Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
69 MORTI NEL 2015, IL 40% IN PIU’… SONO QUESTE LE VERE EMERGENZE DEL PAESE
Ogni volta che polizia e carabinieri vincono, Napoli apparentemente perde. E sembra farlo due volte.
È il complicato paradosso di una città meravigliosa e dannata costretta a fare i conti col veleno della camorra anche quando le forze dell’ordine ne decimano i vertici, lasciando lo spazio, mai occupato da un liceo o da una piscina, a giovani sciacalli che sognano di prendere il loro posto.
Eccola la fotografia della doppia sconfitta: poca scuola e molti sciacalli.
Nasce così la paranza dei bambini, il far west delle «stese», le scorribande a bordo di TMax e di Honda SH300 con raffiche sparate in aria, per rivendicare il controllo di un fazzoletto di territorio – «sdraiatevi a terra, stendetevi, che stiamo passando noi» – il marchio di infamia del 2015 napoletano che ha proiettato la città , con più di un morto ammazzato a settimana (69 vittime, una su due di camorra), in testa alle classifiche della pericolosità criminale, in compagnia di Foggia e di Bari e che anche nel 2016 fa sentire quotidianamente il suo fiato nauseabondo.
Diciottenni con la pistola e il kalashnikov pronti a sparare a tutto e a tutti per conquistare un vicolo, una piazza, uno scantinato o un garage dove spacciare droga o imporre il pizzo.
Centinaia di ragazzini fuori controllo e senza regole, imbevuti del mito di Gomorra, capaci di terrorizzare i quartieri nel cuore della città , cominciando a fare fuoco a 13-14 anni e concludendo la propria parabola criminale prima di compierne 25.
La loro fine, in genere, è una galera. O, se va male, una bara.
«Napoli è un’emergenza. Anche criminale», dice Antonio De Vita, comandante provinciale dei carabinieri.
I banditi, certo, ma «anche», appunto, il deserto educativo e le fragilità familiari dei quartieri Spagnoli o dei rioni Sanità e Forcella, incastrati nel centro storico e appoggiati alla schiena delle case eleganti della Napoli bene, dove i revolver sono più numerosi delle lavagne.
Secondo un rapporto di Save the Children, pubblicato il 2 dicembre, nel Napoletano il 19,76% dei ragazzi non arriva al diploma, il 35,8% degli alunni non raggiunge livelli sufficienti di competenza matematica e il 28% non sa leggere.
È la legge della strada, da generazioni, l’unica ascensione sociale riconosciuta: vedetta, piccolo spacciatore, responsabile della piazza, gestore di una zona. Ma sei hai fegato un’arma, un motorino, un piccolo gruppo di fedelissimi e uno spazio da prenderti, in questi anni l’ascensore sale molto più in fretta.
«Napoli è due città », dice padre Alex Zanotelli, che dopo una vita da missionario in Kenya, ha trasformato la chiesa di San Vincenzo nel punto di riferimento di chi, nel rione Sanità , ha ancora voglia di alzare la testa.
LE DUE CITTA’
L’ufficio del missionario è un piccolo loculo bianco scavato nella parete di un minialloggio incastrato in una zona laterale della chiesa. Ci sono bandiere della pace, foto di bambini africani, progetti legati alla sicurezza, all’occupazione e alle scuole stampati su fogli in ciclostile che non molti hanno la forza di leggere. Pile di carta. Una stufetta.
Fuori i motorini si inseguono contromano e sui marciapiedi scassati. Il buco della legalità comincia così, con le piccole arroganze quotidiane.
La strada è piena di voragini accompagnate da qualche sanpietrino. Le telecamere che dovrebbero garantire la sicurezza sono fuori uso. Tutte. Dei vigili neppure l’ombra. «La forza di questa camorra del centro è il caos. Criminalità disorganizzata, eppure, secondo l’amico don Angelo Berselli, più organizzata dello Stato».
Ha il sorriso lento della stanchezza, padre Alex, dita nodose, una croce di corda intrecciata al collo, un’arancia da sbucciare mentre resta incassato nella sedia di legno. «Qui, in 5 chilometri quadrati, vivono 65 mila persone. Non c’è un asilo comunale. C’è una buona scuola elementare ma non ci sono le medie. Infine c’è una sola scuola superiore che ha il secondo tasso di abbandono più alto d’Italia. Come si risolve il problema? Con i soldi naturalmente, ma quelli finiscono sempre altrove. Adesso stanno anche chiudendo l’ospedale. Ovviamente non c’è una banca. Dunque la gente si rivolge agli usurai». Lo dice con la voce neutra dell’abitudine.
Inutile cercare un cinema, un teatro, una palestra, un campo da pallone. Però c’è droga di ogni tipo. Cocaina prima di tutto. Poi l’eroina, improvvisamente tornata di moda. Basta mettersi in un angolo e aspettare.
Dosi a buon prezzo, quindici-venti euro l’una. Per un giro di affari calcolato in ogni spiazza di spaccio in circa novantamila euro settimanali.
«Viviamo su una bomba sociale. C’è la città bene, quella di Chiaia, del Vomero, di Posillipo, e poi ci sono il centro degradato e le periferie come Scampia, Barra e Ponticelli. La cosa grave è che queste due città non si vogliono incontrare. I ricchi non vogliono mai avere a che fare con i poveri. Ma se va avanti così la pagheremo tutti. La ricchezza sarà attaccata».
