Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
L’ATTIVISTA PER I DIRITTI DEI DISABILI CRITICA SALVINI PER IL SUO COMMENTO SUI FATTI DI ISTANBUL E VIENE COPERTO DI INSULTI RELATIVI ALLA SUA CONDIZIONE: “SPERO CHE I BULLI TI BUCHINO LE GOMME DELLA TUA CARROZZELLA”, “SPERO CHE TU MUOIA”
Matteo Salvini ha dedicato un post su Facebook (mentre su Twitter gli danno dell’assenteista) all’attentato di Istanbul composto dalle seguenti parole “Il kamikaze che ha fatto 10 morti a Istanbul era un 27enne siriano, entrato come “profugo”, che aveva chiesto asilo politico. Intanto in Italia continua ad entrare chiunque…”.
Il post, non l’unico discutibile delle ultime ore, è stato commentato in maniera critica da Iacopo Melio, attivista per i diritti dei disabili molto famoso sul web per la sua campagna #vorreiprendereiltreno, che ha fatto notare “il ragazzo non era siriano, era saudita, semplicemente proveniva dalla Siria. E non con un barcone, ma in aereo”.
Passano pochi minuti e Iacopo, solo per aver dissentito, viene coperto da beceri insulti, molti direttamente rivolti nei confronti della sua condizione fisica: “Io spero che questo Iacopo muoia”, ‘Il signore doveva paralizzarti le mani e non le gambe’, “Provo stima per il bullo che ti buca le ruote della sedia” .
Ma Salvini è all’onore della cronaca anche per il suo assenteismo al parlamento europeo: nella classifica dei presenti alle votazioni è al 60° posto su 73 tra i parlamentari italiani, e al 532° su 751 in assoluto.
Ha buon gioco l’eurodeputato Pd Benifei, commentando la foto di Salvini dal lungomare di Bisceglie, a ironizzare: “Io invece sono a Bruxelles a lavorare, dato che mi pagano per quello…”.
Forse non si ricordava di rivolgersi a uno che non ha mai lavorato in vita sua.
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
ACQUA PUBBLICA: IL PAESE DI ZERI E’ L’UNICO SU 288 AD AVER CONSERVATO LA PROPRIETA’ DELLE RISORSE IDRICHE
Non c’è filo spinato all’inizio della strada, nè ragazzi appostati in attesa dell’invasore in divisa.
Eppure, senza che nessuno lo sappia, i mille abitanti di Zeri hanno iniziato l’anno così come lo hanno finito: facendo resistenza.
Fanno resistenza bevendo, lavandosi, cucinando, pulendo casa, innaffiando, abbeverando gli animali. A Zeri, cioè, i 1096 abitanti usano la loro acqua e i loro acquedotti.
“Loro”, cioè del Comune: nessuna società , nè pubblica nè privata, tocca la loro acqua. Zeri è l’unico Comune su 288 in tutta la Toscana che ha conservato proprietà e gestione diretta delle risorse idriche.
E’ da fine 2004 che vede arrivare le diffide dei sopracciò della Regione, siamo a 7: guardate, amici di Zeri, la legge dice che dovete sganciare tutto, acqua e acquedotti. E loro, quelli di Zeri, niente. Non mollano.
Bevono e si lavano con la loro acqua. Perchè lo dice il referendum stravinto nel 2011, spiegano. Perchè lo dice la Costituzione, insistono.
Il sindaco si chiama Egidio Pedrini, ha 71 anni ed è un ex parlamentare di Udeur e Idv, ma nato tra i giovani democristiani, cresciuto nella sinistra Dc, “irruenta e intellettuale” come dice lui.
Una volta il partito lo sospese con l’accusa di filocomunismo perchè manifestava contro la guerra in Vietnam. Quello che si potrebbe definire un rompicoglioni.
E ora, quasi 50 anni dopo, combatte contro il Pd, fondato dagli eredi di Pci e Dc.
“Se quelli sono di sinistra, io sono vergine — risponde a ilfattoquotidiano.it — Comunisti se ci siete battete un colpo. Democristiani se ci siete battete un colpo. Qui non ci sono più nè i comunisti nè i democristiani. Qui non c’è un cazzo”.
Zeri è il paese più povero della Toscana per reddito pro capite.
Si trova all’incrocio esatto di tre regioni: un metro più in là e c’è la Liguria, un passo più oltre e comincia l’Emilia Romagna.
Per il momento il paese è sotto la provincia di Massa Carrara, che già di loro, tra l’altro, si sentirebbero molto meglio se fossero Massa da una parte e Carrara dall’altra. La gente di Zeri va tenuta nella giusta considerazione: una volta, nel 1799, le truppe di Napoleone che si stavano mangiando l’Emilia si avvicinarono un po’ troppo al paese montano e dovettero scappare fino a Borgotaro per evitare di prenderle dalla guerriglia guidata nientemeno che da un prete.
Il rischio di finire a Borgotaro se lo prende ora la Regione Toscana, guidata da Enrico Rossi, che vuole costringere — armata di legge — a trasferire l’acqua di Zeri alla cosiddetta Autorità d’ambito ottimale e a Gaia, una spa a totale partecipazione pubblica che dal 2005 gestisce i servizi idrici di gran parte dei Comuni tra le aree di Lucca, Pistoia e Massa Carrara, per un totale di 48 amministrazioni (49 meno uno, Zeri).
E da quando è arrivata Gaia, in quei posti, nessuno ha messo i festoni al balcone. Le bollette sono dilatate fino anche a triplicare. In vari paesi sono nati uno dopo l’altro comitati “No Gaia” che hanno messo d’accordo sinistra, destra, centro, sopra e sotto. A Massa, città sanguigna, hanno anche impiccato dei manichini davanti alla sede. “Io non cedo — ripete il sindaco al Tirreno — L’acqua è un bene pubblico e non farò entrare il mio Comune in Gaia. Nemmeno se mi vengono a prendere in catene”.
A Zeri, come in buona parte dei paesi montani, molti abitanti sono vecchi, vivono della sola pensione.
Altri vivono di allevamento, l’agnello zerasco ha l’etichetta Slow food.
E poi, spiega Pedrini, il rischio è che con una crisi ci sia bisogno dell’ingresso di un socio privato e allora ciao acqua pubblica.
Pedrini non ha paura delle battaglie solitarie. Litiga con gli altri sindaci anche per il sistema integrato sui rifiuti per l’alta Toscana, per esempio. Litiga con l’Unione dei Comuni perchè il corpo unico dei vigili urbani fa spendere di più anzichè meno (“e gli autovelox non li voglio, non servono alla sicurezza stradale, ma solo a fare cassa”).
Così sorprende poco, a questo punto del racconto che, con quel suo taglio dei capelli da pentapartito, il sindaco cresciuto nella Dc passi per una specie di rivoluzionario con l’eskimo.
Tifano per lui dal Movimento Cinque Stelle alla Lega Nord passando per Forza Italia. La sinistra tace. “Anch’io ho la mia impostazione politica — disse lui una volta — Ma quando si appartiene a un partito, bisogna sapere che uno è di una parte. Io ho un interesse di tutela maggiore e tutelo il mio territorio: i miei cittadini”.
Ha scritto ai parlamentari: “Sotto ogni profilo intendo tutelare sia i miei cittadini sia il bilancio del mio Comune. Chi vuole privatizzare l’acqua non è nè di sinistra nè di destra, è solo uno speculatore ‘finanziario politico’”.
Ora però le chiacchiere rischiano di stare a zero: la Regione ha dato tempo al Comune di Zeri fino al 22 prossimo. Se entro quella data consegnerà servizio idrico e acquedotti a Gaia, bene. Altrimenti, arriverà il commissario e Zeri dovrà pagare anche quello.
“Mi faranno una multa? Non mi interessa, ne ho già parlato ai miei paesani e siamo pronti a tassarci, a fare una colletta, a fare qualche festa popolare per reperire le risorse. Ho già dato anche mandato ai miei legali perchè, lo ribadisco, non torno indietro. Non sono entrato in Gaia fino ad oggi e non ci entrerò nemmeno ora”.
Solo i Comuni montani con meno di mille abitanti hanno il diritto di tenersi gli acquedotti. E Zeri, di abitanti, ne ha 1096 logorato da quello che il sindaco Pedrini chiama “un saldo negativo di meno trenta l’anno: devo entrare in Gaia e fra tre anni farmi riconsegnare l’acquedotto? Non ci penso nemmeno”.
Un altro po’ di tempo, insomma, potrebbe fare da giudice senz’appello della causa.
Melania Carnevali e Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
LA SCRITTRICE DENUNCIA: “IN RUSSIA LIBRI MESSI AL ROGO”… IL VERO VOLTO DEL NUOVO MITO DELLA DESTRA PATACCARA
Una storia russa: il titolo italiano del nuovo romanzo di Liudmila Ulitskaya, appena pubblicato da Bompiani, è calzante.
È una storia, anzi, tante storie private di amori, tradimenti, prigioni, figli, addii e sogni, tasselli della storia della Russia del ‘900.
È un romanzo a chiave, con personaggi veri e verosimili, ma in filigrana appare inevitabilmente l’attualità . È un romanzo di crescita, in parte autobiografico: Ulitskaya, classe 1943, ha avuto due nonni nel Gulag, ha vissuto il dissenso sovietico, e resta una «dissidente».
È stata tra i pochi a protestare contro la guerra in Ucraina, ha pubblicato libri sulla tolleranza accusati di «propaganda omosessuale», ha avviato un carteggio con Mikhail Khodorkovsky mentre era in carcere, è scesa in piazza, ha firmato ieri un appello per le dimissioni del leader ceceno Ramzan Kadyrov dopo che ha minacciato un deputato. Ed è un romanzo sulla letteratura russa, denso di citazioni e allusioni, che racconta come i libri abbiano cambiato gli individui e la società , con i personaggi che rischiano il carcere per diffondere il samizdat.
Una delle ultime notizie dalla Russia è il rogo, in una biblioteca del Nord, di libri di logica, cultura e filosofia editi dalla Fondazione Soros.
Il «Paese che leggeva più di ogni altro al mondo» ora brucia i libri?
«È un ennesimo sintomo dell’ennesima catastrofe russa, che dura ormai da quasi 100 anni. Per uno studioso il nostro Paese è avvincente, ma è estremamente scomodo da abitare. Forse è proprio al misto di genialità e assurdità che dobbiamo una grande letteratura, una cultura affascinante, il genio scientifico. Il tratto principale del potere russo (sia zarista sia sovietico e postsovietico) è l’ostile diffidenza verso la cultura. Majakovsky si è suicidato, o forse è stato ucciso, Mandelstam è stato fatto marcire in un campo di prigionia, Shostakovich è stato perseguitato, Pasternak cacciato dall’Unione scrittori, Brodsky mandato in esilio. L’intellighenzia dà fastidio. Presto quelli troppo intelligenti, capaci di criticare e di analizzare, di educare e creare, lasceranno questo Paese».
L’intellighenzia si è spaccata sull’Ucraina, come ai tempi sovietici. La storia si ripete?
«La spaccatura dell’intellighenzia russa è nata con lei. “Occidentalisti” e “slavofili”, la stessa linea che la divide oggi, tra chi applaude l’annessione della Crimea e chi la considera un crimine politico. Esiste il mito della “misteriosa anima russa”. Il rifiuto dell’approccio razionale e scientifico ha portato all’idea di una “via speciale”, distinta dalla civiltà europea. Tutto il mondo pensa che dagli errori si impara, ma se gli errori – politici, economici e, ancora più drammatico, morali – vengono invece ritenuti un tratto unico e interessante, il risultato è il degrado».
Chi sono i vecchi e nuovi dissidenti oggi?
«Il movimento di contestazione degli Anni 60-70 è finito nel 1991, e non vedo alcuna parentela. La vecchia guardia mantiene il suo stile, ormai arcaico. La nuova contestazione ha raggiunto l’apice nel 2011, è stata sconfitta e non si è ancora ripresa. Sono rimasti pochi leader inflessibili, come Alexey Navalny, ma è probabile che anche loro finiranno dentro. Penso che questo potere crollerà per motivi economici, per nessun’altra ragione. Non resta che pregare perchè avvenga senza uno spargimento di sangue».
I dissidenti sognavano l’evoluzione della «prima generazione non frustata». Oggi però la libertà sembra tra le ultime ispirazioni dei russi.
«Il filosofo Nikolay Berdiaev diceva che “la libertà è difficile, la schiavitù è più facile”. L’evoluzione non è lineare. La scimmia si è messa a camminare eretta per avere le mani libere, una scelta costata alla nostra specie problemi con l’apparato locomotorio e un parto doloroso. La libertà è legata alla responsabilità . Il regime sovietico ha perseguitato per generazioni chiunque fosse capace di un punto di vista divergente, di un’iniziativa. Una selezione artificiale di umani sottomessi, “comodi”. Per vedere nascere nell’Homo sovieticus il bisogno di libertà bisognerà attendere a lungo. I giovani di oggi, almeno quelli più istruiti, mi piacciono tantissimo, sono migliori di noi, più liberi. Se sostituiranno alla guida del Paese gli uomini dell’ex Kgb, avremo un futuro».
Il suo romanzo s’inizia con la morte di Stalin e i destini dei protagonisti vengono devastati dallo stalinismo. Eppure Stalin resta in cima alle preferenze dei russi
“Ci sono tante cause: sindrome post-traumatica, ricerca di figura paterna, ma anche la propaganda e la nostalgia per la giovinezza nell’Urss. E poi, la pazienza e la docilità di un popolo che ha paura del potere e tende a deificarne i protagonisti, l’abitudine secolare alla povertà , la mancanza di dignità di chi è stato schiavo a lungo. La rivoluzione socialista è accaduta prima di quella borghese, i russi non hanno avuto il tempo di sentirsi cittadini responsabili della propria vita. Una canzone sovietica diceva ”Lenin è sempre vivo, è in me e in te”. Sostituite Lenin con Putin, il senso non cambia. La Russia ha scelto una strada esclusiva, con i mostri della storia russa a illuminarla».
Svetlana Aleksievich ha detto che Putin ha dato voce al popolo, e che ad ascoltarla l’intellighenzia della perestroika rimase atterrita. Condivide?
«Trovo questo personaggio assai poco interessante, piuttosto rozzo, senza troppe complicazioni, ma con grandi doti di politico allevato nei laboratori del Kgb. Ogni polizia segreta è un’organizzazione efferata, con strumenti potenti – celle di tortura, il colpo alla nuca, le vasche di acido – che non portano mai in un posto buono. Anni fa il grande 1984 di George Orwell fu letto come una rivelazione. Sotto la guida del signor Putin non si finisce però nel futuro, ma nel passato, in un nuovo Medioevo».
Il tema dell’antisemitismo è un altro richiamo all’attualità . La propaganda spesso fa l’equazione «ebreo-liberale-nemico», mentre l’essere russi è sinonimo di conformità politica.
«Non percepisco un aumento dell’antisemitismo. Semmai in Francia, a giudicare dalla massiccia emigrazione di ebrei. L’antisemitismo è una sottospecie della xenofobia, facilmente manipolabile. Le classi più basse smisero di odiare gli ebrei per iniziare a odiare i caucasici, ora il sentimento della folla è stato dirottato sugli ucraini. È un rischioso esperimento sociale, con risultati imprevedibili ma inevitabilmente catastrofici. Gli ebrei resteranno nella lista dei nemici immaginari, ma oggi non sono loro a guidarla: ci sono l’America, l’Isis, l’Ucraina, male che vada gli omosessuali».
Come vede la Russia e l’Ucraina tra 5-10 anni?
«Ci vorrà più di una generazione. Da entrambi i lati di questa nuova frontiera resta chi tenta di conservare il legame culturale tra i due popoli. È l’unica cosa che oggi si possa fare».
Anna Zafesova
(da “La Stampa”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
IL 13% DEGLI ELETTORI GRILLINI PENSA CHE IL CASO QUARTO AVRA’ RIPERCUSSIONI ALLE URNE… CONSENSI IN CALO DELL’1%, MA POTREBBE ESSERE SOLO L’INIZIO
Tra i tanti articoli e commenti che hanno accompagnato l’inchiesta di Quarto affiora una sorta di equivalenza tra quanto sta avvenendo al Movimento 5 Stelle e quanto avvenne alla Lega nel 2012 con lo scandalo che ha visto coinvolto il tesoriere Belsito o all’Italia dei valori, nello stesso anno, dopo la famosa puntata di Report o la successiva inchiesta che ha riguardato il segretario regionale del Lazio Maruccio.
Queste vicende hanno fatto segnare una sorta di perdita dell’innocenza di due partiti che avevano fatto dell’integrità e della denuncia del malaffare un vero e proprio tratto distintivo, coagulando consenso e voti.
Ma è veramente così anche per il M5S?
È presto per dirlo e i nostri sondaggi sugli orientamenti di voto non fanno registrare significativi cambiamenti: il Movimento si mantiene stabilmente al secondo posto, sebbene in calo di poco meno dell’1% (da 29,1 di dicembre al 28,3% odierno).
Senza dubbio l’inchiesta di Quarto ha avuto un’elevata risonanza ed è stata seguita con più o meno attenzione dal 60% degli italiani a cui si aggiunge un 30% che ne ha almeno sentito parlare. Solo il 9% ignora la questione.
Oltre un intervistato su due (54%) ritiene che la vicenda abbia visto coinvolto solamente il sindaco Rosa Capuozzo e qualche singolo esponente del movimento, mentre il 15% è decisamente più critico ed è convinto che nel complesso tutto il movimento sia coinvolto (tra gli elettori del Pd, di Forza Italia e delle liste di centro all’incirca uno su quattro è di questo parere), mentre l’8% considera del tutto estranei gli esponenti del movimento e il 23% non si esprime.
Le opinioni degli italiani si dividono sul giudizio dato alle modalità con cui il Movimento ha reagito alla vicenda di Quarto: il 39% si mostra critico mentre il 33% considera le reazioni positive e il 28% non si esprime in proposito.
L’elettorato grillino non appare molto coeso, infatti uno su tre si mostra critico (15%) o non si esprime (19%).
Anche riguardo alle prospettive future del Movimento le valutazioni si dividono: prevale l’opinione di coloro che ritengono che questa inchiesta avrà ripercussioni sulle scelte degli elettori, perchè ha mostrato che il M5S sta diventando come gli altri partiti (44%). Persino una parte degli elettori pentastellati (13%) ne è convinta.
Al contrario il 37% degli intervistati (e circa tre elettori su quattro del M5S) ritiene che si tratti di una vicenda locale che sarà presto dimenticata e non avrà conseguenze in termini elettorali.
Nel valutare i riflessi sul futuro del M5S è opportuno sottolineare che la forte crescita del consenso registrata in tutto il 2015 ha preso avvio proprio con lo sviluppo dell’inchiesta Mafia Capitale che ha messo in luce non soltanto il radicamento e l’estensione del fenomeno della corruzione, ma anche la collusione tra esponenti di partiti avversari i quali, a fronte di una (apparente) contrapposizione quotidiana, in realtà facevano accordi per la spartizione degli appalti, trasformando il conflitto politico in una sorta di match di wrestling dove i colpi sono palesemente finti ma gli atleti-attori fanno credere che non lo siano.
Mafia Capitale era l’ultima di una serie di indagini giudiziarie che negli ultimi anni hanno contribuito ad affermare la convinzione, largamente diffusa, che la corruzione sia un male inestirpabile del nostro Paese e che tutti i soggetti politici siano coinvolti.
Tutti, con la sola eccezione del M5S, che fin dal suo esordio si è garantito il brand dell’integrità , sia per l’oggettiva estraneità a episodi criminosi, sia per lo stile adottato, basato sulla trasparenza (lo streaming delle riunioni istituzionali, in primis), la rendicontazione ai cittadini, l’attenzione ai costi della politica, la restituzione di parte delle indennità parlamentari, l’intransigenza che ha portato a svariate espulsioni di esponenti dal Movimento, suscitando scalpore e critiche ma rafforzando nel contempo il valore della coerenza.
Per questo motivo la vicenda di Quarto è investita di un elevato valore simbolico e rischia di far perdere al Movimento la sua distintività , non tanto per l’inedito coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria, quanto per la gestione della crisi che ha mostrato più di una incoerenza rispetto allo stile e alle prassi di questo soggetto politico.
Basti pensare alla decisione di espellere il sindaco Capuozzo dopo averlo inizialmente difeso e senza consultare la base attraverso la rete, alla scelta di partecipare a programmi televisivi di attualità (un tempo invisi e vituperati) per chiarire la vicenda, alla minaccia di querele, agli argomenti utilizzati, non dissimili da quelli a cui hanno fatto ricorso esponenti di altri partiti in situazioni analoghe.
E in questa fase nella quale il Movimento ha ampliato significativamente il proprio consenso, ha assunto decisioni importanti e mostra sempre più la volontà di poter assumere a livello locale e nazionale responsabilità di governo, il vero rischio non è rappresentato dal processo di istituzionalizzazione ma da quello dell’omologazione agli altri partiti.
La gestione di questa crisi sembra quindi decisiva in termini di immagine e di posizionamento, prima ancora che di voti.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
PARLA IL VICESINDACO DI QUARTO CHE HA ASSISTITO AI COLLOQUI: “CON FICO C’ERANO ANCHE DI MAIO E SIBILIA: NON CI HA MAI MESSI IN GUARDIA E NOI LO AVEVAMO INFORMATO”
Sono stati tre gli incontri successivi alla sua audizione del 25 novembre da parte del pm Henry John Woodcock tra il sindaco Rosa Capuozzo e Roberto Fico.
Il primo è stato ricostruito nei verbali di interrogatorio pubblicati il 16 dicembre dalle agenzie.
Gli altri due sono stati ricostruiti dal Fatto grazie al vicesindaco di Quarto, Andrea Perotti, che ha partecipato a tutti e tre gli incontri, e allo stesso Fico.
Le versioni coincidono in gran parte e permettono di ricostruire così il processo di acquisizione delle conoscenze su Quarto da parte del vertice M5S.
Negli ultimi due incontri, a casa di Fico a Posillipo, erano presenti oltre al padrone di casa altri due parlamentari del direttorio: Carlo Sibilia e Luigi Di Maio.
Il 1° dicembre Fico, Capuozzo e il suo vice sono al bar di piazza Amedeo a Napoli. “Abbiamo raccontato a Fico che il 25 novembre il sindaco era stato sentito dal pm Woodcock e che le avevano posto domande su De Robbio”, spiega il vicesindaco Perotti. La questione è delicata.
Le persone informate dei fatti non dovrebbero parlare del contenuto degli atti istruttori.
Fico, quando è stato sentito dal pm Woodcock, ha detto di non ricordare se quel giorno al bar entrarono nel merito del contenuto dell’audizione.
Il punto è importante. I pm il 25 novembre avevano fatto domande al sindaco anche sulla sua conoscenza dei precedenti di Alfonso Cesarano, legato secondo i pm al clan Polverino.
La consapevolezza da parte di Fico dell’esistenza di un’indagine sui rapporti elettorali tra Cesarano e De Robbio, già il 1° dicembre avrebbe dovuto indurre il M5S a una reazione più forte rispetto alla mera sospensione di De Robbio.
Sul punto Fico non ricorda.
Perotti dice: “Fu un incontro veloce e mi pare di ricordare che Capuozzo accennò vagamente a Cesarano aggiungendo però che lei stessa non conosceva bene la sua storia”.
Comunque, dopo quell’incontro al bar, Fico sa che i pm si interessano di De Robbio e di come ha preso i voti.
Anche per questo il M5S, spiega Fico, matura la scelta della sospensione-espulsione. Le ragioni formali (probabilmente per tutelare il segreto investigativo e l’immagine del M5S) sono quelle della vicenda dello stadio di Quarto ma oggi sappiamo che la verità è un’altra.
Il punto è che in quell’incontro al bar, Fico apprende anche alcuni dettagli preoccupanti sulla vicenda del presunto abuso edilizio nella casa (in cui abita il sindaco) di proprietà della famiglia del marito.
“Rosa Capuozzo”, racconta il vicesindaco Perotti, “non parlò mai di minacce ma spiegò a Fico la vicenda e gli disse che De Robbio le aveva mostrato velocemente le foto della sua casa sul telefonino”.
Foto che poi formarono parte del dossier spedito a ottobre ai consiglieri e ai giornali che poi uscirà sul Mattino di Napoli a novembre.
Il vicesindaco e Fico sostengono in coro di non avere capito che potesse esserci un ricatto. “Rosa raccontò a Fico — prosegue Perotti — anche la storia della relazione del geometra Luciano Opera”. Cioè quella che attestava l’esistenza solo di un sottotetto e non di un’abitazione dopo la scadenza dei termini, nel 2003, del condono.
Quella relazione, per i carabinieri, è un’arma di ricatto. Il sindaco disse a Fico che De Robbio le aveva detto di dare un incarico al geometra Intemerato, cioè quello che conservava le foto del presunto abuso?
Fico non ricorda. Il vicesindaco Perotti risponde al Fatto “Sì. Mi pare che lo disse ma lei non ha mai detto a Fico che si sentiva minacciata. Lei sostiene ancora oggi che non ha nulla da temere su questa casa e anche io la penso così. De Robbio le diceva: ‘tu sei il mio sindaco e io ti difenderò sempre’. Non ha mai detto: ‘se non fai questa cosa io tiro fuori queste foto’”.
Ma non le sembrò strano che De Robbio prima ricordasse a Rosa Capuozzo che quel professionista aveva le foto in cassaforte che potevano inguaiare il marito (ora indagato) e poi gli chiedesse di dargli un incarico?
Perotti replica: “Non lo sapevo. De Robbio ci disse di lasciarlo solo con il sindaco e Intemerato e noi uscimmo dalla stanza”.
Ma lo avete raccontato a Fico?
Perotti risponde “Mi sembra di sì. Lui ascoltava i fatti ma non esprimeva giudizi. Fico allora non ha mai detto: ‘fai attenzione questa potrebbe essere una minaccia o qualcosa di simile’”.
Dopo quell’incontro Roberto Fico incontra altre due volte il sindaco e il suo vice nella sua casa di Posillipo.
“La prima volta sono venuti il giorno dopo l’uscita delle intercettazioni sul Fatto Quotidiano, il 23 dicembre, articolo di Vincenzo Iurillo.
Era la vigilia di Natale”, spiega al Fatto Roberto Fico “c’era anche Carlo Sibilia (del direttorio, ndr) con me e solo allora parlammo anche dei rapporti di De Robbio, che avevamo già espulso, con Alfonso Cesarano. Io dissi: ‘ma vi rendete conto che è quello che ha fatto i funerali dei Casamonica’”.
Poi ci fu un secondo incontro. “Il 28 dicembre”, prosegue Fico, “ci siamo incontrati a casa mia e questa volta era presente oltre a Carlo Sibilia anche Luigi Di Maio”.
Invece Perotti pensa che il direttorio abbia sbagliato: “Mi sento come un figlio schiaffeggiato e poi abbandonato dal padre che ora va in giro a parlare male di me in tv. Fico allora non ci ha mai messo in guardia e noi lo avevamo informato. Oggi io voglio che lui, Di Maio, Sibilia, Grillo e Casaleggio vengano a Quarto a fare una manifestazione con noi”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
MICHEL ERA IL FIGLIO DEL TITOLARE DEL “CAPPUCCINO”, GAETANO SANTOMENA… IL CORDOGLIO DELLE ISTITUZIONI
Una vittima italiana nell’assalto di al Qaeda di venerdì a Ouagadougou in Burkina Faso. Si tratta del piccolo Michel Santomenna di 9 anni.
“E’ il figlio minore di circa 9 anni del titolare italiano del ristorante ‘Cappuccino’, signor Gaetano Santomenna – fa sapere la Farnesina – si trovava all’interno del locale al momento dell’assalto insieme a sua madre, cittadina straniera. Il piccolo è morto insieme alla madre e altri parenti. Sono in corso accertamenti da parte delle autorità del Burkina Faso”.
L’Unità di Crisi, il Console Onorario a Ouagadougou e l’Ambasciatore d’Italia ad Abidjan, Alfonso Di Riso, che si è recato sul posto, stanno prestando assistenza al nostro connazionale, fa sapere la Farnesina.
“L’Italia – conclude la nota – continuerà la propria azione affinchè la comunità internazionale resti unita ed intensifichi gli sforzi per contrastare la minaccia del terrorismo, che ancora una volta mostra il suo volto più disumano e crudele nel prendere di mira civili indifesi: uomini e donne di ogni nazionalità e, ancor più tragicamente, bambini”.
“Un crimine orrendo. Italia vicina al padre Gaetano”. Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Per il premier Matteo Renzi: “Da padre, prima ancora che da premier, non ci sono parole per dire il dolore e il cordoglio di tutta l’Italia per questa morte, quella di una giovane vita recisa dall’odio”.
(da agenzie)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO AVER ACCOLTO OLTRE UN MILIONE DI PROFUGHI, LA GERMANIA NEL 2016 SI PROPONE DI CONTENERE I NUOVI ARRIVI A 500.000
Non saranno i fatti della notte di capodanno a Colonia a fare fallire la politica sui rifugiati della Germania. E a fare cadere Angela Merkel.
A decidere «saranno i numeri», ha scritto su Politico (Europa) Timo Lochocki, un analista del German Marshall Fund of the United States.
Al momento, sembra che la situazione sia proprio questa. Nonostante la gravità e la qualità odiosa delle aggressioni di Colonia, i tedeschi non hanno sostanzialmente cambiato opinione sul modo di accogliere i profughi che chiedono asilo.
Nei sondaggi più recenti, condotti giovedì scorso, l’ 84% degli elettori potenziali dichiarava che oggi voterebbe per uno dei partiti – di sinistra o di centrodestra – che sono, in diversi gradi, favorevoli a una politica di porte aperte.
Il 16% rimanente è una quota modesta: il 29% dei britannici, per dire, dice di condividere le politiche di chiusura sostenute dagli indipendentisti dell’Ukip e almeno il 50% degli italiani al momento voterebbe per 5 Stelle, Lega,Forza Italia e destra, partiti che criticano le aperture tedesche.
Le scelte della Germania, dunque, non saranno decise dall’emozione di Colonia. Piuttosto, da alcuni numeri.
Innanzitutto, da quanti profughi arriveranno nel 2016. L’anno scorso ne sono arrivati 1,1 milioni . Pur senza mettere un tetto, il governo spera di limitarli a 500 mila quest’anno, grazie ad accordi con Turchia e Giordania, controlli alle frontiere esterne della Ue e i famosi hot spot.
Non sarà facile, l’Europa finora non ha seguito la cancelliera Merkel: ma questa è la sfida.
Secondo, il denaro, cioè le risorse per sostenere i costi di integrazione: mantenimento dei profughi, alloggi, sanità , scuole, nuovi insegnanti, costruzioni.
Nel 2015, la Germania ha registrato un surplus del bilancio pubblico stimato al momento attorno allo 0,5% del Pil , più o meno 15 miliardi .
I costi per l’assistenza ai rifugiati calcolati da parecchi centri di studio sono tra i 13 e i 18 miliardi per il 2016.
Questo è il maggiore elemento di forza della politica di Frau Merkel nei confronti degli immigrati: avere conti pubblici che consentono al governo di gestire la situazione.
È l’importanza del bilancio sano nei momenti di emergenza, in un mondo che ne promette molte. Se Berlino avesse avuto un deficit e un debito pubblici alti, probabilmente a questo punto avrebbe già chiuso le frontiere. E addio Schengen. Questi sono i numeri che guarda la cancelliera.
Danilo Taino
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
UNIONI CIVILI: E’ NORMALE CHE I CITTADINI SI RIVOLGANO AI LORO RAPPRESENTANTI ALLA LUCE DEL SOLE
C’è qualcosa di francamente disgustoso nelle accuse di squadrismo lanciate contro il sito Gay.it.
Mettere online i nomi e i volti di un gruppo di parlamentari pd invitando, chi lo ritiene, a inviare loro una email per chiedere di cambiare opinione sulle stepchild adoption non è fascismo, ma democrazia.
Da sempre, nei paesi in cui i cittadini contano ancora qualcosa, gli elettori si rivolgono direttamente ai loro rappresentanti per spingerli a prendere delle decisioni in un senso o nell’altro.
Nascono così le grandi campagne per i diritti civili, per la preservazione dell’ambiente, per la giustizia e l’eguaglianza.
Si raccolgono firme, si manifesta, si scrive ai singoli deputati e senatori. Tutto avviene, esattamente come è accaduto in questo caso, alla luce del sole. E l’unico rischio che un politico (non italiano) sente di correre è quello di perdere voti e di non essere rieletto.
Da noi però i parlamentari vengono nominati dalle segreterie dei partiti e lo saranno, almeno nel 65 per cento dei casi, anche quando entrerà in vigore la nuova legge elettorale.
Gli elettori per i nostri sedicenti rappresentanti dei cittadini sono un optional, o meglio un fastidio. Anche perchè al confronto con loro chi fa politica non è più abituato.
Così l’elenco degli indirizzi email dei contrari alla stepchild adoption che, con la propria scelta, mettono in forse la legge sulle unioni civili diventa “una lista di proscrizione” per il senatore Giorgio Tonini, anzi “un atto irresponsabile che richiama alla mente lontani fantasmi”.
Mentre per il suo collega Andrea Marcucci pubblicare in Rete foto, nomi e caselle di posta elettronica è stata “un’iniziativa grave e illiberale”. O per dirla con l’ex dalemiano Nicola Latorre “una decimazione”.
Intendiamoci, esistono molti italiani che la pensano in maniera diametralmente opposta rispetto agli attivisti di Gay.it. E hanno tutto il diritto di farlo. A
nche loro possono, se vogliono, scrivere ai singoli parlamentari, pubblicare in Internet gli elenchi di chi si appresta a votare in favore delle nuove norme o manifestare contro la legge, come era accaduto in occasione del Family Day di berlusconiana memoria.
E se lo facessero ora, secondo noi, nessuno dovrebbe parlare di “gogna” come ha per esempio fatto ieri, riferendosi a Gay.it un sorprendente Sebastiano Messina su Repubblica.
A meno che il progetto futuro non sia quello di secretare direttamente i lavori del Parlamento. Di ufficializzare il potere della Casta passando finalmente e senza più ipocriti infingimenti dalla democrazia all’oligarchia.
Non per niente, mentre si protesta per gli inviti a scrivere ai singoli parlamentari, tutto, o quasi, tace sul fronte della legge che dovrebbe finalmente regolamentare l’attività delle lobby.
Come è noto, nell’opacità più assoluta, le Camere si trasformano sempre in un Suq quando vengono discussi provvedimenti riguardanti grandi gruppi finanziari o industriali.
Con lobbisti non iscritti a nessun registro che in maniera totalmente anonima, e fuori da ogni controllo, contattano deputati e senatori e passano loro gli emendamenti richiesti da gruppi del tabacco, assicurativi, farmaceutici e del gioco d’azzardo, da produttori di armi o società petrolifere.
In ottobre anche l’Antitrust ha denunciato il ritardo nell’approvazione di una regolamentazione utile per prevenire corruzione e conflitti di interesse. Ma da allora non si è mosso nulla. Perchè al manovratore la trasparenza non piace.
E quando c’è grida allo “squadrismo” e alla “gogna arcobaleno”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
FIDARSI DELLO STATO E’ ORMAI UN ATTO DI FEDE
A Torino ci sono più omertosi che a Locri, lamentano i bravi carabinieri che hanno sgominato un clan della ‘ndrangheta con la sola forza delle intercettazioni, senza potere contare sulla collaborazione delle vittime.
Imprenditori e piccoli commercianti hanno continuato a pagare persino dopo avere negato sotto interrogatorio di farlo.
Il pistolotto etico è in agguato, ma non me la sento di puntare il dito contro persone terrorizzate e sfiduciate.
In questo caso l’omertà non mi sembra figlia della collusione, ma della paura.
Come reagirebbe chiunque di noi se ricevesse a casa una testa mozzata di maiale, corredata dalla minaccia «paga o la prossima sarà la tua?».
Pagherebbe, impegnando anche la catenina d’oro dei figli, come hanno fatto loro.
Gli eroi sono sempre bene accetti, però nessuno può chiedere a una comunità dosi di coraggio superiori alle sue forze. Il silenzio omertoso non dipende da un’indole remissiva degli abitanti di Torino o di qualsiasi altra città . Dipende dalla percezione del pericolo.
Dalla sfacciataggine dei mafiosi che incassano impunemente il pizzo nei bar accanto al tribunale.
Dalla certezza che, in virtù di leggi appiccicose, una denuncia può portare alla cattura dei criminali ma raramente a una loro reclusione prolungata. Con il rischio di ritrovarseli addosso, più furibondi ed esigenti di prima.
Fidarsi dello Stato italiano è un atto di fede che avrebbe bisogno del supporto di qualche miracolo.
Per esempio che gli arrestati di ieri non si ripresentassero al bar già domani.
Massimo Gramellini
(da “la Stampa”)
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