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LETTIERI NO, BORGONZONI SI’, MASTELLA NI: FRATELLI D’ITALIA HA CAMBIATO PUSHER?

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA SONORA SCONFITTA ELETTORALE STA FACENDO BRUTTI EFFETTI AL PARTITO DELLA MELONI

Riassumiamo i casi.
A Benevento alle amministrative sono andati al ballottaggio   Clemente Mastella (Lista civica, Forza Italia e Udc) con il 33,66% dei voti e il candidato del centrosinistra Raffaela Del Vecchio con il 33,23% di consensi.
Fratelli d’Italia si è nascosta in una lista civica a più voci a sostegno di Raffaele Tibaldi che complessivamente ha preso il 3,2%.
Dopo due giorni la dirigenza locale di Fdi annuncia l’appoggio non richiesto a Mastella, suscitando le perplessità  di molti suoi elettori (“ma come, sarebbe questo il rinnovamento per cui ci battiamo?”).
Mastella li snobba pure e allora dietrofront, si cambia: “non lo appoggiamo più, libertà  di voto”. Clemente vincerà  o perderà  anche senza il loro apporto tutt’altro che determinante. Insomma, una brutta figura.
Passiamo a Bologna: Fdi appoggia la discussa candidata della Lega Borgonzoni, un passato di militante del centro sociale Link dove serviva birra alle salviniane “zecche rosse” e una vita notturna diciamo “movimentata” a detta dei vicini.
Il centrodestra unito arriva al ballottaggio, nonostante un risultato modesto:   il 22,27% contro il 39,48% di Merola (Pd).
“Grande risultato” di Fdi che arriva al 2,4%.
Terzo scenario, Napoli.
De Magistris con il 42,82% va al ballottaggio con Lettieri che arriva al 24.04%, battendo la Valente (Pd).
Lettieri è apppoggiato da Forza Italia, non dalla Lega (che neanche presenta il simbolo) e non da Fdi che si   presenta da sola con Marcello Taglialatela .
Anche qui grande risultato: ben 5.186 voti pari all’ 1,28%.
In questi casi sarebbe meglio tacere per un po’, invece poche ore fa la dirigenza napoletana annuncia che non appoggeranno al ballottaggio Lettieri.
Oddio, non che sia una grave perdita, visto l’entità  dell’apporto.
Ma non si capisce perchè il civico Parisi a Milano vada bene e il civico Lettieri a Napoli no.
Come qualcuno dovrebbe spiegare perchè la “sindachesssa della fattanza” come viene chiamata a Bologna la Borgonzoni, vada bene e il povero Lettieri a Napoli no.
Va beh, magari non si sarà  mai fatto uno spinello o frequentato un centro sociale o costretto i vicini a lamentarsi per il via vai notturno e la musica a tutto volume, però è uno che almeno ha sempre lavorato e si è fatto da solo.
O forse che sia per questo?
Fratelli si nasce, cognati si diventa.

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MEIN KAMPF PIOMBA SUI BALLOTTAGGI, PARISI SI DISSOCIA: “INIZIATIVA CHE OFFENDE MIGLIAIA DI FAMIGLIE MILANESI VITTIME DEL NAZISMO”

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA SOLITA CAZZATA DI SALLUSTI METTE IN DIFFICOLTA’ IL CANDIDATO CHE VIENE ACCUSATO DI CERCARE I VOTI DELLA DESTRA ESTREMA

Piomba sui ballottaggi l’iniziativa editoriale de Il Giornale, che oggi regala ai suoi lettori il Mein Kampf di Adolf Hitler.
Dopo lo sdegno espresso dalla comunità  ebraica italiana, oggi i principali commenti arrivano dal mondo della politica. E in particolare dal Partito democratico, che con il deputato Emanuele Fiano collega direttamente la pubblicazione del Mein Kampf alla campagna elettorale a sostegno di Stefano Parisi, candidato del centrodestra a sindaco di Milano, per il quale il quotidiano si è schierato.
“Esiste un disegno obbrobrioso e preciso a Milano e nel resto d’Italia, che mira a portare a votare contro i candidati del Pd tutto l’estremismo neo nazista che si può raccogliere. Per questo oggi il Giornale di Sallusti decide di pubblicare la summa ideologica del nazismo di Adolf Hitler, il Mein Kampf”, denuncia Fiano, componente della segreteria Pd.
“In qualsiasi altro paese d’Europa questa operazione sarebbe stata considerata un’offesa insanabile alla democrazia antifascista, se non addirittura un reato. A Milano il Giornale, il principale organo di stampa a sostegno della campagna di Stefano Parisi, guarda caso proprio nei giorni del ballottaggio, sceglie di arruolare a sostegno del proprio candidato anche l’estremismo più impresentabile. Faccio appello a tutte le coscienze libere e democratiche del nostro paese e alle comunità  ebraiche perchè questa vergognosa operazione non passi sotto silenzio”.
Dopo qualche ora dall’inizio delle polemiche interviene Stefano Parisi, che parla di “iniziativa offensiva” da parte del Giornale, ma anche di “strumentalizzazione” da parte del Partito democratico:
“Penso che sia gravissimo che il Pd usi certi argomenti sapendo chi sono io e la mia famiglia”: Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra a Milano, replica così alle critiche al centrosinistra dopo la decisione del Giornale di allegare il Mein Kampf di Adolf Hitler.
Una iniziativa elettorale che Parisi definisce “inutile, inappropriata”.
“Penso che quello che ha fatto il Giornale pubblicando questa cosa offenda le migliaia di famiglie milanesi e italiane che sono state vittime del nazismo”.
“Nel momento in cui in grandi città  europee c’è un rischio di antisemitismo, qualsiasi ambiguità  da questo punto di vista è grave ma – conclude – la vicenda non ha nulla a che fare con la mia campagna elettorale. È l’iniziativa elettorale di un giornale indipendente che mi supporta ma non è detto che tutte le cose che fa questo giornale siano condivise da me o dalla nostra compagine”.
Per Giuseppe Sala, candidato del centrosinistra a sindaco di Milano, il fatto che oggi il quotidiano Il Giornale sia in edicola con il Mein Kampf “è uno scandalo totale, è veramente una vergogna che permettano di fare qualcosa del genere”.
“È un insulto a tutti quelli che hanno sofferto, io sono veramente esterrefatto e disgustato da una scelta che dà  però la misura di tante cose”, ha commentato Sala a margine di un incontro con il comitato inquilini delle case popolari.
“Il Giornale ha avuto nei miei confronti un atteggiamento totalmente negativo, ma bene averli contro se questi sono i personaggi”.
Per il sindaco di Torino Piero Fassino — che al ballottaggio si prepara a sfidare la candidata M5S Chiara Appendino — l’iniziativa de Il Giornale rappresenta uno “squallido e indecente” tentativo di “riesumare persino Hitler per strizzare l’occhio all’estrema destra nelle città  al voto”.