Quando in settembre padre Zanotelli ha officiato il funerale del diciassettenne Genny Cesarano, ucciso dalla camorra in piazza San Vincenzo, ha tenuto l’omelia fuori dalla chiesa. Le strade erano stipate. «Ho detto: nessuno verrà a salvarvi, dovete alzare la testa. Ma la tv e gli ultimi trent’anni di politica in questo Paese hanno distrutto i valori. E qui le famiglie non sanno neanche più perchè sono al mondo».
Servirebbero lo Stato e qualche volta genitori diversi perchè ormai da tempo le dighe erette contro il debordare della violenza sono state travolte.
Ma in queste ore lo spettacolo d’arte varia della politica, con un’inevitabile superficialità non troppo distante dal vero, si potrebbe riassumere così: Renzi non va a Napoli «per non mettere in imbarazzo De Magistris», De Magistris scrive su Facebook che Napoli è una città «derenzizzata», Bassolino dice a De Magistris che così non si fa e il sindaco dice a Bassolino che lui è il signore dei rifiuti. Si va da qualche parte in questo modo?
LA LOTTA PER LE PIAZZE DELLO SPACCIO
Così, mentre la grande camorra, seppure sfiancata dal costante lavoro della Procura e delle forze dell’ordine, continua a fare i propri affari nella cintura cittadina tra racket, mercato del falso, stupefacenti, appalti e politica, a Napoli centro i cloni in sedicesimi dei boss finiti al 416 bis combattono corpo a corpo per seguire le loro orme, in un ricambio delinquenziale che non vuole avere fine.
I baby sciacalli, barbuti e tatuati, hipster di casa nostra, sono capaci di spendere quindicimila euro a notte in discoteca sognandosi imponenti e imperiosi, immaginandosi come un concentrato di invincibile autorità virile.
Nuove leve, ma anche terze generazioni di famiglie come i Giuliano finiti, in compagnia dei Sibillo, al centro della guerra contro i Mazzarella per il controllo di Forcella e Sanità degli ultimi mesi.
«A Napoli e provincia ci sono almeno 70 clan criminali. Ma è un caos che non conviene a nessuno. In un’intercettazione abbiamo sentito due donne del clan Sibillo che dicevano: ora abbiamo paura, con la paranza dei bambini non si capisce più niente», dice il capo della squadra mobile Fausto Lamparelli. «Non si capisce più niente», un perfetto autoscatto.
IN COMPAGNIA DELLA MORTE
Non sono bastate 140 ordinanze di custodia cautelare – cioè 140 ragazzi finiti dietro le sbarre – a chiudere la storia. Le Stese continuano. E lo spaccio prospera ovunque, con una nuova emergenza nel rione Traiano, a ridosso della città felice. Fuori uno avanti un altro. La polizia vince. La camorra continua a non perdere.
«Le armi provengono in larga parte dai furti negli appartamenti e dalle rotte balcaniche. La droga dal Sudamerica. E più che dal porto passa dal trasporto via gomma. L’estorsione è capillare. Non c’è cantiere a cui non sia chiesto di pagare. Poco o molto, comunque devi paga’. Noi lavoriamo, ma la legalità va fatta a 360 gradi».
L’ultimo arresto eccellente è stato quello di Pasquale Sibillo, 24enne boss di Forcella, datosi alla latitanza (e scovato a Terni), dopo che il fratello Emanuele, 19 anni, era stato fatto fuori dai rivali. Emanuele era considerato un gigante, perchè ancora ragazzino era stato lui ad attaccare i Mazzarella. Ma qui i giganti hanno piedi d’argilla e vita breve. Muoiono loro e muoiono quelli che le forze dell’ordine chiamano «le vittime innocenti». È il caso di Maikol Giuseppe Russo, che il 31 dicembre si trovava al momento sbagliato nel bar sbagliato di Forcella. Un proiettile lo ha colpito alla testa durante una Stesa. Ancora lacrime. Ancora un funerale.
QUALCOSA SI MUOVE
Cattivi, innocenti, guardie e ladri, chiunque può finire per terra. Lamparelli, per esempio, è appena tornato da Montecatone dove è ricoverato un collega cinquantenne colpito dietro un orecchio in uno scontro a fuoco. È rimasto paralizzato. Ha due figli, una moglie e una vita da ricostruire da zero.
Rischiano le forze dell’ordine, rischiano i cittadini, che faticano però a denunciare i reati. E più dell’omertà può la paura.
«I reati diminuiscono, la stragrande maggioranza dei napoletani è sana e qui il coordinamento e la collaborazione delle forze dell’ordine sono eccezionali. Il punto è che il sistema deve garantire l’effettività della pena. I tempi per una sentenza definitiva sono troppo lunghi», chiarisce il procuratore capo della Repubblica Giovanni Colangelo. Come fai a denunciare qualcuno quando hai l’impressione di potertelo ritrovare sotto casa pochi mesi dopo?
Eppure qualcosa si muove. «La platealità dell’azione criminale è in genere inversamente proporzionale al radicamento criminale. Nel centro di Napoli l’instabilità è molto forte. Ma dei segnali di risveglio si notano» assicura Tano Grasso, presidente onorario della Fondazione antiracket.
