Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA NON E’ NCD, MA ALL’INTERNO DEL PD… E RENZI NON SI FIDA DELLA PAROLA DEI CINQUESTELLE
L’avevamo lasciata prima della pausa natalizia asfissiata dalle polemiche sul caso ‘Salva banche’ e Banca Etruria, lontano dai riflettori del governo.
Oggi Maria Elena Boschi, rinfrancata anche dalla breve vacanza di Capodanno a New York, è tornata al lavoro nel suo ufficio di ministro per le Riforme a Roma.
Matteo Renzi le ha assegnato il mandato di trovare la quadra nel Pd sulle unioni civili, l’argomento più spinoso della ripresa parlamentare.
La mission è di mantenersi il più possibile fedeli al testo Cirinnà , quello con la ‘stepchild adoption’ che sta seminando zizzania nel Pd e nei rapporti con Angelino Alfano. A costare di votare in aula con M5s e Sel, con tutti i timori del caso legati al voto segreto.
Per Renzi Alfano è il problema minore. Il premier ha notato i chiarimenti forniti dal ministro dell’Interno in un’intervista a Radiorai. Insomma, il succo è che intorno al testo Cirinnà non c’è un dictat contro il governo da parte di Ncd, che comunque si riserva di dare battaglia e che attende l’assegnazione del ministero degli Affari regionali (vacante da tempo) intorno al 20 gennaio, quando il premier metterà mano alla questione insieme al rinnovo delle presidenze di commissione in Senato.
Il problema, grosso, resta dentro il Pd.
Perchè senza un Pd unito il testo non ha possibilità di passare al Senato. Ed è su questo che sta lavorando il ministro Boschi, che stamane ha parlato con i renzianissimi di Palazzo Madama e si appresta a incontrare anche il capogruppo Dem Luigi Zanda, nonchè il presidente dei deputati Pd Ettore Rosato. Un incontro al quale potrebbe partecipare anche lo stesso Renzi.
Il tutto in vista della direzione Dem del 18 gennaio, che verrà trasmessa come sempre in streaming.
Sul tavolo c’è la necessità di convincere la parte cattolica del Pd, capitanata al Senato dalla pur renzianissima senatrice Rosa Maria Di Giorgi, ad accettare la ‘stepchild adoption’, cioè la possibilità di adottare il figlio del partner in una unione omosessuale.
Questa non è la posizione originaria di Renzi, ma sull’onda di una campagna ideologica nata da fronti opposti e che il premier non ha per niente gradito, il segretario del Pd si è convinto che ormai la via maestra è rispettare il testo Cirinnà , approvato in commissione con un’intesa tra Pd, Sel e M5s.
E’ un modo per non finire sulla graticola (a sinistra) a pochi mesi dalle amministrative di giugno. E non è per niente un caso che il candidato renziano alle primarie di Milano Giuseppe Sala si dica a favore delle unioni civili con la stepchild adoption: “Se fossi in Parlamento voterei con il M5s”, ha detto qualche giorno fa.
Il punto è che anche questa strategia si espone a dei rischi.
Gran parte degli articoli del ddl verrà votata con scrutinio segreto. E al quartier generale renziano non si fidano.
Non solo per le spaccature del Pd, tra laici e cattolici. Ma non si fidano anche di una possibile intesa con il M5s. Il timore è che alla fine gran parte dei senatori grillini non votino il testo per addossare tutte le responsabilità di una eventuale bocciatura alle tensioni tra i Dem.
E’ un timore più che concreto, a sentire renziani di prima fascia. Il M5s è stato travolto dalle critiche della base per aver siglato l’accordo con il Pd sull’elezione dei giudici costituzionali prima di Natale, riflettono nelle cerchie Dem.
Per questo potrebbero avere tutte le ragioni per non esporsi ad una nuova intesa con Renzi sulle unioni civili.
Insomma, sulle unioni civili la partita resta apertissima. Ma è intenzione di Renzi stringere e accelerare sul testo Cirinnà .
Il terreno lo prepara in questi giorni il ministro Boschi. Il 18 gennaio in direzione il segretario del Pd dirà la sua.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
QUELLA LETTERA SU RENZI “PERFETTO TRASFORMISTA”
«Ti consiglio di vedere Renzi a Roma, presso la sede del Pd, per una serie di motivi. 1) Sfatare un tabù: pensa al tuo ingresso al largo del Nazareno e al giro del mondo che faranno quelle immagini. 2) Questa trattativa, al di là della sostanza, che in questo caso è vita, ti riporta al centro della politica. 3) Pensa all’importanza di un incontro pubblico con il segretario del Pd, proprio nei mesi in cui volevano renderti “impresentabile” e trattarti da “pregiudicato” espulso dalla politica. Ora invece, ricevuto nella sede del Pd, saresti uno dei padri fondatori della Terza Repubblica»
Sono i suggerimenti di Denis Verdini a Silvio Berlusconi prima dell’incontro che il 18 gennaio del 2014 darà inizio al Patto del Nazareno, è uno delle migliaia di report con cui per anni l’ex coordinatore di Forza Italia ha offerto analisi e suggerimenti al «presidente».
