo Renzi che ha riguardato anche l’Etruria, ha già superato una mozione di sfiducia presentata dal movimento 5 stelle.
Ieri sul Corsera è intervenuta per dire che Etruria ha fatto bene a non aggregarsi con la Popolare di Vicenza, dichiarazione subito oggetto di polemiche: «Le consiglio maggiore disinteresse verso la banca di cui suo padre è stato amministratore », ha ribattuto il senatore bersaniano Miguel Gotor. Ma un avviso di garanzia per Boschi senior, sarebbe un ostacolo più alto da scavalcare.
Monica Macchioni
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
GLI ORDINI DI ARRESTO EMESSI PER OMICIDI, AGGRESSIONI E RAPINE NON SONO STATI ESEGUITI…. L’INCUBO DI UNA NUOVA RETE TERRORISTICA
Che fine hanno fatto 372 neonazisti tedeschi che dovrebbero stare da mesi in carcere? A metà settembre risultavano 450 mandati di arresto contro 372 estremisti di destra, condannati per omicidi, gravi aggressioni, rapine in banca, frodi o furti.
Delle due l’una: o la polizia non li ha trovati oppure sono entrati in clandestinità . Un’ipotesi che spaventa molti, dopo il caso Nsu, la cellula nazionalsocialista scoperta nell’autunno del 2011 che per anni ha assassinato stranieri, poliziotti e ha alimentato una strategia della tensione con attentati dinamitardi in alcune città tedesche. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare della deputata dei verdi Irene Mihalic, il governo ha ammesso che al 15 settembre erano stati emessi ma non eseguiti quei 372 ordini di arresto.
Un numero, oltretutto, in aumento. Nel 2013 i mandati di arresto erano ancora 268, il 30% in meno.
Mihalic è preoccupata «che i neonazisti compiano crimini gravi in clandestinità , e che, di nuovo, non se ne accorga nessuno».
Ancora: «Dove sono questi estremisti? Stanno creando una nuova rete terroristica?». Un interrogativo angosciante.
Tonia Mastrobuoni
(da “La Stampa”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO 17 ANNI, E’ LA STAR DEL VOLLEY: IL SOGNO DEI GIOCHI, L’IGNORANZA DI CERTI CONNAZIONALI E LE SUE SCHIACCIATE ALL’IDROGENO
Le schiacciate all’idrogeno: il colpo con cui Paola Egonu ha abbattuto la polacca Belcik è stato votato tra i top-5 del torneo di Ankara, vinto ieri dalla Russia (già a Rio).
Lo strepitoso apparecchio per i denti. Il fisico da modella, che ha incendiato Instagram. Segni particolari: zero tatuaggi («Non mi piacciono»), molte extension, miglior giocatrice al Mondiale Under 18, trascinatrice (con Alessia Orro) dell’Italia di Bonitta.
Se le ragazze del volley possono ancora sperare nei Giochi (ultimo treno a maggio in Giappone), lo devono a questa italiana di seconda generazione, che viaggia alla supersonica velocità di 17 anni e 23 giorni.
Si è scoperta fortissima, Paola.
«Fortissima è un parolone… Diciamo che ho imparato a gestire i colpi e sono stata aiutata dalle compagne più esperte. Mi hanno accolto bene: all’inizio quasi non parlavo, ora nel gruppo sto come a casa».
Casa, ecco. Ci racconta la sua storia?
«Sono nata a Cittadella e cresciuta a Galliera Veneta, in provincia di Padova. I miei genitori sono nigeriani: si sono conosciuti in Italia. Mamma ha 44 anni e lavora in una casa di riposo. Papà ne ha 52 e trasporta merci. Ho una sorella e un fratello più piccoli».
In Nigeria chi è rimasto?
«Tutti! Saranno una cinquantina di parenti. Prima andavo a trovarli ogni 2-3 anni, adesso che mi sono trasferita a Milano nel Club Italia (serie A1), con la scuola e il volley è tutto più difficile».
Sono il suo fan club?