Si affaccia alla finestra che guarda corso Umberto. «Vede? Da qui alla caserma Pastrengo, poco più di un chilometro, ci sono almeno cinque negozianti che hanno denunciato il racket. Un parrucchiere, un pizzaiolo, un barista, il titolare di un’agenzia turistica e quella di un mercato. Ora dobbiamo remare tutti dalla stessa parte per trasformare questa minoranza che reagisce in maggioranza».
Il procuratore Colangelo, Lamparelli, De Vita, padre Zanotelli, don Angelo, Tano Grasso. In fondo dicono tutti la stessa cosa: Napoli è una città straordinaria e ferita e per curare queste ferite la repressione non basta. E nemmeno la prevenzione. Quelle ci sono. Sono le agenzie educative a mancare. E lì può intervenire solo la politica. Nell’attesa i baby sciacalli sparano a ripetizione, come se fosse sparita quella che Rousseau chiamava «la ripugnanza innata provocata dalla visione di un proprio simile che soffre».
Sabato scorso in ospedale è finito un ragazzino di sedici anni. Perchè durante una Stesa a Traiano qualcuno ha tenuto il braccio troppo in basso. E invece di sparare alla luna ha sparato a lui. Il colpo gli ha trapassato la spalla. Ma avrebbe potuto bucargli il cuore.
Andrea Malaguti
(da “La Stampa”)
argomento: Napoli | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
INCIDENTE DIPLOMATICO CON LA COMUNITA’ EBRAICA: “MAI ADERITO ALLA MANIFESTAZIONE, AVETE LETTO UN FALSO”
“La vostra manifestazione è importante”. Perchè serve a sottolineare che non venga “stravolto” il concetto di famiglia “già carente di certezze”. “I bambini non sono animali da esperimento.
E’ il messaggio del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, in sostegno del Family Day del Circo Massimo, letto dal palco della manifestazione che ha visto la partecipazione di circa 200.000 persone scese in piazza “per la famiglia naturale” e in sostanza contro la legge sulle unioni civili.
Peccato che quel messaggio sia falso. Di Segni non l’ha mai scritto, di sicuro non l’ha mai mandato.
Sarebbe stato l’unico messaggio di un esponente religioso che non fosse cattolico, visto che finora l’unica autorità religiosa a dare il proprio sostegno alla giornata di oggi era stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana.
Tuttavia dopo che il presunto messaggio è stato letto dal palco è arrivata la smentita del rabbino in persona. “Il rabbino capo di Roma — si legge — non ha partecipato nè aderito alla manifestazione denominata Family Day, nè ha inviato alcun messaggio”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
LO SPOT DIVENTA UN BOOMERANG: MA QUALCUNO L’HA AVVISATA CHE I BUONI CATTOLICI I FIGLI LI FANNO DA SPOSATI?… PER UNA VOLTA MEGLIO SALVINI, ASSENTE: “SONO DIVORZIATO, NON FACCIO L’IPOCRITA”
Sono passati i tempi in cui il centrodestra era rappresentato dai quattro tenores Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, uniti dal fatto di essere tutti divorziati, ma il prodotto non cambia.
Quando si tratta di difendere la trincea dei valori cattolici, il matrimonio e i dieci comandamenti, eccoli sgomitare per guadagnarsi la foto ricordo del “Family Day” e dimenticare i compromessi quotidiani.
Ma la voglia di strafare è spesso cattiva consigliera.
Così mentre il loro mito Marine Le Pen in Francia si guarda bene dal mischiarsi agli ultras cattolici, non partecipa ad alcun “family day” e il suo braccio destro è un gay dichiarato, in Italia a destra qualcuno traborda.
Non è il caso, per una volta, di Matteo Salvini che interpellato sulla sua partecipazione alla manifestazione del Circo Massimo aveva dichiarato: “Sono divorziato, non ci vado, sarei un ipocrita”.
D’altronde lui alle ex mogli ci pensa, infatti le fa assumere da Comune e Regione a chiamata diretta a spese dei contribuenti.
E’ forse pensando di avere campo libero che Giorgia Meloni oggi ha giocato il jolly, rivelando, caso strano proprio sul prato del circo Massimo, di aspettare un figlio.
Ottimo spot per conquistare visibilità , ma c’è un piccolo dettaglio che tramuta l’operazione in boomerang.
Ma come, difendi i valori del matrimonio tra uomo e donna, è poi annunci un “figlio del peccato”, frutto di una relazione fuori dai sacramenti?
Meglio ricordare a Giorgia il sesto comandamento, paragrafo 2350 : “I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà . Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità “.
Per non parlare del precetto n. 2353: “La fornicazione è l’unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all’educazione dei figli.”
Che così conclude: “il matrimonio, costituisce l’unico “luogo” degno per la chiamata all’esistenza di un nuovo essere umano”.
Concetti ribaditi da Benedetto XVI peraltro in tempi recenti, ma non vogliamo tediarvi.
Come si fa a ergersi a trincea dei valori cattolici per utili elettorali e per protagonismo e poi non rispettarne i valori e la dottrina?
Che ci azzecca la Meloni al Family day?
Qua si accettano solo sorelle, fratelli e cognate in grazia di Dio.
Non clandestine da rimpatriare per mancanza di titoli.
