Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
KARIM FRANCESCHI E’ L’UNICO ITALIANO CHE HA PARTECIPATO ALLA LIBERAZIONE DI KOBANE… NON E’ UNO DI QUELLI CHE COMBATTE L’ISIS TWITTANDO STRONZATE DAL SALOTTO DI CASA
Karim Franceschi, nato nel 1989 a Senigallia da padre italiano e madre marocchina, nel gennaio 2015 decide di raggiungere Kobane e unirsi alle milizie curde che contrastano l’avanzata dell’Is in Siria.
Nel libro di Karim Franceschi che esce oggi, “Il combattente”, il giovane militante ripercorre la sua storia.
La storia di Karim Franceschi è una storia che sembra arrivare da lontanissimo.
Un giovane che vede un popolo violato da una forza feroce e oscurantista e non vuole essere solo un osservatore.
Non ha alcuna qualifica militare, ma parte lo stesso. Vuole combattere.
Non sa sparare, non conosce il curdo, l’inglese gli è inutile. Non ha idea di cosa farà : ma vuole andare. Essere giovani e trovare disgustosa l’immobilità , codardo il continuare a vivere comodamente la propria vita mentre non molto lontano avvengono scempi e barbarie: l’odore di questa storia è identico a quello che assapori in decine di libri di giovani volontari che si scelgono una causa e vanno a combattere.
“Avevo un po’ di spirito di avventura, questo credo sia naturale – dice Karim – ma non ho fatto per quello la scelta di andare a combattere. La vera motivazione era partecipare alla resistenza di Kobane che stava per crollare: l’ho visto con i miei occhi”.
Gli parlo via Skype mentre è in Iraq.
È calmo, ha molto più controllo di quello che ti immagini possa avere un ragazzo di 26 anni sbattuto da mesi su un fronte di guerra.
Karim si è fatto l’addestramento assieme a gruppi di ragazzine di sedici anni. È diventato un cecchino, un soldato dell’Ypg, la milizia curda di Kobane. Nome di battaglia: Marcello.
Mi fa sorridere, ha un candore da ragazzino ma una determinazione molto matura.
Non sta giocando alla guerra, è un soldato consapevole di ogni singolo passaggio di questa sua nuova vita: “Potevo combattere con l’Fsa (Free Syrian Army) ma ho scelto l’Ypg, le Unità di protezione del popolo. Perchè ha i valori della Costituzione italiana, ha ideali di giustizia in cui mi riconosco, combatto con i compagni che difendono la democrazia, il secolarismo, il femminismo. Con l’Is alle porte si sono organizzati non solo per difendersi ma anche per costruire una società diversa”.
ESTRATTO DEL LIBRO
“Marcello…”.
Mi sveglio con una scossa. E automaticamente guardo l’orologio, come faccio sempre quando un compagno mi avverte che è venuto il momento del mio turno. Le tre e cinque minuti. Ne mancano venticinque al cambio, e già questo mi irrita. Mi giro di scatto verso Hawer con l’intenzione di protestare per la sveglia anticipata, ma il suo volto pallido come uno straccio mi blocca. Col dito davanti al naso mi fa segno di non fiatare
“Daesh…” sussurra con un filo di voce.
Afferro il Kalashnikov e mi metto a guardare con lui dalla finestrella della trincea. Ha smesso di nevicare, e una luna non ancora piena fa capolino tra le nuvole basse e grigiastre, rischiarando il paesaggio imbiancato. Non vedo niente. Però, nel silenzio ovattato della valle, sentiamo distintamente un rumore provenire da dietro il dosso innevato. Forse il motore di un veicolo, o comunque qualcosa di meccanico. Nell’altra trincea, nessuno si muove.
Allungo un braccio e raccolgo un sassolino. Lo tiro verso la buca di Ali e Delsoz, mancando però il bersaglio. Provo ancora, e stavolta li colpisco. Così anche loro si accorgono che qualcosa non va. Ali solleva il telo e striscia in avanti, senza fucile, fino a un punto da cui riesce a vedere cosa c’è dietro il dosso. Steso sulla neve, si ferma un secondo a osservare, poi indietreggia al doppio della velocità , strisciando come un serpente e spostando con le mani la neve in modo da coprire la traccia lasciata dal suo corpo.
Cosa cazzo sta succedendo? Hawer mi fissa, ammutolito. Ali non ci ha fatto alcun cenno, prima di rintanarsi nella sua buca. Basta, ho bisogno di sapere. Da qui al punto dov’è arrivato Ali saranno trenta metri, una sessantina di passi al massimo. Alzo il telo e sguscio fuori, camminando basso ma senza strisciare, perchè non mi voglio bagnare più di quanto non lo sia già . Nascosto dietro un masso, osservo. A non più di centocinquanta metri dalle nostre piccole trincee, scorgo una ventina di miliziani di Daesh, un carrarmato T-72 e un Hummer, con i fanali accesi e un enorme mitragliatore montato sopra. Ne ho già visto uno uguale, una volta: Giano allora mi spiegò che spara proiettili in grado di sbriciolare le pietre e trapassare i sacchi di sabbia. Il comitato di accoglienza del califfo al-Baghdadi sta venendo verso di noi, eppure io resto calmo, irragionevolmente calmo. Torno indietro con lentezza, prendendomi il tempo per coprire le impronte lasciate dai miei scarponi sulla neve fresca. Entro nella buca con un mezzo sorriso stampato in faccia, guardo negli occhi il mio compagno. Glielo dico in curdo che sta per morire, così che non ci siano fraintendimenti.
Em sahiden, heval Hawer..