«Più che mettere a terra palloni, vogliono che io studi».
E a lei piace?
«Sono al quarto anno di ragioneria, mi piacciono molto le materie matematiche, economiche e i ragionamenti. I prof mi capiscono e aiutano. Poi vorrei andare all’Università : economia o legge».
Per la sua esperienza, gli italiani sono razzisti?
«Non voglio giudicare nessuno ma di ignoranza in giro ce n’è eccome…».
È stata presa di mira?
«Oh sì. Sull’autobus. A Treviso, durante un match, i genitori delle avversarie facevano il verso della scimmia. Altrove mi hanno insultata e urlato di tornare al mio Paese».
È questo il suo Paese.
«Io questa gente la ignoro e basta».
Si definisce afroitaliana.
«So le parole e l’inno lo canto, però significa non dimenticarsi mai delle proprie radici. E che un’appartenenza non esclude l’altra».
Che passioni ha, oltre il volley?
«Mi piace la musica, qualsiasi canzone tranne quelle italiane: hanno troppo poco ritmo per i miei gusti. Sono alle prese con ”Open”, la biografia di Agassi: mi piace come racconta i momenti difficili. Prima o poi, ci sono per tutti».
Parliamo di quelli belli. Obiettivo Rio.
«Calma. Non sono certa che sarò convocata per il torneo preolimpico di maggio. Devo continuare a lavorare duro».
Come sceglie il look per un incontro?
«Extension rosse, bicolori o capelli naturali, che sono corti. Come mi gira. Ho una parrucchiera che mi aiuta».
Ha anche un modello di riferimento?
«Lupita Nyong’o, l’attrice keniana che ha vinto l’Oscar per 12 anni schiavo. Film bellissimo e molto forte. Ho pianto tutto il tempo: non capisco, tra esseri umani, come si possa essere così crudeli».
Gaia Piccardi
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: radici e valori | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELL’ISTITUTO DI SANITA’ SUI 55 COMUNI DELL’AREA CAMPANA… INCIDENZA PIU’ ALTA ANCHE SUI BAMBINI DI 1 ANNO
Eccessi di tumori perfino nei bambini di un anno.
I nuovi dati sulla Terra dei fuochi, tra le province di Napoli e Caserta, sono più che allarmanti. Tracciano mortalità , ricoveri e tumori ”in eccesso” rispetto alla media regionale campana che fanno paura.
A lanciare l’allerta e a rilevare i dati è l’Istituto superiore di sanità che nell’aggiornamento del rapporto sulla situazione epidemiologica nei 55 Comuni definiti dalla Legge 6/2014 come ‘Terra dei fuochi’, in relazione allo smaltimento illegale dei rifiuti, registra pericoli serissimi.
In particolare, afferma l’Iss, ”si osservano eccessi di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori e eccessi di tumori del sistema nervoso centrale, questi ultimi anche nella fascia 0-14 anni”.
Nello specifico si evidenzia “un carico di patologia, nell’area in esame, per il quale le esposizioni a emissioni e rilasci dei siti di smaltimento e combustione illegale dei rifiuti possono avere svolto un ruolo causale o concausale”.
Il Rapporto riguarda 32 Comuni afferenti alla Terra dei Fuochi della Provincia di Napoli e 23 Comuni della Provincia di Caserta.
Le patologie oggetto dello studio sono state indagate utilizzando tre indicatori: la mortalità , i ricoveri ospedalieri (disponibili per tutti i 55 Comuni in esame) e l’incidenza dei tumori (disponibile per 17 Comuni della Provincia di Napoli, quelli serviti dal Registro Tumori).
