Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
L’ 8 FEBBRAIO L’UDIENZA PER DECIDERE SE DICHIARARE LO STATO DI INSOLVENZA DI BANCA ETRURIA… SE IL GIUDICE DECIDESSE PER IL SI’ E’ QUASI AUTOMATICO CHE SCATTI L’AVVISO DI GARANZIA
Alla vigilia del voto del Senato sulla mozione di sfiducia al governo, Matteo Renzi si prepara a gestire un’altra ondata di caos politico sempre legata al decreto ‘salva banche’.
Non è il voto di domani che lo preoccupa, infatti. Ma la data dell’8 febbraio quando al tribunale di Arezzo si terrà l’udienza per decidere se dichiarare lo stato di insolvenza della vecchia Banca Etruria, sulla base della relazione del commissario liquidatore Giuseppe Santoni.
Se il tribunale deciderà per l’insolvenza, quasi automaticamente potranno scattare avvisi di garanzia per i vecchi amministratori, tra cui Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme.
E’ un’eventualità che in queste ore viene data quasi per scontata, nella cerchia del premier. Il quale prepara la controffensiva: “Ognuno è responsabile delle sue azioni: chi ha sbagliato pagherà ”, è il mantra con cui il presidente del Consiglio intende difendere tutto il governo, a partire da domani in aula.
I voti dei senatori verdiniani, che hanno già annunciato un altro strappo dalle opposizioni e domani voteranno no alla sfiducia al governo, non preoccupano il premier.
Renzi infatti non teme nemmeno le polemiche politiche che sicuramente seguiranno a quello che di fatto è un ingresso dei verdiniani in maggioranza, dopo il voto della settimana scorsa che li ha ‘premiati’ con tre vicepresidenze di commissione a Palazzo Madama. Però è interessato a che il caos banche si chiuda al più presto possibile, mentre all’orizzonte si profila lo scenario contrario.
L’8 febbraio infatti i comportamenti dei vecchi amministratori di Banca Etruria, già sanzionati da Bankitalia, potrebbero acquisire rilievo penale, se il tribunale — come è probabile – dichiarerà insolvente l’istituto toscano. In questo caso, gli atti verranno trasmessi al procuratore di Arezzo Roberto Rossi che potrebbe far scattare gli avvisi di garanzia per bancarotta fraudolenta per l’ultimo presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi e il gruppo degli amministratori che l’hanno gestita negli ultimi anni, tra cui papà Boschi, appunto, che ha coperto la carica consigliere di amministrazione negli ultimi cinque anni e vicepresidente per otto mesi.
E allora si tratterà di vedere le accuse a carico di ognuno in merito al crac di Banca Etruria.
E anche su chi ha disposto la vendita delle obbligazioni subordinate diventate carta straccia con il decreto sul salvataggio bancario pensato dal governo a novembre: roba decisa dall’alto della dirigenza o dei dipendenti?
Secondo quanto trapelato dalla relazione del commissario liquidatore, la vecchia Banca Etruria ha conti in rosso per un totale di 1,167 miliardi di euro.
E’ chiaro che il mese di febbraio si annuncia di nuovo infuocato dalle polemiche sul caso banche. Renzi proverà a ribattere con la linea già decisa: “Non facciamo sconti a nessuno, chi ha sbagliato pagherà ”.
E’ vero che Maria Elena Boschi ha scommesso pubblicamente sull’innocenza del padre: “Mio padre è una persona perbene, se sento un senso di colpa è verso di lui”, ha detto il ministro il 10 dicembre scorso, giorno del suicidio del pensionato che ha perso 100 milioni di euro depositati in obbligazioni subordinate di Banca Etruria.
“Ma anche lei ha detto ‘chi ha sbagliato, pagherà ‘”, fanno notare nella cerchia del premier facendo riferimento alle dichiarazioni del ministro del 19 dicembre scorso. Ad ogni modo, per il premier non sarà una passeggiata.
Bensì un altro calvario da aggiungere alle partite già aperte, a cominciare da quella con l’Ue che sembra avviata solo a un fischio di inizio venerdì prossimo nel bilaterale con Angela Merkel a Berlino.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO CHE ATTESTA IL TESSERAMENTO GONFIATO
È a Bisceglie che il trasformismo in ogni sua sfumatura ha infiltrato il nuovo partito di Matteo Renzi.
Sindaco e giunta (di centrodestra), dipendenti e consiglieri del Comune, un esercito di politici, clientele, che arrivano dal centrodestra si sono iscritte in blocco al Pd: 363 persone, una cifra senza precedenti da quelle parti.
Paolo Ruggeri è uno che in passato ebbe pure qualche problema con la giustizia. A telefono minimizza: “Ma no, ma no… Problemi con la giustizia? Una cosa che può succedere a tutti una rissa a un incrocio. Sono sceso dalla macchina… Una rissa”.
Ora, dopo aver ricoperto la carica di assessore in una giunta di centrodestra, conferma che si è iscritto al Pd: “Renzi governa bene, guarda al futuro. Perchè chi viene dal centrodestra non si può iscrivere al Pd? Qui tutti insieme, sette assessori, abbiamo deciso di andare nel Pd, il partito della Nazione di Renzi. Pure il sindaco si è iscritto”.
Il sindaco è Francesco Spina, un campione dei cambi di casacca: Ccd, Forza Italia, Udc è stato anche coordinatore locale della lista “La Puglia Prima di tutto” ai tempi in cui fu candidata Patrizia D’Addario, la escort del primo sexgate di Berlusconi, che squarciò il velo del silenzio sul filone pugliese “bunga bunga”.
Francesco Spina contro il Pd (che è all’opposizione) diventa sindaco di Bisceglie e, in quota centrodestra, presidente della Provincia Bat.
Il suo metodo è infallibile: numero di liste più alto d’Italia a suo sostegno, attività di promotion senza confini, come quando si è inventato un premio Sarnelli, dedicato a un vescovo di epoca barocca.
È stata l’occasione per distribuire la statuetta del premio a politici, funzionari dello Stato. Addirittura una statuetta è arrivata anche in Vaticano a Papa Francesco.
Nella lettera di accompagnamento a Sua Santità in cui venivano spiegate le ragioni del premio compare la firma di Spina, con tanto di ossequiosi e religiosi saluti.
Un’altra arrivò alla segreteria generale del Quirinale, con la consegna del premio a Donato Marra.
Poi l’ennesimo accordo trasformistico, il “patto” alle regionali con Michele Emiliano, che in quel momento riempì le liste a suo sostegno di indagati e riciclati vari.
Spina da sindaco e presidente della provincia di centrodestra, diventa coordinatore delle liste di Emiliano nella stessa provincia. L’attuale governatore presentò l’operazione in grande stile, facendosi fotografare assieme a Spina davanti a una foto con Berlinguer e Moro: “Sarei un pasticcione – disse in modo solenne – soltanto perchè ritento la strada del compromesso storico, nel solco della storia di questo territorio, e questa volta con buone probabilità di successo?”.
L’altro giorno, quando Emiliano è stato informato dello scandalo tessere che sta esplodendo, è sbottato: “Vabbè, ma un conto è qualche decina di tessere. Che sta combinando Spina? Fatemi capire bene”.
L’HuffPost è entrato in possesso del documento che attesta un tesseramento gonfiato, online.
Ben 363 richieste, il record degli ultimi anni. Ci sono il sindaco, il vicesindaco, tutti gli assessori e tutti i consiglieri di maggioranza (tranne uno), di comprovata fede di destra, Ma ci sono anche praticamente tutti i dirigenti comunali e il grosso dei dipendenti, più quelli della società Camassa Rifiuti che lavora per il comune.
La cosa strana di questa folgorazione sulla via del partito della Nazione sono i “pacchetti”, accomunati dallo stesso numero di cellulare: 38 nominativi a un 339…., 16 nominativi a un 328…, eccetera.
Nell’elenco compare un neo iscritto in libertà vigilata, uno che qualche anno fa era detenuto e uno in attesa di giudizio.
È la macchina del trasformismo che ha iniziato a girare a pieno ritmo da quando Spina si sente a casa, nel Pd che non ha più confini.
L’operazione tesseramento è l’ultimo tassello di un accordo “romano” che il sindaco ha chiuso attraverso l’area renziana, all’insaputa di Emiliano completamente estraneo alla vicenda.
Della manovra partito della Nazione è parte integrante il sodalizio d’acciaio che Spina ha stretto con Francesco Amoruso, l’ex coordinatore regionale di An, poi Pdl, ora passato armi e bagagli con Verdini.
Ricapitolando. Il Pd, quello prima del tesseramento gonfiato, è all’opposizione.
Il Pd con riciclati al governo.
In mezzo un comune un po’ trascurato con tanto di inchiesta della Corte dei conti per debiti fuori bilancio. Almeno stavolta nessuno ha citato Enrico Berlinguer e il compromesso storico.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
CON LA BEDORI IL M5S TEME UNA SECCA SCONFITTA NEI CONSENSI
Un nuovo fronte per i Cinque Stelle, carico di incertezze. La partita stavolta è quella per il candidato sindaco di Milano.
In campo c’è Patrizia Bedori, designata dagli attivisti a novembre (ottenne 74 voti): una scelta che non ha mai convinto del tutto i vertici pentastellati e che ora sembra tornata in discussione.
Secondo indiscrezioni Alessandro Di Battista, nei giorni scorsi, avrebbe proposto al direttorio e ai parlamentari di intervenire per cercare soluzioni: il Movimento, infatti, teme uno scivolone nei consensi in una città giudicata fondamentale per importanza strategica (anche in vista delle Politiche). E corre ai ripari.
Pesa nelle considerazioni di attivisti ed eletti l’impatto mediatico ottenuto dalla pentastellata, giudicato «scarso», specie se paragonato ad aspiranti sindaci in altre città .
A complicare la situazione anche alcune uscite pubbliche – come un evento promosso dai City Angels – in cui la sua presenza è risultata poco visibile rispetto ai suoi concorrenti.
O ancora di più ha inciso il giudizio tagliente di Dario Fo («La ragazza che è stata scelta mi preoccupa molto, il problema è vedere poi se è in grado di gestire qualcosa di così grande»).
I Cinque Stelle sono intervenuti puntellando lo staff della comunicazione, ma – visti i tempi ristretti – si stanno vagliando anche opzioni estreme.
Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di un passo indietro della stessa Bedori. Non è un segreto che la candidata avverta una forte pressione su di sè e – sebbene il ritiro sia considerato dal M5S una decisione traumatica anche a livello di immagine – un passo del genere segnerebbe una svolta. E un nuovo round nella partita per Palazzo Marino.
Nel Movimento cinquestelle sulla vicenda c’è massimo riserbo.
Bocche cucite, ma l’impressione è quella che ci possa essere presto una sorpresa.
Una delle idee che circolano da giorni è quella di sottoporre al voto del web gli aspiranti candidati consiglieri comunali. Il più votato potrebbe «affiancare» la candidata durante la campagna elettorale.
Le nubi a Cinque Stelle che al momento si addensano all’ombra della Madonnina, insomma, potrebbero presto rivelare scenari imprevisti.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
IL RE DELLE CLINICHE, GIA’ PROPRIETARIO DI “LIBERO”, HA OFFERTO 12,5 MILIONI PER LA TESTATA
Con un taglio netto del 70% dei giornalisti, la testata Il Tempo si prepara a passare di mano.
Lascia il costruttore romano Domenico Bonifaci — che aveva acquistato il giornale dal gruppo Caltagirone alla fine degli anni ’90 — ed entra in campo la famiglia Angelucci, già proprietaria di Libero.
Il panorama editoriale romano si avvia così ad un riassetto di poteri a pochi mesi dall’appuntamento elettorale forse più delicato degli ultimi decenni, le prossime elezioni comunali.
In campo rimangono il colosso Caltagirone, proprietario del Messaggero, con interessi diretti nella gestione degli acquedotti romani e laziali (controlla una quota importante di Acea), con la new entry del gruppo Tosinvest, saldamente in mano al re delle cliniche Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia presente in cinque commissioni parlamentari.
La Tosinvest (società cassaforte del gruppo Angelucci) ha presentato la scorsa estate ai commissari giudiziali incaricati di gestire la crisi aziendale de Il Tempo un’offerta da 12,5 milioni di euro per l’acquisto della testata.
Le condizioni poste sono durissime: riduzione del personale giornalistico dagli attuali 38 redattori a 15 (oltre al direttore) e un taglio non ancora definito nei dettagli del personale poligrafico. Una vera emorragia.
L’intenzione della famiglia Angelucci sembrava chiara fin dall’inizio: cercare una “sinergia” tra Libero e Il Tempo, mantenendo due testate con un corpo redazionale ridotto.
Il 9 gennaio scorso i commissari giudiziali nominati dal Tribunale di Roma per gestire il concordato preventivo del gruppo editoriale hanno sostanzialmente accolto il piano Angelucci, inviando una nota ai creditori, che entro marzo dovranno esprimersi.
Il taglio netto di circa il 70% dei giornalisti contrattualizzati pesa ovviamente come un macigno.
“Vedremo se ci saranno margini per un’ulteriore trattativa”, ha commentato a ilfattoquotidiano.it il direttore Gian Marco Chiocci. Per poi aggiungere: “Ma in ogni caso meno male che ci sono gli Angelucci, così riusciamo a salvare la testata”.
La reazione del Cdr è sostanzialmente di attesa. Dopo una riunione con la Fnsi e con l’associazione stampa romana, i rappresentanti sindacali dei giornalisti spiegano che i numeri dei tagli dovranno passare per una fase di trattativa con la nuova società .
Di certo la nuova fase nasce con la peggiore prospettiva: “Il documento dei commissari giudiziari non lo abbiamo ancora ricevuto, formalmente non ci è stato inviato”, commentano i rappresentanti del Cdr.
Il documento, che girava informalmente, per ora lo hanno ricevuto solo i creditori.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
COSTI LIEVITATI DI OTTO MILIONI PER PIAZZA LIBERTA’ A SALERNO… INDAGATI ANCHE QUATTRO CONSIGLIERI REGIONALI
La nuova inchiesta sul governatore Pd della Campania Vincenzo De Luca, accusato di falso in atto pubblico per un paio di delibere risalenti a quando era sindaco di Salerno, nasce apparentemente su un principio di buon senso.
Se progetti una piazza su un’area sopra a un torrente, il Fusandola, e vicino al mare, devi prevedere che quando scavi per posare le fondamenta troverai un po’ d’acqua e dovrai fare consistenti lavori di impermeabilizzazione e di messa in sicurezza.
Nella “Repubblica del Crescent” invece non ci hanno pensato. Anzi, è l’accusa dei pm, ci hanno pensato dopo: a giochi fatti e ad appalto per la realizzazione di piazza della Libertà già chiuso ed assegnato a Esa Costruzioni.
La Procura di Salerno, allertata nel 2011 da un esposto del comitato No Crescent, ha aperto un fascicolo per vederci chiaro su cifre e procedure. Iter dubbio. Gara forse truccata.
E quegli 8 milioni di perizia di variante per un evento “imprevedibile” solo per i tecnici, i progettisti, i funzionari e i politici locali.
Una “sorpresa geologica” che non era, e non poteva essere, una sorpresa, sostiene la Procura. Il torrente Fusandola non è nato dalla sera alla mattina.
La Finanza ha notificato 26 avvisi di conclusa indagine. I reati contestati spaziano dal peculato alla turbata libertà degli incanti al falso, fino alla frode nelle pubbliche forniture.
Sono contestati poi reati tributari ad alcuni indagati, tra i quali Mario Del Mese, che avrebbero emesso fatture false per centinaia di migliaia di euro a Esa Costruzioni.
I pm Antonio Cantarella e Guglielmo Valenti hanno ricostruito la storia dell’appalto, del progetto, della variante, dei costi caricati sull’ente pubblico.
E’ un filone bis rispetto a quello, più avanzato, dei crolli che misero a rischio la tenuta statica della costruenda piazza più volte sequestrata.
De Luca è accusato di falso in atto pubblico. Sempre in qualità di ex primo cittadino.
Con lui sono indagati gli assessori dell’epoca: il vice sindaco Eva Avossa, Alfonso Buonaiuto (assessore al Bilancio di Salerno in carica e attualmente capo della segreteria tecnica del governatore), Luca Cascone (oggi consigliere regionale), Domenico De Maio, Augusto De Pascale, Ermanno Guerra, Vincenzo Maraio (oggi consigliere regionale), Francesco Picarone (oggi consigliere regionale), Gerardo Calabrese, Aniello Fiore (oggi consigliere regionale). Rischiano tutti il processo per aver approvato il 6 agosto 2010 e il 16 febbraio 2011 due delibere che inserivano come “straordinarie” opere già previste nel progetto originario e che assorbivano come corrette le dichiarazioni del direttore dei lavori e del responsabile unico del procedimento sull’esistenza di imprevisti geologici che rendevano necessaria l’approvazione di una perizia di variante per potenziare le misure di impermeabilizzazione delle strutture interrate della futura piazza di fronte al lungomare di Salerno.
Le due delibere sono state istruite su relazioni e atti predisposti da diversi tecnici, tra i quali l’ingegnere Domenico Barletta. Barletta è coimputato con De Luca nel processo per il termovalorizzatore di Salerno.
Entrambi sono stati condannati in primo grado per abuso d’ufficio per la nomina di Alberto Di Lorenzo (anche lui condannato) a project manager del mai realizzato impianto di Cupa Siglia. Barletta e Di Lorenzo sono indagati anche in questa inchiesta.
Sono accusati di turbativa d’asta per la gara della posa in opera della pavimentazione aggiudicata da Esa Costruzioni. Barletta deve difendersi poi anche da svariate accuse di falso per l’attestazione della regolarità tecnica della delibera di giunta e di peculato per la liquidazione indebita di alcune somme.
Proprio oggi il legale del governatore campano, Paolo Carbone, ha chiesto l’assoluzione perchè il fatto non sussiste nell’arringa al processo d’appello per la nomina del project manager.
In primo grado era arrivata la condanna per abuso d’ufficio con sospensione della pena. Da qui era partito il provvedimento di sospensione ex legge Severino, poi bloccato dal tribunale di Napoli in attesa del giudizio della Corte Costituzionale.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
“HO MOSTRATO IL BIGLIETTO AL VARCO, AVEVO IL FUCILE IN MANO, MA NESSUNO MI HA FERMATO”
«Se fossi stato un terrorista ne avrei combinate di cotte e di crude». Luca Campanile, il pizzaiolo di 44 anni che a causa di un’arma giocattolo ha provocato il panico a Termini , il giorno dopo appare abbastanza tranquillo. Ma anche amareggiato.
«Sono arrivato a Termini con la metro, tranquillamente, davanti a me non c’era nessuno che scappava – racconta al Corriere – . Alla stazione sono passato davanti a militari, a carabinieri e a poliziotti: il fucile l’avevo in mano e nessuno mi ha fermato. E così pure al varco, quando ho mostrato il biglietto. Solo sul treno sono stato, diciamo così, bloccato».
«Mi è venuto da ridere»
Il pizzaiolo, del caos di lunedì sera, con la stazione evacuata, non si è reso conto affatto. Almeno così assicura: «Non mi sono accorto di nulla, ero sul treno. Poi, a casa, sono andato subito a dormire: ero stanco».
E aggiunge: «Non ho pensato che il fucile potesse allarmare. Era solo un giocattolo, anche un po’ rotto. Certo, avessi previsto quello che è successo, non l’avrei portato».
Del panico che ha scatenato l’ha saputo soltanto oggi, quando ha ricevuto una telefonata della madre che aveva visto un servizio in tv.
«Mi è venuto da ridere – racconta a Sky TG 24 – , non avrei mai immaginato una cosa del genere, mi è sembrata un’esagerazione». Tuttavia, capito il pasticcio provocato suo malgrado, «stavo pensando di andare dai carabinieri. Ma hanno fatto prima loro: e così è da stamattina che sto tribolando».
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
BIANCONI E CORSARO SCRIVONO A FITTO: “ZERO STRATEGIE”… PAGNONCELLI VERSO VERDINI E VERREBBE MENO IL GRUPPO AL SENATO
Tira una brutta aria dalle parti di Fitto. Conservatori e riformisti, il partitino fondato dall’ex ministro di Maglie in polemica con Berlusconi, è da tempo finito in un cono d’ombra.
Se ne sono accorti tutti ma soprattutto loro stessi. Infatti, alla vigilia di Natale, due big della truppa fittiana alla Camera, i deputati Maurizio Bianconi e Massimo Corsaro, hanno preso carta e penna e vergato j’accuse impietoso.
Destinatari: il leader Raffaele e, in copia conoscenza, tutti gli altri parlamentari.
Tante le accuse: pigrizia; mancanza di coordinamento tra Camera e Senato; utilizzo di schemi del passato; mancanza di discussione; perdita di appeal.
Il rischio: fare l’«ennesimo partitino alla Alfano-maniera».
Critiche aspre e franche al leader Fitto che, fino ad oggi, non hanno sortito granchè. La lettera, spedita via mail il 24 dicembre, è stata un sasso tirato in uno stagno. È passato un mese esatto e nulla è accaduto.
Tra i fittiani si giura: la settimana prossima ci vedremo, discuteremo e affronteremo tutte le questioni sul tavolo.
Di fatto, il partito di Fitto più che malato sembra essere in coma profondo. Non solo: continuano a girare voci che uno dei loro senatori, il bergamasco Lionello Marco Pagnoncelli, stia per cedere al pressing di Verdini e sia pronto a passare con Ala.
Un vero guaio perchè il «leone» dei Conservatori e riformisti ha oggi dieci senatori, numero minimo per formare un gruppo autonomo.
Perdendo una pedina si perderebbe così il diritto ad essere gruppo con tutto quello che ne consegue: peso, uffici ma soprattutto soldi.
Ma torniamo alla lettera del duo Bianconi-Corsaro.
Il primo, Bianconi, ex tesoriere del Pdl e toscanaccio senza peli sulla lingua, è sempre stato pirotecnico e antirenziano; il secondo, Corsaro, è il super tifoso di una destra liberista e ha lasciato i «suoi» Fratelli d’Italia perchè troppo sdraiati su Salvini.
I due non le mandano a dire a Fitto: «Esprimiamo grande disagio e insoddisfazione per un percorso che non è fin qui apparso in linea con le nostre attese per quanto a tempi, tattiche, strategia, target di riferimento». Ricordano quello che era il mantra dei Conservatori e riformisti: «1) Mai col Pd; 2) Scelte dal basso».
E dipingono un risultati ottenuti: pochissimo.
«Causa – si legge – ritardi, timori, impedimenti personali, eventi esterni, imperdonabile pigrizia». Non solo: «La nostra azione, fortunatamente rimasta semi clandestina agli occhi della grande comunicazione, s’è consumata in sterili tentativi di intromissione nella geografia parlamentare, con tatticismi autoreferenziali, inconfessate nostalgie di una centralità del Palazzo (…), l’assenza sistematica di coordinamento tra Camera e Senato, la ripetuta tecnica operativa dei colloqui separati…».
E ancora: «Posto che tra noi non c’è un Maradona della politica (…) è grave non aver attivato un gioco di squadra…».
Il movimento, poi, è tutt’altro che unito e compatto e qualcuno pare guardare verso Renzi: «Alcuni di noi sembrano valutare di assumere posizioni terze o intermedie, collocandosi in un’area attendista. Allora è meglio dircelo chiaro».
Insomma, c’è la richiesta di un redde rationem perchè «La nostra missione dovrebbe essere quella di farci inseguire… da chi occupa la nostra stessa metà del campo; certo non può essere quella di volgere altrove, cercando riparo nella palude centrista».
Il grido di dolore del duo Bianconi-Corsaro per ora è stato vano; ma c’è chi giura che sarà il preludio di altre rivolte. E Raffaele, per ora, tace.
(da “il Giornale”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
SALA IN IMBARAZZO SI TRINCERA DIETRO AI DATI SUL PATRIMONIO… I RICAVI AVREBBERO DOVUTO COMPENSARE INVESTIMENTI E SPESE, MA COSI’ NON E’ STATO
“Il 2015 “si chiuderà con un significativo utile, in grado di coprire le perdite cumulate degli anni precedenti e di portare al pareggio gestionale”. La firma è di Giuseppe Sala, in calce alla relazione sul bilancio 2014 di Expo.
Ma da allora mancano all’appello più di 110 milioni di euro.
E oggi l’amministratore delegato della società e candidato alle primarie milanesi del centrosinistra fa di tutto per nascondere che quel “significativo utile” non c’è stato.
E che, anzi, il bilancio 2015 ha addirittura chiuso in perdita.
Sala continua a insistere: “Lascio conti positivi. Lo dimostra un patrimonio netto di 14,2 milioni di euro”.
Ma i numeri sono numeri: il patrimonio netto nel 2015 è diminuito di 32,6 milioni di euro, passando dai 46,8 milioni del 2014 ai 14,2 sbandierati ora.
L’ultima riga del bilancio, benchè mister Expo non lo voglia ammettere, ha dunque registrato un rosso pari ad almeno 32,6 milioni.
Rosso che Sala ha più volte negato, arrivando a sostenere davanti alle telecamere de ilfattoquotidiano.it che il bilancio 2015 ha chiuso in utile.
Una bugia bella e buona. Tanto più che la perdita potrebbe superare i 32,6 milioni, dal momento che a tale somma vanno aggiunti eventuali versamenti dei soci (governo, comune di Milano, provincia, regione Lombardia e Camera di commercio), iscritti in una riserva per contributi in conto capitale. Expo non ha comunicato l’entità di tali versamenti per il 2015, ma va considerato che negli anni precedenti sono arrivati a ben 114,7 milioni di euro.
Secondo le promesse del Sala versione 2014, i ricavi registrati nel 2015, grazie alla vendita di biglietti, agli sponsor e alle percentuali sulle attività commerciali e di ristorazione all’interno del sito, avrebbero dovuto compensare gli investimenti e i costi sostenuti negli anni precedenti, che hanno portato tra il 2008 e la fine del 2014 a perdite complessive per 78,1 milioni.
Nel corso degli anni tali perdite sono state controbilanciate dai versamenti dei soci messi a riserva, in modo da mantenere il patrimonio netto sempre positivo.
La relazione del cda però non fa riferimento a queste riserve, ma dice in modo chiaro che a compensare le perdite sarà “un significativo utile” nel 2015.
Utile che però, come detto, non c’è stato.
Rispetto a quanto Sala ha sottoscritto l’anno scorso nella relazione di bilancio, le cose sono andate peggio di almeno 110 milioni, numero a cui si arriva sommando le perdite accumulate fino al 2014 con la diminuzione di patrimonio netto, ovvero perdita, registrata nel 2015.
Ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti su questo punto nel corso di un colloquio con lo stesso Sala, che si è riservato di rispondere nei prossimi giorni.
In attesa che arrivino le sue risposte, il reale significato di patrimonio netto ha provato a spiegarlo a Sala il consigliere comunale Manfredi Palmeri (Polo dei milanesi), nel corso dell’audizione dell’aspirante sindaco in commissione a Palazzo Marino.
Il dato rappresenta le risorse di proprietà della società , così come un’abitazione costituisce il patrimonio di una famiglia, per usare l’analogia di Palmeri: “Ma se qualche anno fa questa famiglia aveva cinque case, e alle fine delle attività svolte gliene è rimasta solo una sola — fa notare il consigliere — la famiglia non può essere contenta di come sono andate le cose”.
E alla fine dell’esposizione, continuando l’analogia, Expo si trova meno case di quante ne avesse un tempo, visto che il patrimonio netto è diminuito. Ma c’è un altro documento che dimostra l’esistenza di un buco da oltre 100 milioni di euro rispetto alle previsioni.
Come ha fatto notare in commissione il presidente del consiglio Basilio Rizzo, nella relazione sull’esercizio 2013 di Expo (datata dicembre 2014), la Corte dei conti cita il piano industriale di Expo (documento mai reso disponibile nella sezione trasparenza del sito della società ) e scrive: “Il patrimonio netto alla fine dell’evento sarà pari a circa 135 milioni di euro”.
Quindi oltre 120 milioni in più rispetto al valore di patrimonio netto di cui Sala si fa vanto oggi.
Del resto manca proprio quel “significativo utile” promesso un anno fa. Che fine hanno fatto questi soldi?
In comune Sala si è difeso sostenendo che alla differenza contribuiscono i 60 milioni di euro dovuti dalla Camera di commercio, ma mai arrivati. Ha però omesso di dire una cosa: Expo avrà ricevuto dalla Camera di commercio meno soldi del previsto, ma nel 2015 ha anche incassato somme inattese.
Come i 20 milioni stanziati a novembre dal governo con il decreto ‘happy days’ “per il concorso agli oneri di sicurezza sostenuti dalla società ”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 26th, 2016 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO SINDACO SI LASCIA SFUGGIRE CHE IL ROSSO C’E’… SALDO FINALE NEGATIVO PER ALMENO 200 MILIONI
La verità gli scappa durante una delle risposte: “La perdita deriva da meccanismi molto complessi”.
Perdita? Giuseppe Sala continua a parlare di chiusura in positivo dell’operazione, nella burrascosa seduta di ieri delle commissioni del Comune di Milano, ma poi arriva il lapsus.
Per il resto, le domande dei consiglieri spiegano molto più delle risposte del commissario-candidato sindaco.
La trincea in cui s’attesta è quella del patrimonio netto, positivo per 14,2 milioni.
Ma il consigliere Basilio Rizzo (presidente del Consiglio comunale) gli ricorda che la Corte dei conti nel 2013 prevedeva che fosse di 135 milioni, “e ora festeggiamo per 14,2?”.
Rincara la dose Manfredi Palmeri (Terzo Polo): “Il patrimonio era di 48 milioni nel 2014, ora è di 14,2: dunque c’è stata una perdita di 33,8 milioni, altro che risultato positivo”.
La verità è che le cifre rese pubbliche da Sala sono poche e si lasciano tirare in ogni direzione.
Roberto Biscardini (Socialisti) ricorda che i soldi pubblici messi nell’operazione Expo sono, negli anni, 1,2 miliardi di euro. Diventano almeno 2 miliardi con le spese di gestione.
Le entrate 2015, l’unico anno con entrate rilevanti, sono 736,1 milioni. Ecco dunque i veri contorni economici dell’evento.
Poi ci sono le tecnicalità del bilancio. Ma anche su queste, la nebbia è tutt’altro che diradata.
Sala ribadisce che “i ricavi” 2015 sono 736,1 milioni (373,7 da biglietti, 223,9 da sponsorizzazioni, 138,5 da altre voci).
Ma sono, appunto, “ricavi”, non incassi: 19,9 milioni di biglietti non sono ancora incassati; le sponsorizzazioni hanno portato in cassa solo 45,2 milioni, il resto è offerto “in beni e servizi”; dai ricavi di sponsorizzazioni e altre voci mancano all’appello 51,4 milioni, ancora da incassare.
Se si aggiungono le partite ancora sospese (extracosti, contenziosi, bonifiche…) il risultato finale è una perdita d’esercizio di almeno 200 milioni, invece dei +14,9 milioni esibiti da Sala.
A questo si deve aggiungere un’ulteriore constatazione: il commissario mette a bilancio 86,4 milioni che dovranno arrivare da Arexpo (che possiede le aree) per infrastrutturazione, espropri, bonifiche.
Ma Arexpo, se mai pagherà , lo farà sempre con soldi pubblici (cioè nostri), visto che soci determinanti sia di Expo sia di Arexpo sono Comune di Milano e Regione Lombardia.
“Quanto, allora”, chiede non senza ironia Mirko Mazzali (Sel), “alla fin della fiera, dovrà pagare il Comune, quando sarà sindaco Francesca Balzani?”.
Sala risponde criptico: “Non ritengo, dopodichè vedremo”.
Altre domande restano sospese.
Quanti crediti sono verso aziende straniere, più difficili da recuperare? Quanto porta a casa Eataly di Oscar Farinetti (29 milioni) e quanto ha dato a Expo (il 5%)?
Manfredi Palmeri confronta le cifre spese in pubblicità (185 milioni) con i ricavi in sponsorizzazioni per concludere che ogni 2 euro ricavati, 1 euro è stato speso in pubblicità .
Mattia Calise (Movimento 5 Stelle) chiede chi (e con che criteri) ha stimato la partita molto discrezionale dei servizi offerti dagli sponsor a fronte dei diritti di visibilità (Value in kind), per un totale di 178,7 milioni.
Altre domande sono ancor più imbarazzanti.
Marco Cappato (Radicali) ricorda che Sala ha fatto un libro per l’editore Skira, che ha lavorato per Expo.
Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia) chiede quanti appalti sono stati messi a gara e quanti dati a trattativa privata; quanti sono stati frazionati sotto i 40mila euro per non metterli a gara; quanti sono stati i subappalti; quante pratiche sono state contestate dall’Anac di Raffaele Cantone. “Sono 138″, risponde Sala.
“Ma Cantone sapeva tutto, perchè l’Anac ha seguito tutto” (per la serie: avevamo il parafulmine).
Ci sono stati altri casi De Lucchi? “No”. Però offre intanto le cifre degli “appalti grigi”, quelli di cui Sala si lava le mani perchè triangolate (come il mezzo milione all’architetto Michele De Lucchi “dimenticato” da Sala) con altri enti: Fiera Milano (45 milioni), Regione Lombardia (37), Comune (70), Triennale (19), Esercito (17) e Italferr: oltre 120 milioni di appalti “a sua insaputa”.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »