Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
I DOCUMENTI CONTRAFFATTI UTILIZZATI DA AFFILIATI DELL’ISIS CHE SPESSO GIA’ VIVONO IN EUROPA
Cavalli di Troia per rientrare nella roccaforte europea: sono i passaporti siriani, autentici o meno, utilizzati da affiliati dell’Isis, per sbarcare “in incognito” in Francia e in altri Paesi europei.
Ecco la nuova preoccupazione di Parigi (e non solo), questa mole indefinita di documenti d’identità raccolti da Daesh per entrare senza problemi nello spazio Schengen.
Nei giorni scorsi Bernard Cazeneuve, ministro francese degli Interni, ha chiesto chiaro e tondo ai suoi omologhi europei nuove misure “contro questi veri e falsi passaporti, molto difficili da individuare”.
Da dove provengono? In parte sono recuperati dalle milizie dell’Isis sui campi di battaglia, sui corpi dei soldati morti dell’esercito di Bashar al-Assad.
Poi sono stati ritrovati “vergini” negli uffici dell’amministrazione pubblica di centri siriani occupati dalle truppe di Daesh.
Altri vengono fabbricati di sana pianta da un servizio apposito dello Stato islamico. Poi ci sono anche i passaporti autentici confiscati ai jihadisti che arrivano in Siria da Paesi europei, spesso non catalogati da polizie e servizi segreti.
I loro documenti possono quindi essere utilizzati di nuovo da altre persone.
I documenti vengono ridistribuiti nei limiti del possibile a persone con caratteristiche fisiche simili a quelle dei titolari originari.
“Contrariamente a quello che si pensa — ha dichiarato all’agenzia France Presse Christophe Naudin, criminologo specialista di frodi sui documenti d’identità — è molto facile entrare e uscire dallo spazio Schengen proprio grazie a questi passaporti”.
Due siriani ne erano stati trovati accanto ai cadaveri di due kamikaze in azione lo scorso 13 novembre allo Stade de France, nella periferia nord di Parigi.
Per uno dei due, che indicava come nome e cognome Ahmad alMohammad, gli inquirenti francesi hanno evocato fin dagli inizi la possibilità che provenisse da un soldato di Assad morto al fronte.
Sospettato di essere legato agli attacchi di Parigi, anche Ahmed Dahmani, di nazionalità belga e marocchina, fermato a metà novembre ad Antalya, in Turchia, era in possesso di un documento siriano vero ma non corrispondente alla sua identità .
Anche il franco-belga Abdelhamid Abaaoud, che avrebbe avuto un ruolo organizzativo importante negli attentati parigini e che è rimasto ucciso nell’attacco finale delle teste di cuoio francesi a Saint-Denis, sarebbe ritornato dalla Siria in Francia con uno di questi passaporti: lui, che era in testa nella lista dei jihadisti ricercati dalla polizia e dai servizi segreti di Francia.
Anzi, proprio Abaaoud, secondo rivelazioni degli ultimi giorni da parte di fonti dell’intelligence a Parigi, avrebbe avuto un ruolo importante nello Stato islamico in questo traffico di veri-falsi passaporti.
Altro caso interessante (e inquietante) è quello di un giovane di Troyes, un cittadino francese di 25 anni e di origini non arabe, convertito all’islam. Partito per la Siria nell’ottobre 2012, era diventato un jihadista agguerrito ed è stato fermato a Praga il 21 luglio scorso.
Non si conoscono le sue generalità ma il suo nome di battaglia per Daesh era Abou Hafsa. Da poco è emerso che aveva presentato un passaporto svedese autentico di un giovane che nel frattempo era partito pure lui a combattere la guerra santa con l’Isis.
Leonardo Martinelli
(da “La Stampa”)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
NIENTE ALTA VELOCITA’, COMPAGNIE AEREE IN FUGA, LAVORI DECENNALI E PENDOLARI PENALIZZATI
Il governatore della Liguria, Giovanni Toti, l’aveva ribattezzato pomposamente “Padania Express“.
Senonchè il viaggio sperimentale del presunto convoglio superveloce di Trenord fra Genova e Milano si è risolto in un flop e si è perso nella nebbia.
Per coprire i 148,79 chilometri del tragitto fra le stazioni di Genova Principe e Milano Centrale, con fermata a Rogoredo,- il treno ha impiegato un’ora, trenta minuti e 27 secondi.
Tre minuti in più del Thello, il convoglio più veloce attualmente in servizio fra Genova e Milano, che compie due fermate intermedie, anzichè una.
Iniziato fra squilli di fanfare, rulli di tamburi e la rituale bottiglia di spumante stappata in carrozza, il viaggio voluto dai governatori Toti e Maroni — a bordo del treno Coradia Meridian di Alstom — con codazzo di assessori e funzionari e stampa al seguito, si è risolto in una delusione. Impossibile abbreviare i tempi di percorrenza.
La linea ferroviaria fra Genova e Milano è afflitta da quattro “colli di bottiglia” e da un volume di traffico straordinario fra Pavia e la capitale lombarda. Altro che i 55 minuti favoleggiati dal governatore Maroni.
Ripiegate le insegne Toti e Maroni hanno convenuto che se ne riparlerà fra 18 mesi.
Nel frattempo si dovrà correggere alcuni difetti sulla linea e trovare quasi 90 milioni di euro.
La Liguria rimane dunque nel suo isolamento logistico tutt’altro che dorato. Fra Genova e Milano si continuerà a viaggiare con tempi di percorrenza simili a quelli del 1938.
L’Alta Velocità , causa Appennino, resta un miraggio. Toti vorrebbe agganciarla istituendo sulla tratta Genova-Roma un collegamento rapido (tre ore e mezzo) via Firenze con la Capitale. RFi sarebbe favorevole a liberare gli slot nel nodo di Firenze.
La regione Toscana frena, teme di perdere le frequenze del collegamento sulla linea tirrenica che però impone ai viaggiatori diretti da Genova e Roma (e viceversa) un viaggio di oltre quattro o addirittura di cinque ore.
L’altro nodo indistricabile del traffico ferroviario sta sulla riviera di ponente, fra Finale Ligure e San Lorenzo al Mare, 44 chilometri a binario unico in direzione della Francia. Cose da Medioevo.
Il tratto fra Andora e San Lorenzo al Mare (di 19 chilometri di cui 16 in galleria, con la nuova stazione di Imperia), sta per essere completato e dovrebbe entrare in esercizio a giugno 2016. I treni sfrecceranno a 180 chilometri l’ora dai 90 attuali. Resta da raddoppiare il tratto Andora-Finale Ligure.
La legge di stabilità ha destinato 15 milioni di euro annui per 15 anni per iniziare gli interventi propedeutici all’opera principale. il 17 gennaio 2014 a causa una frana un treno deragliò all’altezza di Andora, i collegamenti ferroviari si interruppero spezzando in due la Liguria.
Dice a IlFattoQuotidiano.it il senatore di Liguria Civica Maurizio Rossi, membro della commissione trasporti: “Quei 225 milioni di euro possono essere spesi non in dieci ma in soli due anni per le opere preliminari. Sarà essenziale che la finanziaria 2016/17 stanzi i fondi per la realizzazione dell’opera, 32 km in variante di cui 25 in galleria, per un investimento di 1,2-1,3 miliardi di euro e nove anni circa di lavori”. Campa cavallo…
In attesa del Terzo Valico (i cantieri liguri procedono con stop and go continui causa amianto) che non sarà pronto prima di 8-10 anni e sarà comunque assegnato principalmente al traffico merci.
L’abbandono dei collegamenti aerei Genova-Roma da parte della compagnia Vueling ha rimesso Alitalia in posizione di monopolio, subito sfruttato alzando le tariffe fino a 900 euro andata e ritorno con la capitale.
Ciò costituisce un ostacolo alla mobilità , aerea e ferroviaria, da e per la Liguria e configura la condizione per stanziare i finanziamenti. La Sardegna lo ha fatto con venti milioni di euro.
L’aeroporto Cristoforo Colombo è un’altra spina nel fianco della logistica ligure. Inchiodato sotto il milione e mezzo di passeggeri/anno, è stato declassato e la sua privatizzazione si è bloccata per l’ennesima volta dai dissensi dei soci, l’Autorità portuale, la Camera di Commercio e la Società Aeroporti di Roma.
Intanto i pendolari sono in rivolta contro l’orario feroviario invernale che ha soppresso diversi collegamenti a medio e corto raggio, alle Cinque Terre sono preoccupati. Trenitalia vuole cancellare l’accordo sulla card Treni multiservizi che consentiva fino all’estate scorsa ai turisti — due milioni e mezzo nei cinque borghi dello spezzino — di circolare con una tessera giornaliera del costo di appena 12 euro.
Renzo Parodi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
ORA CORTEGGIA LA SINISTRA RADICALE PER NON PERDERE ALLE AMMMINISTRATIVE
Calpesta e derisa, ma soprattutto malmessa e divisa, la cosiddetta “sinistra radicale” italiana si trova all’alba del 2016 nella paradossale condizione di essere decisiva nelle prossime elezioni amministrative di molte città .
Non tanto i suoi leader (oddio, leader…) il cui prestigio già scarsino da tempo si è ulteriormente assottigliato con il penoso spettacolo del “tavolo costituente” del nuovo partito (una prece). Quanto i suoi elettori: che a dispetto delle pessime rappresentanze esistono — per valori, ideali, interessi — e tutti insieme valgono una cosa che sta almeno tra il 5 e il 10 per cento.
E non sto parlando degli elettori potenziali di sinistra che poi si frantumano tra astensionismo, M5S e abbrivo piddino (quelli sono molti di più): sto parlando proprio di quelli che si ostinano a votare e a votare qualcosa di dichiaratamente di sinistra e a sinistra di Renzi.
Per capirci, sto parlando di quelli che all’ultimo giro hanno scelto Luca Pastorino in Liguria o Tommaso Fattori in Toscana, rispettivamente il 9,4 e il 6,2 per cento.
Ecco, questa fetta di pervicaci che Renzi percula da un anno adesso viene riscoperta: e da settimane il Pd sta mandando il poliziotto buono Matteo Orfini a cercare di riportarla all’ovile.
Ultima puntata, l’intervista del presidente del Pd a “il Manifesto” di oggi.
Nella quale ci spiega che «alle amministrative si possono avere maggioranze tra forze che nazionalmente hanno posizioni diverse», «le condizioni per tenere vivo il centrosinistra ci sono», «spero che la sinistra resti più unita possibile» etc etc.
La ragione di questo prodigarsi del Pd alla sua sinistra è semplice e si chiama Movimento 5 Stelle.
Il caso più eclatante è Torino: dove la candidatura di Giorgio Airaudo potrebbe bastare per impedire a Piero Fassino la vittoria al primo turno; e se l’ex segretario Ds sarà costretto al ballottaggio, la probabilità di essere superato al secondo turno da Chiara Appendino è tutt’altro che remota.
Qualcosa di simile potrebbe succedere a Roma: dove la popolarità del fu centrosinistra, dopo la cacciata di Marino, è ai minimi storici; e il M5S avrebbe buone probabilità di arrivare al ballottaggio anche candidando il gatto di Casaleggio.
In questi casi si sa come fa Renzi, di volta in volta: strizza l’occhio a chi gli è più utile.
Del resto è l’uomo che ha fatto il patto del Nazareno per cambiare la Costituzione e poche settimane dopo ha messo Forza Italia fuori dai giochi per il Quirinale, illudendo così tutta la sua minoranza interna.
Invece, ovviamente, non c’era niente da illudersi: c’era solo da prendere atto che il premier è uno spregiudicato giocatore su più tavoli, a seconda della convenienza del momento.
E la convenienza del momento ora è riportare quel 5-10 per cento nell’alveo del centrosinistra — pur essendo questo stato seppellito dal partito della nazione, dal Jobs Act e da tutto il resto.
Sebbene questa dinamica d’opportunismo sia evidente anche a un bambino di cinque anni, c’è una parte della sinistra cosiddetta radicale che ci crede o finge di crederci: nel primo caso per un misto di ingenuità e nostalgia del 2011, nel secondo sperando probabilmente in qualche strapuntino — assessorati, Asl, consigli di zona e altre briciole.
Per carità , ciascuno faccia come crede, a sinistra: e capisco anche che in alcune realtà locali (tipo Milano) possa prevalere negli animi l’onda lunga del tempo che fu (il 2011, appunto) e la speranza che non ci sia risacca a destra.
Ma almeno cerchiamo di non nasconderci dietro un dito e di averne piena contezza, nel decidere: passate le amministrative, le sirene piddine verso sinistra cesseranno magicamente di cantare.
Anche perchè poco dopo ci sarà il referendum costituzionale, sul quale Renzi punta invece di fare il pieno di consensi al centro e destra.
E a sinistra saranno ricacciati tutti nel girone mediatico dei gufi, dei frenatori e dei professoroni.
(da “gilioli.blogautore.espresso”)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
I PENDOLARI DELL’A4: “PER NOI SPOSTARSI E’ DIVENTATO UN LUSSO, IN SVIZZERA CON 40 EURO PUOI VIAGGIARE PER TUTTO IL PAESE”
Quando Samuel Minetti scende dal suo fuoristrada nel parcheggio dell’autogrill di Cigliano, lungo l’autostrada A4, lo ammette: «Il pedaggio sulla Torino-Milano è aumentato del 6,5 per cento? E parte da oggi? Non lo sapevo, vabbè….».
Riflette un attimo e sbotta: «Abito a Domodossola e sono un frontaliero, con un bollino annuale da 40 euro giri tutta la Svizzera, in Italia ogni volta che imbocchi un casello autostradale vai incontro ad un salasso».
Il 24enne e il suo amico Matteo Curcio, disegnatore di cartoni animati, stanno ritornando a casa dopo aver passato il Capodanno a Sestriere, sulle montagne olimpiche.
Andata e ritorno, che tradotto vuol dire poco meno di 60 euro di pedaggio. «E se uno ci aggiunge il carburante, lasciamo perdere… buon anno».
Dell’improvvisa impennata del costo per percorrere i circa 125 chilometri da corso Giulio Cesare allo svincolo di Milano-Certosa, è invece consapevole Floriano Rosina, 61 anni, ex primario di gastroenterologia all’ospedale Gradenigo di Torino, in viaggio verso Treviso.
«Quando stamattina sono salito in macchina ho pensato davvero di fare la Torino-Piacenza e alternarla con alcuni tratti di statale e non la Torino-Milano – ammette. L’aumento non sarà una cifra enorme ma incide, soprattutto sul portafogli di chi è costretto a percorrerla per lavoro».
Come Marian Iacob, romeno di professione cartongessista, residente a Torino.
«Fino a poco tempo fa, con la mia impresa, avevo delle commesse a Milano e a Verbania – racconta – e, con due mezzi, sempre avanti e indietro, spendevamo circa mille euro di pedaggio l’anno. Una somma enorme che pesa ancora di più se manca il lavoro, figuriamoci con un 6,5% in più».
In questo viaggio lungo gli autogrill che si affacciano sul rettilineo di asfalto da sempre costellato da cantieri, trovare qualcuno che giustifichi il rincaro del «biglietto dell’autostrada», come lo definiscono alcuni, è praticamente impossibile.
Però, intorno a questa lingua grigia, che attraversa le province di Vercelli e Novara prima di incunearsi nel cuore di Milano, non ruotano solo migliaia di camionisti e di automobilisti.
Ci sono anche le persone che lavorano nelle aree di servizio A4 o abitano nei paesini. E, alla fine, le loro storie, sono collegate alla Torino-Milano.
Come quella di Federico Casalotti, trattorista 36enne di San Marco, nel Vercellese. Arriva all’autogrill di Villarboit per un caffè. «Ho lasciato la macchina laggiù, oltre la recinzione – indica – dove c’è la sosta per chi abita qui intorno. Una volta, per spostarmi nei paraggi, l’autostrada era comoda e rapida. Ora percorri pochi chilometri da un casello all’altro e sono subito 3 o 4 euro, e poi ancora 3, 4 euro, non conviene più. Meglio le statali».
Che però, da queste parti, quando scende una nebbia umida e spessa, possono diventare un labirinto rischioso.
Lo sa bene Mario Conti, 55enne, di Greggio, dipendente di una cooperativa che gestisce la pulizia sui piazzali delle aree sosta. «Sono fisso qui a Villarboit, ma, ogni tanto, mi capita di essere spedito a faticare in altri autogrill, distanti qualche decina di chilometri. Ho chiesto che mi venisse rimborsato almeno il pedaggio, se ora aumenta è ancora peggio».
Incalza: «Mio figlio aveva la mia stessa mansione alla barriera di Rondissone ma, tra benzina e pedaggio, spendeva 800 euro al mese. Gli ho detto “ragazzo mio trasferisciti vicino a Torino o non vivi più”, e così ha fatto».
Anche Claudia Zampieri è di Greggio. È la responsabile dello punto shop Bonjour della Total Erg, sempre a Villarboit. «Lavoriamo qui, abbiamo chiesto delle agevolazioni. Tempo perso. Vogliono costringere chi viaggia a percorsi alternativi, l’autostrada sta diventando un lusso».
E del commercio di pellami di lusso si occupa Paolo Minardi, 37 anni, vercellese. «Due, tre volte la settimana io percorro la Torino-Milano, questo aumento si aggiunge a tutti i costi che deve già sopportare chi è proprietario di un’auto – dice – il vero problema, però, dovranno affrontarlo le aziende che hanno molti mezzi in circuito e, anche pochi centesimi, a fine anno, fanno una bella cifra».
C’è poi chi è meno diplomatico, come Fabio Federighi, agente immobiliare 23enne, di Collegno, nel Torinese. Lui, insieme a tre amici, sta rientrando da un Capodanno a Rho. «L’aumento lo hanno fatto scattare adesso perchè molte persone sono in vacanza, sono disattente – analizza – per questo, secondo me, è una truffa e noi, come sempre, dobbiamo pagare».
Gianni Giacomino
(da “La Stampa“)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
“ERO IL CUOCO DI UN RISTORANTE DI PRAGA, POI HO PERSO OGNI COSA E MI SONO RITROVATO IN CENTRALE A MORIRE DI FAME”…ORA SI RENDE UTILE AL DORMITORIO DI VIA MAMBRETTI
La sera del 31 gennaio era in piazza del Duomo, assoldato come guardiano della sicurezza al grande concerto di Capodanno. Si è trascinato in branda alle due del mattino. E alle cinque in punto era già in piedi, come ogni giorno, per preparare la tavola e la colazione ai 250 compagni del dormitorio di via Mambretti.
«Brioche e tovaglioli speciali, adatti al primo risveglio del 2016», spiegava lui, molto compreso nel ruolo.
Nessuno lo paga, è solo voglia di fare, quella del senzatetto Pierangelo Orsello, 60 anni, capelli bianchi e pochi denti ma occhi azzurri più del cielo, invalido al 74 per cento.
Dorme da due anni in via Mambretti, rendendosi utile come può.
All’alba si occupa di allestire la mensa, poi sparecchia, pulisce, mette in ordine i tavoli.
Verso le 8, ogni giorno, viene a prenderlo il pulmino che lo porta alle cucine di via Stella, dove la onlus Progetto Arca prepara il pasto per i dormitori della città .
Quello invece è il suo lavoro. E così anche ieri Piero, ex chef che ha perso tutto per le disavventure della vita, ha farcito 120 panini e si è messo ai fornelli: pesce, stavolta.
Torna di sera al dormitorio, riposa pochissimo e col buio già si infila la maglietta per scendere dove – da volontario – apparecchia, scalda, cuoce.
Ma come può finire così, senza casa, un uomo con una vitalità e un’energia dirompente come quella che nonostante tutto non abbandona Piero?
È in gamba, ci sa fare. Ha iniziato a lavorare a 14 anni a Pietra Ligure: «Pulivo i bungalow e pelavo patate». Lavapiatti, addetto alle pulizie, capo di una cooperativa purtroppo fallita. Ha fatto di tutto.
Nel 2003 si trasferisce a Praga, trova impiego in un albergo dove lo notano per caso – un po’ come Ratatouille – per le sue abilità culinarie.
Finisce per occuparsi del ristorante. Dieci anni «felici» ma poi l’hotel chiude e un altro lavoro non si trova.
Piero sceglie una città a caso, viene a Milano dove per mesi dorme in Stazione Centrale. «Mi sedevo su una panca, bevevo alla fontanella, mi sedevo di nuovo. Qualcuno, spesso un senzatetto, mi allungava un panino».
La condanna più grande era l’inattività .
In via Mambretti ha trovato un grande amico, Stefano, e faticosamente sta risalendo la china.
«Lavorando – dice – ritrovo un po’ di dignità ». In testa ha un chiodo fisso: Catia, di Vicenza.
Si sono conosciuti su Facebook, vorrebbero sposarsi. «Se solo avessi una casa, la inviterei da me a Milano. Lei non lo sa, che la casa non ce l’ho…».
Elisabetta Andreis
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
ANTONINO ALLEGRA SI E’ SPENTO A 91 ANNI… IL FIGLIO: “PUBBLICHERO’ LE SUE MEMORIE”… NEL 1960 ERA CAPO DELL’UFFICIO POLITICO DELLA QUESTURA DI MILANO
Antonino Allegra aspettava la morte. Per gli insistenti attacchi delle malattie (conseguenze d’una pesantissima bronchite nel 2003, che l’aveva costretto a rinunciare alle adorate sigarette), per la spossante stanchezza della vecchiaia (aveva 91 anni) e per svelare i propri segreti.
In un libro di memorie. Rigorosamente postumo. Sabato pomeriggio, nella parrocchia Regina Pacis di via Quarenghi, nel quartiere di Bonola, periferia Nordovest, non lontano dall’abitazione in un anonimo palazzo di sette piani, i funerali dell’ex poliziotto, questore a Trieste e Torino, direttore al ministero dell’Interno dell’Ufficio ispettivo, ma nell’opinione pubblica rimasto «legato» al dicembre 1969, quand’era capo dell’Ufficio politico della Questura di Milano.
Piazza Fontana, Giuseppe Pinelli. Gli ultimi anni di vita, dopo essersi ritirato in pensione in anticipo per star vicino alla moglie bisognosa di cure, Allegra li ha trascorsi a scrivere.
Pagine e pagine per raccontare quello che i giornalisti hanno invano continuato a chiedergli. Ovvero che cosa davvero successe, in quelle vicende come nel delitto di Luigi Calabresi, nel 1972.
Allegra, spentosi mercoledì, non aveva mai risposto. Al telefono, al citofono, braccato per strada nelle passeggiate verso il bar, aveva sempre taciuto. Ora c’è il libro che il figlio Salvatore, imprenditore, pubblicherà .
«Aveva chiesto di farlo soltanto alla sua scomparsa. Anche con me ha evitato certi discorsi. Diceva che non ero pronto… Ha pianificato tutto.
Come il “secondo” matrimonio, da vedovo, con una donna albanese che s’era occupata di mia mamma malata e che successivamente ha seguito papà . Era scappata da Tirana perchè perseguitata. L’ha sposata per garantirle un futuro sereno».
Chi è stato Allegra? Quanto ha inciso, nel resto dei suoi giorni, l’anno tragico 1969? Su Pinelli ha «coperto» responsabilità ? Ha difeso qualcuno? E per quale motivo non ha mai voluto pubblicamente «difendersi»?
Il figlio Salvatore dice che ripeteva una frase: «Sono un funzionario dello Stato e ho il dovere di mantenere il segreto».
Ma è chiaro che non può bastare. O forse sì. Nel luglio 2000, nella seduta numero 73 della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Allegra ascoltò gli interrogativi di senatori e deputati. Domanda: «Perchè subito dopo piazza Fontana le indagini vennero indirizzate sugli anarchici?». Risposta di Allegra, una persona corpulenta con voce ferma, originario di Santa Teresa di Riva, novemila abitanti sul mare, in provincia di Messina: «Non è vero… Non dicemmo che si trattasse di certi o di altri… Si decise di accompagnare in Questura il maggior numero possibile di esponenti di gruppi di estrema destra e di estrema sinistra».
Domanda: «Il dottor Calabresi per anni seguì i fatti relativi all’estrema sinistra… Chi è in una certa area viene a conoscenza di notizie che non verbalizza perchè rimangono confidenze… Può essere che sia arrivato a scoprire qualcosa di molto importante per cui doveva essere fermato?».
Risposta di Allegra: «Se avesse scoperto qualcosa di molto importante lo avrei saputo».
L’addio a Milano cadde nella seconda metà degli anni Settanta. E altri avvenimenti, con al centro il furore sanguinario delle Brigate rosse, incrociarono la storia di Allegra. Il quale, per ammissione del figlio che ha scelto un altro percorso («Ne faccio parte da ventisei anni»), nonostante la forte insistenza «declinò le offerte della Massoneria».
Conosceva mezza Italia, Antonino Allegra. Compreso Silvio Berlusconi che, riferisce il figlio, «è stato il mio padrino alla cresima».
Ma tornando alle memorie, a che punto sono? «Non posso anticipare… C’è un unico giornalista, che papà apprezzava: Pansa… E sappia che, ad esempio su Pinelli, tanto non è stato svelato».
Com’è morto l’anarchico? «Nessuno vuol credere a un ruolo del Kgb… Papà … conosceva forse troppo… Adesso verrà alla luce. No, aspetti, nessuna strategia di marketing, nessuna volontà di approfittarmi della situazione… Ho amato mio padre, mi ha dato e insegnato la vita. Il libro è un atto doveroso, anzi obbligatorio».
Andrea Galli
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
LE ULTIME ESPULSIONI CONFERMANO LA FORMA DI UN PARTITO PERSONALE BICEFALO
Ma dove vai se i fondatori non ce li hai…? Da qualche tempo, il M5S, tra annunci e qualche atto (il nuovo simbolo senza il nome del fondatore), va dicendo di voler superare lo stadio «grillino».
Nei movimenti allo stato nascente, che si forgiano nella lotta contro tutto e tutti (e hanno bisogno di posizionare la loro offerta sul mercato politico), sono comprensibili il radicalismo e la figura del capo carismatico, mentre quando si passa a coltivare ambizioni di governo (come sostenuto dagli stessi dirigenti più in vista, e in tv) bisogna cambiare registro e accettare le mediazioni (come avvenuto con l’elezione dei giudici costituzionali).
Stiamo allora per assistere all’istituzionalizzazione del Movimento?
A ben guardare, no, per niente: il M5S si riconferma come un «partito-non partito» di tipo personale.
Anzi, un partito bipersonale e bicefalo, dal momento che ha una coppia al vertice, il volto comunicativo Grillo e la testa politica Gianroberto Casaleggio (più che «lato oscuro della Forza», come si è detto di lui in questi giorni, sempre maggiormente eminenza-ideologo-spin doctor alla luce del sole).
E a confermare, una volta di più, il (volutamente) mancato compimento del processo di istituzionalizzazione arriva anche la fresca espulsione — ultima di una lunga serie, non interrottasi — della senatrice Serenella Fucksia
L’istituzionalizzazione costituisce un passaggio indispensabile (e quasi obbligato) per qualunque formazione politica che veda giungere suoi rappresentanti all’interno di assemblee elettive o di enti locali (dove le esperienze amministrative col brand pentastellato non brillano propriamente…).
Nei sistemi politici occidentali questo processo comporta la riduzione della carica antisistema dell’organizzazione e la sua tendenziale conversione in un partito con un organigramma e regole interne (ambedue non metabolizzabili da parte del Movimento, che afferma di avere appunto un «non statuto» e di affidarsi al direttismo democratico online, e considera l’etichetta di partito alla stregua di un insulto). Storicamente, la resistenza all’istituzionalizzazione è stata quella dell’arroccamento all’interno del fortilizio dell’ideologia, con l’espulsione dei dissidenti.
Ma il M5S è una forza postideologica (dimensione a cui deve parte dei successi), e non possiede una vera ortodossia sotto questo profilo.
E, dunque, reagisce rafforzando la propria caratteristica essenziale di partito (bi)personale-carismatico, nel quale l’eretico non è colui che si smarca da un atteggiamento ideologico troppo elastico e pràªt-à -porter, fondato sulla rivendicazione di virtù prepolitiche (come l’onestà ) e (deliberatamente) poco coerente per produrre dei deviazionisti, bensì chi non risulta in linea con il «Principio del capo» (dei due capi) che, nonostante le apparenze, identifica tuttora il criterio fondamentale di legittimità per avere potere e ruoli.
Perchè il M5S è ancora, in tutto e per tutto, il «partito di Grillo (e Casaleggio)», per conto del quale operano (talora piuttosto efficacemente) una serie di militanti e di «portavoce» in seno al Parlamento.
L’istituzionalizzazione toglierebbe troppo appeal dal punto di vista dei consensi: grande è la confusione sotto il cielo della vita pubblica, ergo la situazione è (elettoralmente) eccellente per il Movimento.
Massimiliano Panarari
(da “La Stampa“)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
“METODO GOEBBELS PER FARMI FUORI”
“Con meraviglia ho sentito più volte questi giorni sentenziare, con una certa spocchia saccente, l’onorevole Toninelli sulle regole. Ebbene nel mio caso il Movimento 5 Stelle le regole non le ha rispettate affatto ed è stato anche smentito pubblicamente. Diciamo anche che in Senato su 19 epurazioni, sul cui merito si può ampiamente discutere, in 18 casi non è stata rispettato neanche il regolamento del gruppo M5s depositato in Senato”.
Lo scrive su Facebook la senatrice Serenella Fucksia, recentemente espulsa dal Movimento, in un post dal titolo “Misunderstanding o strategia del piffero?”.
Per la senatrice “ci sono tutti gli estremi per querelare, per denunciare gli atteggiamenti vessatori, l’abuso di potere, l’uso discutibile di denaro pubblico e molto altro. Superficialità ? Misunderstanting? Incapacità organizzativa e comunicativa? Strategia del piffero per eliminare una persona scomoda che metteva troppi puntini sulle i, faceva domande scomode, proponeva meno demagogia e più sostanza? Spero che lo staff di Grillo, ad oggi non è dato sapere chi sia, come i referenti del Direttorio, si facciano sentire. Le regole non le avete rispettate voi, avete mentito e creato discredito gratuito”.
“Allora come la mettiamo? – insiste Fucksia – Rettifichiamo? Facciamo una vera operazione di trasparenza? Cominciamo a dire come stanno le cose? Sarebbe una nota di merito. Perchè sbagliare e correggersi è ammesso, insistere e rilanciare invece è penoso. Io per quanto mi riguarda chiarirò il possibile e lo farò con dovizia di particolari. Toninelli, Giarrusso etc se non avete rispettato le regole immagino vi fermiate da soli vero? Anche nel mio gruppo di Fabriano qualcuno dovrà rispondere! tanto nel Movimento contano le idee, non le persone… Mamma mia che ripulisti che bisogna fare”.
In un altro post Fucksia cita Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che, sottolinea la senatrice, “diceva: ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità . Come pure: la propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità “.
E aggiunge: “a forza di leggere le menzogne dette e scritte questi giorni a ridosso della mia ‘lapidazione’ va a finire che tra un po’, oltre a tanti di voi, queste convinceranno anche me. Operazione mediatica perfetta, calibrata al millimetro, anzi direi al secondo, ma di fatto a rigore solo una palese e voluta distorsione e strumentalizzazione dei fatti. Ho già visto la macchina del fango in azione in passato, su tante epurazioni di colleghi, dove con questa strumentale e becera ‘scusetta dei 4 soldi’ si giustificava ben altro”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 2nd, 2016 Riccardo Fucile
L’ATLETA, MEDAGLIA D’ORO ALLE PARAOLIMPIADI, CITATA DA MATTARELLA NEL SUO DISCORSO DI FINE ANNO, SI RACCONTA
Una delle tre “figure emblematiche” citate da Mattarella durante il discorso di fine anno era davanti alla tv e mentre panettone e torrone affollavano la tavola del Capodanno, lei, Nicole Orlando, ha sentito pronunciare il suo nome.
“Eravamo in montagna, a Bielmonte, sopra Biella, la mia città . Festeggiavamo la fine e il principio. Si giocava, si cenava. Io, mi sono chiesta, ma cosa ho fatto?”
Quattro ori e un argento ai Mondiali Iaasd di atletica, quelli riservati a ragazzi con sindrome di Down. Eppure la sorpresa è stata enorme.
“Non ci pensavo, ma è stata una cosa bella, straordinaria, incredibile”.
La sua foto è stata una delle immagini simbolo del 2015: il podio in Sudafrica, una lacrima che accarezza la guancia, il peluche alzato al cielo, come a coprirsi dal sole.
“Un gesto istintivo, ma che fatica per arrivare lassù, su quel podio. Non dimenticherò mai la vittoria nel lungo, la specialità nella quale meglio mi esprimo. Non sono niente male però nei 100 metri…”.
Si sente un simbolo, un messaggio vivente, una bellissima storia?
“Mi sento una ragazza felice che fa una cosa che le piace, a 22 anni non capita a tanti viaggiare e vincere. I miei genitori, due ex sportivi, mi hanno portato in piscina all’età di un anno, e poi lo sport mi ha preso per mano, ci siamo piaciuti presto, io e lui…”.
E adesso?
“A luglio abbiamo le Olimpiadi Trisome a Firenze, la prima edizione di sempre. Devo allenarmi duro, ho un’agenda fitta, martedì e giovedì atletica, lunedì e venerdì nuoto e tennistavolo. Prima, però, devo rispondere a tutti i messaggi che mi sono arrivati, ci metterò giorni, e il telefono, cavolo, non smette di suonare un attimo”.
Cosimo Cito
(da “la Repubblica”)
argomento: radici e valori | Commenta »