Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
BOCCIATA LA PROPOSTA DELL’ULTRANAZIONALISTA UDC
La Svizzera ha votato no al referendum sulla stretta alle espulsioni automatiche per gli stranieri che
commettono reati.
La maggioranza dei cittadini elvetici hanno votato No al quesito proposto dall’ultranazionalista Unione democratica di centro (Udc) relativo all’espulsione automatica, senza tener conto del contesto socio-economico o le circostanze di fatto, degli stranieri che commettono reati gravi: una mossa, secondo gli oppositori, contraria alle norme della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il testo — che per essere approvato aveva bisogno della doppia maggioranza dei votanti e dei cantoni — è stato respinto dalla maggioranza dei 26 cantoni, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa svizzera Ats
La proposta era stata al centro di polemiche, tra le altre cose, anche a causa del manifesto scelto per pubblicizzarla, in cui una pecora bianca allontanava con un calcio dalla bandiera elvetica una pecora nera.
Contro l’espulsione si erano pronunciati numerosi protagonisti del mondo della cultura e della politica elvetica.
Diversi appelli per il No al referendum sono stati rispettivamente firmati da oltre 200 esponenti dell’architettura, dell’arte e dello spettacolo, 11 dei 18 ex ministri elvetici e 180 giuristi.
Contro il quesito si è schierata l’associazione dei procuratori svizzeri, mentre 54 organizzazioni non governative hanno formato un comitato di opposizione.
“La tendenza è chiaramente nella direzione dei No”, aveva dichiarato dichiarato Claude Longchamp dell’istituto di ricerca e sondaggi Gfs.bern all’uscita degli exit poll. Dei quattro referendum di domenica, il voto di immigrazione è stato il problema principale.
Anche il governo svizzero si oppone a questa proposta. Su richiesta dell’Ufficio federale di giustizia, l’Ufficio federale di statistica ha calcolato il numero di espulsioni che potrebbero concretizzarsi in caso di adozione di questa iniziativa: se nel 2014 sono state cacciate quasi 4mila persone, ora si tratterebbe di circa 10mila individui.
Il popolo svizzero era chiamato alle urne anche per altri tre referendum: uno a sostegno della costruzione di un secondo tunnel del San Gottardo (che sembra aver ottenuto esito positivo con il 55% dei voti favorevoli), uno sulla proposta di vietare il commercio dei derivati agricoli (respinto). Il terzo riguardava l’abolizione dello sgravio fiscale per le coppie sposate e le unioni civili su cui non vi sono ancora chiare tendenze di voto.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
NE MANCANO IN REALTA’ QUATTRO, MA NON SARANNO NEMMENO APERTI
«La Salerno-Reggio Calabria sarà consegnata il 22 dicembre!».
Renzi ha letto il proclama e i corrispondenti esteri sono scoppiati a ridere, in conferenza stampa, sai le sghignazzate che si farebbero se fossero qui al casello di Mormanno, la metafora dell’autostrada A3.
Già il casello non c’è e non ci sarà mai, non è stato progettato, tutti i 443 chilometri del percorso non prevedono qualcuno che paghi: installare ora le barriere costerebbe una follia, è l’eterna furbizia italiana.
Poi sì, il capocantiere Maurizio Ferroni assicura che a Natale sarà tutto finito, mica come in questi giorni che tra le 8 di sera e le 7 del mattino bisogna deviare lungo i tornanti del Pollino. Tuttavia…
Tuttavia succederà quello che già accade tra Gioia Tauro e Campo Calabro, lavori appena finiti e manutenzione già avviata con la chiusura di una carreggiata: vogliamo assestare l’impianto elettrico? Controllare l’aerazione? Verificare la tenuta dell’asfalto?
Nel cantiere di Mormanno lavorano 1.500 persone. Il 25% è residente nei confinanti quattro comuni di Borgo Laino, Laino Castello, Morano e appunto Mormanno.
Il 70% abita in provincia di Cosenza. Salvatore Virgillito, camionista che fa avanti e indietro fra la Sicilia e la Campania al volante di una cisterna ora vuota ora carica di acido solforico: «Ah, ah, ah, finiscono a dicembre. E poi cosa fanno»?
La società consortile Italsarc sta terminando i trafori, i ponteggi, gli sbancamenti, un lavoro di tre anni che vale 498 milioni e sale a 650 tutto compreso.
Una bella fettina degli 8 miliardi e 233 milioni che la A3 è riuscita a inghiottire a partire dal 1962. Fanfani: «La finiremo nel 1964!». Craxi: «Nel 1990!». Lunardi: «Nel 2004!». Berlusconi: «Nel 2009!». Matteoli: «Nel 2012!». Di nuovo Berlusconi: «Nel 2013!». Anche quella volta, alBerlusconi: «Nel 2009!». Matteoli: «Nel 2012!». Di nuovo Berlusconi: «Nel 2013!».
Anche quella volta, alla Camera, furono risatacce.
Lo scetticismo del carpentiere
A imboccarla alle sue radici salernitane, la A3 commuove. Due corsie per senso di marcia, una per l’emergenza, guard-rail rinforzati, gallerie illuminate e verniciate di bianco e rosso.
La prima incongruenza a Galdo, terra lucana, zona a vocazione industriale. La stazione di servizio è rimasta sul vecchio tracciato: due chilometri e mezzo per andare a fare rifornimento, altrettanti per tornare in carreggiata.
«Ovvio che non venga quasi nessuno», sospira il benzinaio Antonio Nocera che ha la stessa età dell’autostrada: «Siamo in queste condizioni dal 26 luglio 2013. L’Anas ci dà qualcosa ma…».
Venti dipendenti sovvenzionati nella piazzola in direzione Reggio Calabria, altrettanti in quella opposta, una situazione identica a Campagna, “diciamo che tiriamo avanti finchè dura”. Un primo bando per le nuove stazioni di servizio è andata deserto, il prossimo chissà .
Dalla galleria Jannello emerge Paolo Amato, 40 anni, dieci mesi appena trascorsi sottoterra, fa il carpentiere: “Finito a dicembre? Il tracciato, forse. Ma avete visto intorno?”. Intorno ci sono voragini, strapiombi, pareti di terra da mettere in sicurezza, gru, scavatrici, ponti mobili.
Sorpresa: Renzi in conferenza stampa non ha detto nulla sul cantiere mai aperto tra Morano e Sibari, 21 km progettati e non finanziati. Non lo hanno informato dei viadotti da ricostruire tra Cosenza e Rogliano, altri 11 km. Poi che ne sarebbero altrettanti da Francavilla a Pizzo, più sei svincoli ancora in fase di progettazione.
Si potrebbe ironizzare che governo e Anas abbiano attinto al genius loci: e si potrebbe pure battezzare ingegneria creativa la scelta strategica di non aprire quattro cantieri su cinque per proclamare che i lavori sono finiti.
Poi ridono però.
Paolo Crecchi
(da “il Secolo XIX“)
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Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
PARLA L’IMPRENDITRICE CANEGRATI: “HO SBAGLIATO TANTO”… SI ATTENDONO NUOVE RIVELAZIONI: “NON NASCONDERO’ NULLA”
Lady sorriso piange. Singhiozza, si asciuga le lacrime, cerca di respirare. Fatica a parlare, al
punto da dover congedare il fratello, che adora, prima della fine del tempo consentito per il colloquio. «Ho sbagliato tanto. Ho accettato compromessi che non avrei dovuto accettare», dice Maria Paola Canegrati a un parlamentare che le ha fatto visita in carcere.
Maglione a rombi e blue jeans, si stringe nelle spalle come una ragazzina, rivolge gli occhi a terra.
La donna seduta sotto le luci al neon di una stanza al piano terra di San Vittore è il negativo fotografico di quella che era fino al 16 febbraio scorso, giorno dell’arresto eseguito su ordine della procura di Monza.
L’accusa per lei è di essere la grande corruttrice della sanità lombarda.
La “zarina” delle dentiere, da cui “Lady sorriso”. Un’imprenditrice in grado di aggiudicarsi appalti nel settore odontoiatrico per centinaia di milioni di euro, grazie alle tangenti pagate al leghista Fabio Rizzi, braccio destro del governatore lombardo Roberto Maroni.
Tutto spazzato via in dieci giorni. In cella resta la donna. Prima ancora, la mamma: «Più di ogni altra cosa, vorrei vedere mio figlio di 13 anni, ma so che non è giusto – dice Canegrati – Gli ho scritto. Vorrei chiamarlo. Ma mio marito è stato chiaro e ha ragione: lui in carcere non deve venire ».
Da quando è a San Vittore, Maria Paola scrive. Coccolata dalle due compagne di cella, lavora per mettere insieme la sua memoria difensiva.
L’unica distrazione è il corso di cucito, cui si è iscritta appena ha potuto. Forse nei prossimi giorni la autorizzeranno anche a frequentare la palestra. Ma la testa è occupata da un solo pensiero: «Voglio arrivare preparata al prossimo interrogatorio. Forse nominerò un altro avvocato, oltre a quelli che già mi assistono. Voglio spiegare tutto. Non nasconderò nulla».
Il pm Manuela Massenz la ha già interrogata per sette ore, ma non basta. Di cose da dire ce ne sono ancora tante. «Il sistema ti uccide. L’imprenditore è tirato per la giacchetta. Ma alla fine, quando viene fuori tutto il casino, nella rete restano i pesci piccoli».
Fra i pesci piccoli, Canegrati mette anche se stessa, una donna a capo di una rete di imprese con 1.200 dipendenti, in maggioranza donne.
«Chi decide davvero, chi sta al vertice del sistema, non viene toccato. È il solito meccanismo del capro espiatorio».
L’ultimo a essere finito in manette è Stefano Lorusso, arrestato ieri a Miami dalla polizia statunitense. Entro 45 giorni dovrebbe essere estradato in Italia.
Secondo la procura di Monza, sarebbe stato socio di Rizzi in almeno una società offshore. E avrebbe fatto da tramite per una tangente da 50mila euro pagata da Canegrati a Mario Longo, braccio destro di Rizzi, che è il padre della riforma sanitaria regionale.
Il «sistema» cui Canegrati fa continui riferimenti è proprio la sanità lombarda.
«Un sistema che ha i suoi difetti, in cui sono in molti ad avere colpe – dice – ma ci sono anche tante persone perbene. E ogni volta che per lavoro vado a Roma, mi chiedo come sia possibile che lì le cose funzionino come funzionano. A Milano ci sono gare pubbliche, bandi, controlli. A Roma ci sono servizi assegnati per tre anni senza bando ».
Maria Paola Canegrati ha sbagliato tanto e lo sa. Ma della sua vita di prima, «una stagione conclusa », non rinnega tutto.
«In fondo ho sempre cercato di fare le cose al meglio. Ho portato servizi dove non c’erano. Ero convinta di fare il mio bene facendo quello degli altri».
L’unico momento in cui la voce da debole si fa sicura, come nei giorni buoni, è quando parla delle sue dipendenti. «Per le mie ragazze – così le chiama – ho fatto tanto. E loro a me hanno dato tutto». Assistenti di sedia, tecniche di laboratorio, igieniste dentali, giovani esperte in dentiere e protesi fisse. «Ho pagato i migliori corsi di formazione, le ho fatte studiare. Nella loro forza di volontà ritrovo me stessa».
Franco Vanni
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
I COSTI IN UN DOSSIER DELLA DIFESA: 15 MILIONI L’ANNO
Quindici milioni di euro. Tanto ci costerebbe nel 2016 l’Airbus 340-500 che accompagnerà il premier nei futuri viaggio di Stato.
Lo scrive il Fatto Quotidiano riportando un dossier esclusivo della Difesa dal quale emerge il contratto faraonico di leasing con la compagnia aerea Etihad.
Scrivono Toni De Marchi e Carlo Tecce sul Fatto:
Un acquisto avvolto nel segreto più che nel mistero, nel senso che tutti sapevano del lussuoso capriccio del premier ma nessuno conosceva l’importo. Il contratto d’acquisto è stato secretato, come ha rivelato il Fatto
Un segreto disvelato da un atto ministeriale, si legge sempre sul giornale diretto da Marco Travaglio:
In una delle ultime pagine del fascicolo che illustra le spese del ministero della Difesa c’è anche una voce relativa al trasporto aereo di Stato.
Di solito sono 2,5-3 milioni di euro l’anno.
Nel 2016 fa un balzo di 15 milioni, a 17,4 milioni, un aumento del 622% rispetto al 2015….Se dai 15 milioni sottraiamo 5-6 milioni di lavori per gli allestimenti dell’aereo restano dai 9 ai 10 milioni che sono probabilmente il vero costo annuale del leasing.
Senza poi dimenticare, si legge ancora sul Fatto, il costo della benzina che per un aereo di questa portata è molto alto.
Secondo i calcoli l’Airbus 340-500 “beve” 21mila dollari l’ora, 4 volte quello degli aerei per trasporto Vip.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
IL TAROCCO DELLE PRIMARIE PADANE A ROMA: NELLA CHINA TOWN DELLA CAPITALE ARRIVA L’ORDINE DI ANDARE A VOTARE… MA NON ERA STATO SALVINI A DENUNCIARE IL VOTO DEI CINESI PER SALA A MILANO?
Ore 18, piazza Vittorio, sabato pomeriggio. Ci sono più cinesi che italiani in giro. Siamo nella
China Town della capitale, nello storico rione Esquilino, nel più alto ed esteso dei sette colli su cui fu fondata Roma.
Davanti all’uscita della metropolitana sventola una grande bandiera italiana accanto a un manifesto in cui il segretario del Carroccio ha l’indice puntato sui passanti.
Li invita a scegliere «il tuo sindaco, per Roma ora parli tu». Un cartellone alto due metri ripete lo stesso slogan con il simbolo di «Noi con Salvini».
Sotto il tricolore, un tavolino di plastica e una scatola di cartone: è una delle 41 urne che la Lega alla vaccinara ha aperto per scegliere il candidato sindaco al Campidoglio. Nella scheda in ordine alfabetico ci sono i nomi di Bertolaso, Marchini, Pivetti, Rampelli e Storace. E poi uno spazio bianco per scrivere un nome a scelta.
Nessuno mette la croce su Bertolaso, il candidato di Berlusconi e Meloni.
All’inizio molte croci su Marchini, qualcuna su Storace.
A un certo punto arrivano alla spicciolata decine di cinesi. Alcuni non parlano nemmeno l’italiano, ma tutti presentano un documento con la residenza all’Esquilino. E all’improvviso fioccano le preferenze su Irene Pivetti, leghista della prima ora, poi allontanata da Bossi.
«Espulsa in malo modo, prego, perchè mi ero schierata contro la secessione della Padania. Ora, dopo vent’anni – spiega l’ex presidente della Camera – ritorno a fare politica attiva per un progetto politico nazionale che riparte dalla strada, dalle piazze, dalla gente».
Dai cinesi, per la verità , che qui sembrano avere una strana e particolare predilezione per lei, portati da altri cinesi.
Uno di questi, giovane e alla moda, parla un perfetto italiano, sembra conoscere tutti a China Town: spiega che sono 500 gli amici mobilitati per i gazebo.
Sono le truppe cammellate con gli occhi a mandorla che, evidentemente, hanno un debole per il voto all’aperto.
In giro per le città italiane, ogni qualvolta si apre un’urna, si svolgono le primarie, arrivano composti ed educati ad esprimere la loro preferenza.
E non fanno distinzioni per la destra o per la sinistra.
Ma non erano stati i leghisti a denunciare il voto dei cinesi a Milano a favore di Sala?
Che avranno adesso da dire che votano ai banchetti della Lega a Roma?
(da “La Stampa”)
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Febbraio 28th, 2016 Riccardo Fucile
ALLA LEGA INTERESSA BOLOGNA DOVE PRESENTANO L’EX ZECCA ROSSA BORGONZONI… FDI PARLA GIA’ DI RISULTATI TAROCCATI… IERI HA RACCOLTO PIU’ UOVA CHE VOTANTI
Sabato e domenica a Roma la Lega in versione Noi con Salvini ha aperti 41 seggi per scegliere il candidato da sostenere nella corsa al Campidoglio.
Una strana consultazione che sta spaccando il centrodestra (Berlusconi e Meloni puntano su Bertolaso) mentre Salvini continua a dire che Bertolaso non è il candidato giusto.
Ma il punto è: cosa accade se dalla consultazione di sabato e domenica dovesse saltare fuori proprio il nome dell’ex capo della Protezione civile? Negli ambienti del Carroccio questa ipotesi viene esclusa.
Certo, ironizzano i Fratelli d’Italia, i risultati saranno taroccati.
In altre parole, falsificate pur di non dover accettare la candidatura di Bertolaso.
Controlli “terzi” sulle schede non ce ne sono, tanto è vero che si possono sparare cifre a caso, compreso quella dei presunti settemila votanti (qualcuno ironizza che sia scappato uno zero in più)
Il paradosso è che nella scheda di questa specie di primarie in salsa romana ci sono anche i nomi di Alfio Marchini, Francesco Storace, Fabio Rampelli e Irene Pivetti.
Di questi un candidato tace, un altro va a votare per godersi il momento in cui qualcuno lo considera, un terzo diffida dall’aver inserito il proprio nome, la quarta deve aver presentato la credenziali di Ruini.
Ma la scelta “coperta” è un’altra: non presentare la lista Noi con Salvini a Roma che nei sondaggi viene data al 2,5%, una percentuale talmente risibile da rimediare una figuraccia storica e quindi da evitare con qualsiasi scusa.
La confusione aumenta, l’occhio del ciclone è Roma ma Salvini sta giocando su più tavoli.
Vuole Bologna: la sua candidata è la consigliera uscente Lucia Borgonzoni, l’ex “zecca rossa” frequentatrice di centri sociali, ma ha contro tutta Forza Italia e i Fratelli d’Italia. «Salvini fa le consultazioni a Roma – avverte Maurizio Gasparri – ma credo che sia più importante farle a Bologna. La Borgonzoni non è un candidato adatto. Ce ne sono di migliori nel centrodestra. Credo che nei prossimi giorni chiederò ai miei amici di organizzare una consultazione popolare a Bologna. Una candidatura a perdere nella città emiliana non ha senso».
Salvini vuole pure Novara per il suo Alessandro Canelli, escludendo l’azzurro Gaetano Nastri che però resiste.
Se alla fine ottiene Bologna e Novara, potrebbe far finta di accettare Bertolaso a Roma.
Per poter così perdere in tre città .
(da “la Stampa“)
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Febbraio 27th, 2016 Riccardo Fucile
PD 32,2%, M5S 25,8%, FORZA ITALIA 13,3%, LEGA 13,2%, FDI 5,5%, SINISTRA ITALIANA 4,7%, NCD-UDC 2,1%
Le stime di voto elaborate da Demos riportano il Pd oltre il 32%. Poco più rispetto allo scorso
novembre. Ma era dall’estate scorsa che non raggiungeva questo livello. Peraltro, il M5S — unica vera opposizione, fino ad oggi – è danneggiato dalle polemiche di questi giorni sulle Unioni civili. Ma, soprattutto, dai conflitti — interni oltre che con gli altri partiti – a Bologna, a Livorno, a Parma… E, prima ancora, a Quarto, dov’è accusato di essere stato “infiltrato” dalla camorra.
Il M5S resta la forza politica più accreditata nella lotta alla corruzione, ma la quota di elettori che lo ritiene il soggetto più credibile, su questo piano, scende di qualche punto: dal 31% al 27%. Mentre, al contempo, si allarga l’area di quelli che non credono a nessuno.
Secondo quasi metà del campione (il 46%), di fronte alla corruzione, tutte le forze politiche sono non credibili.
Tra le altre forze politiche, si osserva il sorpasso di Forza Italia, in crescita lieve, sulla Lega Nord, in calo di quasi un punto.
Positivo il risultato attribuito ai FdI, che raggiunge il 5,5%., favorito dalla visibilità mediatica di Giorgia Meloni.
Dunque, il Pd oggi mantiene le sue posizioni, anche se il suo leader ha perduto qualche punto, negli ultimi mesi. O, forse, proprio per questo: nel PD coabitano due identità . Quella “storica” e quella “personalizzata”. Il Pd e il PdR. Riuniscono coloro che votano Pd nonostante Renzi. E quelli che votano per Renzi nonostante il Pd. Quando le due identità coabitano, allora il successo è grande. Come alle elezioni europee del 2014.
Ma la coesistenza non è sempre facile. Anzi lo è sempre meno. Anche se Renzi è abile e agile. Persegue e realizza iniziative ad alta visibilità e, comunque, gradite. Le sue polemiche con L’Unione Europea: contro i vincoli di spesa che costringono all’austerità . Contro coloro che non condividono la ripartizione delle quote di migranti. Sono largamente apprezzate dagli elettori. Non solo nel Pd, ma ben oltre.
Tuttavia, Matteo Renzi appare, sempre più, un leader “solo”. Che si affida soprattutto — anzitutto – a collaboratori fidati. Nel partito, nel governo: al centro c’è lui. Il Capo. Il Premier. Tutto il resto gli ruota intorno.
Così, se, in termini proporzionali, il Pd si conferma primo partito, in caso di ballottaggio, il suo successo risulta più incerto.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 27th, 2016 Riccardo Fucile
“UN CANDIDATO DI SINISTRA SERVE, SE IL MIO NOME PUO’ UNIRE, SONO PRONTO”
«In quell’assemblea così affollata e piena di partecipazione – ci dice Maltese al telefono – io ho semplicemente posto un problema: che deve esserci un candidato di sinistra a Milano. C’è troppa gente insoddisfatta della proposta Sala, e di tutto quello che significa la sua operazione, che per certi versi è ancora più deludente di quella Fassino a Torino o Giachetti a Roma. Al momento faccio l’europarlamentare; certo se me lo chiedono, e naturalmente se il mio nome è quello che può unire di più, io non mi tiro indietro. Ma andrebbe benissimo anche se il nome fosse un altro».
Un altro però è ormai difficilissimo possa essere, per una somma di ragioni.
Giuseppe Civati, che per molti motivi poteva essere un candidato naturale, ha deciso che non correrà , e nonostante varie persone gliel’abbiano chiesto (anche, assai improvvidamente, Massimo D’Alema), non è stato possibile smuoverlo da questa decisione.
La «Lista civica Milano in comune», candidando Maltese, avrebbe l’appoggio di Nando Dalla Chiesa, altro nome che era circolato ma non si candiderà ; di Possibile, di Rifondazione, di un pezzo importante di Cgil, di una parte non piccola di Sel (il partito non presenterà in ogni caso una lista, il che è un segnale per il «liberi tutti»; alcuni entreranno con Sala, ma gli elettori?) e, soprattutto, di una parte di borghesia milanese – compreso tanti nomi del network di Libertà e Giustizia- che vede in Sala la rappresentazione plastica del partito della nazione, incarnazione di interessi e gruppi d’affari centristi o direttamente collegati al mondo storico del centrodestra milanese, e di Cl.
Maltese è di Milano. È stato – prima della politica – il corsivista della Stampa di Ezio Mauro e poi commentatore per Repubblica, è uno dei non molti giornalisti italiani che abbiano alzato la mano per criticare il renzismo, ed è il portatore di un’idea non allineata su Expo, e sulla gestione del post-Expo che si sta delineando, che racconta così: «Ho chiesto anche ai miei colleghi all’europarlamento, bene: non esiste un Paese in cui i numeri di Expo non siano stati resi noti immediatamente, cosa che Sala ancora non fa. Ma vi pare possibile? Peraltro, sono bilanci spesso negativi, in Europa. E poi questa cosa di appaltare a Genova, non a Milano, il post Expo, mi pare incomprensibile, com’è un’anomalia tutta italiana che una fondazione finanziata dallo stato per fare ricerca biomedica investa poi in banche… Ecco, io penso che esista un altro modello per Milano, espresso benissimo dalla lettera di Elena Cattaneo su Repubblica».
L’idea è che quel modello non si traduca affatto in una qualche forma di candidatura di cieco radicalismo, e meno che mai di marginalità pubblica. Maltese ovviamente non è quel tipo.
Jacopo Iacoboni, Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 27th, 2016 Riccardo Fucile
UN ANNO FA VENIVA UCCISO BORIS NEMTSOV, REO DI DENUNCIARE GLI ABUSI DEL REGIME… MA LA DESTRA ITALIANA FA FINTA DI NULLA
L’opposizione russa ricorda il co-leader del partito Parnas, Boris Nemtsov, a un anno esatto
dalla sua uccisione sul ponte Bolshoi Moskvoretsky, nei pressi del Cremlino.
Sono state circa 7.500 le persone che hanno partecipato alla marcia, partita silenziosamente dallo Strastnoi Bulvar e proseguita fino al Prospekt Akademika Sakharova, zona che tradizionalmente ospita i raduni dell’opposizione.
Lo storico oppositore di Putin venne ucciso esattamente un anno fa con quattro colpi di pistola, mentre stava tornando a casa.
Sono ormai passati alla storia i suoi appelli al risveglio collettivo contro i soprusi del governo moscovita, l’ultimo dei quali lanciato proprio pochi giorni prima di morire, inneggiante a riforme che sovvertano lo status quo russo.
Sono numerose le città che stanno ospitando eventi in onore di Nemtsov, dalla regione Nizhniy Novgorod, dove l’ex vice premier è stato governatore negli anni Novanta, a San Pietroburgo, a Yaroslavl sul Volga, città dove Nemtsov era stato eletto al Parlamento. Familiari e amici continuano a chiedere che i responsabili dell’omicidio siano portati davanti alla giustizia.
La marcia è stata, inoltre, animata da cartelli di protesta contro Putin: “Deve andare in galera”.
Familiari e amici continuano a chiedere che i responsabili dell’omicidio siano portati davanti alla giustizia.
L’unico sospettato per l’omicidio, non ancora risolto, è Ruslan Mukhidinov, il 27enne primo ufficiale di un battaglione di polizia ceceno, il cui movente non è stato ancora identificato.
L’avvocato della famiglia Nemtsov, Vadim Prà³jorov, ha reso noto che, proprio nel giorno dell’anniversario, l’Interpol ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del cittadino ceceno.
L’avvocato ha però chiarito che Mukhidinov è stato solo l’esecutore materiale dell’omicidio, non il mandante.
La mente è ancora a piede libero.
(da agenzie)
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