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CASO QUARTO: IMBARAZZO M5S E NESSUNO CI METTE LA FACCIA

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

I GRILLINI SI DIFENDONO DALLE ACCUSE, MA NON METTONO LA MANO SUL FUOCO SUL LORO SINDACO

Sembra una difesa d’ufficio più attenta al contrattacco che a fare muro a protezione del sindaco di Quarto. Sindaco che, nel comunicato del Movimento 5 Stelle, non viene neanche nominato.
Sarà  lei, Rosa Capuozzo, interpellata dall’Ansa, a dire che dalle intercettazione pubblicate “emerge solo una visione distorta dei fatti”.
Per tutto il giorno i telefonini squillano ma nessuno risponde.
Ai parlamentari 5 Stelle e al Direttorio pentastellato è stato detto di non parlare con i giornalisti. Sono ore convulse e di tormenti.
Si studia una strategia per uscire dall’imbarazzo dopo la pubblicazione di alcune telefonate in cui Alfonso Cesarano, imprenditore legato al clan camorrista dei Polverino, dà  indicazioni per appoggiare al ballottaggio, nel giugno scorso, il candidato sindaco dei 5Stelle a Quarto.
I grillini, che hanno sempre avuto il primato della purezza e che hanno fatto dell’onestà  il loro distintivo, sono rimasti colpiti o perlomeno scossi da questa indagine.
Bisognerà  infatti aspettare le sette di sera per leggere la nota ufficiale, affidata alle agenzie di stampa, in cui il Movimento scrive: “A Quarto, il M5S ha espulso De Robbio prima ancora che fosse indagato ed oggi è parte lesa”.
Giovanni De Robbio — scrive La Stampa — è la ‘pecora nera’ dei Cinque Stelle, l’uomo del presunto patto inconfessabile con la camorra “ed è stato cacciato quando ormai l’inchiesta del pm John Henry Woodcook cominciava ad essere stringente”.
Tempistica a parte, il comunicato firmato genericamente dal Movimento 5 Stelle, non chiarisce i dettagli della vicenda.
Vicenda in cui nessuno dei pentastellati ci mette la faccia, eppure quattro dei cinque componenti del Direttorio (Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia) sono campani.
La nota si dedica principalmente (a parte una riga) ad attaccare Forza Italia e il Partito democratico. Quest’ultimo, in particolare, per tutto il pomeriggio, ha incalzato i grillini. Da Luigi Zanda (“Il silenzio di Fico e Di Maio è gravissimo”) a Stefano Esposito (“Rosa Capuozzo venga in commissione Antimafia”).
Così i 5 Stelle, dopo aver appreso del fuoco incrociato contro di loro, hanno deciso di intervenire passando al contrattacco: “Fa francamente ridere che sia il Pd a ergersi a cattedra morale della politica, un partito che con la mafia ci è andato a braccetto finora, che è persino stato in grado di sostenere un condannato come De Luca alla presidenza della Regione Campania in una lista-ammucchiata sostenuta da Ciriaco De Mita. Fa ridere sì, che sia il Pd, che oggi ha fatto della questione morale una reliquia, ad avanzare lezioni di trasparenza nei confronti dell’unica forza politica onesta e pulita, qual è il M5S”.
Intanto sul web circolano con insistenza, sono quasi virali, le foto e i video che ritraggono Luigi Di Maio e Roberto Fico mentre festeggiano e abbracciano Rosa Capuozzo la sera della vittoria elettorale a Quarto.
Ma per lei, in suo difesa, nessuno fino ad ora ha speso una parola.
L’unico ad aver risposto al telefono è Carlo Sibilia intorno alle sei del pomeriggio: “Su questa vicenda conviene sentire Fico o Di Maio, ma credo che oggi nessuno risponderà . Sono giorni di festa”.
Un’ora dopo, invece, viene pubblicato il comunicato. Ce ne è per tutti i partiti.
Viene attaccato anche il commissario del Pd romano Matteo Orfini “colpevole non solo di aver trascinato Roma nel fosso, ma soprattutto di aver difeso fino all’ultimo l’ex presidente Pd di Ostia Andrea Tassone nonostante, come lui stesso dichiarò, avesse avuto contezza ben prima della magistratura dei suoi legami con i clan mafiosi del litorale. Dal 91 ad oggi – prosegue il Movimento 5 Stelle – circa un centinaio di Comuni, se non di più, sotto l’amministrazione di centrosinistra sono stati sciolti e commissariati per infiltrazioni mafiose ed hanno anche il coraggio di parlare, di dispensare lezioni di democrazia”.
“La verità  — concludono i 5 Stelle – è che sono decenni che la mafia prova a infiltrarsi nella politica e quando ha incontrato Forza Italia e il Pd ci ha fatto affari, piazzando anche i suoi uomini in Parlamento. Quando ha provato ad avvicinarsi al M5S è stata messa alla porta. Questa è la grande differenza tra una forza di cittadini onesti e puliti come il 5 Stelle e la vecchia classe politica: noi camminiamo a testa alta, loro dovrebbero avere almeno la decenza di restare in silenzio”.
Conclusa la vicenda di Gela con l’espulsione del sindaco Messinese, adesso i 5 Stelle devono fare i conti con questa inchiesta nelle mani del pm Woodcock e nei prossimi giorni si attendono nuovi sviluppi.