(da “Huffingtonpost”)

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COSI’ LO STATO DIMENTICA LE VITTIME DI FEMMINICIDIO

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA UE IMPONE RISARCIMENTI QUANDO IL COLPEVOLE NON LO FA, MA ITALIA E GRECIA SONO INADEMPIENTI: GIA’ APERTI VENTI RICORSI

Oggi si userebbe la parola «femminicidio» per raccontare la sorte di Rossana Jane Wade, una ragazza di 19 anni strangolata dal fidanzato e abbandonata in un casello ferroviario il 2 marzo 1991 a Fiorenzuola, nel Piacentino.
Lo scorso 7 giugno, a 25 anni e tre mesi di distanza, la terza sezione del Tribunale di Bologna ha condannato il ministero della Giustizia e la presidenza del Consiglio a risarcire con centomila euro Letizia Genoveffa Marcantoni, la madre della ragazza
Cosa c’entra lo Stato in questa storia?
Per capirlo bisogna tornare ancora indietro nel tempo, questa volta al 2004, quando una direttiva europea ha imposto agli Stati membri di risarcire le vittime di reati violenti «nei casi in cui l’autore sia rimasto sconosciuto, si sia sottratto alla giustizia o non abbia le risorse economiche per risarcire la vittima o — in caso di morte — i familiari».
Un obbligo verso cui l’Italia — unica in Europa insieme alla Grecia — risulta inadempiente. Così alle vittime (se ancora in vita) o ai loro familiari non resta che dare battaglia allo Stato per avere giustizia.
Come ha fatto Letizia Marcantoni, che non ha visto un solo euro dall’assassino di sua figlia, Alex Maggiolini, all’epoca dei fatti studente di 20 anni e nullatenente
Un episodio tutt’altro che isolato.
«Nel 70-80 per cento dei casi gli omicidi volontari, le lesioni permanenti e le violenze sessuali non vengono risarciti dall’autore del reato», spiega l’avvocato Stefano Commodo dello studio legale associato Ambrosio&Commodo di Torino, da anni in prima linea per chiedere l’applicazione della direttiva del 2004.
Fu lui, insieme all’avvocato Marco Bona, a difendere una vittima di violenza sessuale in un processo che si è concluso con la condanna — per la prima volta in Italia — al risarcimento da parte dello Stato.
La ragazza era stata sequestrata, percossa e violentata per un’intera notte da due uomini che si erano poi resi latitanti.
La sentenza emessa nel 2010 dal tribunale di Torino è stata seguita da pronunce analoghe del tribunale di Roma nel 2013, da quello di Milano nel 2014 e adesso anche dal foro di Bologna.
«Pochi cittadini sono a conoscenza di questo diritto. Ad oggi ci sono una ventina di contenziosi aperti con lo Stato, ma potenzialmente potrebbero essere molti di più»
La sentenza apripista del 2010 è stata confermata in Appello (con una riduzione del risarcimento da 90 mila a 50 mila euro) e ora la Cassazione ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia Europea.
L’oggetto del contendere è l’interpretazione della direttiva del 2004. Che lo Stato ha recepito soltanto in parte, con leggi a tutela esclusiva delle vittime di terrorismo, strage e reati di stampo mafioso.
«Aspettiamo la pronuncia della Corte del Lussemburgo — commenta Commodo — ma la direttiva parla chiaro e non prevede alcuna tipizzazione dei reati risarcibili. Purtroppo ancora una volta ci distinguiamo in negativo rispetto agli altri Stati, già  adeguatisi da anni alle richieste dell’Europa».
Con il risultato che ad oggi in Italia le moltissime vittime di reati violenti non hanno un fondo a cui rivolgersi e si trovano a dover affrontare anni di udienze in tribunale per vedere riconosciuti (forse) i propri diritti.
«Così lo Stato viene meno all’obbligo di garantire la sicurezza e la libera circolazione dei propri cittadini. Chi ha subito un trauma grave – conclude l’avvocato Commodo – vorrebbe percepire vicinanza e solidarietà . E invece troppo spesso la vittima si sente sola e abbandonata a se stessa».