”La mortalità generale è in eccesso – si legge nel Rapporto – rispetto alla media regionale, in entrambi i gruppi di Comuni, sia tra gli uomini che tra le donne”. Inoltre, ”i tumori dell’apparato urinario risultano in eccesso nei Comuni della Provincia di Napoli in entrambi i generi, con un maggiore contributo ascrivibile al tumore della vescica; la mortalità e le ospedalizzazioni per quest’ultima patologia risultano in eccesso anche tra gli uomini dei Comuni della Provincia di Caserta”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
NEL RESTO D’EUROPA E’ GIA’ UNA REALTA’… DA NOI SE NE DISCUTE NONOSTANTE IL RECORD DI PERSONE A RISCHIO DI POVERTA’
Quanto costerebbe introdurre un reddito minimo in Italia? Circa 6,2 miliardi di euro all’anno, quasi la metà della spesa necessaria per il bonus da 80 euro voluto dal governo di Matteo Renzi.
“L’Espresso” fa i conti su una delle misure economiche più dibattute degli ultimi mesi: il reddito minimo, cioè un salario garantito per tutti.
Insieme alla Grecia, l’Italia è l’unico Paese europeo a non aver ancora introdotto questo salvagente sociale.
E ciò avviene nonostante siamo la nazione dell’Ue con il numero più alto di cittadini a rischio povertà : 17,3 milioni, secondo i dati Eurostat, di cui 4,1 considerati poveri assoluti.
Mentre alcune regioni hanno annunciato di voler iniziare autonomamente la sperimentazione del reddito minimo, in Parlamento restano ferme le proposte per l’introduzione a livello nazionale presentate dal Movimento 5 Stelle e da Sel.
Il governo Renzi finora si è detto contrario alla misura, spiegando di voler puntare sulla creazione di posti di lavoro piuttosto che sugli aiuti, considerati già sufficienti. Rispetto ai principali Paesi europei, però, Roma spende meno per le politiche sociali del lavoro, in particolare per rimettere sul mercato le persone rimaste senza impiego. Il risultato è la maglia nera europea della povertà .
Nell’ultima legge di Stabilità , approvata a fine anno, qualcosa per risolvere il problema in realtà è stato fatto: sono state poste le basi per la creazione di un Fondo unico per contrastare l’indigenza.
Il budget è di un miliardo di euro, a regime nel 2017, valido per sostenere un milione di persone.
Istituendo un reddito minimo, sostengono diversi economisti, si potrebbero però aiutare molti più cittadini in difficoltà .
Il punto è se una misura del genere potrebbe essere sostenibile per le finanze italiane. L’Istat ha calcolato che la proposta del Movimento 5 Stelle costerebbe 14,9 miliardi di euro all’anno, mentre per quella di Sel ne servirebbero 23,5.
C’è però un’altra soluzione. Che costerebbe ancora meno.
La propone Andrea Fumagalli, docente di Economia politica all’università di Pavia e membro dell’associazione internazionale Bin (Basic income network).
Istituendo un reddito minimo garantito di 600 euro al mese, che vada a sostituire tutti i sussidi attualmente validi fino a quella cifra, il costo netto per lo Stato italiano sarebbe di 6,2 miliardi di euro l’anno.
Una cifra più che sostenibile per le finanze pubbliche, secondo l’economista.
Stefano Vergine
(da “L’Espresso”)
argomento: povertà | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
DALLA BICICLETTA DEL PREMIER GIAPPONESE AGLI OROLOGI SAUDITI, ALL’AUDERMARS PIGUET DA 15.000 EURO ESIBITO ALLA LEOPOLDA…TROPPO COSTOSI PER LO STIPENDIO DA PREMIER
I Rolex degli amici sauditi per gli italiani in trasferta, la bicicletta degli alleati giapponesi per Matteo Renzi.
In questa vicenda dei regali di Palazzo Chigi manca la precisione. E non per penuria di orologi. Anzi, i cronografi sono fin troppi. E molto nascosti, un po’ sperduti, tra risse notturne nel palazzo reale di Ryad — fra la delegazione di Roma per ghermire la scatoletta con il congegno svizzero — e gli stessi orologi preziosi che Renzi sfoggia dai primi mesi di domicilio a Palazzo Chigi: un paio di Rolex, di sicuro un Daytona, un vistoso Audemars Piguet.
Li ha comprati di recente? Li ha ricevuti dai capi di governo stranieri?