È attraverso questi promemoria che si snoda il resoconto di quasi due anni di storia politica nazionale, racchiusi in un libro che racconta del fallito accordo sulle riforme tra il capo del Pd e il fondatore del centrodestra, ma anche della crisi di un partito e di un leader artefici di un ventennio
“Il Patto del Nazareno” (edito da Rubbettino), sarà pure una versione di parte, siccome a scriverlo è stato Massimo Parisi, giornalista e deputato che ha lasciato Forza Italia per seguire Verdini nel gruppo parlamentare di Ala.
Ma l’uso dei documenti ufficiali e delle dichiarazioni pubbliche irrobustisce la trama che ruota attorno alla trascrizione dei famosi report di Verdini, il Virgilio della storia.
E anche il suo artefice, se è vero che fu lui a contattare Renzi, di cui – scrive Parisi – non aveva «neanche il cellulare».
Un modo per smentire che i due si conoscessero e per smontare l’idea di un patto alle spalle del capo.
«Io sono come Bruno Contrada», disse il mediatore forzista al telefono con Gianni Letta, e l’accostamento all’ex capo della Mobile di Palermo gli servì per spiegare «il mio modus operandi»: «Per fare le trattative sto un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Ma non può per questo essere messo in dubbio da che parte sto».
All’inizio della storia Verdini descrive Renzi come «uno che, tolta la rottamazione, non si sa cosa sia. Fin qui è stato un perfetto trasformista. Ma ora dovrà aprire la scatola e verrà il difficile».
In quella fase è il «presidente» a stravedere per Renzi e per frenarne la deriva «giovanilista», Verdini dipinge così la segreteria del Pd: «Non è un mirabile cenacolo di Pico della Mirandola, ma un gruppo di segretarie e segretari».
Nel promemoria c’è il «boy scout» Luca Lotti, il cui «profilo appare, non solo per età e inesperienza, oggettivamente modesto».
C’è Debora Serracchiani, che «studia faziosità da Rosy Bindi». C’è Marianna Madia, «così giovane eppure con una lunga vita politica alle spalle», da aver «già girato tutte le correnti del Pd».
C’è Federica Mogherini «la solita solfa gnè-gnè-pacifismo-femminismo-europeismo». C’è Maria Elena Boschi che «bella è certamente bella, a dire poco. Più adatta però al tema forme che al tema riforme».
E c’è Lorenzo Guerini «forse l’unico davvero bravo. Lontano dallo stereotipo del trinariciuto».
Per Verdini arriverà «il momento della conversione» al renzismo, che Parisi storicizza nel report del 7 aprile 2014, quando il mediatore si accorgerà che il Patto è in pericolo e invierà a Berlusconi una lettera titolata «Il pericolo di non decidere»: «Diceva Jean-Paul Sartre – sì era un filosofo comunista ma anche loro l’azzeccano – che “ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere”. Non scegliere, per il nostro movimento politico, potrebbe essere esiziale. Ora, se è vero che i messaggi di Renzi sono slogan, sono pur sempre efficaci. Somiglia a quel genio che nel 2001 propose un patto con gli italiani…».
Ma Berlusconi – a giudizio dell’autore – sta già cambiando verso.
E a giugno il Patto muore «nella mente e nella pancia» del leader di Forza Italia, dopo il 41% di Renzi alle Europee.
Se così stanno le cose, perchè la trattativa si trascinerà fino agli inizi dell’anno seguente? In un report di novembre Verdini critica Berlusconi per «un certo grado di schizofrenia politica» nel rapporto con Ncd, «forse convinti dell’ennesima favola bella che faranno cadere il governo… e che contemporaneamente modificheranno la Severino e che… gli asini volano… non tutti ma quelli rosa sì!!».
È forse in ballo il tema della «agibilità politica» di Berlusconi?
C’entra qualcosa il decreto per la riforma dei reati tributari redatta dal governo nel gennaio 2015, che – come ricorda Parisi – «avrebbe potuto cancellare la condanna a Berlusconi e restituirgli persino la candidabilità ?
All’autore di questo testo, pure addentro alle cose segrete del Patto, non è noto se questa norma facesse parte di qualche tipo di accordo sotterraneo. I protagonisti lo hanno sempre escluso. Nei report di Verdini non ne ho mai trovato cenno».
Sarà , ma quel capitolo del libro si apre con una battuta che Parisi sente fare a Berlusconi «il 10 gennaio 2015»: «Tanto Renzi non ci darà un bel nulla».