Lidia Catalano
(da “La Stampa”)

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REPORTAGE DI QUIRICO: VIAGGIO CON I MERCANTI DI UOMINI SULLA ROTTA TRA MAURITANIA E CANARIE

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

IL RACCONTO DELL’INVIATO DE “LA STAMPA” … LE PIROGHE PARTONO OGNI NOTTE CARICHE DI GIOVANI SENEGALESI, MALIANI E GUINEIANI, NON PRIMA DI ESSERE STATI SFRUTTATI E UMILIATI DAI NEGRIERI

I migranti li ho incontrati, quasi per caso, al mercato del bestiame di Nouackhott.
I manzi muggivano, un coro lamentoso che sovrastava perfino il fracasso delle auto e degli uomini; e i belati di pecore e montoni erano come un brivido di quell’insistente, doloroso muggire.
Pacchi di zampe erano ammonticchiati già  in terra come lastre sudice, fegati sanguinanti e violacei, cuori di bue duri e staccati come campane al battaglio pendevano dalle lerce, innumerevoli bancarelle dei beccai.
E poi brandelli sanguinolenti di carne, stracci lanuti di pelle ancora pendenti dalle carni vive, ciuffi di budella e poi sangue, sangue che colava ovunque, e polvere, polvere e odore che stordiva.
à‰ lì che mi avevano suggerito di cercarli: «Lavorano come garzoni per rastrellare qualche soldo, per pagarsi la traversata in mare…».
Il primo che ho visto è stato Souleymane, (ma non sapevo ancora che questo era il suo nome) giovane, smunto, spaurito in quell’animalesco carnaio a cielo aperto. Tirava un manzo sciancato, recalcitrante, gli occhi già  pieni di una consapevolezza della morte inevitabile e prossima che avresti detto umana.
Un uomo alto, grosso passava di manzo in manzo, esaminava, palpava: portava alla cintola un lungo acuminato coltello. Un cane rossiccio lo seguiva annusando. Il beccaio, il padrone. Anche il ragazzo aveva un coltello. Lo ha impugnato, un po’ esitante, con una mano tenendo immobile per la corna la testa della bestia. Un piede puntato su una coscia per fare forza ha immerso il coltello nel collo, ha spinto dentro lentamente ritraendo la lama. Un fiotto di sangue è sprizzato, rigurgitava.
La bestia si dibatteva, spingava. Poi la testa è ricaduta. Il ragazzo cercava invano di far fluire il rivo di sangue, ma il peso lo opprimeva. Il sangue dilagava su di lui. Rosse di sangue erano le braccia, le gambe. E l’aria, anche, odorava di sangue e di stabbio.
Allora il padrone si è avvicinato, la collera gli torceva la bocca che era come irrigidita in una smorfia. Si dimenava sussultava mandava urli di inferno, gli occhi sbarrati, vitrei, terribili. Tutti si scansavano spaventati.
Ha abbrancato Souleymane per le braccia, lo scuoteva rabbiosamente, con furia lo ha colpito fino a farlo cadere a terra. E poi ancora, implacabile, lo ha fatto rotolare a calci. Adesso la gente, clienti e altri beccai, che si era scostata impaurita per quella furia, si è riavvicinata, ha fatto groppo e rideva, rideva della punizione inflitta al ragazzo colpevole di aver tagliato male la gola al manzo, in modo sbagliato, malaccorto.
Fu quando il giovane si rialzò e inciampando scivolando riuscì a fuggire che mi accorsi che altri tre ragazzi si allontanavano di corsa con lui. Altri giovani migranti.
Li ho raggiunti in un vicolo di sabbia dietro il mercato: erano più giovani di quanto mi fossero apparsi all’inizio. Le facce erano macinate dalla fatica, le bocche contraffate da pieghe amare, e ancor più ti addolora perchè son ragazzi e non dovrebbe esser così. Senegalesi tutti e quattro.
Seduti per terra, la schiena al muro di una casupola, scambiano di quando in quando una parola tra loro, ansando ancora per la fuga. Bestie di tiro, dannati della terra. Mi guardano sospettosi. Offro una bottiglia d’acqua, per iniziare.
L’acqua e il pane: il modo con cui puoi aprire il cuore di qualsiasi uomo, il linguaggio umile dell’universo. Bevono avidamente, gli occhi sgusciati, le gote gorgoglianti si passano la bottiglia, cola, con l’acqua, dai volti il sangue raggrumato delle bestie.
Si presentano, snocciolano i nomi. L’ultimo ha un modo strano di guardare e di parlare. «È niente… una notte, da bambino, si è sentito strisciare sulla faccia un serpente, la lingua sottile, fredda … da allora il suo cervello non funziona bene… ».
La Mauritania è una pista antica dei migranti, un’altra di quelle immensità  del loro viaggio dove mille miglia sono una piccola distanza.
Salgono a Nouadhibou, la seconda città  del paese, a cercare l’imbarco per le Canarie, per la Spagna.
Da Dhaka un porto più a nord in otto, nove ore si raggiungono le isole spagnole. Dieci anni fa erano migliaia che facevano la fila agli sportelli della Western Union: passavano cifre colossali in euro e in dollari. I soldi con cui venivano pagati, mille euro a viaggio, i passeur e i capitani delle barche.
Era l’epoca in cui, per il traffico, si usavano i «cayucos», imbarcazioni grandi ironicamente soprannominate «air Madrid».
Che tempi, quelli! Ogni piroga era oro. Gli scafisti di quaggiù facevano soldi a palate, il denaro correva come sabbia.
Avevi una ciabatta frusta buona per la demolizione? La tiravi fuori alla svelta, una risuolatura e via per il mare, a fare quattrini. Anche i naufragi e i morti si allungavano in liste lunghe a cui nessuno badava.
Poi i controlli si sono fatti più serrati, i numeri si sono ridotti. Ma questa resta, con le piste nel deserto, verso la Libia, una via della Migrazione per senegalesi, maliani, guineiani.