Nella sua lingua, em sahiden significa “siamo martiri”. Se quelli si accorgono della nostra presenza non abbiamo scampo. Non è nemmeno il numero dei miliziani, venti o giù di lì, a rendere assurda qualsiasi ipotesi di scontro a fuoco. È il tank a chiudere la questione. Per non parlare poi di quel mitragliatore montato sull’Hummer: basterebbe da solo a farci fuori tutti. Mentre cerco di spiegare a gesti cosa c’è dall’altra parte del dosso, vengo colto da un attacco di ridarella isterica. Eh, cazzo, ho scelto proprio la notte sbagliata per lasciare il Pkm all’accampamento. Hawer mi fissa con un’espressione tra il terrorizzato e il rassegnato, fatica anche a deglutire la saliva. La fuga non è nemmeno immaginabile, perchè per scappare dovremmo correre per un bel pezzo in campo aperto, davanti a loro; a quel punto basterebbe una sventagliata di mitragliatore per ammazzarci tutti e quattro. Dunque facciamo l’unica cosa che resta da fare: il tentativo della disperazione. Raccogliamo quanta più neve possibile e la spargiamo sopra il telo e nella buca, per mimetizzarla al meglio. Usiamo anche qualche sasso, così da confonderla ancora di più con il resto del paesaggio. Poi ci infiliamo dentro, senza lasciare nessuno spiraglio. Siamo completamente al buio, sotterrati tra mucchi umidi di neve e pietre. Sono steso supino accanto al mio Kalashnikov e al compagno Hawer. Entrambi sappiamo bene cosa dobbiamo fare, non c’è bisogno di dircelo. Con la mano sinistra sfilo dal gilet tattico una granata e me la appoggio sul petto, stringendola con forza. Faccio passare il dito medio della mano destra nell’anello metallico che ferma l’innesco della bomba, e lì mi blocco. L’ultima immagine che vedrà chi alzerà questo telo sarà Karim Franceschi che gli mostra il medio, un attimo prima di esplodere.
Si stanno avvicinando, lo sento. Il rumore dei cingoli del carrarmato si è fatto più forte, e mi pare persino di avvertirne la vibrazione nel terreno. In fondo lo sapevo che sarebbe andata a finire così, in quest’impresa disperata. Lo sapevo. Il cuore martella dentro al petto; delle vampate mi partono dalle spalle e dal collo in tensione, ma non riescono a scaldarmi veramente, e la sensazione è più quella di essere intrappolato in una cella frigorifera. Ho paura, come non ne ho mai avuta in vita mia. Ho sempre immaginato la mia morte attraverso gli occhi di quelli che amo di più e anche adesso, con la mente, torno nella casa di Senigallia. Immagino il volto affranto di mia madre, che piange disperata. Il suo dolore è come una lama che si pianta lentamente nel mio cuore. Il pensiero corre a Leila, mentre sento la fine avvicinarsi. Alle sue labbra piene, ai suoi occhi di giada, alla promessa di ritornare in Italia che non manterrò. Passano i secondi, non riesco a staccarmi dal ricordo della donna che amo. Non voglio morire prima di averla rivista un’ultima volta…
Eccoli, sono vicinissimi. A trenta o quaranta metri da noi, non di più. Il rumore del motore diesel del tank sovrasta le voci dei miliziani. Trattengo il respiro e percepisco che anche Hawer sta facendo lo stesso. Il collo e la mascella sono contratti da far male. Fuori la colonna si è fermata, il carrarmato non avanza più. È finita. Ne sono sicuro: qualcuno ci ha scoperti e, per come si sono messe le cose, mi pare anche l’unico destino possibile. È inevitabile, è ormai solo una questione di secondi. Tirerò l’anello, sì. Non mi farò prendere prigioniero da questi invasati, per finire tagliato a pezzi e trasformato in un mucchio di arti con la mia testa in cima, come è capitato agli sfortunati compagni che ho visto a Kobane.
Se è scritto che stanotte devo morire, morirò da partigiano, come avrebbe fatto mio padre Primo: con orgoglio, portandomi qualcuno dei nemici con me. Con il pollice della mano sinistra sfioro la tasca della giacca, a tastare il mio talismano. Stringo la bomba ancor più forte, e faccio una leggera pressione sull’anello; la spoletta si sposta di qualche millimetro. Strizzo gli occhi, in preda all’angoscia. Ho perso la cognizione del tempo. Papà , mamma… datemi il coraggio di farlo. Vi voglio bene.
Due ruggiti consecutivi del motore del T-72, seguiti dallo stridio di ingranaggi meccanici che riprendono a girare, mi fanno spalancare gli occhi. Il cingolato si muove, spero seguito dall’Hummer e dal gruppo dei miliziani. Resto immobile, concentrando tutta la mia capacità di percezione nelle orecchie. Non ci penso proprio a dare una sbirciatina fuori dal telo, non ho nessuna intenzione di provocare la fortuna. Sì, se ne stanno andando! Però si stanno spostando in direzione del nostro accampamento e, se Ali non è riuscito a dare l’allarme via radio, Zardesh e gli altri del tabur rischiano grosso.