(da “Huffingtonpost”)

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CAMERA, LO STRANO GRUPPO SUDAMERICANO CON UNA SOLA EMIGRANTE: COSI’ ARRIVANO I CONTRIBUTI

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

DEPUTATI PROVENIENTE DA VARI GRUPPI STANNO INSIEME IN NOME DELL’AMERICA LATINA: FONDI PREVISTI SOLO PER CHI ADERISCE A UNA COMPONENTE GIA’ PRESENTE ALLE ELEZIONI

Nello Formisano è stato eletto con il Centro democratico in Campania. Eugenia Roccella e Vincenzo Piso, invece, erano nelle liste Pdl nel Lazio (poi Ncd). Guglielmo Vaccaro è stato votato dai campani col Pd. Provenienze diverse.
Cosa ci fanno ora, alla Camera, nell’Unione sudamericana emigrati italiani?
Hanno trovato rifugio in Sudamerica, si potrebbe dire, dopo il divorzio con i rispettivi partiti di elezione.
L’Unione sudamericana emigrati (Usei) è una delle componenti del gruppo Misto della Camera. Presieduta da Renata Bueno, eletta, lei sì, nella circoscrizione estera del Sud America: doppia cittadinanza, brasiliana e italiana, candidata a Montecitorio proprio con l’Usei.
Formazione abbandonata a inizio legislatura per passare al Maie, ma resuscitata il 30 novembre scorso.
Lo scopo? «Evidenziare il contributo degli italiani all’estero», spiega. E aggiunge: «La componente è aperta a chi, in piena libertà  di coscienza, abbia volontà  nell’aiutarmi nell’impegno preso con i miei elettori: la mia personale lealtà  al governo Renzi, dimostrata in molte occasioni, potrà  così avere maggiore forza nel rispetto dei principi laici e progressisti».
L’America del Sud c’entra poco con l’adesione degli altri deputati.
Nella biografia di Vaccaro si legge che «adora i sudamericani Marquez e Borges». Ma è letteratura, la passione politica è orientata all’Europa. «Con la Bueno avevo lavorato nella precedente legislatura su una legge, Controesodo, per incentivi agli italiani all’estero», racconta lui. Che ha lasciato il Pd a maggio, in dissenso con la candidatura di De Luca in Campania, e ora è con Italia Unica.
«Con Bueno è nata l’idea della componente. Con Gaetano Quagliariello, poi, abbiamo avuto una convergenza sulla linea». Quella di smarcarsi dalla fedeltà  assoluta al governo.
Così sono arrivati Roccella e Piso, i centristi che, con Quagliariello, hanno lasciato Ncd proprio accusandolo di essere subalterno a Renzi. Tutti e tre si trovano, adesso, in un gruppo che rivendica «lealtà  a Renzi».
«Non vogliamo fondare un gruppo – spiega Roccella -, aderisco all’Usei per avere un minimo di voce. Se nel Misto non sei iscritto ad alcuna componente, è difficile anche presentare un emendamento, hai i tempi di parola contingentati».
«È solo un fatto tecnico, non c’è identità  politica», come ammette Nello Formisano. Lui, tornato a ottobre 2014 con l’Italia dei valori, il governo lo sostiene («anzi, Renzi dovrebbe considerare l’ingresso di un esponente idv in squadra»).
Ma perchè proprio gli emigrati sudamericani?
Alla Camera servono 10 deputati per una componente nel Misto. Ne bastano 3, però, se la componente è riconducibile a una lista che si sia presentata alle elezioni: «L’Usei c’era, l’Idv no», dice Formisano. L’importante è far parte di una componente, per non stare nel Misto da «freelance».
Il regolamento della Camera prevede per i gruppi «la disponibilità  di locali e attrezzature», oltre a «un contributo finanziario».
Per il gruppo Misto «dotazioni e contributi sono determinati con riguardo al numero e alla consistenza delle componenti politiche».
Come spiega il capogruppo del Misto Pino Pisicchio: «Rispetto agli “homeless”, chi ha un sottogruppo ha diritto di parola e possibilità  di fare emendamenti maggiori. Il Parlamento non è maggioritario: perfino gli spazi destinati alle componenti sono ripartiti proporzionalmente.
Così per il minimo di strumentazione economica fornita ai gruppi: nel Misto il budget va, proporzionalmente, ai sottogruppi, mentre sono esclusi i “freelance”».
«Non c’è nessun costo aggiuntivo per la Camera – precisa Vaccaro -. Se avremo local i e attrezzature? Vedremo».