Guardo i miei senegalesi. Ecco. Con i migranti, ovunque li trovi, pensi: siete incollati a questa vita selvaggia, di profugo, senza possibilità  di uscirne, nemmeno per un giorno, nemmeno per un attimo.
Vita che senti attaccata a te, di continuo la vedi la tocchi, sempre quella, ogni momento. La piena continua del Male. E sai perchè? Perchè questi tuoi stracci di migrante ti vietano ogni illusione, non ti lasciano evadere, volar via, mai, e se un sogno accenna a sorgere, compiere la traversata arrivare laggiù, in Paradiso, subito questo vestito ti scaraventa le carte in aria.
Ma forse Souleymane e gli altri, i mille e mille, che ho incontrato, non sono qui, sono straordinariamente lontani, hanno abolito le distanze, creato un giardino provvisorio di illusioni che è il solo modo di tenersi a galla quando il cuore pesa troppo.
Raccontarli invece impone di semplificare, distruggere le illusioni, mostrare ogni cosa nella sua nudità .
Souleymane è chiaramente il capo del gruppo. Faceva il falegname a Port Louis. L’uomo è veramente eloquente soltanto quando parla del suo mestiere. Smanioso di raccontare, i suoi discorsi sono fatti del legno, dello sfrigolio della pialla, odorano di segatura.
È un migrante singolare: è partito non per miseria come i suoi compagni ma perchè non voleva più vivere con il padre. «L’esperienza degli altri non mi serve, per sapere cosa vuol dire il fuoco brucia bisogna metter il dito nel fuoco. Tutto ciò che costituisce l’orgoglio della generazione di mio padre per me non vale niente. Non voglio più sentir parlare dei loro modi di vestire mangiare divertirsi. Sì, i padri allevano i figli a bugie». Già , le generazioni sono davvero in conflitto permanente ovunque. Tra una generazione e l’altra c’è la distanza infinita che Pascal dice esistere tra i corpi e gli spiriti.
Abitanti di pianeti diversi. Ogni generazione scopre lei la vera scienza della vita e l’esperienza vale solo per chi la fa.
Le mille ragioni della Migrazione: un fluido collettivo che risulta dallo scambio e dalla somma di singoli fluidi, un’aura fatta di forza e di infelicità , di paralisi interiore e di mobilità  esteriore.
Nessuna statistica è in grado di cogliere l’essenza di questo fenomeno per noi così inammissibile, che sfugge a tutti i calcoli.
Povertà , guerre, oppressioni, certo: per quale ragione , dato che tutto è logico, l’equazione non torna? Non basta la consueta geometria per un materiale così classico come l’essere umano? Che tribolazione. Di che diavolo ha mai bisogno l’uomo?
Accompagno Souleymane e i suoi compagni verso il porto del nord. Hanno abbastanza denaro per tentare, ora. La strada dalla capitale è nuova, asfaltata di fresco, pronta per il vertice della lega araba in programma tra poche settimane: arrivano i re e gli emiri, mi annunciano giulivi nei caffè di Nouackhott e quasi pare ai mauritani derelitti di sentire tintinnare l’oro e i soldi di quei parenti ricchi dell’islam.
La spiaggia si chiama la Gouera, è il luogo in cui le piroghe, le «pateras», caricano i migranti per portarli al largo su navi più grandi.
I pescatori seduti sulla sabbia, taciturni e sonnolenti, fumano e guardano l’acqua, le onde passare e attendono. Senza ansia attendono.
Nessuno come il pescatore sa la parte che il Caso ha nella vita. Ogni tanto il più giovane tra loro trae da una reticella un grosso pesce verde nero, gli pianta il piede sulla coda, immerge un coltello nella testa, la butta in disparte in un piccolo mucchio.
La loro piroga bianca con qualche antica striatura di azzurro sulla murata sembra gettata lì a racconciare le ossa, ammaccata scrostata tutte bugne, come levata fresca fresca dal fondo del mare. In mandingo le chiamano «samba lakara».
Le barche che portano alla morte. La spiaggia è sterminata, con il lido bianco e l’oceano azzurro che si incurvano fino al più lontano orizzonte, assottigliandosi gradualmente in una sola linea vaporosa e indistinta.
La dove il cielo pare confondersi col mare la sagoma remota di una nave, grande, sta sospesa nella luce del mattino con attorno un corteggio di minuscole piroghe.
Un pugno di altri migranti è già  lì, pronto: tre uomini poderosi, ispidi, il cappuccio della felpa rovesciato sulle spalle e una donna, scostata. Stanno accovacciati, le gambe in croce, girano uno stecco di carne su una cassettina di ferro piena di brace, lacrime di grasso colano su quella larva di fuoco.
Ci squadrano con una grinta agra, come timorosi per il loro cibo.
Il tempo passa senza che nulla accada. La oscurità  sembra non venire.
Poi a poco a poco conquista, qua e là , zone di cielo, preme, si pigia alacremente sforzandosi di salire.
Finalmente a ponente il sole si è disfatto, lentissimamente; ma, come una sorgente inesauribile, continua a versare fiotti di luce sanguigna.
Notte. Un vento agile e fresco. Nell’aria grossa un segnale: una luce dalla nave al largo tremola là  in fondo.
Accompagnerò i migranti fino alla nave, al largo. Tutto avviene in silenzio, il motore pulsa lentissimo, sordamente. Onde lunghe, rotonde sopravvengono e silenziosamente passano senza frangersi. L’acqua fa ciac contro la prora, mollemente, pare uno strumento che suoni in sordina. Una voce dalla nave, un fanale che si accende.
E’ il momento, per loro, di salire.
«Non hai paura Souleymane?».
«Io non ho paura di niente…».

Domenico Quirico
(da “La Stampa“)

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PRONTA LA SANATORIA SALVA-COMUNI: UN DECRETO PER CONDONARE I BILANCI IN ROSSO

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

VIA MULTE PER ROMA, MILANO, TORINO, NAPOLI E ALTRE QUATTRO CITTA’ CHE HANNO SFORATO IL PATTO DI STABILITA’

È pronto un colpo di spugna sulle sanzioni da circa 1 miliardo per la violazione del patto di stabilità  del 2015 a carico delle Città  metropolitane e delle vecchie Province.
“Il decreto, per quanto ci riguarda, è allestito: aspettiamo Palazzo Chigi”, dice il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa.
Il provvedimento avrebbe dovuto essere varato dal consiglio dei ministri di ieri e ora si attende prima dei ballottaggi del 19 giugno che riguardano quattro grandi città  metropolitane (le ex province di Roma, Milano, Torino e Napoli) interessate alla “sanatoria” e che saranno guidate dai nuovi sindaci.
La boccata d’ossigeno varrà  circa 500 milioni a partire da quest’anno e provvede a sanare le sanzioni comminate a otto città  metropolitane su dieci per lo sforamento del patto interno: tra queste, oltre alle quattro che vanno al ballottaggio, ci sono Genova, Reggio Calabria, Bari e Venezia mentre restano fuori, perchè non hanno subito sanzioni in quanto a posto con i bilanci, le “virtuose” Bologna e Firenze.
Alla lista dei sanzionati, ma la cancellazione è ancora in bilico, si aggiunge anche il 50 per cento delle vecchie province anch’esse rimaste impigliate nelle rete delle regole sui bilanci del 2015 e che dovranno subire ulteriori tagli per 500 milioni.
Si tratta dunque complessivamente di sanzioni per 1 miliardo che, se non fossero cancellate, si sommerebbero già  dalle prossime settimane ai tagli previsti dalla legge di Stabilità  2016, che ammontano ad un altro miliardo.
Un peso complessivo dunque di 2 miliardi, che i nuovi sindaci (che con tutta probabilità  dopo le elezioni saranno anche eletti sindaci delle città  metropolitane), si troverebbero sulle spalle e sul quale il decreto in cantiere passa un colpo di penna.
Le sanzioni, di cui è previsto il pagamento per quest’anno, scattano per il mancato rispetto nel 2015 da parte di Città  metropolitane e vecchie Province del patto di stabilità  che imponeva un rigido avanzo di bilancio: anche se da quest’anno la regola è stata modificata, ed è sufficiente conseguire un semplice pareggio di bilancio, le vecchie sanzioni devono essere pagate.
La norma è urgente, e per alcuni quasi un atto dovuto, perchè Città  metropolitane e ex Province dovranno chiudere i bilanci entro il 31 luglio prossimo e, senza il provvedimento, si vedrebbero costrette a bloccare spese ed investimenti per somme rilevanti e problemi per i cittadini.
Tutto ciò in un quadro dove la situazione delle Province e delle Città  metropolitane è di grande difficoltà : oltre a prevedere i tagli alle risorse (quest’anno per circa 1 miliardo) questi enti locali hanno dovuto far fronte ad una pesante riorganizzazione con il passaggio delle funzioni alle Regioni previsto dalla legge Delrio e il trasferimento di circa 20 mila dipendenti ad altre amministrazioni dello Stato.
Se il decreto cancella-sanzioni arriverà  la prossima settimana, prima dei ballottaggi, contribuirà  senz’altro a rassicurare sulle intenzioni del governo riguardo agli enti locali e alle quattro cruciali città  metropolitane in “mora” che tornano al voto: Roma, Milano, Torino e Napoli.
La mossa cementa un clima di disponibilità  verso i comuni del governo Renzi, anche perchè si sommerebbe alla celebrazione dell’Imu-Day, cioè il 16 giugno quando non si pagherà  per la prima volta la Tasi sulla prima casa (si sosterrà  solo per la seconda e le altre) e con il già  varato blocco dell’aumento delle addizionali Irpef comunali fino al 31 dicembre del 2016.
Al pacchetto pre-ballottaggio, a meno che non si decida all’ultima ora di far slittare l’intero provvedimento a dopo il voto del 19 giugno, si aggiunge anche un’altra boccata d’ossigeno destinata ai Comuni. Si tratta dello sblocco e della ripartizione del cosiddetto fondo di solidarietà  pari a 6 miliardi che gli stessi Municipi alimentano e che viene redistribuito dai più “ricchi” ai più “poveri”.
In questo caso si tratta di un atto quasi dovuto ma che deve arrivare prima del pagamento dell’Imu del 16 giugno, data in cui automaticamente l’erario trattiene le risorse per riversarle al Fondo di solidarietà . Risorse assai attese.

Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)

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CAMERON RESPINGE I PROFUGHI ED ESPORTA I DELINQUENTI: FECCIA HOOLIGANS A MARSIGLIA

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

RIFIUTI UMANI UBRIACHI DEVASTANO MARSIGLIA, GRAVE UN TIFOSO RUSSO, DECINE DI FERITI, NEGOZI DISTRUTTI

Ancora scontri scontri nel cuore di Marsiglia. Fa caldissimo, un caldo afoso che stringe alla gola e che alimenta l’instancabile sete degli hooligans, quasi tutti a torso nudo mentre gridano cori sempre più rauchi, dato che fin dalle nove del mattino hanno iniziato a bere birra, generosamente venduta nei bar e nei pub senza che ci sia alcuna restrizione.
E a metà  pomeriggio, quando la zona del Vieux Port si è riempita all’inverosimile, gli scontri sono divampati.
Inglesi contro russi, francesi contro inglesi, ci si picchia in terribili corpo a corpo, uomo contro uomo, gruppi contro gruppi, in un caos urbano che agli Europei non si verificava almeno dall’edizione del 2000, quando gli hooligans inglesi devastarono Charleroi.
La polizia francese, schierata con oltre mille agenti, cerca di ristabilire un impossibile ordine. Volano bottiglie, e la strada ne è subito lastricata. Vengono lanciate sedie, rubate dai dehors dei bar che non hanno voluto chiudere i battenti di fronte all’invasione, e pagano pegno.
La polizia spara lacrimogeni e spray urticanti, picchia ad alzo zero coi manganelli, effettua cariche continue
Cadono a terra i primi hooligans, c’è sangue ovunque, feriti.
E’ pure violenza, pura follia urbana. A un tifoso inglese è stato praticato un massaggio cardiaco, è arrivata l’ambulanza e l’ha condotto all’ospedale, dove è stato rianimato. Un russo è grave, un inglese, rimasto ferito, è addirittura in fin di vita: il bilancio certifica in tutto 5 feriti.
Tutto ciò si sarebbe potuto evitare, bastava impedire a quei rifiuti umani di uscire dai confini inglesi, ma Cameron pensa solo a respingere i profughi mentre permette a dei delinquenti di devastare una città  francese per l’ennesima volta.
Mentre la partita è in corso, Marsiglia è una città  in assetto di guerra.
Chissà  cosa accadrà  dopo la partita, quando scenderanno le tenebre.

(da agenzie)

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TORINO, SFIDA ALL’ULTIMO VOTO: LA VOLATA DEI CANDIDATI TRA MERCATI, NERVOSISMO E POLEMICHE

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA APPENDINO IN DIFFICOLTA’ SUI RIMBORSI ELETTORALI ALL’AZIENDA DEL MARITO… L’EQUILIBRISMO DELLA GRILLINA NEL TENERE INSIEME CENTRI SOCIALI E LEGHISTI

«Non abbiamo sondaggi», dicono dall’entourage di Chiara Appendino. E se anche li avessero, non lo direbbero.
Ma l’aria che tira a Torino, a poco più di una settimana dal ballottaggio, è quella del fifty-fifty. Cinquanta e cinquanta, la volata tra Fassino e la candidata grillina sarà  probabilmente decisa da una manciata di voti.
Il premier non si aspettava la replica della passeggiata di salute del 2011, quando il candidato di centrodestra venne doppiato (56 a 27), ma nemmeno la battaglia campale di questi giorni.
E se a Roma il mezzo miracolo lo ha fatto Giachetti, il candidato del Pd, a restare in corsa; se a Milano era scritto sulle guglie del Duomo che Sala e Parisi se la sarebbero giocata all’ultima curva, in casa democratica la vera brutta sorpresa è la roccaforte di (centro) sinistra improvvisamente espugnabile.
Torino, zitta zitta, potrebbe far pendere da una parte o dall’altra la bilancia delle amministrative, salvando la faccia o facendola perdere, con qualche contraccolpo a livello nazionale.
Espugnabile non vuol dire che sarà  espugnata e la combattività  di Fassino, a dispetto della cera, il suo infaticabile peregrinare tra mercati e bocciofile, non lascia trasparire cedimenti.
Ha steso anche una contabilità  spiccia di chilometri fatti (undicimila), persone incontrate (centomila), paia di scarpe consumate (due), ovviamente da aggiornare al rialzo.
Ma il dubbio sì, quello si insinua, parente stretto del dubbio che scalfisce l’apparente e imperturbabile calma dell’Appendino, accolta da fiori e richieste di selfie nei mercati che anche lei frequenta ormai quotidianamente, perchè le sorti del voto si decidono qui, tra un banco di frutta e verdura e uno di pesce.
In sintesi, sia Fassino sia Appendino sentono il successo a un passo e la delusione dietro l’angolo, sanno di poter vincere e temono di perdere. Questa è la novità .
Il ballottaggio è la grande livella, e se un algoritmo potesse tradurre il sentimento diffuso in percentuali, sembrerebbe che i dieci punti di distacco del primo turno siano stati polverizzati in pochi giorni.
Ma può diventare anche una grande macchina delle illusioni, soprattutto in una città  che evoca la «rivoluzione» – perchè la vittoria dei grillini altro non sarebbe – senza aver ancora deciso se abbracciarla o boicottarla.
Torino è sospesa, e il grande equilibrio si riflette nel nervosismo montante delle due squadre.
La soglia di suscettibilità  è altissima. L’altro giorno Piero e Chiara si sono incrociati per caso in un ristorante di San Salvario, il quartiere della movida.
Fassino era lì per un aperitivo elettorale, lei è entrata, ha salutato, lui ha alzato la mano. Troppa freddezza.
Dal fronte del sindaco è intervenuto qualcuno, ha raggiunto i grillini: perchè non ve la stringete, la mano? Presto fatto. Fassino ai suoi, laconico: «È la mia avversaria».
Come un incidente di percorso, un imprevisto.
«Noi siamo tranquillissimi, forse loro un po’ meno», abbozzano dall’entourage dell’Appendino.
Ma le polemiche sui rimborsi elettorali all’azienda del marito in cui lavora non sono piaciute affatto e ieri c’è stata la risposta piccata al sindaco di Bollengo, un Comune dell’area metropolitana, che aveva scritto su carta intestata a 314 colleghi per invitarli a votare Fassino.
Guai a confondere il «fair play sabaudo» con il laissez-faire.
In fondo quella dell’Appendino è una lunga marcia, sette mesi e mezzo. C’era un gap di immagine da colmare: a novembre era «solo» una consigliera comunale che in pochi avrebbero riconosciuto per strada. Ora tutti sanno chi sia «l’alternativa Chiara», anche quelli – e non sono pochi – che non la voteranno.
Per Fassino, in compenso, è diventata una «cerchiobottista», per la pretesa di tenere insieme centri sociali e leghisti.
Così, sul crinale tra vittoria e sconfitta, la campagna elettorale scivola dalla camomilla ai toni ruvidi.
E a Torino qualcuno, prima o poi, crollerà  per una crisi di nervi.

Guido Boffo
(da “La Stampa”)

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ARRIVA IN RITARDO E QUANDO PARLA IL COMPETITOR SE NE VA: SI APRE IL CICLO DI MALEDUCAZIONE CAPITALE

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

CONFRONTO TRA RAGGI E GIACHETTI DI FRONTE AGLI INDUSTRIALI… FORSE E’ IL CASO CHE QUALCUNO AVVISI LA RAGGI CHE NON E’ LA MADONNA SCESA IN TERRA

Lo scontro Raggi-Giachetti non c’è stato, come da previsioni, ma le frecciatine tra i due candidati sindaci non sono mancate e la platea di industriali presenti alla due giorni di Unirete al Palazzo dei Congressi è diventata spettatrice di una tappa della corsa al ballottaggio, che si gioca soprattutto su Olimpiadi, Stadio della Roma, sprechi e municipalizzate.
Con un annuncio della pentastellata: «Se dovesse arrivarmi un avviso di garanzia, chiederei ai romani se vogliono o no le mie dimissioni». ( ma non dovrebbe dimettersi? O la regola vale solo per gli altri?… n.d.d.) Naturalmente, attraverso la rete.
Inizia tutto con una stretta di mano, l’iniziativa la prende Giachetti, e una foto di rito con sorrisi di circostanza. Poi via alle tematiche che volevano trattare gli industriali.
Sul palco il loro leader, Maurizio Stirpe, accanto a Giovanni Floris, che ha intervistato prima Virginia Raggi e dopo Roberto Giachetti.
Raggi era stata infatti categorica «niente confronto diretto con Giachetti».
Il candidato del Pd incassa il colpo e ascolta tutte le risposte della rivale prima di dire la sua.
Raggi arriva con mezz’ora di ritardo ed entra dall’ingresso opposto a quello presidiato da decine di fotografi e giornalisti. Giacca bianca e jeans, sceglie un look informale e si siede davanti a Floris.
A tratti appare nervosa. la platea la applaude almeno quattro volte ma rumoreggia quando parla di Olimpiadi e stadio della Roma.
Temi sui quali, invece, il sì di Giachetti risuona forte e chiaro, così come gli applausi quando dichiara che «alle Olimpiadi dobbiamo arrivarci con una città  che funziona. Lo stato della città  con tutti i suoi problemi non è in contrapposizione con le Olimpiadi».
Raggi, invece, non è convinta.
Il suo peraltro non è più un «no» categorico ma un «non ora, perchè è prematuro impegnare la macchina amministrativa e tutte le imprese a lavorare sugli impianti e infrastrutture».
Floris la incalza sullo stadio, lei risponde: «Sì, ma se la legge lo consente. Vigilerò che sia rispettata e se sarà  così va bene anche lo stadio della Lazio».
Giachetti non si fa cogliere impreparato e quando tocca a lui rispondere sulla questione ricorda che «in consiglio comunale il movimento 5 stelle ha votato contro».
Gelo della pentastellata.
Giachetti si scalda quando si parla di sprechi, trasparenza e rifiuti. Il suo obiettivo è «aumentare il controllo sui servizi e riorganizzare la macchina amministrativa».
E sul numero eccessivo dei dipendenti pubblici risponde «diventano troppi se l’amministrazione non funziona».
Lotta agli sprechi da sempre cavallo di battaglia del Movimento.
Raggi prende esempio l’Atac ed è un fiume in piena: «Nel 2019 cessa il contratto di servizio che lega Roma Capitale ad Atac. La normativa europea ci impone di mettere il trasporto pubblico a gara, la nostra grande sfida è quella di risanare l’azienda pena la sua cessione a privati». Alternativa che la candidata rifiuta.
Poi se la prende con le troppe municipalizzate e sulla possibile perdita di posti di lavoro taglia corto: «Abbiamo norme che ci permettono una buona mobilità  interna».
Se per Raggi l’Atac è il simbolo degli sprechi e della cattiva amministrazione, Giachetti individua nell’Ama l’azienda dalla quale ripartire, ma quando parla di Ama, dopo una quindicina di minuti che l’esponente Pd siede davanti a Floris, la candidata cinque stelle è già  andata via.
«Dobbiamo arrivare al 65% della differenziata ma una parte del lavoro devono farla anche i cittadini, lei lo sa che tremila romani lasciano ogni giorno la loro macchina davanti ai cassonetti impedendo così il normale svolgimento della raccolta?», domanda a Floris.
E sull’enorme debito di Roma? «Dobbiamo rinegoziarlo magari attraverso la Cassa Depositi e Prestiti che ci permette di pagare degli interessi molto bassi».
C’è spazio anche per i temi nazionali. L’Imu doveva essere abolita, secondo Giachetti mentre per Raggi si è trattato di campagna elettorale».
Chi ha vinto il confronto a distanza per gli industriali?.
«Non posso esprimermi sui candidati — risponde Stirpe — ma sicuramente auspicavo un confronto diretto che non è avvenuto.

Damiana Verucci
(da “Il Tempo”)

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“HANNO SPREMUTO SILVIO, E’ IL MOMENTO DI CAMBIARE”: CERCHIO MAGICO NEL MIRINO

Giugno 11th, 2016 Riccardo Fucile

LA FAMIGLIA VORREBBE AFFIDARSI DI NUOVO ALLA STORICA “MARINELLA”

Come possono reagire i figli, gli amici di una vita, tutti quanti vogliono bene a Berlusconi quando vengono a scoprire che proprio domenica, cioè il giorno del malore, quando lui era già  gonfio e respirava con affanno, insomma si capiva benissimo che c’era bisogno del medico, il «cerchietto magico» l’ha portato prima al seggio a votare (circola in rete un video da cui si nota benissimo che il Cav non è al meglio), ma addirittura l’ha trascinato a un pranzo elettorale?
Chiaro che questi figli, questi amici si domandino in che mani Silvio sia finito.
E si inquietano moltissimo con coloro che avrebbero dovuto anteporre la sua salute a tutto il resto.
Perchè, ad esempio, è stata di sicuro una leggerezza portarlo per una giornata intera ad Aversa, comune di 53mila anime nel Casertano, al caldo, strattonato di qua e di là , oltretutto a rischio di selfie involontari con qualche personaggio discusso (l’avvocato Ghedini si è messo le mani nei capelli appena l’ha saputo) per sostenere un candidato amico della fidanzata Francesca, tal Dello Vicario, che per giunta ha raccattato solo il 6,98 per cento…
E poi il comizio a Ostia con Marchini, anche lì a sudare sotto il sole, per concludere in totale apnea («ha rischiato la vita» secondo il professor Zangrillo) con il party di 35 persone a sostegno della candidata Antonietto Postorivo, consorte del senatore D’Ali, la miseria di 323 preferenze a Roma.
RITORNO ALL’ANTICO  
C’è molto che non quadra agli occhi della famiglia (della figlia Marina in primis), nel modo malaccorto in cui questo signore di 79 anni è stato spremuto da chi, il «cerchio magico», s’è letteralmente impossessato di lui, mescolando sentimenti e politica in un grumo inestricabile.
Nel mirino non c’è, va chiarito, la fidanzata Francesca Pascale in quanto il suo legame con Silvio è fuori discussione; nemmeno è sotto tiro la portavoce Deborah Bergamini, la quale fa il mestiere suo.
Altrettanto non può dirsi però delle altre «vestali», in particolare di Mariarosaria Rossi, vera padrona del partito con potere di firma, e di Alessia Ardesi, onnipresente.
Sono loro a gestire l’agenda del Cav, a fissare gli impegni privati al pari di quelli politici senza distinzione, a filtrare incontri e telefonate in modo talmente ossessivo da costringere in più d’una circostanza Berlusconi a chiamare dal telefonino della sua scorta, per non dover passare dal centralino di Arcore.
Loro, che hanno fatto fuori i collaboratori storici del leader, dalla molto rimpianta segretaria Marinella Brambilla al portavoce Paolino Bonaiuti.
È così che Berlusconi progressivamente ha perso contatto col suo mondo. Legge quello che gli fanno vedere, parla con chi gli lasciano incontrare e stop.
Non c’è più colloquio, ormai, in cui personaggi del calibro di Gianni Letta, o dello stesso «Fidel» Confalonieri, possano confidarsi a tu per tu con Silvio perchè sempre intorno c’è qualcuna a sorvegliare.
Ora l’idea che matura tra i vecchi amici, e i famigliari, è di tornare all’antico. Con una segreteria che, quando Berlusconi starà  bene, si curerà  solo di lui. Senza guardare in faccia nessuno.
Marinella, se tornasse, sarebbe l’ideale.

Ugo Magri
(da “La Stampa“)

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