Un secondo dopo l’altro sento la speranza rinascermi dentro, anche se non siamo ancora fuori pericolo: mi pare che la colonna si sia fermata di nuovo. Un caccia militare passa sopra di noi. Potrebbe essere un raid notturno, visto che i piloti degli aerei possono sfruttare sensori termici con i quali colpire anche nell’oscurità , quando dal comando hanno l’ok a volare e le condizioni meteo non sono del tutto proibitive. Passano i minuti, il rombo del jet va e viene, ora sembra vicinissimo ora lontano chilometri, ma non si sentono nè esplosioni nè sparatorie. Controllo l’orologio: le quattro in punto. Non è passata neanche un’ora, eppure mi sembra una settimana fa. Dobbiamo decidere cosa fare. I jihadisti sono ancora nelle vicinanze, sicuro, e se usciamo ora rischiamo di essere scoperti. Magari sono appostati proprio qui di fronte, in una trincea tipo la nostra, pronti a falciarci con i loro Ak-47 appena mettiamo il naso fuori. Non ci resta che aspettare ancora.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL SINDACO HA DISPOSTO DI NON SERVIRE IL PASTO AI FIGLI DEI GENITORI MOROSI….. “UMILIANTE CHIEDERE AIUTO A MIO PADRE. NON SONO UN FURBETTO, HO L’ACQUA ALLA GOLA”
«A 46 anni ho dovuto chiedere aiuto ai miei genitori per pagare la mensa scolastica. È stato umiliante, ma alla fine ho dovuto farlo per evitare a mio figlio di 8 anni un’umiliazione ancora più grande: essere escluso dal pasto con i propri compagni»
Roberto (il nome è di fantasia, ndr) è uno dei 500 genitori morosi inserito nelle liste dei debitori del Comune di Corsico.
«Vorrei dire al sindaco Errante che non sono un furbetto – spiega – ma soltanto un padre di famiglia con l’acqua alla gola. Sono amareggiato perchè si è deciso di punire i bambini che hanno l’unica colpa di vivere in famiglie con difficoltà economiche».
Il suo caso è quello di una famiglia normale, con due figli di 8 e 17 anni, che si è trovata all’improvviso in difficoltà a causa della perdita del lavoro della moglie.
Impiegato lui, addetta in un call center lei. Quando la società in cui lavorava la moglie è fallita, il bilancio familiare è andato in tilt.
Niente liquidazione, nè ammortizzatori sociali per la donna, che si è ritrovata disoccupata da un giorno all’altro.
«Ho uno stipendio di 1.600 euro. Seicento euro mi vengono detratti ogni mese dalla banca per un prestito precedente. Pago un affitto di 800 euro al mese. Restano 200 euro per la spesa per quattro persone, le bollette e la scuola. Senza altre entrate questo significa scegliere ogni mese quale bolletta lasciare chiusa nel cassetto», ammette Roberto.
Niente vacanze, niente smartphone, niente uscite in pizzeria.
«Mi si è rotta la macchina e non avevo i soldi per ripararla. Sono andato al lavoro in bici per mesi», racconta.
Le spese per i bambini, però, sono molte. L’acquisto di scarpe e vestiti nuovi imposto dalla crescita, i libri, le visite mediche.
Esborsi normali, ma che quando il budget familiare si è dimezzato si sono rivelate insostenibili.
Ed è così che, in un anno, Roberto è arrivato a 1.200 euro di bollettini della mensa scolastica non pagati.
«Ho accumulato debiti su debiti, la notte non riuscivo a dormire. E non ho avuto il coraggio di rivolgermi ai servizi sociali. La vergogna di raccontare i miei problemi era troppo forte. Tra me e me mi ripetevo che sarei riuscito a risollevarmi da solo», racconta.
Roberto è uno di quelli che non ha neanche ritirato la raccomandata del Comune che intimava il pagamento.
«Non è bello ammetterlo, ma sapevo che si trattava di solleciti e che non avrei potuto pagarli», spiega. «A settembre ho contattato il Comune. Volevo pagare un po’ alla volta. Mi è stato detto che dovevo dividere il debito in tre parti e che non era possibile rateizzarlo ulteriormente», ricorda amareggiato.
È soltanto a quel punto, cioè a fine dicembre, che si è rivolto al padre ottantenne per chiedere aiuto.
«Hanno pagato i miei genitori per me – dice – per un padre di famiglia è una sconfitta».
Olivia Manola
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
ANM: “INGOLFA I TRIBUNALI, OSTACOLA LE INDAGINI SUGLI SCAFISTI, NESSUNO RINUNCERA’ A ENTRARE ILLEGALMENTE DAVANTI A UNA SANZIONE PECUNIARIA”
L’Associazione nazionale magistrati boccia il reato di immigrazione clandestina.
Non serve a fermare gli ingressi illegali. Intasa i tribunali. Frena le inchieste sugli scafisti. E come se non bastasse ha costi pesantissimi per lo Stato.
Questo è il giudizio sulla norma da parte dell’Anm che di fronte al rinvio del governo sull’abolizione rivolge l’invito a tutta la politica a non far “prevalere sul ragionamento la demagogia, perchè è con le scelte ponderate che si tutela la sicurezza”.
“Capisco che la politica si faccia carico dei timori della gente, ma quando le paure sono populiste e infondate vanno combattute, spiegando come stanno realmente le cose”, dice all’Ansa il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli.
E il punto di partenza non può che essere uno: “Bisogna innanzitutto chiarire che depenalizzare il reato non significa volere un’immigrazione incontrollata e illimitata , ma eliminare una norma inutile e dannosa; e occorre spiegare che la clandestinità è una contravvenzione punita con l’ammenda: e mai nessun straniero rinuncerà ad entrare illegalmente davanti a una sanzione pecuniaria che non è in grado di pagare e che lo Stato non è in grado di riscuotere”.
Si tratta dunque di un “reato inutile che ingolfa i tribunali con migliaia di cause e costi enormi per lo Stato; e che ostacola le indagini contro gli scafisti, visto che il clandestino, in quanto indagato, non può essere sentito come testimone”.
Una disanima che porta a una sola conclusione: “Gli ingressi illegali non si combattono con la minaccia ridicola di un’ammenda, ma con una seria gestione del fenomeno migratorio nel quadro europeo e con provvedimenti amministrativi di controllo dei migranti e , se del caso, di espulsione”.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
PER MANTENERSI IL TRENTENNE AVEVA UN IMPIEGO PART-TIME MA AVEVA SUPERATO LE 15 ORE SETTIMANALI PREVISTE COME TETTO PER GLI STRANIERI CHE STUDIANO… IL RETTORE: “GIOVANE DI TALENTO, RITIRATE IL PROVVEDIMENTO”, MA L’OTTUSITA’ NON SENTE RAGIONI
Espulso perchè lavorava troppo.