Renato Benedetto
(da “il Corriere della Sera“)

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TRIVELLE, IL BLUFF DEL GOVERNO: PERMESSI SOSPESI SOLO PER UN ANNO

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

CONCESSIONE A OMBRINA MARE PROROGATA… UN TENTATIVO DI AGGIRARE IL REFERENDUM PROMOSSO DA 10 REGIONI

Il copione è lo stesso: il governo si muove in una direzione e poi, scavando un po’, va in un’altra. Stavolta tocca alle trivellazioni in mare per la ricerca di idrocarburi, prima previste con il decreto Sblocca Italia, poi vietate entro le 12 miglia dalla costa con la legge di Stabilità  entrata in vigore il 1° gennaio.
Una notizia, quest’ultima, che sarebbe positiva se i comitati No Triv non si fossero accorti, nei giorni scorsi, di due incongruenze che sollevano dubbi sulle reali intenzioni del governo e del ministero dello Sviluppo economico.
È il 31 dicembre quando sul sito del Mise è pubblicato il “Bollettino Idrocarburi 2015” in cui, oltre a essere annunciata la sospensione dei permessi di ricerca nel Mare Adriatico, appare la seguente frase: “La sospensione del decorso temporale del permesso di ricerca di cui è titolare la società  Rockhopper Italia S.p.a. è prorogata a decorrere dal 1 gennaio 2016 e fino alla data dell’eventuale conferimento della concessione di coltivazione di idrocarburi a mare di cui all’istanza e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2016”. Tradotto: l’esaurimento del permesso di ricerca di idrocarburi per il progetto petrolifero di Ombrina Mare (entro le 12 miglia dalle coste abbruzzesi), che scadeva il 31 dicembre, è sospeso per un anno.
Anno durante il quale la piattaforma, nonostante non possa fare per legge più nulla, continuerà  a esistere.
Anche “in attesa di una eventuale concessione di coltivazione”.
Contattato dal Fatto, il Mise ha risposto che, “non si è fatto in tempo a chiudere l’istruttoria e che la proroga era un atto comunque dovuto entro dicembre 2015 perchè finalizzato a mantenere in sicurezza gli impianti esistenti”.
Una sospensione da tempo richiesta dalla società  “per continuare a garantire le operazioni di manutenzione della piccola piattaforma temporanea in mare”.
Dinamiche che, secondo il coordinamento No Triv, servirebbero ad aggirare il referendum contro le trivelle, voluto da dieci consigli regionali e su cui si esprimerà  la Corte Costituzionale la prossima settimana.
Non a caso ieri i deputati Marco Baldassarre (Alternativa Libera) e Pippo Civati (Possibile) hanno sollecitato i presidenti delle Regioni a impugnare la legge di stabilità . “Questa sospensione non ha senso — spiega Enzo Di Salvatore, coordinatore nazionale No Triv e costituzionalista che ha elaborato i quesiti referendari — Sarebbe bastato un mese, il tempo di far entrare in vigore la legge di Stabilità , e poi rigettare la domanda. Invece aspettano che passino elezioni, referendum, riforma costituzionale e che al governo torni il potere di decidere in materia energetica per riprendere tutto dal punto in cui era stato lasciato”.
Ricorso storico: nel 2010 (era ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo), era stato esteso da 5 a 12 il limite di miglia dalla costa e le concessioni in atto rimasero in sospeso. Fino al 2012, quando il decreto Sviluppo del governo Monti, pur confermando il limite, fece salvi tutti i procedimenti già  avviati che ripresero il loro corso dal punto in cui erano rimasti due anni prima.
“Oggi, per ottenere la concessione di sfruttamento degli idrocarburi deve essere ancora vigente il titolo di ricerca ecco perchè non lo revocano e, anzi, lo prolungano”.
La questione non riguarda solo Ombrina.
Il sito Staffettaonline.it ha pubblicato l’elenco di 19 piattaforme che ricadrebbero, totalmente o in parte, nel limite delle 12 miglia: 7 nel Canale di Sicilia (Eni, Edison, Audax Energy, Northern Petroleum Ltd — Petroceltic Italia, Transunion Petroleum Italia), 6 nel Golfo di Taranto (Eni, Shell Italia EP, Transunion Petroleum Italia, Apennine Energy, Petroceltic ), 2 nel Mar Jonio calabro (Eni, Northern Petroleum Ltd) e 4 nel Mar Adriatico tra Veneto, Abruzzo ed Emilia Romagna (Eni, Rockhopper Exploration Italia). Per il Mise, queste istanze saranno tutte “chiuse”, ma non si sa come. “Dovrebbero semplicemente rigettarle”, dicono i No Triv.
Anche perchè la legge di Stabilità  accoglie molte delle richieste referendarie: restano i poteri delle Regioni, l’eliminazione del valore strategico delle opere e dell’esproprio in fase di ricerca.
Sulla durata dei titoli, del blocco dei procedimenti in corso e sull’annullamento del piano delle aree (che di fatto rende più facili le trivellazioni), invece, dovrà  pronunciarsi la Consulta.

Virginia Della Sala
(da “il Fatto Quotidiano”)

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RUGBY, IN PIEMONTE LA PRIMA SQUADRA DI RIFUGIATI: QUANDO ANCHE LE SCONFITTE SONO UN TRIONFO

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

LA TRE ROSE DI CASALE MONFERRATO ESEMPIO DI INTEGRAZIONE: L’80% DEI GIOCATORI SONO STRANIERI

Placcaggi, mischie e palla ovale per l’integrazione: a Casale Monferrato è nata la prima squadra italiana di rugby formata da rifugiati.
Grazie a una deroga concessa dalla Federazione, Le Tre Rose schierano in campo una formazione composta quasi interamente da stranieri.
La Fir ha deciso di chiudere un occhio sul regolamento per permettere a questi ragazzi di avere un’occasione in più di inserimento sociale; in cambio il club rinuncerà  alla possibilità  di promozione.
Non è stato semplicissimo ottenere il via libera. Quando il 18 ottobre il Girone 1 della Serie C piemontese è iniziato, la squadra di Casale Monferrato è rimasta al palo, senza scendere in campo per i primi 5 turni.
La volontà  delle istituzioni di favorire il progetto c’è sempre stata (e lo dimostra il fatto che le partite siano state sempre rinviate, e non date perse a tavolino), ma le norme dello statuto rappresentavano un ostacolo non di poco conto: in Serie C, infatti, esiste un limite di uno straniero in lista gara.
Una regola pensata per favorire i vivai e lo sviluppo del movimento italiano, ma che in questo caso tarpava le ali all’iniziativa della società  piemontese.
A disposizione del mister Luca Patrucco, infatti, c’è un gruppo multirazziale, composto all’80% dai migranti della cooperativa Senape di Mirella Ruo e da qualche vecchio giocatore locale.
Giovani, provenienti in gran parte dall’Africa, scappati dalla guerra e dalle persecuzioni e alla ricerca di un futuro migliore in Italia.
Magari anche grazie alla palla ovale: alcuni di loro non l’hanno mai presa in mano (e in campo a volte si vede), ma nel rugby possono trovare un momento di riscatto. L’idea è venuta la scorsa estate al presidente Paolo Pensa.
“Lavoriamo dall’anno scorso con questi ragazzi che vengono da Paesi e condizioni sociali difficili, e quest’anno abbiamo deciso di aggregarli stabilmente alla prima squadra”, ha spiegato il patron.
Per farlo, serviva l’ok del Coni e della Federazione, che si sono palleggiate per un paio di mesi la questione prima di concedere il via libera.
Così finalmente a dicembre la squadra ha potuto debuttare nel torneo: esordio difficile contro l’Acqui Terme, una delle corazzate del girone, e punteggio pesante di 7-85.
La soddisfazione, però, della prima meta. “E soprattutto di giocare: già  essere qui è un miracolo”, ha detto l’allenatore.
È andata un po’ meglio al secondo tentativo: 0-37 contro il Novi Ligure. Ma la vera avventura comincerà  adesso, ora che con la sosta natalizia i ragazzi hanno potuto allenarsi e fare gruppo con la certezza di disputare il campionato.
Certo, schierare una squadra di quasi tutti stranieri va contro le regole della stessa Federazione. “Ma il nostro primo impegno è quello di promuovere il gioco del rugby, ed attraverso la pratica sportiva far conoscere quei valori che sono tipici del nostro sport”, ha detto il presidente Fir, Alfredo Gavazzi.
“Il sostegno e la solidarietà  per i compagni sono senza dubbio tratti caratterizzanti del rugby e perciò abbiamo accolto la richiesta de Le Tre Rose”.
La società , per conto suo, ha rinunciato alla possibilità  di promozione: anche se dovesse classificarsi nelle prime posizioni, non disputerebbe i playoff per salire in Serie B.
In realtà , un rischio che la squadra non sembra correre: “La conoscenza del rugby di questi ragazzi è, in alcuni casi, ancora relativa”, aggiunge il presidente Pensa.
E lo dimostrano i primi punteggi. “Ma la gioia dello scendere in campo, il senso di integrazione che indossare la maglia insieme ai propri compagni regala, vale più dei risultati”.
Per quelli, d’altra parte, c’è sempre tempo: la prima meta è già  stata segnata, presto insieme all’integrazione magari arriveranno anche le vittorie.

Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)

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MILANO, CANDIDATI SINDACO CAMERIERI PER UN GIORNO

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

IL TRADIZIONALE PRANZO OFFERTO DAI CITY ANGELS A CENTO SENZATETTO CON TUTTI I NOMI IN CORSA A SERVIRE AI TAVOLI

La prima foto dei tre principali candidati alle primarie del centrosinistra e, con loro, di altri candidati a succedere a Giuliano Pisapia come sindaco di Milano.
Nel tour degli appuntamenti pubblici di questi giorni Francesca Balzani, Pierfrancesco Majorino e Giuseppe Sala si sono ritrovati nei saloni dell’hotel Principe di Savoia per il tradizionale pranzo offerto ogni anno dai City Angels a cento senzatetto.
Pettorina rosse, hanno servito risotti e parmigiana ai tavoli, scambiando battute con gli ospiti.
A servire ai tavoli anche altri due candidati sindaco, Corrado Passera e Patrizia Bedori del Movimento 5 stelle, e un possibile candidato del centrodestra, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti.
Gran cerimoniere Mario Furlan, anima dei City Angels, che ha ringraziato tutti i volontari vip (c’era anche l’ex vicesindaco Riccardo De Corato) esprimendo solidarietà ,   dal palco, a Majorino, che ha ricevuto minacce per l’impegno della giunta sul tema moschee.
Ma i veri protagonisti, spiati in ogni gesto, sono stati i tre candidati alle primarie.
Strette di mano e sorrisi, ma le posizioni restano lontane.
Pesa, a pochi giorni dalla chiusura della raccolta firme, il dubbio su cosa farà  Giuliano Pisapia: si schiererà  o meno con la sua vice Balzani?
Commenta Sala: “A questo punto credo sia molto utile per tutti che faccia da garante. Se farà  una scelta diversa la rispetteremo, però io mi auguro fortemente che lui continui a essere super partes. Siamo riusciti ad arrivare a delle primarie veramente competitive con dei candidati rappresentativi di tutti, se questo era lo scopo del sindaco è stato raggiunto”.
Stesso auspicio di Majorino, che aggiunge: “Io credo che Giuliano farà  la scelta più giusta come sempre e valuterà  lui”.
I due si preparano al primo confronto diretto, venerdì sera all’Anteo, e questo ha creato qualche polemica per l’assenza di Balzani.
Risponde Sala: “Ho risposto a un invito, ma comunque per i confronti bisogna aspettare di sapere quanti candidati ci saranno”.
Quando arriveranno quei confronti, in ogni caso, Balzani è pronta. Non si sbilancia su un endorsement del sindaco (“Ho sempre detto che il suo voto, che è molto importante, è da conquistare”), ma guarda alla serata dell’11, organizzata da Sel per tentare una sintesi tra Balzani e Majorino, come “l’occasione per confrontarci con Majorino sui programmi”.

Oriana Liso
(da “La Repubblica”)

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I DUE AMICI DEL REGIME DI KIM JONG-UN: UNO METTE IN DUBBIO CHE IL TERREMOTO SIA DOVUTO AL TEST NUCLEARE, L’ALTRO PARLA DEL MILAN

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

RAZZI: “I TERREMOTI CAPITANO OVUNQUE NEL MONDO”… LO STATISTA SALVINI: “GALLIANI HA FATTO IL SUO TEMPO”