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
TRA CIRCO MASSIMO E STRADE LIMITROFE CI STANNO NON PIU’ DI 300.000 PERSONE…COME AL SOLITO I NUMERI VENGONO MOLTIPLICATI
Tanti, tantissimi. Ma molti meno dei due milioni annunciati dagli organizzatori.
Mentre impazza la consueta guerra di numeri sui partecipanti al Family Day, proviamo a mettere qualche punto fermo.
Quanto è grande l’area?
Il Circo Massimo è lungo 621 metri e largo 118, con una superficie pari a circa 73.300 mila metri quadrati. È un calcolo per eccesso: bisognerebbe sottrarre il palco e i corridoi di sicurezza
Quale densità ?
Il buonsenso dice di calcolare tre persone a metro quadro. In una situazione di particolare ressa, ce ne possono stare anche quattro. Questo è il numero che usiamo per la nostra stima.
In piedi o seduti
Diverse fotografie scattata al Family Day mostrano che molti partecipanti all’evento erano seduti, una posizione in cui un corpo umano occupa più spazio di quando è in piedi. Manteniamo comunque la stima (molto generosa) delle quattro persone a metro quadro.
La variabile delle strade limitrofe
Le due strade che fiancheggiano il Circo Massimo sui lati lunghi sono Via del Circo Massimo e Via dei Cerchi. Sono larghe circa 10 metri l’una e lunghe leggermente di più del Circo Massimo (calcoliamo 630 metri).
Però attenzione: via dei Cerchi era chiusa ai manifestanti. Quindi aggiungiamo solo i metri quadrati di via del Circo Massimo: 6.300. Qui calcoliamo una persona a metro quadro.
La variabile delle strade di accesso
Come constatato dai cronisti de La Stampa inviati al Circo Massimo, le principali strade di afflusso all’area (Viale Aventino e via di San Gregorio da Sud ed Est, via della Greca e via di San Teodoro da Nord e Ovest) erano praticamente vuote .
Il calcolo
Ecco quindi il calcolo. 73.300 mq (superficie del Circo Massimo) x 4 (persone al metro quadrato) = 293.000 (persone nel prato del Circo Massimo). 6.300 mq (superficie di via del Circo Massimo) x 1 (persona al metro quadrato)= 6.300 (persone su via del Circo Massimo). 293.000 (persone nel prato del Circo Massimo) + 6.300 (su via del Circo Massimo)= 299.500 persone.
Il precedente
Ingigantire i numeri non è una prerogativa delle associazioni cattoliche.
Nel 2003 la Cgil guidata da Sergio Cofferati disse di aver portato in piazza al Circo Massimo tre milioni di persone. Ma il precedente più interessante è la folla al concerto dei Rolling Stones nel giugno del 2014.
Perchè è interessante? Perchè quella volta si pagava.
Il prato era strapieno ed erano stati venduti 71mila biglietti.
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
LA RISSA INTORNO ALLA STEPCHILD ADOPTION E’ SOLO UN PRETESTO PER OPPORSI ALLA SVOLTA LEGISLATIVA
La Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato deve regolare le unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso.
I cittadini, di qualunque religione, devono rispettare la legge. I cattolici, di qualunque opinione, devono comprendere, amare e aiutare il prossimo
Troppo semplice? O invece è inutilmente complicata la discussione cui assistiamo? Complicata e cattiva. In una questione dove l’amore è – dovrebbe essere – centrale, sembra un’assurdità .
Un buon modo di procedere? Rispettare le ragioni degli altri; e provare a mettersi nei loro panni.
E’ così difficile, ad esempio, capire il punto di vista di chi ritiene il matrimonio, per definizione, l’unione di un uomo e di una donna?
Negli Usa, come sappiamo, la questione è stata trasportata sul terreno dei diritti civili: negare a due uomini o a due donne la possibilità di sposarsi tra loro è come rifiutare ai neri di salire sull’autobus frequentato dai bianchi.
La logica, pericolosa conseguenza: considerare alla stregua d’un razzista chi ritene il matrimonio soltanto un’unione tra uomo e donna.
E’ tanto complicato, d’altro canto, ammettere che le unioni civili vanno regolamentate? E’ avvenuto in tutta Europa, con l’eccezione di alcuni Paesi dell’Est. Perchè noi no?
I vescovi italiani hanno spiegato, ieri: «L’equiparazione in corso tra matrimonio e unioni civili – con l’introduzione di un’alternativa alla famiglia – è stata affrontata all’interno della più ampia preoccupazione per la mutazione culturale che attraversa l’Occidente». Un punto di vista rispettabile.
Ma la conclusione non può essere «Lasciamo nel limbo ogni altra forma di unione». Sarebbe poco caritatevole.
E poco rispettoso: le leggi dello Stato le fa lo Stato, non la Chiesa.
L’umore nel movimento Family day non pare conciliante. Nelle intenzioni, una dimostrazione d’amore per la famiglia; nei fatti, una manifestazione di ostilità verso tutte le nuove coppie.
Coppie che tutti conosciamo e che oggi non godono delle garanzie minime: diritti di visita, permessi di lavoro per motivi di famiglia, diritti di successione.
Le nuove unioni civili – gridano gli avversari del ddl Cirinnà – s’ispirano all’istituto del matrimonio! E a cosa dovrebbero ispirarsi, di grazia?