Ufficialmente la rottura avviene dopo la corsa per il Quirinale. Al termine dell’ultimo colloquio tra Renzi e Berlusconi, Verdini scrive al premier un sms: «Matteo, ti capisco ma cerca di capire la situazione. 1) Tu non hai mai messo un veto su Amato. 2) Silvio lo ha sempre messo su Mattarella. Questi sono i fatti. Ps: oggi è messa in crisi la fiducia sempre riposta in te della quale ho sempre sostenuto la sincerità ». È finita.
E sta per finire anche la storia di Verdini con Berlusconi. L’ultimo report è del 27 marzo, che il mediatore invia anche a Gianni Letta e Fedele Confalonieri, come a esortarli di aver cura del vecchio leader.
«Caro presidente, dopo aver buttato via il patrimonio politico del Patto del Nazareno, intendi cestinare anche l’immenso patrimonio politico che hai costruito in venti anni? Pensi davvero di poter fare una guerra senza quartiere al “dittatore Renzi” (…) mettendo il futuro del partito in mano a un mediocre sinedrio? Ma sarebbe ingiusto prendersela con loro: quello che accade è quello che tu vuoi ».
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
MA L’ACCORDO CON AREXPO DICE IL CONTRARIO
“Expo non deve chiedere indietro i soldi spesi per le bonifiche”. È la novità tirata fuori da Giuseppe Sala per rispondere alla domanda sul perchè Expo non abbia sinora girato ad Arexpo, la società proprietaria delle aree dell’esposizione, i costi sostenuti per bonificare i terreni.
Eppure questi hanno superato i 6 milioni preventivati per arrivare a 73 milioni.
Ma rimanendo ai 6 milioni stimati all’inizio, l’accordo quadro siglato tra Expo e Arexpo nel 2012 prevedeva che la società guidata da Sala si rivalesse su Arexpo, che “si impegna — si legge nel documento — a rimborsare i costi sostenuti da Expo 2015 per la bonifica dei terreni entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta di pagamento”.
Ma tale richiesta di pagamento non c’è mai stata, nonostante i lavori siano stati conclusi parte nel 2013 e parte nel 2014.
La questione non è da poco, perchè solo se i costi di bonifica vengono fatturati ad Arexpo, questa potrà poi rivalersi sui vecchi proprietari dei terreni, tra cui Fondazione Fiera Milano, che gioca un doppio ruolo in quanto è anche socio di Arexpo.
Ma se, come sinora è avvenuto, Expo non chiede nulla ad Arexpo, le bonifiche rischiano di pesare sulle casse pubbliche e sui cittadini.
Viene allora il sospetto che dietro la mancata richiesta ci sia la volontà di fare un favore a Fondazione Fiera Milano.
O si è trattato di una semplice dimenticanza da parte di Expo?
L’amministratore delegato della società e candidato alle primarie milanesi del centrosinistra si giustifica con l’esistenza di un contratto secondo cui Arexpo dovrà versare complessivamente 75 milioni a Expo per le infrastrutture realizzate sull’area e i costi sostenuti, ma nega che dovesse essere inoltrata alcuna richiesta specifica sulle bonifiche.
Eppure, l’accordo quadro dice il contrario.
Sala assicura poi di poter mettere la mano sul fuoco sull’operato di Alessandro Molaioni, un tempo vice del manager arrestato Angelo Paris e oggi colui che ha in mano i conti delle bonifiche:
“Io non vivo nella cultura del sospetto”, conclude.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
“KIM JONG-UN? UNA BRAVISSIMA PERSONA, MI OFFRO COME MEDIATORE DELL’ONU”
“La bomba all’idrogeno della Corea del Nord? Tutte puttanate. I nordcoreani non vogliono assolutamente buttare la bomba su qualche altra nazione, ma vogliono difendere il loro Paese. E ce l’hanno bella chiusa a chiave in cantina, non la useranno”.
Così il senatore di Forza Italia, Antonio Razzi, ai microfoni de La Zanzara (Radio24), rassicura i conduttori della trasmissione radiofonica riguardo al test che sarebbe stato effettuato con una bomba nucleare all’idrogeno dalla Corea del Nord il 6 gennaio. “Kim Jong-un è una bravissima persona, fossero tutti come lui” — precisa il parlamentare — “E’ bravissimo: puoi tranquillamente stringergli la mano e serenamente parlarci. Ma poi non c’è bisogno di parlare male di lui in Corea, perchè se uno è bravo è bravo. Lui fa tutto specialmente per i ‘ragazzi giovani’. Lì lavorano tutti, non ne vedi uno a spasso. Non c’è assolutamente disoccupazione, sono tutti molto ospitali, gentili, precisi, puliti e sempre col sorriso. Non li vedi mai incazzati“. Poi l’annuncio: “Lunedì mattina, alle 11.00, incontro l’ambasciatore nordcoreano, che verrà nel mio ufficio e mi informerà di tutto. Io sono disposto a fare da mediatore per l’Onu e a dialogare tranquillamente per loro. A me non spaventa proprio nessuno. L’amico Matteo Salvini ha visto coi suoi occhi che ho un bel rapporto con la Corea del Nord. Posso parlare con Kim, che è il presidente della Repubblica, e col segretario generale del Partito dei Lavoratori: tutte persone che con me sono bravissime”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
DI BATTISTA E GRILLO COME GHEDINI: INVECE CHE AMMETTERE LE COLPE GRIDANO ALLA MACCHINA DEL FANGO
La reazione (dei Cinque stelle) colpisce quasi più del fatto, ovvero l’inchiesta sul sostegno elettorale dei clan ai Cinque stelle nel comune di Quarto.
Colpisce la reazione di Alessandro Di Battista, di solito esuberante e fantasioso, che invece, in questo caso, come faceva l’avvocato Ghedini o la Santanchè o un qualunque azzeccarbugli chiamato a difendere qualche malefatta di Berlusconi, si scaglia contro la “macchina del fango”.
E colpisce soprattutto Grillo, che pare aver perso la verve di un tempo forse perchè più concentrato sul fatturato del suo prossimo spettacolo – ha pure tolto il nome dal simbolo del movimento per spenderlo solo a fini commerciali – che sugli scandali politici che riguardano il suo movimento.
Nel suo tardivo post su Quarto Grillo evita di rispondere a tutte le domande sollevate in questi giorni dalla stampa. Nel farsi domande e risposte da solo ricorda che l’ex consigliere De Robbio – il “mediatore” coi clan secondo gli inquirenti – è stato espulso e, soprattutto, dice che il “sindaco non è indagato”.
Dunque, in un’autointervista che diventa autoassoluzione, conclude: “La camorra non condiziona il M5S di Quarto”. Discorso chiuso, insomma. Reazione che, anche in questo caso, colpisce più del fatto. Perchè Grillo reagisce – nè più nè meno – come tutti quelli di cui chiedeva le dimissioni, trincerandosi dietro il “non è indagato”. Neanche la Boschi è indagata e si è autoassolta in Aula evitando di rispondere alle domande su questioni che tutt’ora andrebbero chiarite.
Domando: si può dire che un caso è chiuso solo perchè uno non è indagato oppure è segno di una disarmante subalternità politica e culturale e di una grande debolezza della politica?
Perchè la responsabilità politica viene prima di quella giudiziaria, come ben sa chi – proprio in relazione alla Campania – ha detto (e il sottoscritto è tra quelli) che le liste di De Luca erano zeppe di impresentabili e non serviva aspettare la magistratura per dire che chi le aveva riempite aveva una responsabilità politica enorme.
A Quarto, il Movimento Cinque stelle ha una responsabilità politica enorme. Ed è legata a tre questioni su cui i vertici locali e nazionali non rispondono, esattamente come fece la Boschi su Banca Etruria, e in perfetta sintonia con lo spirito di questi tempi per cui o ci si arrocca rifiutando di rispondere o si urla “dimettiti, dimettiti” ma si evita la prassi democratica di spiegare, chiarire, confrontarsi.
E le tre questioni riguardano l’operato della giunta prima che l’inchiesta esplodesse e prima che il presunto mediatore coi clan venisse espulso: su piano urbanistico, rete idrica e stadio si è verificato un evidente cedimento sul terreno della legalità , a partire dal fatto che il sindaco se ne fotte dei pronunciamenti dell’Antimafia sugli abusi edilizi, forse perchè vive lei stessa in una casa abusiva e dove al piano terra c’è la tipografia del marito che lavora per il Comune da lei amministrato.
Dunque è su questo che andrebbe detto qualcosa ora che un’inchiesta metterebbe in luce che, a monte, ci sono pacchetti di voti che i clan hanno dato ai Cinque stelle, in una delle zone più infiltrate del Mezzogiorno.
Ora di fronte questo quadro inquietante ti saresti aspettato, da parte di chi ha sempre sbandierato la sua orgogliosa diversità rispetto al sistema dei partiti, una reazione, appunto, diversa e nuova (rispetto a quella dei partiti).
Per la serie: è vero, abbiamo commesso degli errori, siamo i primi ad ammetterlo e, proprio perchè siamo diversi, vogliamo porvi rimedio, magari andando subito a votare. Invece no: difesa a spada tratta dell’indifendibile e sindrome dell’assedio. Una roba vecchia, vista a ogni scandalo, che indica qualcosa di più profondo.
E cioè che Quarto è, per i Cinque stelle, il disvelamento della verità , il momento in cui si squarcia il velo di Maya: la scoperta di essere uguali agli altri, la fine dell’illusione della diversità .
A Pomezia è intervenuta l’anticorruzione di Cantone, a Quarto c’è un’inchiesta sul voto di scambio. È la politica: quando i partiti hanno milioni di voti, aumentano i rischi. Anzi, più vinci più aumentano.
Il problema sono gli anticorpi. E, nel caso dei Cinque stelle, il caso Quarto vuole dire anche un’altra cosa: l’inadeguatezza del web come strumento di selezione delle classi dirigenti, di filtro e anche come strumento di discussione democratica.
Funzioni queste che avevano i partiti di una volta, quando funzionavano, più che quelli di oggi.
Quando Roberto Saviano mi concesse l’intervista in cui accusava (giustamente) De Luca di avere Gomorra nelle liste, in un passaggio che mi colpì molto disse: “L’elettore meridionale medio non ne vuole sapere di un politico nuovo che magari ha progetti e idee. Vuole il vecchio che gli garantisca il posto di lavoro, il posto alla nonna all’ospedale, la mensa, l’asilo, quello che ti dà di volta in volta il favore, in cambio del voto. Quindi l’elettorato non si fida del nuovo e preferisce il vecchio che vede come garanzia”.
A Quarto ha vinto il vecchio, dove il vecchio è il presunto voto dei clan ai Cinque stelle e il cedimento sul terreno della legalità del sindaco Rosa Capuozzo.
Nel sud accade spesso. La reazione (dei Cinque stelle) però colpisce più del fatto. Anche in questo caso vince il vecchio.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
ALFONSO CESARANO E’ “IL RE DELLE POMPE FUNEBRI”
È soprannominato il “re delle pompe funebri napoletane”, Alfonso Cesarano, l’imprenditore legato al clan Polverino e intercettato mentre dava indicazioni di votare il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle al Comune di Quarto, Rosa Capuozzo.
Ed essendo il re del settore è stata la sua agenzia ad organizzare il “celebre” funerale del boss mafioso Vittorio Casamonica a Roma nell’agosto scorso con tanto di carrozza, di cui ha parlato mezzo mondo.
“È stato un funerale come tanti altri, il caso di Vittorio Casamonica è solo un episodio ingigantito”, diceva Alfonso Cesarano, tra i fondatori dell’omonima ditta di Calvizzano proprietaria dell’antica carrozza usata per l’ultimo saluto al padrino di Roma
“Non capisco dove sia lo scandalo – raccontava – Casamonica era un uomo libero e non c’era alcun motivo per vietare le esequie. Non eravamo al cospetto di un detenuto. In casi del genere la questura dispone che il funerale sia svolto in forma privata per evidenti ragioni di ordine pubblico”.
Adesso dalle intercettazioni emerge che il titolare dell’agenzia di pompe funebri era interessato ad ottenere la gestione del campo sportivo di Quarto, quello sottratto alla camorra del clan Polverino.
Pertanto Cesarano, legato a Giovanni De Robbio, il consigliere più votato ed eletto con i 5Stelle e poi cacciato, chiedeva voti per i grillini.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
L’OMBRA DEI CLAN SU ABUSI EDILIZI, RETE IDRICA E STADIO… ECCO PERCHE’ IL M5S DEVE PREOCCUPARSI: IN CAMPANIA SONO COME GLI ALTRI PARTITI
L’ombra di Gomorra non risparmia nessuno. Nemmeno i Cinque stelle.
Occorre partire dall’inizio per raccontare il clamoroso default pentastellato sulla legalità a Quarto, il feudo di Luigi Di Maio e di Roberto Fico, unico comune della Campania amministrato dal partito di Grillo.
Perchè l’inchiesta del pm John Henry Woodcook sui rapporti tra politica e clan, da cui emerge il voto organizzato della camorra verso i Cinque stelle, è solo l’ultimo, deflagrante, capitolo di un romanzo opaco di cui è protagonista l’amministrazione di Rosa Capuozzo, il sindaco che festeggiò il suo storico successo con Di Maio e Fico la sera dalle elezioni.
Rosaria Capacchione, protagonista di una battaglia per la legalità in Campania sin da quando faceva la giornalista, dice: “Ho visto sciogliere comuni per molto meno”.
Prima che esplodesse l’inchiesta i segnali di cedimento sul terreno della legalità sono già rumorosi.
A partire da quando la Capuozzo, appena eletta sindaco, revoca la proposta preliminare del piano urbanistico comunale presentata dalla commissione straordinaria antimafia.
La commissione è quella intervenuta dopo lo scioglimento. O meglio dopo il secondo scioglimento.
Perchè Quarto è un Comune che nell’ultimo ventennio è stato sciolto due volte per infiltrazioni camorristiche: nel 1993 e poi nel 2013. Proprio il condizionamento delle scelte urbanistiche è l’oggetto dell’indagine della Direzione Distrettuale antimafia di Napoli sulle attività criminali del clan Polverino-Nuvoletta: “A Quarto — spiega Rosaria Capacchione, che sulla questione ha presentato immediatamente un’interrogazione parlamentare – non si è mai fatto un piano regolatore e, in questo quadro, la criminalità organizzata ha perpetrato forme di condizionamento degli amministratori stessi ad opera della potente organizzazione camorristica facente capo al noto Lorenzo Nuvoletta, uno dei tre camorristi che fanno capo alla cupola di Cosa Nostra. Per questo Quarto si è sviluppato con un’altissima percentuale di abusivismo edilizio e con la compromissione della rete idrica comunale a causa degli allacciamenti di frodo”.
Il primo atto politico dei Cinque stelle, appena conquistato il governo della città , è dunque far saltare le disposizioni della commissione antimafia.
Alfonso Cesarano, l’imprenditore sospettato nelle carte di Woodcoock di essere colluso con la camorra, parlando al telefono fa capire tutto dello scambio politico-mafioso: “L’assessore glielo diamo noi. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi, Dopo, così come lo abbiamo fatto salire, lo facciamo cadere”.
Il riferimento è a Giovanni De Robbio, l’uomo del presunto accordo con la camorra, espulso dai Cinque Stelle solo quando l’inchiesta è entrata nel vivo.
De Robbio è indagato per tentata estorsione ai danni del sindaco e per voto di scambio.
La domanda, che all’HuffPost affida Rosaria Capacchione, nasce quasi spontanea: “Mi chiedo: ma un sindaco minacciato deve o non deve denunciare? O è meglio aspettare che la procura toga le castagne dal fuoco? Da quel che si legge negli atti dell’inchiesta su Quarto, la sindaca ha raccontato l’intera storia ai carabinieri, che l’avevano convocata, il 21 e il 22 dicembre; le ripetute intimidazioni del suo collega di Movimento sono molto precedenti. Senza convocazione cosa sarebbe accaduto?”
E la domanda porta a ripercorrere, ancora, i mesi precedenti all’inchiesta, all’insegna del cedimento dell’amministrazione sul terreno della legalità .
La questione dell’annullamento dei dispositivi dell’antimafia sull’abusivismo edilizio è tutt’uno con l’altro terreno di opacità , quello della rete idrica comunale.
A giugno i lavori per la rete idrica sono affidati alla Fradel, una ditta che aveva una interdittiva antimafia sospesa dal Tar ma ancora sub judice perchè l’avvocatura di Stato aveva presentato ricorso.
Ebbene, l’avvocatura di Stato vince il ricorso con sentenza depositata il 29 settembre, ma la ditta ha continuato a lavorare finchè la Capacchione e altri parlamentari non hanno depositato una nuova interrogazione parlamentare, l’interrogazione: “Chiedo al ministro dell’Interno Alfano — si legge nel testo – di accertare la veridicità dei fatti e di approfondire se il comune di Quarto abbia rescisso il contratto con la ditta Fradel o se sia stato disposto il commissariamento dello stesso contratto”.
Abusivismo edilizio, rete idrica. Tasselli di un mosaico che le intercettazioni dell’inchiesta sul voto inquinato sembrano spiegare nel loro insieme.
Casarano, l’imprenditore legato al clan dei Polverino, a telefono dà indicazioni di voto: “Adesso si deve portare a votare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant’anni. Si devono portare là sopra e devono mettere la X sul movimento Cinque stelle”.
Una volta al governo la Capuozzo, dopo appalti a rete idrica, mette mano anche allo stadio. E revoca la convenzione del campo di calcio comunale alla società sportiva “Nuova Quarto Calcio per la legalità ” diventata negli ultimi anni simbolo della lotta anticamorra e per questo destinataria di atti intimidatori.
La gestione del campo viene affidata a Quartograd, una associazione locale molto discussa.
“Per molto meno si sono sciolti altri comuni per mafia” ripete Rosaria Capacchione.
E per molto meno, quando riguardava gli altri, Grillo avrebbe scritto post al vetriolo. O organizzato manifestazioni, urlando all’inquinamento del voto, contro un sindaco che cede all’abusivismo edilizio, anche perchè è stato denunciato per abuso edilizio, in merito alla casa in cui vice di proprietà del marito.
Nervosi, imbarazzati, i Cinque stelle pensavano di aver risolto tutto con l’espulsione di De Robbio, ma la voragine è più profonda perchè l’intero sistema locale appare marcio e non solo qualche mela.
I Cinque stelle in Campania non sono diversi dagli altri partiti e il loro sindaco simbolo sembra un bignami di tutti i vizi della politica tradizionale.
Nel palazzo del presunto abuso edilizio al piano terra c’è la tipografia del marito di Rosa Capuozzo.
È tuttora fornitrice del comune di Quarto, amministrato dalla moglie.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
STATISTA O STILISTA? E’ UNA BELLA LOTTA AL RIBASSO
Forse stava girando un film comico, una cosa tipo “L’abominevole premier delle nevi”.
Di sicuro è già uno scatto da consegnare ai posteri, quello che ritrae Matteo Renzi in mutandoni ascellari sulla neve.
Lo ha pubblicato Chi e gliene siamo grati. Sono lontani i tempi in cui politici come Aldo Moro non indossavano il costume da bagno sulla spiaggia perchè “un politico è obbligato al decoro”.
Oggi l’immagine è tutto, anche perchè spesso c’è solo quella.
Renzi è liberissimo di correre sotto la neve vestito da catarifrangente con le caldane. Come è liberissimo di voler somigliare a Chewbecca in mutande.
C’è però una curiosa tendenza alla gaffe, nonchè all’orrido, nel suo immaginario estetico.
Del resto Renzi ha una sua idea di propaganda, oltre che di informazione, e qualcuno disposto a fargli da Istituto Luce lo trova sempre. Ha già superato anche il maestro Berlusconi, che in confronto — tra colbacchi e bandane — appare più sobrio del loden di Monti.
Renzi dimostra di oscillare comicamente tra due estremi: da una parte il paninaro invecchiato ma pur sempre “gggiovane”, dall’altro l’ex boyscout goffo e con un’idea assai dadaista di abbinamento dei colori.
Renzi è poi vittima di un narcisismo ingiustificato, che gli regala l’illusione di essere bello e addirittura aitante. Una sorta di superomismo che ahilui non può permettersi, perchè i lineamenti ricordano più Mr. Bean che Johnny Depp e perchè il girovita lievita sempre più.
Renzi però non si arrende e prosegue eroico nella sua collezione sbarazzina “Pittibullo estate/inverno”.
Tutti ricordano il giubbotto di pelle da Maria De Filippi, ma ha fatto di meglio. Su Youtube ci sono filmati in cui, da ragazzo, si pettinava come lo studente vessato ne I Ragazzi della 3 C.
Memorabile anche il cappottone, color cammello morto, che sfoggiava da presidente di Provincia accanto a Ciriaco De Mita. C’è stato poi l’altro cappottone, stavolta grigio topo, che riuscì ad abbottonarsi malissimo accanto alla Merkel.
Mitica la sua fissa per la mimetica, che lo fa sembrare ogni volta un involtino con la fregola per la vita militare.
Durante lo streaming con i 5 Stelle si presentò con la camicia bianca aderentissima, poi gli dissero via sms che l’adipe debordava e si rimise mestamente la giacca.
Epocale il golfino che aveva l’altro giorno in montagna, luogo che peraltro lo esalta particolarmente: una volta ci va con l’aereo di Stato, quell’altra trancia un passante perchè con gli sci ai piedi non sa frenare, quell’altra ancora ruba il golfino fantasia a Nonno Libero.
E c’è poi lo strepitoso risvolto corto dei pantaloni da sfoggiare(coi calzini azzurri) in occasioni ufficiali, forse per essere alla moda o forse perchè l’orlo è ancora quello della Prima Comunione.
Verrebbe da concludere che Renzi sia più convincente come statista che come stilista, ma sarebbe troppo: diciamo che è una bella lotta. Al ribasso.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Gennaio 7th, 2016 Riccardo Fucile
LORIS BORGHI E’ ACCUSATO DI AVERE FAVORITO LA CONVIVENTE NELLA RISTRUTTURAZIONE DEI DIPARTIMENTI DI MEDICINA
Guai in vista per il Magnifico rettore dell’università di Parma, Loris Borghi, in carica da due anni. Un esposto mandato ai Nas dei carabinieri e poi girato alla Guardia di finanza contesta a Borghi la nomina della convivente Tiziana Meschi alla guida di due strutture create tra il febbraio e l’aprile del 2014: l’unità operativa complessa di medicina interna e lungodegenza critica e il dipartimento geriatrico-riabilitativo dell’Azienda ospedaliera universitaria di Parma.
Gli incarichi sono stati assegnati dall’allora direttore dell’azienda ospedaliera universitaria Leonida Grisendi, d’intesa con il rettore.
Su disposizione della Procura della repubblica la finanza sta anche indagando per abuso d’ufficio sul concorso che ha consentito a Meschi, entrata in università come ricercatrice nel novembre 2000, di passare da ricercatore a professore associato di medicina interna.
La procedura è stata bandita dal rettore Borghi nel giugno del 2014, dopo che Meschi aveva ricevuto gli incarichi per l’unità operativa complessa e per il dipartimento assistenziale integrato (Dai).
Oltre alla Procura della repubblica, una relazione sulla vicenda è stata girata all’Anac, l’autorità anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone.
Nonostante il materiale raccolto dagli investigatori, i due interessati smentiscono la convivenza. «È un attacco politico», dice Borghi. «I miei rapporti con la professoressa Meschi sono di stima reciproca e di frequentazione professionale assidua. È stata una delle mie allievie il direttore generale mi ha proposto di riorganizzare i dipartimenti e io ho suggerito di ridurli da 11 a 5. La cosa ha suscitato numerose proteste. Sono stato eletto rettore nel 2013 quando ero responsabile dell’unità di lungodegenza critica. Quando sono entrato in servizio, in novembre, ho ritenuto necessario lasciare la direzione della struttura. Meschi lavorava fin dall’inizio nella struttura. Aveva fatto un percorso adeguato e ho proposto il suo nome».
«Certo che sono in rapporti col rettore», commenta Meschi. «Lo conosco da 30 anni e non ricordo un giorno in cui non l’ho visto. Ma si tratta di rapporti esclusivamente professionali».
Va ricordato che nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici emanato nell’aprile del 2013, si prevedono norme restrittive sul conflitto di interessi e si vieta ai dipendenti pubblici di “partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero dei suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale”.
Gli stessi principi sono stati recepiti dal piano triennale anticorruzione 2015-2017 applicato dal rettore all’ateneo parmense e all’azienda sanitaria ospedaliera.
Borghi, nato il 15 febbraio 1949, è diventato ordinario nel 2000, sul finire del rettorato del costituzionalista Nicola Occhiocupo, passato all’Antitrust.
La politica lo ha sempre attirato fin da quando, da giovane iscritto al Pci, è stato consigliere comunale per dieci anni (1970-1980) di Castelnuovo Monti, comune di 10 mila abitanti in provincia di Reggio Emilia.
Grazie alla sua capacità , nel 2005 Borghi viene eletto preside della Facoltà di Medicina. Passano altri due anni e tenta la via del rettorato contro Gino Ferretti, che occupa la carica da sette anni. Ferretti ha la meglio e resterà in carica fino al 2013 quando non è più eleggibile. Borghi riesce a ripresentarsi per il rotto della cuffia. Solo pochi mesi lo rendono candidabile prima che scatti il limite pensionistico, proiettato sul termine dei sei anni. Questa volta vince.
È l’11 giugno 2013. L’insediamento ufficiale avviene circa cinque mesi dopo, il primo novembre.
Politicamente ha il sostegno dell’ala più istituzionale del Pd, quella travolta alle elezioni comunali del 2012.
Ma Borghi si dichiara in buoni rapporti anche con il vincitore di quel voto, il sindaco grillino Federico Pizzarotti, che negli anni è diventato sempre più eretico rispetto ai Cinque stelle e sempre più sostenuto proprio dai democrat.
Dall’università Pizzarotti ha ingaggiato l’assessore al bilancio Marco Ferretti, che è entrato in giunta a luglio del 2013.
«Qui a Parma è già iniziata la campagna elettorale», aggiunge Borghi. «Vengo attaccato perchè mi considerano vicino al sindaco del M5S. Ma io ho solo voluto aiutare la città , non una parte politica»
Appena dopo l’elezione il neo Magnifico mette subito mano alla riorganizzazione della facoltà di medicina utilizzando i poteri molto ampi che la riforma Gelmini ha dato ai rettori.
Ed è così che nel giro di pochi mesi Meschi diventa una delle figure di punta dell’azienda ospedaliera, a rischio di creare qualche malumore. L’ascesa della ricercatrice, nata nel 1960, non è l’unico motivo di critica all’operato del rettore.
La fronda interna ai dipartimenti sottolinea i metodi spicci di Borghi, il cui braccio destro è il prorettore con delega all’edilizia Carlo Quintelli, architetto autore del “mostro di via Kennedy”, come a Parma chiamano il cubo di cemento color senape costruito nel popolare quartiere dell’Oltretorrente a ridosso dell’Ospedale vecchio e destinato a ospitare le nuove aule della facoltà di economia.
Al pugno di ferro nella gestione interna si unisce una grande attività di tipo social, dalle lauree honoris causa assegnate al regista parmense Bernardo Bertolucci e all’imprenditore torinese Giovanni Ferrero, presente il ministro dell’istruzione Stefania Giannini, alla lectio magistralis dell’ex sottosegretario berlusconiano Mario Pescante o di Luca Barilla, esponente di spicco dell’industria locale.
L’affare Borghi-Meschi arriva pochi giorni dopo l’inchiesta della procura parmense, anche questa per abuso d’ufficio, sulle nomine al Teatro Regio.
Il catalogo della mala amministrazione nella città di Maria Luigia d’Austria, già piuttosto corposo, non smette di allungarsi.
Silvia Casanova e Gianfrancesco Turano
(da “L’Espresso”)
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