Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
LA RABBIA DEL PREMIER PER LA DICHIARAZIONE DELL’ALTO COMMISSARIO: “E’ STUPIDO CREARE DIVISIONI IN SENO ALL’EUROPA”
A Palazzo Chigi l’allarme rosso era scattato da ormai quattro ore, ma nel suo studio Matteo Renzi continuava ad essere di umor nero, ancora incerto su come calibrare la sua reazione all’intemerata di Jean-Claude Juncker: in questo agitato contesto un collaboratore ha segnalato al capo del governo la dichiarazione di Federica Mogherini, Alto rappresentante europeo per la politica estera.
Renzi ha iniziato a leggere le parole della Mogherini: «È stupido creare divisioni in seno all’Europa. In Europa abbiamo bisogno di essere uniti di fronte alle tante crisi».
Renzi, con uno sguardo nel quale lo stupore è stato soppiantato dalla rabbia, ha continuato la lettura: «In Europa c’è tanto che possiamo fare soltanto se siamo uniti. L’Italia è un grande paese europeo. L’Italia ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno dell’Italia».
Il presidente del Consiglio, diffidente di natura, non ha avuto più dubbi, scorrendo una dichiarazione subito bollata come pilatesca: «Ma con chi sta Federica? Invece di avvisarci su quel che si muove in Commissione, sui principali dossier fa queste dichiarazioni!». Renzi è un fiume in piena e la “schiuma” polemica si muove tutta attorno allo stesso concetto: nel momento in cui il governo avrebbe bisogno di un pubblico sostegno, la rappresentante italiana in Commissione si defila.
L’analisi che a caldo facevano a palazzo Chigi è inesprimibile in pubblico: davanti ad un conflitto così aspro e personale tra il capo della Commissione europea e il capo di uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea, Federica Mogherini si è lasciata “assorbire” dagli euro-leader, Juncker in testa, tralasciando di curare gli interessi dell’Italia.
Come dimostra la storia dell’Ue: i commissari di tutti i Paesi svolgono un mandato europeo, ma senza mai perdere di vista gli interessi nazionali.
L’irritazione di Renzi è moltiplicata dal fatto che, ai tempi delle nomine europee, è stato lui a volere Federica Mogherini e a battersi perchè la spuntasse.
Ma oramai da mesi il feeling si è rotto e, a parte le occasioni pubbliche, i due non si parlano a tu per tu da quasi un anno.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO DELLE FINANZE: “SERVE UNA STRATEGIA, NON RIVENDICAZIONI SPICCIOLE, OCCORRE PUNTARE SUGLI INVESTIMENTI”… “IL JOBS ACT NON SERVE, SI DEVE RILANCIARE LA CRESCITA E COLPIRE L’EVASIONE”
«Lo scontro tra il governo italiano e Bruxelles va avanti da tempo, ma ora sta prendendo una piega pericolosa. Secondo me Renzi può aver ragione sulla questione dell’oleodotto e delle banche, ma sbaglia sulla flessibilità : in questo caso mi pare più corretta la posizione di Junker».
Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze e presidente del Nens, ritiene che il nostro esecutivo abbia sbagliato a impostare i rapporti con la Ue «fin dal semestre italiano».
E oggi, nonostante quello che ci avrebbe potuto insegnare il caso Tsipras, e dopo numerosi tira e molla sulla flessibilità , siamo arrivati al conflitto aperto.
Insomma lo scontro con Junker non era inaspettato.
È una situazione che va avanti da un po’. Va detto che Renzi ha anche il suo carattere, ma a Bruxelles, dove i rapporti sono almeno in apparenza più felpati e politically correct, le sue uscite vengono percepite come atteggiamenti di prepotenza. A parte la forma, comunque, direi che ci dovremmo muovere in altro modo anche nella sostanza, nella gestione dei nostri contenuti. Servirebbe un dibattito più pacato, le rivendicazioni spicciole non sono utili, ci vuole una strategia.
Che tipo di strategia? Il governo in cosa sbaglierebbe?
Renzi ha delle ragioni, non tanto sulla flessibilità , di cui abbiamo usufruito, ma su altro: la questione dell’oleodotto nel Mare del Nord, la vicenda delle banche. Quando era cominciato il semestre italiano, non bisognava andare a Bruxelles a chiedere flessibilità , ma porre in modo pacato una discussione su tutta la politica economica della Ue: contestare l’atteggiamento con cui è stata trattata la Grecia, o, come fa oggi lo stesso Renzi, ispirarsi all’esempio degli Usa, che hanno fronteggiato efficacemente la crisi. Al contrario, abbiamo subito quanto deciso dalla Germania, e questo ha portato tutto il continente a una doppia recessione. Il ministro Padoan andò a fare il suo giro nelle cancellerie, come avviene a chi guida il semestre, ma dopo l’incontro con Schauble disse che c’era «piena identità di vedute tra Italia e Germania». Sappiamo che non è mai stato così: le linee equivoche non ci giovano.
La flessibilità poi però è arrivata. Non è merito di Renzi?
È vero, l’abbiamo ottenuta, ma lì ha ragione Junker: perchè è stata una scelta anche dovuta alla nuova maggioranza che si era creata in Europa, e noi ne abbiamo beneficiato. Il problema di fondo è che l’Italia deve sapersi creare delle alleanze, con una strategia: da soli non possiamo fare la voce grossa, in quanto non abbiamo mai risolto i nostri problemi di finanza pubblica. Dobbiamo proseguire nel risanamento, serve più crescita, produttività , riforme strutturali. Poi nel Nord Europa e a Bruxelles ci sono pregiudizi radicati nei nostri confronti, e spesso non sono del tutto ingiustificati: siamo visti come bugiardi, inaffidabili, spendaccioni. Mentre i nostri funzionari quasi si vergognano a difendere gli interessi nazionali. Perciò serve, da parte del nostro premier, risolutezza, ma anche prudenza e consapevolezza.
Sulla vicenda delle banche ce la siamo cavata meglio?
In questo caso ha maggiori responsabilità il governo precedente, che non avrebbe dovuto accettare la retroattività del bail in. Adesso si sta tentando quel che si può, ma ricordiamo che il nostro sistema bancario ha dimostrato grande stabilità quando, nel pieno della crisi finanziaria, crollavano gli istituti tedeschi, francesi, olandesi. Le banche coinvolte oggi rappresentano soltanto l’1% dei depositi, e hanno avuto difficoltà non perchè piene di titoli tossici, ma perchè erano in rapporto con le imprese più coinvolte dalla crisi economica, quelle di provincia, più periferiche. Quando perdi 10 punti di Pil in pochi anni, può accadere che alcune banche vadano in sofferenza: il problema è che poi sono state colpite famiglie di piccoli risparmiatori, e c’è stato il suicidio, il quadro si è drammatizzato con ricadute sociali.
Banca d’Italia e Consob hanno agito bene?
Hanno responsabilità diverse: la Banca d’Italia sovrintende alla stabilità del sistema, e mi sembra che l’abbia saputa garantire. Diverso per chi dovrebbe controllare la trasparenza, che qui mi pare sia mancata.
Come giudica la legge di Stabilità ?
Vedo una miriade di microinterventi, che servono più che altro a creare consenso presso alcuni settori elettorali. La manovra non è espansiva: sono tagli di spese e di tasse il cui saldo va quasi a zero. Io avrei concentrato le risorse sugli investimenti: se riduci le tasse, come moltiplicatore hai tra lo 0,8 e l’1, mentre se fai gli investimenti giusti, puoi andare dall’1,5 al 3.
Potrebbe servire firmare i contratti pubblici?
I prezzi non sono aumentati negli ultimi anni, e siamo stati in regime di stretta di bilancio: che senso avrebbe dare aumenti salariali ai dipendenti pubblici? Le priorità sono dove c’è più bisogno: la povertà , e prima di tutto chi ha perso il lavoro. Ci sono ampi spazi di miglioramento per gli ammortizzatori sociali.
Gli incentivi alle assunzioni, al Jobs Act, non bastano?
Sono costati molto, e hanno aiutato a stabilizzare alcuni contratti: ma per creare nuova occupazione serve la crescita dell’economia. Servono investimenti.
E la lotta all’evasione? Secondo Renzi funziona.
Io non vedo nuove misure anti evasione. Nella legge di Stabilità di fine 2014 avevano applicato due sistemi suggeriti dal Rapporto Nens: il reverse charge e lo split payment, che a detto dello stesso Renzi hanno funzionato. Noi però avevamo suggerito anche la comunicazione telematica in automatico, al cliente e all’amministrazione finanziaria, dei dati contenuti nelle fatture: frutterebbe 40 miliardi in tre anni, agendo direttamente nella catena dell’Iva. Ma non si è fatto. Per la lotta all’evasione, ci deve essere una seria volontà politica.
Antonio Sciotto
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
E’ IL SOSPETTO DELLE CANCELLERIE EUROPEE
Un sospetto si aggira per l’Europa: e se Renzi avesse deciso di attaccare l’Unione pensando di anticipare il voto nel 2017, e usando toni che attecchiscono sull’elettorato?
Il sospetto ha preso corpo a Berlino, sta dentro una domanda: «Warum?». «Perchè?», si chiede Manfred Weber.
«Perchè il vostro presidente del Consiglio ha assunto questo atteggiamento?».
Così esordisce da giorni il capogruppo del Ppe con i suoi interlocutori italiani. E nei conversari riservati non è sfuggito il modo in cui il falco tedesco ha coniugato i verbi: ha usato il singolare per confidare di essere rimasto «spiazzato» dalle mosse di Renzi; è passato al plurale per aggiungere che «non ce lo aspettavamo».
Weber è considerato la sentinella di Angela Merkel nelle istituzioni europee, oltre che grande elettore di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione.
Per quanto conosca la politica per averla praticata nella Csu bavarese prima che a Strasburgo, fatica a districarsi nelle dinamiche machiavelliche, distanti dalla linearità teutonica: «Non capisco. Davvero, sono incomprensibili queste ripetute dichiarazioni fortemente critiche del vostro capo di governo, a fronte dell’atteggiamento positivo della Commissione».
Weber parte dal presupposto che «concessioni al governo italiano ne sono state fatte». Arriva a dire che «in varie occasioni è stata dimostrata grande disponibilità , anche per contrastare il pericolo dei partiti populisti in Europa».
È un punto delicato quello che tocca il capogruppo del Ppe, perchè rivendica alla Commissione e all’Europarlamento il merito di voler salvaguardare l’Italia da un fenomeno già presente in altri Paesi.
«Noi stiamo dando una mano. Siamo tutti aperti. E comunque Renzi deve capire che non può pensare di risolvere i problemi italiani con la flessibilità in Europa. Invece che fa? Attacca Juncker e Merkel. È inconcepibile».
«Warum?», si chiede allora Weber. «Perchè?», va chiedendo nei suoi colloqui, così da farsi un’idea sulle reali intenzioni del premier italiano.
E c’è un motivo se nelle conversazioni evoca il rischio che Roma finisca per restare isolata nel consesso europeo.
Il politico tedesco l’ha fatto sempre in modo indiretto, senza mai esporsi. L’altro giorno ha citato l’intervista concessa alla Stampa dal commissario Ue all’Economia, Pierre Moscovici, che sulla flessibilità ha invitato l’Italia a «rispettare le regole»: «Avete letto cosa ha detto? E lui è un socialista, proprio come Renzi».
«Non capisco. Siamo preoccupati per l’Italia». Il passaggio al plurale nell’uso dei verbi non sembra mai casuale, almeno questa è la sensazione e l’interpretazione di quanti parlano con Weber.
Lo scontro tra Renzi e Juncker non sembrerebbe un buon viatico per l’incontro del presidente del Consiglio italiano con la Cancelliera tedesca, e i timori degli uomini di Renzi – a Roma come a Bruxelles – superano il muro della riservatezza: quanto a lungo si può reggere un simile braccio di ferro? Quanto c’è da guadagnare e quanto da perdere? L’esortazione del premier è di «finirla con i complessi di inferiorità »: lui si sente «in sintonia con il Paese»
Se così stanno le cose, se per il leader del Pd è l’Europa – non Grillo nè Salvini – la sua vera opposizione, lo stress-test con Bruxelles potrebbe arrivare a un punto di rottura. «Questo non è il modo di comportarsi», ripete Weber cercando una password per comprendere la vera strategia di Renzi. Nel gioco costi-benefici c’è un evidente squilibrio per l’Italia. Nel 2017, peraltro, andranno a scadenza cambiali europee molto pesanti, con le clausole di salvaguardia che somigliano ad altrettante spade di Damocle, con l’obbligo di realizzare una crescita straordinaria per evitare una pesante manovra correttiva.
«A meno che…». Ecco come il sospetto prende corpo.
«A meno che» Renzi non pensi di andare alle elezioni anticipate proprio nel 2017, sull’onda della vittoria al referendum costituzionale. Il premier italiano ha sempre smentito questa ipotesi, e Weber non può che prendere per buone le sue dichiarazioni, anche se finora non ha trovato risposte valide ai suoi «Warum?».
Introducendo questa variabile, invece, «allora capirei».
Andando alle urne con l’Europa come opposizione, il segretario del Pd toglierebbe benzina alla campagna elettorale dei suoi avversari.
«Ma certe cose possono farle piccoli leader di piccoli Paesi», aggiunge di scatto il capogruppo del Ppe, come a volersi destare da un incubo, come a voler allontanare da sè quel sospetto: «Il vostro presidente del Consiglio guida uno dei Paesi fondatori dell’Unione ed è anche il leader della maggiore forza politica del Partito socialista europeo. Se anche lui si mette a usare toni populisti…».
Weber finora non ha trovato risposte ai suoi «Warum?».
Gli resta un dubbio.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 17th, 2016 Riccardo Fucile
LO SDEGNO DEI NAPOLETANI ONESTI DEVE DIVENTARE UNA BATTAGLIA PER LA LIBERTA’….NON BASTA AUSPICARE “MENO STATO” SE E’ ASSENTE “IL SENSO DELLO STATO”
“Orgoglio Partenopeo”. Riscatto meridionale”. Rinascimento Italiano”. “Napoli Capitale”… Sono tutte, allo stesso tempo, sintesi di appartenenza territoriale, di identità territoriale, ma anche di possibile visione…
Gli uomini rappresentano la più grande “contraddizione vivente”. Propugnano tutti la libertà . E’ bene che si desidera più d’ogni altra cosa, eppure, nel momento stesso in cui la si vuole, la “si disegna” e la si la postula – quasi costantemente – come quid spendibile soltanto all’interno di un gruppo specificatamente dato.
Stato. Associazione. “Moto spontaneo”. La formula conta poco. Ma cercando di andare oltre…
Quelli della Camorra e degli intrecci tra la stessa ed il mondo politico, da una parte, e quello affaristico, dall’altro, sono stati temi sempre ampiamente dibattuti. E’ accaduto nei romanzi. Nei libri di storia. Nei manuali scientfici (o pseudo-tali) di ogni sorta e di ogni “risma”.
Ne hanno “parlato” la sociologia, la psicologia giuridica e la criminologia, per esempio… La stessa filosofia ne ha tratto un utile oggetto di valutazione e di speculazione concettuale.
Le analisi sono state sempre affascinanti anche se non sempre del tutto “centrate”. Una piccola sintesi è possibile a prescindere dal diverso angolo prospettico di indagine, però…
Vi fù (e vi è) una grande differenza tra il terrorismo e la malavita organizzata perchè, mentre il terrorismo era (ed è) dichiaratamente contro lo Stato, la malavita “organizzata” non ne ha mai potuto prescindere.
Mafia e Camorra, infatti, da un lato hanno sempre, sostanzialmente rivendicato la propria “illegittima legittimità ” alla gestione del territorio e dei possibili “affari” in esso effettuabili; dall’altro, hanno contato proprio sulle possibili “interessenze” e sulla “complicità ” per godere di una “copertura istituzionale”: quella data dai politici e dagli uomini di “pubblico apparato” strumentalmente necessari alla fruizione di finanziamenti pubblici, di coperture “formalmente ed apparentemente” lecite e di “prognosi riservatissime” sulla fattibilità delle relative iniziative.
Le organizzazione malavitose, insomma, si sono sempre palesate come organizzazioni territoriali dotate di un proprio “parlamento”, di un proprio “governo” e di uno specifico apparato di amministrazione esecutiva e gestoria. Nulla avviene per caso. E’ sempre tutto programmato e “scientificamente dato”.
Legge del più forte. Sopraffazione. Violenza. Intimidazione, ma anche omertà . Omertà come complicità (quella tipica di chi, “girandoci intorno” o fornendo la “propria manodopera”, comunque ci guadagna) ovvero come “timore”, come paura… Il vero problema non è se esistono leggi sufficienti – o adeguate – “al tema”. Il vero problema è “se ne vuole davvero uscire”.
Certi fenomeni sarebbero debellabili senza problemi se davvero si volesse.
Mafia e Camorra, il territorio lo conoscono bene e lo controllano. Non c’è strada in cui non si entri senza essere “avvistati” dalla vedetta di turno. Noi cittadini nemmeno ce ne accorgiamo. Eppure stanno là , pronti a controllare “chi entra e chi esce”, dal vicolo, dalla piazza, o dalla via. Controllo, onnipresenza e “crudeltà “.
La storia è piena di racconti. Le cronache giornalistiche e giudiziarie, pure, con vittime anche innocenti e di tutte le età , perchè quando hanno deciso di “uccidere”, uccidono e basta, anche se c’è il rischio di poter colpire qualche cittadino onesto che si trova lì per caso.
È triste, ma un potere così pregnante è possibile soltanto se c’è connivenza, perchè se ad uno Stato effettivamente libero e “presente a sè stesso”, si contrappone un antistato illegittimo, quest’ultimo deve soccombere: punto e basta. Se non avviene, il dato che se ne trae è oltremodo semplice e drammatico.
Nel pantano generale, il piccolo, grande sogno di portata generale, e’ quello della destra liberale. Vorrei uno Stato del tutto assente nel settore economico e un mercato libero, con tanto di regole a tutela della concorrenza e delle fasce economicamente più deboli.
Ma da uomo del sud, so bene che un libero mercato è possibile soltanto se lo “Stato è arbitro” imparziale e se la malavita organizzata non esiste, perchè la concorrenza sleale, la fine della crescita meritocratica sul mercato, non è data soltanto dalla mancanza di norme anti-trust, ma anche dalla presenza di strutture malavitose capaci di annientare, soprattutto a colpi di lupara, il moto rivoluzionario della gente.
Una volta ho scritto che oggi, per essere un politico “appena sufficiente”, bisogna avere una dimensione manageriale; che bisogna, cioè, essere capaci di fare analisi ampie e di definire strategie operative parimenti capaci di trasformare le ricchezze del territorio in liquidità e risorse.
Le risorse necessarie per il “bene comune”, insomma, non possono (e non devono) essere sempre (e soltanto) acquisite con tasse, imposte o riduzione dei costi (con tagli alla sanità , all’istruzione, alla difesa nazionale e così via, per esempio).
Fare politica oggi, amministrare e governare, non è più (soltanto), elaborare magnifici spot o sintesi programmatiche ad effetto: è avere una visione “imprenditoriale” unita ad un grande sogno.
“Napoli Capitale” è un concetto che “mi uscì” di impeto oltre un anno fa. Non era un concetto originale per la verità . Napoli è stata capitale per anni ed anni.
In quella occasione, comunque, la locuzione aveva una chiara consistenza provocatoria: era un modo per dire che a Napoli, grazie alla camorra, si può morire come se nulla fosse, anche per caso ed anche se “non c’entri niente”. Basta che ti trovi là , nel luogo della mattanza, anche per il sol fatto che sei sceso a buttare la spazzatura…
La camorra miete vittime innocenti e non lo fa da sola, purtroppo, perchè uno Stato che rinuncia al controllo omnicomprensivo del terriorio – piaccia oppure no – è suo complice!
“Meno Stato. Più mercato. Più libertà “. E’ sempre stato questo “il credo” del mondo librale. Quel mondo, però, si è sempre dimenticato di precisare una cosa fondamentale: per poter arrivare a dire “meno Stato”, infatti, bisogna innanzitutto dire, niente più camorra, niente più mafia, niente più connivenze, perchè soltanto così ci potrà essere un libero mercato e di infinite possibilità .
Le leggi vigenti, insomma, sarebbero sufficienti. Quello che davvero manca è la volontà politica di annientare, sia la mafia che la camorra… Quella alla malavita organizzata è una “guerra vera e propria”.
Per combatterla, la stragegia dovrebbe essere bi-direzionale, perchè mafia e camorra: a) vanno annientate “militarmente”, riannettendo tutto il territorio dello Stato all’esclusivo potere d’imperio dello stesso; b) vanno dilaniate, nella coscienza dei “confusi”, grazie alla cultura dello Stato e della libertà …
Patria. Stato. Città . Amor di patria… Termini bellissimi. Cose che ti riempiono il cuore. Emozioni profonde. C’è a chi arrivano come fatto “naturale” e chi, invece, ha bisogno di essere “martellato” per sentirle.
“Napoli Capitale” è molto più di uno slogan elettorale. Alcuni lo useranno in quel senso, ma faranno un torto ancora maggiore a questa terra ed alla sua gente…
“Napoli Capitale”, nella realtà delle cose, è una sorta di urlo, triste e, nello stesso tempo, ricco di “rabbia”…
E’ una visione ribelle ma democraticamente incendiaria. Cose da uomini veri: quelli che fanno gruppo e che si fanno il “mazzo tanto”… Una favola… Una favola alla quale non smetterò mai di credere.
Forse un giorno lo Stato avrà nei ruoli chiave, e nella stessa società civile, soltanto persone che non si venderanno, che non si faranno comprare e che conosceranno soltanto il vento caldo della legge e della libertà .
Quel tempo lo dovremo preparare, però. Il nostro dovere è consumare un quotidiano proselitismo della legalità e dell’onestà , dalle piccole alle grandi cose.
Una visione richiede cultura, passione, ribellione concettuale (quando serve) e “conservatorismo” (quando necessario).
Ed uno Stato libero è la più ardente delle visioni…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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