Antonio Razzi si è sempre definito amico del regime di Kim Jong-Un, tanto da organizzare viaggi in Corea del Nord per tributare la propria solidarietà  e ammirazione.
Ora, mentre il mondo intero condanna l’annunciato test con la bomba a idrogeno, il senatore di Forza Italia torna a schierarsi con il dittatore di Pyongyang, mettendo in dubbio che il sisma registrato in Corea del Nord sia stato provocato dall’esperimento nucleare e spiegando che chiunque ha il diritto di difendersi, anche con le armi nucleari.
“I terremoti capitano ovunque nel mondo e con tutte le esplosioni che ci sono ogni giorno, chi può dire con certezza di chi sia la responsabilità ? E poi, in questo caso non so se sia vero quel che si dice, cioè che il sisma sia stato provocato dal test nordcoreano. Penso, però, che qualsiasi nazione che debba difendere i propri cittadini può affidarsi a certe ‘soluzioni'”, ha dichiarato Razzi all’Ansa, annunciando che nei prossimi giorni incontrerà  l’ambasciatore coreano.
Ma non c’è solo Razzi tra gli estimatori della dittatura comunista nord-coreana, ricordiamo la visita di Matteo Salvini di un anno fa e la sua intervista al “Corriere della Sera” in cui affermava: “ho visto un senso di comunità  splendido, bambini che giocavano per strada e grande rispetto per gli anziani”. Non solo: “auspico che l’embargo nei loro confronti sia tolto”.
Per concludere “beh per quanto riguarda la libertà  di stampa, d’accordo, lì non fanno altro che parlare del “Grande Maresciallo”, ma da noi non si cantano le lodi a Renzi tutti i santi giorni?».
Insomma “una specie di   Svizzera”, per dirla alla Razzi.
Oggi però per Salvini, abituato a commentare anche gli annunci mortuari se gli viene comodo, l’esperimento nucleare nordcoreano non esiste, preferisce parlare del Milan: “penso che Galliani abbia fatto il suo tempo: basta!!!”.
Gli statisti si riconoscono anche in tribuna.

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LA BOMBA H DI KIM È UNA BUFALA?

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

DALLA BBC ALLA COREA DEL SUD, PASSANDO PER GLI ESPERTI USA, TUTTI I DUBBI SU COSA SIA DAVVERO SUCCESSO NELLA NOTTE

La bomba H di Kim è una bufala? Molti i dubbi a proposito. A Partire dagli Stati Uniti.
Il luogo e il tipo di attività  sismica registrati in Corea del Nord sono coerenti con i precedenti test nucleari condotti nel Paese.
Lo hanno fatto sapere fonti del governo americano, dopo che Pyongyang ha affermato di avere testato per la prima volta una bomba nucleare a idrogeno.
Le agenzie americane stanno conducendo verifiche.
Anche i militari sudcoreani hanno espresso scetticismo sul test nucleare con bomba all’idrogeno annunciato da Pyongyang, data l’intensità  contenuta della detonazione.
“È difficile considerarlo tale”, ha detto in forma anonima alla Yonhap una fonte dell’esercito.
“Solo pochi Paesi, tra cui Usa e Russia, hanno condotto test con la bomba H e le dimensioni delle detonazioni hanno raggiunto i 20-50 megatoni”.
L’ultima prova di Pyongyang è stimata in 6 chilotoni, troppo debole per una bomba all’idrogeno.
A conferma dei dubbi la Bbc sottolinea che il sisma innescato dalla deflagrazione è della stessa potenza – magnitudo 5,1 – registrato nel febbraio del 2013 quando Pyongyang sostenne di aver effettuato il suo terzo test di una bomba atomica.
Valori del tutto incompatibili con quelli dell’esplosione di un’ordigno termonucelare. Peraltro si tratta di valori molto vicini a quelli del primo teste dell’ottobre del 2006 quando i sismografi registrarono una scossa di magnitudo 4,3 e 4,7 per quello di maggio 2009.
La tecnologia necessaria per una bomba H è ancora oggi appannaggio esclusivo di poche nazioni: solo Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna e forse Israele la posseggono ma ad esempio nè India, che ottenne la bomba atomica nel 1974, nè il Pakistan (1998) la hanno.
Non solo. Anche i tempi per il passaggio da un tipo di ordigno all’altro, dalla più semplice atomica a quella all’idrogeno o termonucleare, sono sospetti. La prima bomba H venne realizzata dagli Usa nel novembre del 1952.
All’allora Unione Sovietica, la cui potenza è incomparabile a quella dell’odierna Corea del Nord, ci volle un anno.
Seguirono la Gran Bretagna, aiutata dagli Usa, 5 anni dopo nel 1957; 15 anni dopo, nel 1967 ci arrivò la Cina; ultima nel 1968 la Francia.
Le differenze tra le potenze dei due ordigni sono incommensurabili.
Basta pensare che la prima bomba atomica sganciata dagli Usa su Nagasaki (Little Boy) il 6 agosto 1945 aveva una potenza di 15 chilotoni (1 solo chilotone – kt – è unità  di misura convenzionale equivalente all’esplosione di mille tonnellate di tritolo).
La deflagrazione della prima bomba H effettuata dagli Usa alle isole Marshall in pieno oceano Pacifico aveva una potenza di 15.000 kt, ossia 1.000 volte maggiore. La più grossa bomba H mai fatta esplodere fu nel 1961 la all’epoca sovietica Zar di 57.000 kt.

(da “Huffingtonpost”)

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LA CAMORRA: “A VOTARE M5S PORTIAMO ANCHE LE OTTANTENNI”

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

LE INTERCETTAZIONI A QUARTO: “HANNO VINTO, ADESSO RISPETTINO GLI IMPEGNI”

«Comincia a chiamarlo. Ha preso 890 voti, è il primo degli eletti. Noi ci siamo messi con chi vince, capito?». Voto inquinato.
È una intercettazione telefonica che risale al primo giugno scorso, tra il primo e secondo turno delle comunali di Quarto, comune dell’area flegrea.
L’imprenditore legato al clan camorrista dei Polverino, Alfonso Cesarano, dà  indicazioni di appoggiare al ballottaggio il candidato a sindaco dei Cinque Stelle, Rosa Capuozzo: «Adesso si deve portare a votare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant’anni. Si devono portare là  sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle».
Per non essere equivocato, l’imprenditore sospettato di essere colluso con la camorra spiega al suo interlocutore: «L’assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire così lo facciamo cadere».
La “pecora nera” dei Cinque Stelle, l’uomo del presunto patto inconfessabile con la camorra, Giovanni De Robbio, è stato cacciato dai Cinque stelle quando ormai l’inchiesta del pm John Henry Woodcook cominciava a essere stringente.
De Robbio, in cambio di voti avrebbe promesso a Cesarano la gestione del campo sportivo e comunque di agevolarlo negli affari legati alla amministrazione comunale.
De Robbio avrebbe poi promesso a un altro maneggione, Mario Ferro, l’assunzione al cimitero del figlio. Ma c’è un altro nervo scoperto per i grillini: la scelta recente del sindaco di stravolgere la gestione del campo sportivo. La procura di Napoli aveva sequestrato la società  sportiva del camorrista Castrese Parigliola (ora al 41 bis) affidando la squadra di calcio a “Sos Impresa”.
Il sindaco Rosa Capuozzo che fa? Decide di cacciare la società  affidando la gestione del campo a “Quartograd”, una associazione locale molto discussa.
Non c’è Beppe Grillo e non ci sono i Cinque Stelle a piazza Plebiscito, a presidiare la Prefettura di Napoli per chiedere lo scioglimento del consiglio comunale di Quarto, per inquinamento del voto.
Per cacciare un sindaco che la lotta all’abusivismo edilizio fatica a farla, vivendo lei stessa in una casa in parte abusiva.
Dal 22 dicembre scorso, da quando ufficialmente è esploso il caso Quarto – che sembra azzerare la «orgogliosa diversità » grillina rispetto al sistema dei partiti – c’è un imbarazzante silenzio dei vertici Cinque Stelle.
Che forse pensavano di aver risolto il problema con l’espulsione del candidato più votato al consiglio comunale, Giovanni De Robbio.
Nel decreto di perquisizione del 22 dicembre scorso, scrive il pm John Henry Woodcook che De Robbio e il geometra Giulio Intemerato «minacciavano» il sindaco Rosa Capuozzo.
Lei stessa ha ammesso le pressioni del suo collega di partito: «Agli inizi di ottobre, il De Robbio venne da me a casa, mi mostrò una foto aerea di casa mia che aveva sul cellulare. Lo stesso mi disse che c’era un problema urbanistico riguardante la mia abitazione ma che dovevo essere meno aggressiva, non dovevo scalciare, dovevo essere più tranquilla con il territorio».
Un’altra volta – denuncia il sindaco – De Robbio era entrato nel suo ufficio, con il geometra Intemerato, dicendole che il geometra aveva in cassaforte la fotografia dell’abuso edilizio. Insomma, De Robbio avrebbe premuto sul sindaco per ottenere «la gestione del campo sportivo da affidare ai suoi imprenditori; per poter nominare capi settore e assessori e per affidare al geometra Intemerato le pratiche del condono».
Prima di Natale ci sono state le perquisizioni. Lunedì si terrà  il Riesame.
Di sicuro gli sviluppi dell’inchiesta Woodcock si annunciano clamorosi.

Guido Ruotolo
(da “La Stampa“)

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I VERBALI DEL CASO CUCCHI: I TENTATIVI DI INSABBIARE L’INCHIESTA

Gennaio 6th, 2016 Riccardo Fucile

GIALLO SU UNA RIUNIONE CON I VERTICI DELL’ARMA… I MILITARI SMENTISCONO L’INDAGATO: “CUCCHI FACEVA IMPRESSIONE QUANDO CI E’ STATO CONSEGNATO, ALTRO CHE IN OTTIMA SALUTE”… “LE SPESE LEGALI LE PAGA L’ARMA”

Stava benissimo Stefano Cucchi. Anzi: è stato trattato con i guanti. Questa la versione fornita il 30 luglio scorso dal carabiniere Vincenzo Nicolardi, indagato per falsa testimonianza, al pm Giovanni Musarò.
Seccamente smentita (“Cucchi faceva impressione “) da un suo collega, un carabiniere della stazione di Tor Sapienza che prese in consegna Cucchi dalle mani di Nicolardi.
E sempre dalle sommarie informazioni dello stesso carabiniere, Gianluca Colicchio (non indagato), emerge un altro pezzo del puzzle.
Nicolardi gli consegna gli effetti personali del detenuto: all’interno c’è un foglietto con il numero di cellulare del maresciallo Mandolini, comandante della stazione Appia, il primo luogo in cui, secondo la procura, Cucchi fu pestato.
Un comportamento che Colicchio giudica “inusuale”. Perchè questa scelta? E di cosa voleva essere tenuto al corrente Mandolini?
È ancora il militare a riferire ai magistrati di una riunione con i vertici dell’Arma pochi giorni dopo la morte di Cucchi. Cosa fu detto durante quell’incontro?
Dall’interrogatorio non emerge, il sottufficiale però fa i nomi dei partecipanti.
E infine il giallo delle spese legali: il maresciallo Mandolini comunica alla moglie di essere indagato per la vicenda Cucchi, ma le dice di non preoccuparsi: “Ho parlato con un colonnello, mi fa pure le spese legali”.
Millanta o qualcuno gli ha promesso un aiuto economico, nonostante le regole lo prevedano solo come rimborso e in caso di assoluzione?
Nuove rivelazioni che arrivano nel giorno in cui Ilaria Cucchi torna sulle polemiche seguite alla pubblicazione, sul suo profilo Facebook, della foto di uno dei carabinieri accusati del pestaggio, che le è valsa una denuncia: “I processi non vanno fatti sul web, ma nelle aule di giustizia. Ma anche Stefano era incensurato: è facile processare un morto che non ha più diritti”.
L’interrogatorio.
“So che si dice che Cucchi   –   spiega Nicolardi al pm Musarò   –   è stato malmenato, ma io posso dire che (…) presso la nostra stazione (Appia, ndr) era stato trattato benissimo. Anzi, ho notato che non veniva trattato neanche da detenuto: lo hanno fatto mangiare, hanno dato da mangiare al cane, non lo hanno neanche messo in cella”.
L’altra versione.
A smentire Nicolardi è Colicchio, il militare che a Tor Sapienza riceve il detenuto dal collega: “Sinceramente lo stato del Cucchi destava impressione”. Poco dopo, infatti racconta al pm di aver chiamato “il 118 non solo perchè il Cucchi mi disse di avere dolori alla testa e all’addome, ma percepii in lui un evidente stato di sofferenza. Inoltre aveva un arrossamento anomalo sul viso, immediatamente sotto gli occhi e quasi fino alle guance”.
Il telefonino.
Nicolardi consegna ai colleghi insieme agli effetti personali di Stefano il numero privato del comandante della stazione Appia, Mandolini. Il carabiniere che lo riceve, Colicchio), spiega al pm che è una cosa inusuale.
“Il fatto che mi fosse stato dato (da Nicolardi, ndr) il numero di telefono personale del comandante era una cosa strana, perchè il numero della stazione era indicato sul verbale di arresto e soprattutto perchè, per qualsiasi problema, io avrei dovuto contattare esclusivamente il 112 e non rapportarmi autonomamente con un collega “. Al contrario, Nicolardi giustifica questa scelta sostenendo che il suo maresciallo Mandolini “è un tipo molto premuroso”.
“Paga l’Arma”.
“Ho parlato con il colonnello   –   spiega Mandolini alla moglie nel corso di una telefonata intercettata il 16 luglio del 2015   –   mi fa pure le spese legali, hai capito? (…) . Paga l’Arma. Pè stà  tranquillo “.
L’incontro.
“Quindici giorni dopo la mia deposizione davanti al pm   –   spiega ancora Colicchio   – (si tratta della prima indagine, ndr), tutti i carabinieri coinvolti furono convocati presso la sede del comando gruppo carabinieri Roma. Fummo ricevuti davanti al comandante provinciale, generale Tomasone, al comandante del gruppo colonnello Casarsa, ai comandanti della compagnia Casilina e Montesacro. Ricordo che c’era il maresciallo Mandolini. I nostri superiori ci chiesero conto di quanto accaduto. Ci limitammo a fare un rapporto orale, senza sottoscrivere nulla”.

Giuseppe Scarpa
(da “La Repubblica”)

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