È uno dei paradossi delle leggi sull’immigrazione e della crisi migratoria in Europa.
È la storia di Marius Youbi, 30 anni, originario del Camerun, studente modello perfettamente integrato in Danimarca, dove si è trasferito da tempo con la famiglia: o, meglio, si ‘era’.
Perchè Marius è infatti stato espulso non soltanto da tutte le scuole del Regno, ma addirittura dal Regno stesso, ed è dovuto tornare in patria lasciando in Scandinavia i suoi cari. Il motivo suona assurdo.
Non contento di brillare negli studi accademici in Ingegneria, invece di campare a suon di sussidi e di espedienti, per mantenersi all’Università di Aarhus si era trovato un posto part-time come addetto alle pulizie.
Per scoraggiare i migranti dallo stabilirsi nel paese scandinavo, però, di recente le già rigide norme danesi in materia sono state ulteriormente inasprite: sicchè agli stranieri che studiano non è consentito lavorare più di quindici ore la settimana.
A Marius qualche volta è peraltro capitato di sforare il tempo-limite per raggranellare qualche soldo extra, e gli implacabili ispettori lo hanno colto in fallo, avviando la procedura di deportazione.
A peggiorare la beffa, gli hanno inflitto una multa che lui ha prontamente pagato: per legge ciò implica “riconoscere automaticamente la propria colpa”, e rendere la sanzione irreversibile, come ha spiegato Anders Correll, portavoce dell’ateneo presso il quale il giovane camerunese si stava facendo onore, e il cui rettore Brian Bech Nielsen invano aveva inviato una lettera al Servizio Immigrazione, pregandolo di desistere perchè “Marius Youbi è uno degli studenti di maggiore talento che abbiamo, e non revocare il provvedimento sarebbe deplorevole”.
Tanto più, aveva aggiunto, che “in questo caso la ‘punizione’ non è adeguata al ‘reato'”. Niente da fare.
Nessuna risposta in via ufficiale da parte delle autorità competenti, solo il freddo commento di un funzionario preposto, tale Jesper Wodschow Larsen: “La decisione è stata adottata in applicazione delle regole vigenti”, ha tagliato corto.
E Marius se ne è dovuto tornare in Africa, lasciando la sua tesi a metà .
(da “La Stampa”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
UNA FATTURA DI 37.528 EURO PER “CONSULENZE” ALL’AZIENDA CON LA QUALE, IN QUALITA’ DI CONSIGLIERE DI AMMINISTRAZIONE DELLA BANCA, HA INTRATTENUTO RAPPORTI
Un documento che, se la magistratura riterrà attendibile, è destinato a squarciare un altro velo oscuro della vicenda di Banca Etruria, uno dei quattro istituti coinvolti nel crack e poi salvati dal Governo con il decreto ‘Salva-banche’.
Un foglio che, se autentico, confermerebbe il quadro delineato dagli inquirenti sul conflitto d’interessi dell’ex consigliere di amministrazione dell’istituto, Luciano Nataloni, indagato dalla procura di Arezzo per “omessa comunicazione di conflitto d’interessi”.
Un documento che, allo stesso tempo, porrebbe più di un interrogativo sull’opportunità di alcune operazioni condotte da Banca Etruria che si sono rivelate decisive, in maniera negativa, per la sua bancarotta.
Il documento, arrivato all’interno di una busta anonima e non affrancata, è stata fatto recapitare a Letizia Giorgianni, presidente dell’associazione “vittime del Salva-banche”, che ha annunciato di voler recarsi lunedì prossimo in procura per consegnare il materiale.
Spetterà ora alla magistratura fare i dovuti accertamenti sulla veridicità del documento che, qualora fosse ritenuto autentico, come detto, potrebbe avvalorare la tesi del conflitto d’interessi di Nataloni.
Quest’ultimo, infatti, da una parte avrebbe guidato un’operazione di finanziamento di Banca Etruria a Td Group e dall’altra avrebbe ricevuto, dalla stessa società , un compenso per una consulenza affidata a uno studio di commercialisti da lui guidato.
Il documento, di cui l’Huffington Post è venuto in possesso, è una fattura che lo Studio professionale associato dottori commercialisti di Nataloni ha emesso nei confronti della società Td Group, una delle 15 società che sono state perquisite ieri dalla Guardia di finanza di Arezzo.
L’oggetto della fattura, datata 21 dicembre 2015, fa riferimento al pagamento di un acconto, pari a 37.528 euro, per un’attività di advisoring, cioè di fatto di consulenza, che lo studio di Nataloni ha prestato nei confronti di Td Group in base a quanto previsto da un contratto datato 10 ottobre 2012.
La nota conferma i forti rapporti tra Td Group e la Banca Etruria.
Ieri il presidente di Td Group, Valterio Castelli, ha dichiarato a La Nazione: “Siamo in fase, quasi definitiva, di ristrutturazione del debito: lo studio Nataloni fa da advisor in questo piano, ma in totale sono coinvolte dodici banche, tra cui appunto, l’Etruria, di certo dunque non ci sono privilegi. Non si può operare in modo diverso, il comportamento deve essere uguale con tutti”. Parole che spiegano chiaramente che si è in presenza di un legame forte, anche se non esclusivo, tra Td Group e Banca Etruria.
Secondo gli inquirenti la Td Group è considerata una delle società che ha contribuito maggiormente a provocare sofferenze alla Banca Etruria.
Quest’ultima, attraverso un’operazione condotta dallo stesso Nataloni, ha destinato a Td Group un finanziamento di 5,6 milioni di euro, secondo quanto contenuto nei dossier della Banca d’Italia citati dal Corriere della Sera.
Secondo l’accusa è una delle operazioni svolte in situazioni di conflitto d’interesse che hanno generato perdite pari a 18 milioni di euro per la banca.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRETE ACCUSA: “LORO CI SONO, LE ISTITUZIONI BRILLANO PER LA LORO ASSENZA”
Don Angelo Berselli, parroco di Forcella, usa un paradosso duro: “Quando mi dicono sei un prete anti-camorra io rispondo scherzando: “Vi sbagliate, io sono per la camorra. Da queste parti è la sola cosa che funziona””.
Ma che fa, elogia la camorra?
“Ovviamente la mia è una provocazione. Ma dico che dovremmo imparare dalla camorra che si prende cura dei detenuti, delle famiglie, di chi non ha lavoro. Ci sarebbero diverse cose da prendere a esempio, con un substrato morale completamente diverso”.
Ma il primo problema non è proprio la camorra?
“Il primo problema è la violenza che noi respiriamo quotidianamente perchè è diventata normalità che accadano queste morti: è il nutrimento di quel frutto maledetto che è la camorra”.
Il suo sembra un discorso senza speranza.
“La sicurezza chi la deve garantire? Lo Stato o qualcun altro? Se non ci si affida allo Stato non avremo speranza, ma un esempio ce lo dà proprio il povero Maikol che era un bravo ragazzo che lavorava e vendeva i calzini per sfamare i figli. Il 20 per cento delle persone è cattivo, ma l’altro 80 per cento è composto da brave persone abbandonate. Con loro si potrebbe discutere, ma ne andrebbe conquistata la fiducia”
E invece?
“Qui alla nostre spalle c’è il teatro Trianon chiuso. È il simbolo del fallimento delle istituzioni. Sono stato in parrocchie in tutti i quartieri ma devo dire che a Forcella c’è la situazione più difficile. Manca persino la camorra, quelle di oggi sono bande che tirano cocaina e vanno a sparare. Ai Quartieri spagnoli se accadeva qualcosa, almeno, sapevo contro chi prendermela. Qui no. I commercianti sono contenti: non pagano il pizzo perchè non c’è nessuno che va a riscuotere. Ci sarebbe la possibilità di intervenire, ma i politici pensano ad altro, alle elezioni. Il risultato è che ci sono altri due orfani perchè chi di dovere brilla per la propria assenza”.
Il questore sostiene che c’è omertà e indignazione a orologeria.
“Ho letto l’articolo su “Repubblica”, ma se lo Stato fa funzionare le telecamere non ho l’obbligo di indicarti un nome. Un uomo illustre ha detto che un popolo e una nazione civili non hanno bisogno che i cittadini facciano gli eroi. Nella mia parrocchia pur avendo pochi soldi ho otto telecamere che funzionano. L’altro giorno ho letto che hanno arrestato un camorrista che grazie a un sistema di videosorveglianza si rendeva conto di chi si avvicinava. Lo fanno loro e non lo possiamo fare noi? La faccenda è banale. Ma che ci vuole a far sistemare una telecamera e provvedere che funzioni? È mai possibile che in rioni come Sanità e Forcella non ci siano?”.
Basta la videosorveglianza per evitare sparatorie e vittime innocenti?
“Se ci sono le telecamere un minimo di prudenza in più si usa, magari non si va a sparare in pieno giorno. Qui c’è la serenità di agire indisturbati. Queste sono morti annunciate. Bisognerebbe parlare di meno e agire di più. Riprendiamo il caso del Trianon chiuso. Prima mandava i biglietti gratis in tutte le parrocchie e noi li distribuivamo alle famiglie. Era un modo per diffondere cultura. Oggi i ragazzi basano la loro esistenza sulla frase ripresa dalla televisione “e che ce ne importa!”. Ma quello che è capitato a Maikol può accadere a tutti. Nessuno se ne può disinteressare, tutti ci devono mettere il proprio impegno, tutti devono fare la loro piccola parte”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
L’AFFONDO DI SAVIANO: “LA SINDACA DEVE DIMETTERSI”… DALL’APPALTO SULL’ACQUA ALLO STADIO TOLTO ALLA SQUADRA ANTI-RACKET
La sindaca cede alla tensione e piange, il paese è in preda a un generale disorientamento, e mentre a Quarto in tanti hanno paura di parlare e raccontare, la prefettura di Napoli comincia dal commissariamento dell’appalto sull’acqua .
È il primo atto formale con cui il Viminale, attraverso il Palazzo di governo, torna ufficialmente a mettere le mani sul comune flegreo, al centro del caso politico-giudiziario che arroventa ai massimi vertici lo scontro tra pentastellati e Pd, e soprattutto scuote i leader Cinque Stelle, costringendoli a confrontarsi per la prima volta con lo spettro del voto inquinato da interessi criminali.
Tutto, alla vigilia delle amministrative più difficili nei capoluoghi italiani.
E lo scrittore Roberto Saviano via Twitter lancia il suo affondo: “Deve dimettersi. Se non lo fa il M5S aggiungerà una blackstar al suo simbolo”.
Veleni e misteri.
Serpeggiano conflitti e attacchi dentro e fuori la casa comunale di Quarto. La giunta perde pezzi in poco tempo. Un assessore, Raffaella Iovine, si dimette il 15, per «divergenze». Il 31, va via l’assessore al Bilancio Umberto Masullo. Poi, ancora, lascia un consigliere comunale, Ferdinando Manzo, sulla cui scelta girano le interpretazioni più disparate: l’uomo, un bidello, per potersi insediare in consiglio aveva saldato un debito di 7mila euro di tasse comunali, un esborso su cui si favoleggia ma lui si trincera dietro una nota in cui parla solo di “ragioni familiari”. Defezioni, ma anche aspri conflitti.
Come la storia raccontata in un esposto dal consigliere (già candidato sindaco) ed avvocato Luigi Rossi, entrato in possesso di conversazioni su Messenger tra la Capuozzo ed una testa calda dell’antagonismo locale, in cui si parlava di “spaventare” politicamente il legale per la sua opposizione.
E mostra quegli screen-shot, sono le fotografie della corrispondenza sui social. Poi deflagrata in un consiglio comunale carico di tensione, in cui il sindaco si scusò per le infelici espressioni usate.
Rossi allarga le braccia: «A prescindere dalle singole ed eventuali responsabilità penali, è evidente che non vi sono più le condizioni per governare serenamente con forte danneggiamento del paese e dei cittadini. Il sindaco, a maggior ragione se estranea ad ogni vicenda come ella sostiene (non senza contraddizioni), rimetta il mandato ricevuto. Il suo attaccamento alla poltrona finisce col rovinare definitivamente la città »
L’appalto da bloccare.
Il prefetto di Napoli Gerarda Pantalone ha appena avviato, su parere favorevole espresso dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, la procedura per sospendere quella gestione del servizio idrico che era finita anche sotto la lente dei senatori Rosaria Capacchione (Pd) e Giuseppe De Cristofaro (Sel) in una recente interrogazione.
Al centro della vicenda, l’interdittiva antimafia che aveva colpito la Fradel, società di una Ati che s’era aggiudicata la manutenzione straordinaria della gestione acqua e fognature.
Uno stop che però, nonostante fosse stato ribadito dalla sentenza del Consiglio di Stato datata aprile 2015, non verrà recepito dall’amministrazione di Rosa Capuozzo che si insedia a giugno nel comune flegreo: salvo procedere, solo il 22 dicembre scorso, con una delibera di giunta, ad una precipitosa quanto irrituale sostituzione della “Fradel” con un’altra impresa, la “Edil sud”, che appartiene alla stessa compagine, visto che entrambe sono consociate di Finconsorzio, ed è guidata dallo stesso amministratore, ovvero Guglielmo Del Prete.
Già il 29 dicembre scorso, è Cantone a scrivere al prefetto di Napoli chiedendo come si intenda procedere con quell’appalto di Quarto che continua ad essere gestito da una società che ha ormai perso ogni battaglia legale contro l’interdittiva.
Passa qualche giorno per i dovuti accertamenti e il prefetto, dopo rituale contatto con il sindaco Capuozzo che proponeva anche un’ulteriore sostituzione dell’azienda, si confronta con il presidente Cantone e decide per il commissariamento.
“La Prefettura è sempre stata attenta, sta lavorando e continuerà a lavorare. Altro non posso dire”, le uniche parole del prefetto. Mentre dall’Anac arriva una nota che ribadisce il suo assenso all’adozione di tale procedura e assicura ai cittadini di Quarto che «tale misura consentirà la prosecuzione del servizio, da considerarsi essenziale per la tutela della salute pubblica».
Quello stadio tolto alla squadra antiracket.
Sullo sfondo, va avanti e macina altri elementi l’inchiesta del pm Henry John Woodcock coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli: sotto accusa, per voto di scambio aggravato dalla finalità mafiosa e per tentata estorsione, c’è l’ex consigliere 5 Stelle e recordman di preferenze Giovanni De Robbio (ma sono coinvolti anche l’imprenditore delle pompe funebri Alfonso Cesarano, ritenuto vicino al clan Polverino, Mario Ferro e Giulio Intemerato).
Si indaga in particolare anche sui rapporti tra Cesarano e De Robbio: il primo avrebbe garantito il sostegno elettorale in cambio dell’affidamento da parte del Comune dello stadio Giarrusso.
E’ l’impianto sportivo che, prima dell’insediamento della giunta Capuozzo, era gestito dalla Nuova Quarto Calcio per la legalità , la società sequestrata a un altro imprenditore accusato di collusioni con il clan Polverino, e trasformata in club antiracket, su impulso del pm antimafia Antonello Ardituro, oggi al Consiglio superiore della Magistratura.
La giunta Capuozzo ha lasciato comunque al Comune, e quindi al pubblico, la gestione del campo: tuttavia, senza il rinnovo della convenzione, quella squadra nata sull’onda di una simbolica svolta, non si è più potuta iscrivere al campionato.
E quell’esperienza – che aveva rappresentato una nuova stagione dopo il blitz antimafia che ha portato alla condanna, tra gli altri, dell’ex consigliere di Fi e coordinatore azzurro Armando Chiaro – si è spenta.
Il silenzio opaco della sindaca.
La prima cittadina Capuozzo risulta parte lesa nell’inchiesta della Procura antimafia, ma politicamente silente di fronte ad inquietanti atteggiamenti di ricatto del collega di partito. Per tre volte, De Robbio le si sarebbe avvicinato per tenerla sotto pressione con la vicenda dell’abuso edilizio — “Tu hai un problema” , le dice, facendole addirittura sapere che le foto che attestano quella violazione sono custodite in cassaforte dal suo amico.
Un abuso che riguarda proprio la casa in cui il sindaco vive con suo marito: un vecchio sottotetto che chiudeva la tipografia, in un piccolo edificio fronte strada, diventato una moderna abitazione.
Ma Quarto, si sa è il regno dei sottotetti che diventano mega mansarde, appartamenti confortevoli. Ve ne sono a migliaia.
La Capuozzo, sentita una prima volta dal pm il 21 dicembre, minimizza quegli atteggiamenti di De Robbio.
Non sente con imbarazzo la circostanza di non aver scritto una relazione, lei che da ufficiale di pubblica sicurezza , pure sarebbe stata tenuta a segnalare la vicenda della pressione.
Poi, però, il 22 dicembre, risentita la magistrato, cominci aa vedere nell’atteggiamento di De Robbio un significato minaccioso. Dice addirittura che lui aveva interessi sul “Puc, il piano urbanistico territoriale” e che ci “sono interessi enormi” sul Piano.
Ma passano ancora sette giorni e nella conferenza stampa di fine anno, a Quarto, è di nuovo una Rosa Capuozzo leggera e ottimista quella che riconduce l’atteggiamento di De Robbio a condotta non esecrabile. Ma intanto le perquisizioni del 23 dicembre hanno di fatto portato alla pubblicazione delle intercettazioni in cui l’imprenditore vicino alla camorra dice che “bisogna portare anche le vecchie di 80 anni a votare per i 5 Stelle”.
Il caso voto inquinato colpisce al cuore l’immagine dei pentastellati. Quarto diventa epicentro di una cruenta battaglia politica tra Grillo e Pd.
La commissione d’accesso.
Sotto la spinta della bufera politica, si fa più probabile l’invio di una commissione di accesso da parte della Prefettura , che potrebbe ovviamente arrivare solo dopo l’invio di atti formali da parte della Procura di Napoli.
Ma su questo fronte, è rigoroso il monito del procuratore capo Giovanni Colangelo. Interpellato da Repubblica, l’alto magistrato si limita a precisare: «Sarebbe prematura oggi ogni considerazione sull’invio di nostri atti in Prefettura. Le attività di questa inchiesta su Quarto sono in pieno svolgimento, siamo alle prime battute anche se abbiamo già solide ipotesi di reato, abbiamo bisogno di andare avanti e quindi è presto per parlare di eventuali ricadute sulla pubblica amministrazione. Quando avremmo tutti gli elementi, e gli atti saranno ostensibili, valuteremo ovviamente se inviarli per eventuali conclusioni di competenza del Ministero degli Interni».
Parole che sono doverosi argini al dilagare di tensioni, contrapposizione politica.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ACCELERA SULL’ITALICUM… SOVRAPPORRE IL REFERENDUM ALLE COMUNALI
Il piano di Renzi per il 2016 è una corsa che porta dritti in volata verso l’approvazione finale della riforma costituzionale.
Ma con un’accelerazione improvvisa che apre a scenari finora inediti.
Perchè il ddl Boschi che diventerà legge ad aprile e l’Italicum che entrerà in vigore a luglio metteranno davvero nella disponibilità di Palazzo Chigi la carta jolly delle elezioni anticipate. Magari pochi mesi dopo il referendum.
Il timing che Matteo Renzi ha imposto in queste ore ha sorpreso anche i suoi più stretti collaboratori. E ha portato alla stipula di un patto tra i partiti di maggioranza che ha coinvolto le presidenze delle Camere.
«Voglio il foto finale sulle riforme entro aprile, l’11», è la finish line piazzata dal presidente del Consiglio, che non ammette dilazioni.
A quel punto, tempi lampo anche per il referendum e sull’eventuale congresso Pd da tenere magari in rapida successione.
Quel che è certo è che, se il percorso sarà portato a traguardo senza incidenti e nei tempi stabiliti, da aprile, con la campagna per le amministrative di giugno (probabile il 12) il segretario pd farà partire in conteporanea anche quella decisiva per il referendum costituzionale.
Consultazione che lui immagina come plabiscito sull’intera azione riformatrice del suo governo: sì o no . Senza la mannaia del quorum.
Da lì, come ha detto il presidente del Consiglio a fine anno, dipendono i destini della sua permanenza a Palazzo Chigi.
In un senso o nell’altro: perchè anche sull’onda di un eventuale successo il premier a quel punto potrebbe preferire non perdere tempo e piuttosto portarlo a profitto (elettorale).
Ma un passo alla volta.
Il countdown scatta lunedì, quando la Camera nel pomeriggio è chiamata ad approvare il testo del ddl Boschi che riforma il bicameralismo paritario. Passaggio rapido, scontato (per i numeri della maggioranza a Montecitorio) ma tutt’altro che ininfluente nella sostanza: il testo che sarà varato infatti, dopo i precedenti passaggi nei due rami del Parlamento, sarà quello definitivo.
Occorreranno altri due “sì” secchi: al Senato e poi alla Camera. Ma su un disegno di legge blindato: non sarà cioè più emendabile, modificabile.
Una discussione unica e poi approvazione o bocciatura.
Il punto di svolta è l’uno due che a sorpresa si consumerà nell’arco di una settimana. Sul voto di lunedì 11 gennaio a Montecitorio nessuno aveva dubbi. Quel che tutti si attendevano era un rinvio poi alle settimane successive per l’ok che dovrà seguire a Palazzo Madama. E invece no, qui l’accelerazione, altro che settimane: sull’agenda del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi quel passaggio di una sola seduta al Senato dovrà cadere otto giorni dopo: il 19 gennaio.
E così, spiegano dalla maggioranza, è ormai deciso.
Il gioco allora è fatto: tre mesi di tempo dal sì della Camera e l’11 aprile sempre Montecitorio darà l’ultimo, definitivo sì.
Da lì, da aprile, inizia un’altra storia, nei piani di Palazzo Chigi e del Nazareno. Saranno i giorni quelli successivi alla Pasqua – in cui dovrà partire la campagna per il voto nelle grandi città .
Ma per Matteo Renzi la campagna sarà unica, coinciderà con quella referendaria, riguarderà anche la «nuova forma di Paese» che il suo governo e la sua maggioranza hanno impresso con la riforma costituzionale. Due campagne in una.
E allora, sarà difficile anche per Angelino Alfano e i suoi centristi schierarsi su un altro fronte nella concomitante corsa ai comuni.
La consultazione dovrà tenersi dopo tre mesi dall’ultimo sì del Parlamento (in teoria da luglio), più realisticamente sarà convocata subito dopo l’estate, nei primi di ottobre.
Nessuno, neanche a Palazzo Chigi, ritiene che il risultato sia acquisito, che sarà una passeggiata. «Ci sarà da sudare, avremo tutti contro, ma da una parte ci saremo noi, il partito del cambiamento, dall’altra loro, i difensori della casta, e gli italiani non avranno dubbi» va ripetendo assai fiducioso Matteo Renzi.
Il fatto è che nel frattempo la riforma elettorale, l’Italicum approvato l’anno scorso in via definitiva, sarà entrato in vigore: avverrà proprio a luglio, come prevede la clausola al testo.
E con un nuovo assetto istituzionale e un nuovo sistema di voto in mano al premier, tutto può accadere. Di certo, nulla sul piano tecnico potrà impedire un eventuale ritorno anticipato alle urne.
Nulla tranne un passaggio: una nuova legittimazione interna per il segretario- premier. Anticipare i tempi del congresso, nelle ultime settimane di questo 2016 è un’altra possibilità che lo scenario aprirebbe.
Le opposizioni – dai grillini a Forza Italia, dalla Lega alla Sinistra italiana passando per i conservatori di Fitto – ovviamente scommettono su un altro schema.
«Il referendum sarà l’ultima occasione per riaprire il centrosinistra e archiviare la stagione renziana» sostiene l’ex Pd Alfredo D’Attorre. Renzì sì o no, appunto
Il premier intanto procede a tappe forzate e si prepara a puntellare il governo già nelle prossime settimane.
C’è ancora da coprire la casella degli Affari regionali, posto di pertinenza Ncd.
Al nome ricorrente (e gradito al capo del governo) di Dorina Bianchi, in queste ore si affianca quello dell’attuale viceministro alla Giustizia Enrico Costa.
Angelino Alfano per quel posto vorrebbe puntare su Gabriele Albertini, tra l’altro ex sindaco che potrebbe aiutare nella campagna per il voto di giugno a Milano.
Ma la vera partita è un’altra. Quella delle riforme, appunto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
I TIMORI DEL LEADER PD PER LE ACCUSE DEGLI ANTICASTA
Un venerdì di palpabile nervosismo a palazzo Chigi, con lo staff del Presidente più inavvicinabile del solito, concentrato sul compito di mettere a fuoco e fugare illazioni su due vicende di piccolo cabotaggio ma potenzialmente capaci di intaccare il bene al quale Matteo Renzi tiene di più: la sua estraneità alla “Casta”.
Nulla di personale nelle due storie che si sono affollate nelle ultime 48 ore.
Anzitutto c’è il piccolo mistero che circonda il destino dell’Airbus 340 (più grande di quello del Papa) che avrebbe dovuto sostituire il vecchio aereo della Presidenza del Consiglio: diventato un caso alcuni mesi fa, è stato «rimosso» dalla circolazione.
E ieri è affiorata anche una storia di Rolex distribuiti a suo tempo in Arabia Saudita dai padroni di casa alla delegazione italiana e che potrebbero essere stati incamerati da dirigenti e funzionari del governo in barba alla direttiva del governo Monti, che impedisce di accettare doni per un valore superiore ai 150 euro.
In entrambi i casi, palazzo Chigi ha replicato con comunicati precisi ma stringati, che non hanno consentito di chiudere in modo definitivo i due casi.
In particolare quello dei Rolex, sollevato da un documentato articolo del «Fatto quotidiano».
Per Renzi si tratta di questioni sensibili, più di quanto non potessero esserlo per politici di lungo corso della Prima e della Seconda Repubblica.
La sua ascesa politica è stata accompagnata da una campagna vincente contro la precedente classe dirigente, messa sotto accusa per il suo attaccamento alle “poltrone”, in parole povere per il suo essere “Casta”.
Ecco perchè Renzi tiene a dimostrare la sua estraneità a quei vizi, ecco perchè soffre (senza dare a vederlo) tutto quello che lo accosta a certe abitudini.
Ieri mattina il «Fatto quotidiano» ha pubblicato un articolo nel quale si raccontava una storia da film dei «cinepanettoni»: nella notte del 9 novembre nel palazzo reale di Ryad, dove è ospitata la delegazione italiana al seguito del premier, si scatena una rissa verbale tra dirigenti e funzionari per incamerare i regali più «appetitosi» messi a disposizione dai sauditi: dei Rolex d’oro.
Lo scontro imbarazzante: la scorta della Presidenza requisisce i doni.
Ma al ritorno in Italia resta il dubbio: che fine hanno fatto i Rolex? Qualcuno se li è tenuti?
Una direttiva emanata dal governo Monti impedisce ai funzionari (ma non al presidente del Consiglio e ai ministri) di trattenere regali con un valore superiore ai 150 euro, che vanno restituiti o devoluti al Mef. Palazzo Chigi ha precisato che dei doni si occupa «il personale della Presidenza non le cariche istituzionali».
Resta un dubbio: quanti doni sono stati silenziosamente incassati a Ryad e soprattutto in altre occasioni?
Si deve invece a Renzi la decisione, nella primavera 2015, di affrancarsi dal vecchio A319 per prendere in leasing un jet super-accessoriato, più potente di quelli del Papa e di Hollande.
Una debolezza del premier per gli status symbol del potere?
Sta di fatto che appena il super-jet attira l’attenzione dei media, Renzi lo fa ritirare dalla circolazione. Due giorni fa il sito Aviazionecivile.it annunciava l’arrivo a Fiumicino, ma palazzo Chigi ha sentito l’urgenza di smentire: «L’arrivo è rinviato a data da destinarsi».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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