Più che la precisione, allora, occorre la trasparenza. Renzi tace sui doni di Stato.
IL CONTESTO
Direttive di Mario Monti (2012) e legge ispirata da Filippo Patroni Griffi (2013): i dipendenti pubblici, e dunque pure dirigenti e funzionari di Palazzo Chigi protagonisti della baruffa in Arabia Saudita, devono rifiutare omaggi di valore superiore ai 150 euro. Decreto di Romano Prodi (2007): per i ministri e i familiari, il limite è fissato a 300 euro. Non esistono deroghe: il bottino raccolto in giro per il mondo va custodito in uno stanzone di Palazzo Chigi e poi sfruttato per iniziative benefiche. Così ha agito il professore di Bologna.
Non c’è bisogno di stimare la due ruote Shimano di Shinzo Abe al collega Renzi (giugno 2014): si tratta di un dono che sfonda il tetto dei 300 euro.
Episodio isolato oppure rodata consuetudine?
Palazzo Chigi non ha risposto ai dubbi, suffragati da diverse fonti, su almeno tre orologi indossati da Renzi durante il mandato a Roma
Capitolo Ryad: il governo non ha smentito le ricostruzioni del Fatto Quotidiano, ma ha soltanto precisato che “i doni dei sauditi sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio”.
A Ryad c’erano una cinquantina di italiani in missione d’affari, collaboratori di Renzi, vertici di aziende, dirigenti di Chigi, uomini della sicurezza: chi non ha restituito subito i Rolex, chi l’ha dimenticato nel forziere di casa? Niente è ben definito.
IL COLLEZIONISTA.
Stazione Leopolda, 27 ottobre 2013. Renzi è il sindaco di Firenze. Non è ancora segretario dem, lo diventerà a dicembre. Non è ancora primo ministro, lo sarà a febbraio. È scanzonato. Irriverente. Rottamatore.
Ha la camicia bianca con le maniche rimboccate e un modesto Swatch di colore viola (Fiorentina). Plastica.
Stazione Leopolda, 26 ottobre 2014. Renzi è tutto. Capo di governo e di partito. Di viola, c’è la cravatta. Al polso, una gabbia d’acciaio.
Simone Bruni, esperto di orologi e direttore de La Clessidra, intervistato da “Un Giorno da Pecora”, descrive il modello. È un Audemars Piguet Royal Oak. Aggiunge: “Se autentico, costa 15.000 euro“.
I cronisti spulciano l’agenda estera di Renzi: a settembre ha trascorso quasi una settimana negli Stati Uniti, il 17 ottobre ha incrociato Vladimir Putin, appassionato di cronografi, all’incontro Asia-Europa di Milano. Indiscrezioni: è un regalo dei russi.
Anche in questi giorni, la confidenza è insistente. Ma già nell’ottobre del 2014, il sito del Fatto ha formulato la domanda all’ufficio stampa di Palazzo Chigi. La replica sfugge alle riforme: assoluto silenzio.
L’ESORDIO
La prima volta di Matteo è con Massimo D’Alema. Tempio di Adriano a Roma, 18 marzo 2014.
In archivio non risultano altre immagini idilliache tra la strana coppia. D’Alema presenta il suo libro, Renzi se stesso. Il fiorentino gesticola e fa roteare un Rolex Daytona, cassa massiccia, quadrante scuro. Non meno di 10.000 euro.
Il repertorio fotografico su Renzi — di solito l’iconografia è gestita in maniera esclusiva dall’ex paparazzo Tiberio Barchielli e dall’ex poliziotto Filippo Attili — non consente una lettura esatta del cronografo esibito alla Scala di Milano, lo scorso 7 dicembre.
La data è fondamentale, successiva al viaggio di Ryad. E l’orologio pare un Rolex con sfondo nero. Non sarà mica dei sauditi? Ogni sospetto è lecito.
È sufficiente una scorsa rapida dei cronografi di Renzi in versione premier.
Il fiorentino a Palazzo Chigi guadagna 114.000 euro lordi, circa la metà netti. Come è riuscito a comprarsi questi prodotti di lusso? Ha investito 6-9 mesi di stipendio in Rolex&c.?
Forse è scoccata l’ora dei gufi. Soltanto Matteo può rispondere, guardando gli orologi che ha nei cassetti.
Li ha acquistati oppure li ha ottenuti da russi o arabi?
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 11th, 2016 Riccardo Fucile
LA SCRITTRICE TEDESCA: “LA GERMANIA E’ UN PAESE SESSISTA, QUI SIAMO DISCRIMINATE”
“Quello che è successo a Colonia la notte di San Silvestro è una vergogna. Ma sono comportamenti frequenti in Germania. I tedeschi, che oggi si scandalizzano per gli atroci fatti di Capodanno, fanno finta di non vedere. Nel mio Paese le donne sono sempre state discriminate. E lo sono ancora. È arrivato il momento di dirlo».
È glaciale il j’accuse di Nina George, 42enne scrittrice tedesca, pluripremiata autrice del bestseller mondiale Una piccola libreria a Parigi (Sperling & Kupfer).
Lei si dice « ancora scossa dopo Colonia». Ma «non ha paura».
Perchè ce l’ha così con il suo Paese?
«Perchè ora questa vicenda viene strumentalizzata dai razzisti, come abbiamo visto ieri con la manifestazione di Pegida. Ma sono cose che sono sempre successe. È sconvolgente l’omertà dei tedeschi. Perchè le nostre donne non dicono niente quando sono i connazionali ubriachi a molestarle durante l’Oktoberfest (la celebre sagra della birra a Monaco, ndr) o lo stesso Carnevale a Colonia? Che vergogna».
Però una violenza collettiva del genere, forse coordinata, non si era mai vista.
«Sono criminali che non hanno niente a che fare con l’Islam e che vanno puniti con estrema severità , non c’è dubbio. Ma sono cose che, in silenzio, sono sempre successe in Germania. Perchè, nonostante i bei proclami, qui le donne non vengono mai difese. Abbiamo visto come le loro denunce agli agenti siano rimaste inascoltate quella notte a Colonia. Oppure come gli uomini presenti non le abbiano difese. In Germania manca il coraggio. E le donne raramente denunciano le violenze, perchè sanno che non vengono ascoltate. Questo è un Paese che discrimina le donne».
Come fa a dirlo, scusi? Perfino il cancelliere è una donna.
«Ma la concezione della donna in Germania è molto particolare. Fa male dirlo, ma è così. La donna da noi viene vista principalmente come una potenziale mutti, una “mamma”, e questo influisce molto sulla vita quotidiana, sui salari, sul rispetto. Basta vedere la percentuale di artiste o scrittrici famose. Sono pochissime. Due anni fa c’è stata una clamorosa protesta delle donne, la Aufschrei (una sorta di “grido scandalizzato”, ndr) che denunciò pubblicamente il clamoroso sessismo nel nostro Paese. Ma tutti l’hanno già rimossa. E nulla è cambiato».
Niente? Nemmeno dopo il decennio di Angela Merkel?
Certo, oggi i tempi sono migliori rispetto a quando c’erano Kohl o Schrà¶der. Ma il problema rimane. Del resto, la Germania non ha mai avuto un vero femminismo. È ora di plasmarne uno per il XXI secolo. Non sarà facile. Ma ora il problema vero è un altro».
Quale?
«Il razzismo che pervade sempre di più la nostra società . Si faccia un giro sui social network in Germania: è inquietante la valanga di bufale xenofobe che ogni giorno circuiscono sempre più persone. Online c’è una propaganda invisibile che sta inquinando le radici dello Stato democratico tedesco. Una mia amica era alla stazione di Colonia la sera di San Silvestro e poco dopo su Facebook ha scritto un post in difesa dei migranti. Ha ricevuto minacce di morte. E qualcuno le ha detto: “Meritavi di essere stuprata”».
Antonello Guerrera
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia | Commenta »