Alle comunità hippy, alle società in accomandita semplice, alle associazioni di pesca sportiva?
Al di là dei variopinti trascorsi coniugali dei paladini politici del Family day – «Amano così tanto la famiglia che ne vogliono più d’una», è stato scritto – non si capisce di dove venga l’asprezza che condisce i loro discorsi.
Le apparizioni televisive diventano crociate, le opinioni diverse sono trattate come provocazioni. Il saggista Mauro della Porta Raffo, non richiesto, ha distribuito ai contatti della rubrica telefonica questo messaggio: «Giorno verrà , e presto, in cui verrà legiferato in merito alle unione civili tra uomini e animali!». Non un modo di rasserenare gli animi, diciamolo.
Il dibattito in Senato s’annuncia tempestoso. Ieri, durante una prima discussione sulle pregiudiziali, si sono ascoltate opinioni strabilianti (riportate da Andrea Fabozzi su il Manifesto ).
Sen. Giovanardi. «Mentre il matrimonio è nullo se non è consumato, non si riesce a capire bene chi vada a stabilire che tipo di rapporto c’è tra coloro che stipulano le unioni civili».
Senatore Malan: «La presenza non solo della madre ma anche del padre permette che la nostra specie abbia una possibilità di sviluppo maggiore, con un cervello più grande degli altri animali rispetto alla nostra statura».
Questo per impedire a due persone che si vogliono bene d’ottenere un riconoscimento giuridico? Suvvia.
La rissa intorno alla stepchild adoption – il solito nome inglese per rendere incomprensibile ai più un concetto difficile per molti – pare un pretesto per opporsi a un inevitabile aggiornamento legislativo.
L’Italia – lo sappiamo tutti – ha già deciso. Alcuni degli argomenti del Family day ricordano quelli che circolavano quarantadue anni fa, alla vigilia del referendum sul divorzio: «Se si apre uno spiraglio, poi passerà di tutto!».
La risposta dovrebbe essere la stessa: nessuno è obbligato a divorziare, nessuno è costretto a convivere. Ma se qualcuno vuole farlo, perchè dovremmo impedirglielo?
Beppe Severgnini
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Diritti civili | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
INTERVISTA AD ANGELA DEL VECCHIO, DOCENTE DI DIRITTO ALLA LUISS: “IL RICOLLOCAMENTO DEI PROFUGHI E’ STATO UN FLOP PERCHE’ NON PENSIAMO COME EUROPA, MA COME ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, GRAN BRETAGNA”… LA PATACCA DELLA SOVRANITA’ SOLO UN ALIBI PER NASCONDERE L’EGOISMO MERCANTILE DEI SINGOLI STATI
Nessuna politica comune, nessuna linea guida condivisa, solo scontri tra i Paesi membri e continue violazioni delle direttive comunitarie.
“Non esiste una vera strategia dell’Unione Europea in materia di immigrazione — spiega a IlFattoQuotidiano.it Angela Del Vecchio, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Luiss “Guido Carli” di Roma — oggi Bruxelles è in balia delle esigenze dei singoli Stati che prendono decisioni secondo calcoli di politica interna e non come membri dell’Unione”.
Così, tra un ricollocamento dei migranti promesso e mai portato a termine, muri, blocco del Trattato di Schengen e annunci di rimpatri di massa, in materia di immigrazione gli Stati dell’Unione Europea stanno calpestando i principi base su cui si fonda l’istituzione.
Ricollocamenti da Italia e Grecia: “Bloccati dagli interessi dei singoli”
Un primo segnale si era avuto quando, dopo l’ondata di arrivi del 2014, i Paesi di frontiera dell’Ue, soprattutto Italia e Grecia, si sono appellati a Bruxelles per un’emergenza immigrazione che doveva essere gestita a livello comunitario.
Solo a maggio del 2015, con i centri di accoglienza pieni, le risorse insufficienti, l’aumento del flusso di disperati in arrivo sulle coste europee e il Mediterraneo diventato un cimitero per migranti, le prime risposte da parte dell’Unione.
Potenziamento di Frontex, l’agenzia dell’Ue per il pattugliamento delle frontiere esterne, e ricollocamento in due anni di 40 mila immigrati sbarcati tra Italia e Grecia, più altri 20 mila presenti nei campi profughi all’estero.
Da quel momento, con i numeri ancora lontani dal milione di immigrati entrati in Europa nel 2015, si è scatenata una guerra sulle quote di migranti da redistribuire in ogni Paese.
“A che punto siamo oggi? — continua Del Vecchio — Ne sono stati ricollocati poche centinaia. Questo perchè gli interessi dei singoli Stati hanno prevalso su quelli dell’Unione. Se la maggioranza dei membri dice che la redistribuzione non va fatta, non si fa. Non pensiamo come Ue, pensiamo come Italia, come Francia, Germania, Gran Bretagna”.
Così, spiega la professoressa, si è scatenato un effetto domino, con gli Stati impegnati a limitare il numero degli arrivi, senza mai riuscire ad abbracciare una politica condivisa.
“I pochi provvedimenti presi dall’Unione Europea — dice — sono ancora in fase di attuazione e necessitano di altro tempo. Penso alle collaborazioni con Turchia e Paesi africani, al ricollocamento, ai rimpatri. Questo perchè molti membri hanno fatto e fanno ancora oggi ostruzionismo, calpestando ogni principio cardine europeo in materia d’immigrazione e allontanando sempre di più la creazione di una politica comune sul diritto d’asilo”.
“Blocco di Schengen? Minaccia usata a fini politici”
E l’effetto domino è scattato anche sul blocco di Schengen. “Quando l’Ungheria iniziò a costruire il muro al confine con la Croazia — continua la docente — dissi che così si creava un precedente pericoloso per la tenuta di Schengen. Oggi siamo qui a commentare sei Paesi che minacciano di ricorrere, a maggio, all’articolo 26 del trattato sulla libera circolazione”, quello che permetterebbe loro di prolungare il blocco di Schengen per due anni.
Un’eventualità prevista dall’accordo in casi eccezionali, ma che così viene utilizzata dagli Stati a fini politici.
“Non credo si tratti solo di minacce — continua Del Vecchio — qualche Paese potrebbe realmente pensare di farlo. Certo, non so se questo metterebbe a rischio la tenuta dell’Ue, ma certamente rappresenterebbe un enorme passo indietro. Senza calcolare, poi, gli enormi danni economici conseguenti al reinserimento delle dogane”.
“Rimpatri sono inapplicabili, impossibile fare accordi con Paesi in guerra”
Anche la questione rimpatri, l’ultima in ordine di tempo, è un esempio dello scollamento interno tra gli Stati membri dell’Unione.
“Le parole del governo svedese (che ha annunciato il rimpatrio di 80mila migranti irregolari, ndr) e la proposta del leader laburista olandese (l’Ue accoglierà 250mila migranti provenienti dalla Turchia, in cambio Ankara si impegna a riprendere tutti i migranti che sbarcano illegalmente sulle isole della Grecia, ndr) — afferma la professoressa — non rispecchiano la realtà .
Si tratta di prospettive inapplicabili, non esiste una comune e possibile politica sui rimpatri al momento.
Questo perchè come Unione Europea non siamo riusciti a raggiungere, e non è facile, accordi con i governi dei Paesi africani, mediorientali e asiatici dai quali provengono queste persone. Non si può organizzare un rimpatrio di decine di migliaia di persone senza accordi. Inoltre, c’è da considerare che non si possono rispedire indietro persone mettendo a rischio la loro incolumità o i loro diritti fondamentali. E stiamo parlando di famiglie che provengono da Paesi in guerra, dove vigono dittature”.
“3,2 miliardi alla Turchia? Hanno già 2,2 milioni di rifugiati”
Sul tavolo ci sono anche i 3,2 miliardi di euro che Bruxelles è pronta a dare alla Turchia perchè fermi il flusso di migranti provenienti dalle aree in guerra del Medio Oriente.
“Possiamo finanziarla quanto vogliamo — conclude Del Vecchio — ma accoglie già 2,2 milioni di rifugiati siriani”.
Intanto i migranti continuano a morire in mare. Oim: “Nel 2016 già 244 vittime”
Joel Millman, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha spiegato che “sono 244 i migranti che hanno perso la vita nel Mediterraneo in meno di un mese del 2016″. La maggior parte di loro, 218 persone, sono annegate nel tentativo di attraversare il mar Egeo per dirigersi dalla Turchia verso le coste greche, “aumentando a un tasso allarmante“, mentre le altre sono morte sulla rotta che porta dalla Libia all’Italia.
Secondo l’Oim i migranti sbarcati quest’anno in Grecia sono finora circa 55mila.
Gianni Rosini
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: emergenza | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
SCHIAVISTI ITALIANI: LAVORAVANO DALLA MATTINA ALLA SERA SENZA MANGIARE
La prima volta che hanno visto Lamerica è stata nell’angolo di questo stanzone della Guardia di finanza di Sibari.
Una macchinetta con le luci accese. «L’ho riempita di monetine, tutte quelle che avevo in tasca. Hanno preso acqua, succhi di frutta e cioccolato. Ho dovuto convincerli che era soltanto un regalo, che per la prima volta avevano conosciuto un italiano che non chiedeva loro nulla in cambio. Mi hanno sorriso e hanno conservato tutto nella borsa. Poi, quando li abbiamo convinti a parlare, ho capito perchè».
A raccontare, mentre gioca nervosamente con le mani, torturando la fede, è un esperto militare del Comando.
È stato lui, insieme ai suoi colleghi, a salvare la vita a tre ragazzi bulgari arrivati in Italia convinti di trovare fortuna. E invece hanno conosciuto questa cosa qui: «Ho 24 anni, sono bulgaro, mi chiamo D.N.», e le iniziali qui sono un genere di sopravvivenza.
«Sono arrivato grazie a un mio connazionale che viveva a Corigliano e mi aveva detto che potevo trovare lavoro. Conoscevo già l’Italia e anche qualche parola della vostra lingua, perchè ci vive mia madre».
Corigliano, Cassano: la piana di Sibari è la più grande cassetta di clementini di Italia. «Ero venuto per raccogliere agrumi — continua — Avevamo pattuito, verbalmente, una paga da 25 euro al giorno che mi doveva essere corrisposta ogni settimana. Erano bei soldi».
Settecento euro al mese per questi ragazzi sono molto più che Lamerica anche quando sono il corrispettivo di dieci ore di lavoro al giorno. Senza soste. Senza cibo.
In realtà da quello stipendio vanno detratte una serie di spese: 80 euro per il viaggio dalla Bulgaria all’Italia, 100 euro per l’iscrizione nell’elenco dei lavoratori con tanto di rilascio del codice fiscale, 100 euro per l’alloggio, 100 per il vitto e 100 per il trasporto.
Si parte con un debito di 500 euro almeno. E non fa niente che l’alloggio è una stalla, che l’acqua è fogna, il mangiare rifiuto, perchè questi uomini vengono trattati molto peggio degli animali.
«In questa maniera — spiegano gli uomini del tenente colonnello Sergio Rocco che hanno in piedi le indagini — i braccianti vengono messi nell’impossibilità di scappare».
E infatti: «Ho lavorato per un mese — ha raccontato sempre D. — senza essere pagato. Mi dicevano che dovevo io dei soldi a loro. Ma non potevo mangiare. Ho chiesto quello che mi spettava. Mi hanno minacciato di morte, hanno sempre i bastoni per le mani. Poi mi hanno dato 20 euro per due giorni, ordinandomi di stare zitto e tornare a lavorare». Venti euro per venti ore di lavoro. Fa un euro all’ora.
Poi è arrivata la Finanza. E, incredibilmente, D. non è scappato. E soprattutto non è stato zitto.
Grazie al suo racconto, ieri, i suoi aguzzini sono stati denunciati: il bulgaro che gli ha trovato il lavoro ma anche i due italiani che lo hanno sfruttato e minacciato.
Uno ha un precedente con la criminalità organizzata. Sostanzialmente, è uno ‘ndranghetista, non a caso i controlli rientravano proprio in un piano della Prefettura contro la criminalità organizzata.
Dunque: schiavo straniero. Schiavista: italiano, mafioso.
«Non è una cosa che ci sconvolge» ammette Giuseppe De Lorenzo, il responsabile della Camera del lavoro di Corigliano.
«I rapporti tra i caporali e la criminalità organizzata sono strettissimi. Per questo, oggi, per noi è una giornata bellissima».
Prego?
«Finalmente qualcuno ha detto che il caporale è uno sfruttatore e commette un reato. Anche qui nella piana di Sibari dove invece questo fenomeno non è tollerato ma considerato assolutamente normale».
I numeri sono incredibili: «Il 90% della forza lavoro lavora con i caporali. Parliamo di più di 20mila persone. Si guadagna 1 euro a cassa, 25 euro a giornata, da cui vanno sottratti i 5 per il trasporto. E se la legge dice che ne servono almeno il doppio, chissenefrega. Anzi».
Anzi: a chi non lavora vengono versati contributi fittizi, in modo tale che possano poi usufruire dell’indennità di disoccupazione. Chi lavora, invece, riceve il pagamento in nero. Oppure comunque per metà del compito effettivamente svolto.
«In questi anni denunciano, denunciamo, ma siamo sempre soli» continua De Lorenzo.
In realtà una voce forte è quella della Chiesa. Quella del vescovo, don Ciccio Savino, che viene dalla Puglia e non ha mai paura delle parole.
Da poco arrivato chiarì subito qual era il suo pensiero sul punto: «L’accoglienza non è mai un problema. Ma una risorsa. Ed è sull’accoglienza che si gioca la democrazia. Quando un fratello immigrato muore in un cantiere o perchè è vittima di caporalato io non vedo che le voci si alzano per difendere chi è stato schiavizzato. Allora non al buonismo, non all’ingenuità ”.
«Sente questo rumore?» dice un finanziere. È sera da un pezzo, i trattori hanno smesso di trafficare, la piana è affascinante.
«C’è molto silenzio».
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
NEANCHE QUELLA DI ITALIANI, GRECI, SPAGNOLI E TURCHI FU FACILE, MA IL PAESE FU IN GRADO DI GESTIRLA
Può sembrare marziano il «ce la facciamo» (a dare asilo e a integrare i rifugiati) di Angela Merkel.
In realtà , non è un passo nel deserto: la Germania post bellica ha una storia di «integrazione gestita» dell’immigrazione che mette la politica della cancelliera in una linea di continuità con il passato, seppur con un salto non indifferente per quantità e qualità .
Uno studio pubblicato tre giorni fa dal Fondo monetario internazionale (autore Robert Beyer dell’Università di Francoforte) nota innanzitutto che più di dieci milioni di persone che vivono in Germania sono nate all’estero (dato al 2013).
È circa il 13% della popolazione, più o meno come negli Stati Uniti.
Il numero sale però a 15 milioni se si conta anche chi ha almeno un genitore non tedesco.
Fino alla metà degli Anni Cinquanta, l’immigrazione netta in Germania Ovest fu vicina allo zero. Da quel momento, grazie al miracolo economico, la penuria di lavoratori iniziò a farsi sentire e il governo di Bonn (allora capitale) stipulò accordi di «reclutamento e collocamento di manodopera» con alcuni Paesi, tra questi l’Italia e la Turchia: negli Anni Sessanta e primi Settanta, entrarono centinaia di migliaia di Gastarbeiter ogni anno, lavoratori ospiti che spesso diventarono poi cittadini tedeschi in via definitiva.
La crisi petrolifera spinse il governo a bloccare il reclutamento.
La seconda ondata migratoria iniziò con la caduta della Cortina di Ferro. Nei primi Anni Novanta, l’immigrazione netta fu di oltre 750 mila persone l’anno.
Tendenza che continuò, anche se con flussi calanti, fino alla crisi del 2008.
Da allora, la crescita è tornata possente: 550 mila nel 2014 (lo 0,6% della popolazione) e, quando i conteggi saranno definitivi, forse 1,4 o 1,5 milioni nel 2015 (vicino al 2% della popolazione), 1,1 milioni dei quali rifugiati in cerca di asilo, il resto per lo più immigrati intra-Ue.
Nei decenni scorsi, dunque, la Germania non ha solo sotterrato il mito della razza pura. Ha anche imparato a gestire gli immigrati.
I rifugiati in arrivo ora si portano nello zaino differenze rispetto al passato: la religione islamica, carenze culturali, mentalità diverse da quella europea.
È una sfida più difficile che in passato. Ma nemmeno l’integrazione di italiani, spagnoli, greci, turchi fu una passeggiata, per chi arrivava e per chi riceveva.
Pur con molte contraddizioni, la Germania fu però in grado di gestirla.
Danilo Taino
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: emergenza | Commenta »
Gennaio 30th, 2016 Riccardo Fucile
NELLA UE OGNI STATO HA LE SUE REGOLE E MENO DEL 40% SE NE VA REALMENTE
In Europa scatta il risiko delle espulsioni. In una giungla di accordi, in cui ogni governo fa da sè. Paese che vai, regole che trovi.
Un esempio? Se sei senegalese, dall’Italia nessuno ti caccerà : con il tuo Stato infatti non c’è “accordo di riammissione”.
Nel Nord Europa invece la storia cambia: da qui verrai più facilmente allontanato. Espulsioni e sospensioni di Schengen rischiano così di trasformarsi in un mix esplosivo.
Al Viminale lo sanno bene: la “chiusura” delle frontiere non fermerà l’ondata di profughi, ma ridisegnerà la mappa delle rotte. E tre Paesi avranno molto da perdere: Grecia, Spagna e Italia.
Le riammissioni
Nel 2014 l’Europa ha espulso 470mila migranti e nel 2015 le stime parlano di oltre mezzo milione di rimpatri.
I più severi restano i francesi, con 86mila allontanamenti, seguiti dai greci con 73mila e britannici con 65mila. L’Italia si piazza ottava, con 25.300 espulsi.
“Ma attenzione – spiegano dal Viminale – una cosa sono le espulsioni, altra i rimpatri effettivi”.
È qui il trucco. “Con le espulsioni gli Stati membri intimano agli irregolari di lasciare il Paese – precisa Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa – ma poi quasi mai questi si allontanano. Con i rimpatri invece il migrante viene effettivamente riportato nel Paese d’origine. Senza accordi di riammissione non si muove nulla”.
Non è un caso se la Commissione Ue nel settembre scorso scriveva: “Meno del 40% degli irregolari a cui viene ingiunto di lasciare l’Unione è effettivamente partito”.
Cosa non funziona?
“I rimpatri procedono al rallentatore”, confermano al Viminale: in Italia nel 2015 sono stati 15.979. “Colpa degli accordi di riammissione – spiega Simona Moscarelli dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni – ossia i trattati con i quali gli Stati di provenienza dei migranti si impegnano a riaccogliere i propri cittadini. Pochi quelli stipulati a livello di Unione europea (solo 17). Negli altri casi ogni Paese fa da sè con accordi bilaterali”.
“Chi espelle chi”
Per capire chi viene rimpatriato, basta guardare gli accordi. L’Italia ne ha che funzionano bene con Tunisia, Nigeria, Egitto e Marocco.
“E sono molti gli espulsi in questi paesi, ma con alcuni – sottolineano al Viminale – gli accordi mancano: Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, per fare degli esempi”.
E senza accordi non ci sono rimpatri. La Grecia ne ha sottoscritto di recente uno con la Turchia, la Spagna con il Marocco e la Francia con Camerun, Capo Verde, Congo, Gabon, Senegal, Tunisia.
Ma visto che ogni Stato europeo fa i propri accordi, “i migranti irregolari – scrive la Commissione Ue – possono evitare il rimpatrio trasferendosi da uno Stato all’altro”.
Le conseguenze dei muri
Con la chiusura delle frontiere, al ministero dell’Interno parte intanto la caccia alle nuove rotte. La più imponente, Western Balkan , che attraversa i Balcani occidentali, rischia di saltare.
“Se Croazia e Slovenia “tappano” i confini potrebbe resuscitare quella adriatica: da Montenegro e Albania in Puglia”.
Altra nuova rotta, figlia della chiusura dell’Austria, dalla Slovenia in Italia.
“Le conseguenze dei muri ricadranno su Grecia, Spagna e Italia”, dice Christopher Hein, consigliere strategico del Consiglio italiano rifugiati. Non è un caso se le altre due rotte sotto osservazione sono la Western Mediterranean , passaggio dal Nord Africa alla Spagna e la più trafficata Central Mediterranean , che approda in Italia.
Si prevede poi la ripresa della Eastern borders : 6mila chilometri che separano Ucraina e Russia da Estonia e Finlandia.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »