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COSI’ L’IMPERATORE CASALEGGIO CONTROLLA IL M5S

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

L’UNIVERSO PENTASTELLATO E’ UNA PIRAMIDE: CI SONO GLI ELETTORI MILITANTI, I POLITICI DI ROMA AFFAMATI DI POTERE E IL CAPO-AZIENDA CHE NELLA PENOMBRA FA GIRARE TUTTO.. TRE LIVELLI NON COMUNICANTI TRA LORO

L’Imperatore per diritto dinastico non siede mai. Resta in piedi, nella penombra, appoggiato al muro al lato della platea delle Officine H di Ivrea, per l’intera durata dell’evento in memoria del padre, riceve la fiumana di gente che viene a rendergli omaggio.
Pochi alla volta, ma per ore. Attivisti, amici, conoscenti, bambini, lobbisti, parlamentari. I più timidi approfittano del fatto che si trova lungo la traiettoria verso la toilette: andavo innocentemente in bagno e ops, ecco mi trovo davanti Davide Casaleggio, che sorpresa.
Come folgorati sulla via di Damasco, comunicatori e piccoli imprenditori si alzano di scatto dalla poltroncina, startupper emergono dalla folla, inventori scartano di lato, si avvicinano e fanno il loro numero.
C’è chi giunge le mani in segno di preghiera («dieci secondi soltanto»), chi consegna chiavette, biglietti da visita, raccomandazioni («con questi dovete parlarci»), strette di mano. Matteo si raccomanda per il suo caso personale, Giovanna vuol «ringraziare per tutto questo».
Il formicaio è in piena attività . L’Imperatore annuisce, sorride, svia.
Spegne qualsiasi domanda o assalto giornalistico, scatta soltanto quando vede una telecamera o macchina fotografica che lo stia puntando: solo allora fa passi veloci, allunga la mano a coprire l’obiettivo. Niente riprese, niente immagini. Non ne circolano, in effetti.
Quando non è impegnato coi fan – o con l’esclusione ignobile di giornalisti scomodi – Davide Casaleggio chiacchiera coi pochi ammessi a dialogo: Luca Eleuteri, cofondatore e braccio destro in Casaleggio Associati, Enrica Sabadini, trentacinquenne astro in ascesa e new entry nell’associazione Rousseau dopo l’uscita di David Borrelli, qualcun altro che rifiuta esplicitamente di dichiarare anche solo il proprio nome di battesimo – alla faccia della trasparenza.
Erano queste le scene della kermesse di Ivrea del 7 aprile per ricordare Gianroberto Casaleggio, il Fondatore. Un mondo a parte: mentre il magistrato Nino Di Matteo tra gli applausi scroscianti chiedeva si facesse chiarezza sulle stragi, Casaleggio jr confrontava la propria cover del telefonino con i più fidi (hanno tutti la stessa: chiara, con il disegno stilizzato di un palloncino rosso, dettaglio identitario-familiar-aziendale).
Clap clap destinati dall’Imperatore all’ospite più atteso dagli attivisti grillini: tre. Più interessato alla psicologa Maria Rita Parsi e ai suoi video coi bambini.
Alla fine della giornata ringrazierà  soprattutto «il mio circolo subacqueo, che si è riversato in massa». Il sospetto è che delle analisi e tattiche sulle alleanze, o le dosi di antiberlusconismo più appropriate al momento storico, il giorno per giorno della scalata al governo, lo lascino integralmente indifferente. Il che è tutt’altro che un dettaglio, trattandosi del padrone del primo partito d’Italia.
Ci sono luoghi in cui le cose si svelano. Ivrea è uno di questi.
E l’esatta disposizione piramidale, stratificata, non comunicante del potere a Cinque stelle è la vera domina, l’elemento più rilevante, di Sum02, l’evento annuale organizzato dalla Associazione Gianroberto Casaleggio per commemorare il fondatore dell’Impero (oltre a tutto il resto, Gianluigi Nuzzi, che il Cielo lo perdoni, presenta dal palco chiamandolo «Sam», come si trattasse di inglese).
Una visione d’insieme è impossibile – più che un mondo ordinato un formicaio in cui ciascuno ha a cuore un pezzettino, che gestisce in modo distinto, ma non scoordinato rispetto agli altri.
Ci sono almeno tre livelli, in ordine non intercambiabile: l’Imperatore e la sua azienda, la politica e il circo che le gira intorno, gli iscritti e gli attivisti.
E che è il capo – e non il leader politico – l’unico a contare davvero. L’evidenza è palmare.
Ancora meglio adesso, che Beppe Grillo, il volto su cui una volta poggiava tutto, il nume tutelare del blog omonimo (che adesso si è ripreso), interviene giusto ogni tanto, in funzione di rassicurazione, selfie e grigliate – perfetto nei panni del Garante, così come da nuovo statuto M5S.
Mentre a chi dagli ambienti di Forza Italia lo cerca – in virtù di passate collaborazioni – per trovare una interlocuzione finalizzata alla formazione del governo, il comico risponde: «Non ho idea di chi sia stato eletto, ti mando un contatto», e rinvia direttamente a Luigi Di Maio. Fine della fiera.
Conta Davide, dunque. Conta l’azienda, la rete d’intorno, e al limite la comunicazione che ad essa fa capo, cioè Rocco Casalino, intoccabile e intoccato trait d’union con i Palazzi di Roma.
Il resto è avvolto in una vaghezza opaca che è una cifra costante: sono vaghi i rendiconti, sono vaghi i ruoli, resta vago persino il numero di iscritti alla Associazione Gianroberto Casaleggio, che pure si annuncia «raddoppiato rispetto allo scorso anno» (raddoppiato rispetto a che cifra? «Non è un dato pubblico», rispondono le ragazze addette alla raccolta fondi).
Anche se poi M5S ha preso il 32 per cento con il nome di Di Maio, anche se è lui e non l’Imperatore quello in piena trattativa per il governo, nessuno a Ivrea si sogna di presentarsi alla corte dell’eventuale premier, che pure sta piantato in prima fila, pettinato e illuminato dai riflettori come uno che sia già  premier.
Di Maio, qui dentro, è uno dei tanti. È come Alfonso Bonafede, l’annunciato ministro ombra della Giustizia capace di ammettere candidamente di non avere potere di manovra nemmeno sul proprio accredito per l’ingresso («mi hanno dato questo badge, con il QrCode, se ne occupa una società  esterna»).
O come Paola Taverna, spigliatissima, persuasa a spostarsi nel più protetto retropalco dopo aver svolto davanti ai giornalisti una serie di dialoghi più adatti a un film di Verdone che al suo neoruolo di vicepresidente del Senato (ad esempio quello con la Iena trombata alle elezioni Dino Giarrusso: «Jaa famo, co ‘sto governo?», domanda lui. «Jaaa famo, jaaa famo» risponde lei).
O come Vincenzo Spadafora, potentissimo consigliori di Di Maio che però, giunto al cospetto dell’Imperatore, gli stringe la mano con timida cortesia e stop.
L’unico che comand
Vanno tutti da Casaleggio, per forza. È lui il presidente della Casaleggio Associati (oltrechè dell’Associazione Gianroberto Casaleggio) ed è presidente, amministratore unico e tesoriere della Associazione Rousseau – come ha notato il Foglio.
Cioè ha le chiavi del cuore del Movimento, e dell’azienda che, fra le altre cose, gli ha sviluppato la piattaforma: gli iscritti, i dati , le decisioni, i soldi che arrivano al Movimento Cinque stelle.
Che già  non sono pochi e che saranno sempre di più: finora quasi 600 mila euro alla Associazione Rousseau (per non parlare dei contributi pubblici che pioveranno sugli sterminati gruppi parlamentari), e adesso la manna dei 300 euro al mese che dovrà  versare ciascuno dei 339 parlamentari eletti (227 alla Camera, 112 al Senato), per un totale di 1,2 milioni l’anno, 6 per l’intera legislatura.
Un elemento da non sottovalutare, quando si parla di possibile e imminente ritorno alle urne: «Chi glielo fa fare, a Casaleggio, di rinunciare a tutti quei soldi per tornare a votare? In nome di che, della difesa di Di Maio premier?», è una delle riflessioni che si sentono più spesso tra i volponi di Palazzo.
Questo tema, intrecciato alle prospettive del futuro non immediato, è alla base dell’indicibile (e, infatti, negata) tensione che si è sviluppata in queste settimane tra l’ala Casaleggio e quella che gli sta subito sotto, il variopinto mondo di Luigi Di Maio.
Se Casaleggio, al di là  dell’incontro furiosamente smentito con Salvini solo un anno fa, ha comunque intessuto un filo con la Lega – e si tratta di una tradizione familiare, vista la simpatia che Gianroberto aveva per Umberto Bossi – e se a Ivrea la platea degli iscritti era più incline a sintonie con la Lega che con i dem, è vero che Di Maio è costretto a fare valutazioni diverse.
La regola dei due mandati, per ora, ha resistito a tutti gli assalti, persino all’ultimo, recentissimo: la chance di Giggino è dunque unica, questa qui. Mentre Davide, l’Imperatore, ha tutta una vita davanti. E un sacco di altri nomi su cui puntare.
Il sottogovern
Si capisce dunque, il sovraffollamento attorno. È il Cinque stelle che si prepara al sottogoverno, ancor più che al governo. È nelle liste di nomine con le quali raccontano giri il fedelissimo Stefano Buffagni, l’uomo del Nord che tiene i rapporti con i ceti produttivi e che si è confezionato una specie di schedina del Totocalcio dei prossimi collegi sindacali in scadenza.
È nei lobbisti e addetti alle relazioni istituzionali che cominciano a circolare attorno all’evento di Ivrea (l’anno scorso non c’erano).
È nel formicolare di interlocutori trasversali, che testimoniano l’attenzione da parte di mondi finora tutt’altro che scontati.
Se il fan del lavoro gratis Domenico De Masi e il sovranista Diego Fusaro sono felici di farsi i selfie insieme con lo sfondo di Sum02, un ex ministro del governo Letta come Massimo Bray stenta a trovare la voce per raccontare in pubblico di aver dibattuto di globalizzazione «con Luigi» alla Treccani, dopo che Di Maio l’aveva chiamato appositamente per approfondire.
Mondi che, in perfetto modello a Cinque stelle, spesso e volentieri nemmeno si conoscono tra loro. Sul punto si danno casi estremi: come quell’ospite che, alla vista di Andrea Scanzi, impegnato sul palco della Casaleggio in un monologo – curiosamente serio – sul fatto che «l’intellettuale non può fare il tifoso», e che il giornalista ha «il ruolo sacro» della «sentinella», abbia domandato candido al proprio vicino: «Ma questo chi è?».
Gente che non si conosce e a volte nemmeno si stima: il direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, Roberto Cingolani, è ad esempio inconciliabile con i profili no vax del Movimento. Come fanno a conciliarli? Già , come fanno? Un mistero.
Che però è alla base del funzionamento dei Cinque stelle. Secondo la teoria formiche-formicaio raccontata dallo stesso Davide Casaleggio nel giovanile “Tu sei rete”, ed evidenziata nel suo libro su M5S da Iacoboni (il giornalista che l’Imperatore ha messo alla porta) come chiave per significare il funzionamento di M5S: «I formicai rappresentano il miglior esempio di auto-organizzazione. Le formiche seguono una serie di regole applicate al singolo, attraverso le quali si determina una struttura molto organizzata, ma non centralizzata», è la teoria casaleggiana.
Affinchè questo sistema resista è necessario che le formiche non sappiano mai quali sono le regole: «Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti, tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi, creando un problema di coordinamento».
Nel formicaio, le cerchie nobili sono pronte a governare. La terza, quella di militanti e attivisti, resta un po’ indietro, avvinta ma perplessa per la piega che hanno preso gli eventi.
«Per la velocità  soprattutto, ci voleva più tempo per costruirci», dice un militante storico di Roma. La base, in fondo, è ancora quella più grillina, capace di discutere per ore di come si arriva all’obiettivo rifiuti zero. O di inceneritori, alberi, vetro, buche. «Andare al governo? Beh è chiaro che la prospettiva schiaccia tutto questo. Lo sappiamo, ma siamo cresciuti vorticosamente, persino oltre le aspettative», dice una attivista di Milano: «Che alternativa c’era?».

(da “L’Espresso”)

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LA CRISI DI CONDOTTE METTE A RISCHIO DECINE DI OPERE PUBBLICHE

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

DALLA STAZIONE TAV DI FIRENZE ALLA CITTA’ DELLA SALUTE DI SESTO S GIOVANNI

In molti non conoscono il nome della società , ma di certo hanno utilizzato una delle tante infrastrutture realizzate in lungo e in largo per l’Italia e nel mondo.
Si tratta della Società  italiana per Condotte d’Acqua (in breve Condotte) il colosso romano delle costruzioni che sta tenendo migliaia di dipendenti col fiato sospeso e molti cantieri aperti appesi ad un filo sottile.
La situazione economica — a cui di recente si è aggiunto lo scandalo giudiziario per corruzione che ha portato all’arresto presidente del consiglio di gestione Duccio Astaldi — mettono seriamente a rischio la prosecuzione di lavori strategici come il nodo dell’alta velocità  di Firenze (l’opera commissionata da Rfi e che vale circa 800 milioni), il lotto Rosolini-Modica della superstrada Siracusa-Gela (215 milioni per l’opera commissionata dal Consorzio per le autostrade siciliane), la Città  della Salute a Sesto San Giovanni (900 milioni), e il nuovo Policlinico di Caserta (121 milioni).
Ma i problemi potrebbero arrivare anche per le opere da realizzare tramite un consorzio con altre aziende, che rischiano di dover trovare un nuovo partner che sostituisca il colosso romano: tra queste c’è la tratta dall’alta velocità  Brescia-Verona (Condotte ha il 12%) e quella Verona-Vicenza (Condotte ha l’11%), il lotto austriaco del Brennero (Condotte ha il 35%) e il Mose di Venezia per il quale fa parte, insieme ad altre nove società , del Consorzio Venezia Nuova.
I problemi di Condotte — a capo del terzo gruppo di costruttori in Italia con 1,3 miliardi di fatturato consolidato e 5-6mila dipendenti — si sono palesati all’improvviso l’8 gennaio scorso quando i vertici hanno presentato al Tribunale di Roma la richiesta di concordato in bianco per far fronte, spiegava una nota, “al corposo portafoglio ordini (arricchito nel corso del 2017 da nuovi lavori che lo hanno portato a circa sei miliardi di euro) e all’oggettiva difficoltà  di incasso degli ingenti crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni”.
La mossa a sorpresa è servita a bloccare le azioni esecutive e le istanze di fallimento dei creditori di Condotte: in primis le banche, verso le quali è esposta per 767 milioni di euro (secondo il bilancio 2016) e i fornitori ai quali deve oltre un miliardo.
Ora l’azienda ha tempo fino al 18 maggio (scadenza indicata dal Tribunale) per presentare un piano di concordato o soluzioni alternative in grado di rilanciare l’attività .
Nelle intenzioni di Condotte tale mossa dovrebbe servire a portare al tavolo delle trattative gli istituti di credito e arrivare alla ristrutturazione del debito bancario, magari allungando le scadenze attuali.
L’obiettivo è creare una Newco che inglobi la parte sana dell’azienda e il portafoglio ordini da 6 miliardi e lasciare i debiti all’interno di una bad company su cui accordarsi con le banche oppure proseguire sulla strada del concordato che comunque porterebbe ad un rimborso parziale dei debiti.
Nonostante la crisi del comparto edile sia da anni sotto gli occhi di tutti, la richiesta di concordato da parte di Condotte stride con la storia di un’azienda che ha sempre navigato in buone acque grazie ad un portafoglio commesse sempre più pesante in Italia e all’estero.
La società  infatti fa sapere che non si tratta di una crisi industriale o di una carenza di lavoro, ma piuttosto di una crisi di liquidità  causata soprattutto dai mancati pagamenti da parte dello Stato.
Guardando il bilancio 2016 di Condotte salta all’occhio l’indebitamento di circa due miliardi a fronte di un patrimonio della società  di 214 milioni e il calo, nel giro di un anno, da 231 a 149 milioni delle disponibilità  liquide.
Del totale dei debiti, i crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione ammontano a 867 milioni di euro, un buco che nel 2017 ha continuato a crescere fino a sfiorare il miliardo.
Tra i responsabili del deterioramento dei conti di Condotte ci sono i grandi mali del comparto edile italiano: i tempi lunghi di cantierizzazione, la progettazione carente che comporta varianti in corso d’opera, i cantieri bloccati per motivi di varia natura, lo Stato avanzamento lavori (Sal) non pagato, i contenziosi aperti con le stazioni appaltanti e le Amministrazioni, i tempi biblici per i pagamenti.
L’esempio più calzante di questo quadro arriva da Firenze dove Condotte guida Nodavia, il consorzio che nel 2007 vinse l’appalto per la realizzazione della stazione sotterranea Foster, per il nodo dall’Alta velocità .
I lavori sono stati bloccati nel 2013 da un’inchiesta della procura di Firenze che ipotizzava il traffico illecito di rifiuti e che portò al sequestro della “talpa” Monnalisa. La questione dello smaltimento delle terre da scavo è ad oggi ancora irrisolta. Secondo Rfi dovrebbe arrivare a breve il via libera definitivo del Ministero dell’Ambiente al Piano di utilizzo delle terre (Put) bocciato a aggiornato dal consorzio Nodavia per ben due volte negli ultimi due anni. Intanto Rfi nel maggio 2017 ha deciso di riprogettare la stazione Foster; mossa che ha aperto una causa con Condotte per presunti extracosti per un valore di 130 milioni di euro.
Ad oggi, fanno sapere da Condotte, i lavori per la Tav fiorentina sono costati circa 100 milioni di euro, anticipati dall’azienda per pagare la fresa (trenta milioni) più un milione circa al mese di stipendi e manutenzione per tenere aperto un cantiere fermo da anni.
Solo per i lavori di Firenze, l’azienda sostiene di avere un contenzioso aperto con Rfi per quasi 500 milioni di euro.
E l’Odissea della Tav fiorentina non è ancora finita: nei giorni scorsi anche il Consorzio Nodavia ha presentato un’istanza di prenotazione per il concordato al tribunale di Reggio Emilia (dove ha sede) perchè, spiega il consorzio, “per le oggettive difficoltà  di incasso dei crediti relativi agli extracosti maturati, Nodavia deve intraprendere un percorso di ristrutturazione dei propri debiti”.
Altro esempio è la nuvola di Fuksas a Roma (il nuovo centro congressi della Capitale) per la quale Condotte ha vinto una causa contro la Eus Spa che deve ancora versare al colosso romano 190 milioni.
A questo si aggiungono i rallentamenti dei cantieri del Terzo Valico a causa dell’inchiesta su Cociv; ma anche problemi di extracorsti non riconosciuti nell’autostrada in Algeria, e i contenziosi giudiziari in corso a Panama per impianti sportivi e un ospedale.
E il quadro italiano, costituito dalla crisi, dal concordato e dalle inchieste giudiziarie, pesa anche sugli appalti all’estero, da cui proviene circa metà  del fatturato.
L’azienda senza liquidità  e coinvolta in presunti casi di corruzione infatti inizia a trovare porte chiuse anche al di là  delle Alpi. Altro elemento che di certo non aiuta.

(da “Business Insider”)

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LA DENUNCIA DI BOERI: “I SINDACATI AMMICCANO AI POPULISTI CHE VOGLIONO SPENDERE ANCORA DI PIU’ E DIMENTICARE I VINCOLI DI BILANCIO”

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

“COME SI FA A PROPORRE LA FLAT TAX QUANDO ABBIAMO UN DEBITO PUBBLICO INSOSTENIBILE O PENSARE DI RIDURRE IL DEBITO AUMENTANDO LA SPESA PUBBLICA?”

Lo scorso anno li aveva attaccati perchè “sembrano seguire le stesse logiche del ciclo politico dei parlamentari” e “non difendono i salari“.
Ora il presidente dell’Inps, Tito Boeri, torna a criticare i sindacalisti. “Il sindacato nostrano mostra sempre più attenzione a ciò che è fuori dal mondo del lavoro anzichè a ciò che è dentro”, ha detto l’economista a margine della presentazione del Festival dell’economia di Trento, “e che pure mostra tanti problemi. Vedo degli ammiccamenti a chi propone di spendere ancora di più, dimenticando i vincoli di bilancio. Ma i sindacati dovrebbero sapere che i populismi hanno sempre portato alla distruzione dei corpi intermedi, quali loro sono”.
I giudizi di Boeri derivano dalla lettura di “alcune interviste entusiaste su certe tesi”, ha spiegato il docente della Bocconi e cofondatore de lavoce.info.
Secondo cui bisogna tornare a “studiare i dati e quello che i dati ci suggeriscono” e dichiarare guerra al “negazionismo” di “chi propone la flat tax con un debito pubblico insostenibile, chi dice che rispettare i vincoli di bilancio significa sostenere le elite corrotte, chi dice di ridurre il debito aumentando la spesa pubblica, chi sceglie sempre ciò che è più semplice negando che esistano situazioni che invece sono complesse”. “Se tutto fosse facile, l’Italia non sarebbe ancora nella situazione difficile in cui è”, ha chiosato. “Questa è la dimostrazione che non tutto è semplice”.
Boeri è anche tornato sulle misure anti povertà  già  in campo e sul reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle, ripetendo che l’attuale reddito di inclusione “è ancora parziale, sottofinanziato, ma va nella direzione giusta”.
Per il numero dell’Inps, il Rei va “potenziato” e “reso capace davvero di raggiungere le persone in situazione di indigenza”, tramite trasferimenti “un po’ più consistenti”. La nuova apertura arriva proprio nelle ore in cui il reggente Pd Maurizio Martina mette al primo posto nella lista delle priorità  dei dem la lotta alla povertà  attraverso l’allargamento del Reddito di inclusione: una proposta che arriva di fatto a coincidere con quella che il Movimento sta mettendo nero su bianco nella propria risoluzione al Def, in attesa di riformare i Centri per l’impiego chiamati a gestire il reddito di cittadinanza.
“C’è bisogno di dare aiuto in modo continuativo ai ‘perdenti duraturi’, — ha spiegato — a certe persone che perdono lavoro tra i 45 ai 50 anni, lontani dalla pensione e che difficilmente hanno un mercato lavoro di fronte. Chiaramente un sistema di assistenza sociale, un reddito minimo ha questa funzione. Per fortuna noi abbiamo posto un rimedio con il Rei, ancora uno strumento parziale e sottosviluppato ma va nella direzione giusta”.
Secondo Boeri, oggi i sistemi di protezione sociale non sono in grado di gestire i nuovi problemi “distributivi” che il progresso tecnologico porta con sè.
“Sono stati introdotti con l’obiettivo di contenere i costi sociali delle fluttuazioni cicliche, ma non sembrano oggi in grado di affrontare problemi strutturali di lungo periodo, come quelli legati al futuro di chi di colpo ha visto il proprio capitale umano deprezzarsi grandemente. Non sono oggi in grado di coprire le nuove forme del lavoro dipendente, che spesso si traveste da lavoro autonomo, come in molta dell’economia dei lavoretti nata utilizzando le piattaforme digitali”.
Vedi i fattorini che consegnano il cibo a domicilio per pochi euro all’ora e che secondo una recente sentenza del tribunale di Torino non possono essere considerati lavoratori subordinati nonostante la richiesta di costante reperibilità  e il monitoraggio dei loro movimenti da parte dell’azienda.

(da agenzie)

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IL VERO DEGRADO DELL’ITALIA: RAGAZZINA VITTIMA DEI BULLI SI BUTTA DALLA FINESTRA

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

A DICEMBRE LA MADRE AVEVA PRESENTATO DENUNCIA AI CARABINIERI, COME AL SOLITO NON E’ UN SERVITO A UN CAZZO

Prese in giro continue, foto, insulti via chat.
La ragazzina, tredici anni, frequentante la seconda media in un paese del Veneziano, non ne può più e si confida con la mamma che il 16 dicembre scorso presenta una denuncia ai carabinieri.
Ma i compagni bulli non smettono, se non per un breve periodo.
La faccenda negli ultimi tempi viene anche raccontata anche alla dirigente scolastica. Lei (si omette il nome per tutelare la sua privacy), raccontano gli avvocati Walter Drusian e Matteo Giuseppe D’Anna, comincia a compiere atti di autolesionismo ed è seguita da uno psicologo
Ma ieri, poco prima di mezzogiorno, la ragazza mentre si trovava a scuola ha chiesto di andare in bagno e si è gettata dalla finestra.
Un volo dal primo piano. In ospedale le hanno riscontrato la frattura dell’anca, ma non è in gravi condizioni. All’inizio non si capivano le motivazioni del gesto, ma l’indagine sul recente passato ha svelato la sofferenza della ragazza.
Sulla vicenda ora indagano i carabinieri e la procura presso il tribunale dei minori. “Confido nell’attività  della Procura”, dice la mamma che, come spiegano gli avvocati, ha fatto tutto quello che poteva per proteggere sua figlia.
Un ragazzo su dieci ha subito azioni di cyberbullismo, mentre il 21% è a conoscenza di persone vittime del bullismo online, spiega un’indagine di Save the Children-Ipsos. E il 72% dei giovanissimi vede nel cyberbullismo la principale minaccia per se stessi. Dallo scorso anno esiste anche una legge a tutela delle vittime del fenomeno.
Evidentemente non serve a una mazza.

(da agenzie)

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IL VERO DEGRADO DELL’ITALIA, PROFESSORE BULLIZZATO E FILMATO DALLO STUDENTE: “DAMMI IL 6, NON FARMI INCAZZARE”

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

IN UN ISTITUTO TECNICO DI LUCCA TEPPISTELLO MINACCIA INSEGNANTE, NESSUNO REAGISCE IN DIFESA DEL DOCENTE… IN UNO STATO CHE SI RISPETTI TUTTI ESPULSI E CAMPI DI RIEDUCAZIONE DA FARTI RIMPIANGERE DI ESSERE VENUTO AL MONDO

Un ragazzo, davanti a un brutto voto, inizia a urlare contro il professore. È alla cattedra, in piedi. Lo minaccia: «Prof, non mi faccia incazzare, non mi faccia incazzare». Grida. In un’aula dell’Istituto tecnico commerciale “F. Carrara”, a due passi dalle Mura di Lucca, l’ennesimo attacco a un insegnante.
Una scena ripresa dai compagni di classe, tra risate e consensi: nel giro di poche ore diventerà  un video, venti secondi choc, che prima percorrono i canali dei gruppi WhatsApp, e in serata approdano su Facebook.
È una classe del primo biennio. Il docente è seduto, lo sguardo basso: sceglie il silenzio, nella speranza che la tempesta si plachi. Lo studente, jeans scuri e maglione lungo, tenta di strappargli dalle mani il registro elettronico e alza di nuovo la voce: «Mi metta sei».
A quel punto il prof si alza: ha resistito, trattenendo il tablet nelle proprie mani. Sulla scrivania i suoi occhiali, i fogli sparsi. C’è tensione.
Mentre l’insegnante continua a non rispondere alla provocazione, il ragazzo lo apostrofa: «Chi è che comanda, eh?». Glielo ripete: «Chi è che comanda? Si inginocchi». Una colonna sonora di risatine. In sottofondo i compagni di classe ridono: il professore è impotente, forse per scelta. Qui la registrazione si interrompe.
L’indomani è il giorno della tensione, delle stanze chiuse e delle reazioni dure.
«Ora rischiano tutti. È stato un gesto molto grave che merita una punizione esemplare», commenta il dirigente del “Carrara”, Cesare Lazzari.
«Ho guardato il video e credo che il gesto di obbligare l’insegnante a cambiare il voto fosse funzionale alla registrazione. Se avessero registrato per avere una prova e denunciare questa storia, avrei capito. Ma la loro priorità  era quella di girare immagini da mostrare, da esibire. Si sono scambiati quell’episodio indegno di cellulare in cellulare; io l’ho saputo solo da persone esterne».
Venerdì pomeriggio intanto si riunirà  il consiglio di classe poi sarà  la volta di un incontro con la provveditora agli studi di Lucca, Donatella Buonriposi.
È la liturgia delle burocrazie e dei percorsi formali, dovuti, necessari, così inconciliabili con i tempi forsennati delle divulgazioni sui social, della viralità . Un passaparola che diventa irrisione.
E nessuno, tra le nuvolette dei gruppi chiusi di conversazione, spende una parola in difesa del professore.
Sempre a Lucca, circa due mesi fa una professoressa di un’altra scuola superiore, l’istituto di Scienze Umane “Paladini” era stata aggredita da un alunno: il ragazzo le aveva messo le mani al collo, per cinque giorni di prognosi. Secondo i sindacati la portata del fenomeno rischia di raggiungere livelli preoccupanti se non si interverrà  per tutelare i docenti.

(da “La Stampa”)

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IL VERO DEGRADO DELL’ITALIA: FANNO GIRARE IL VIDEO DELLA AMICA 13ENNE NUDA, 12 LICEALI SOSPESI A MILANO

Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile

“SVOLGERANNO LAVORI SOCIALMENTI UTILI”: SAI CHE GLIENE FREGA … SOSPESI SOLO PER 10 GIORNI

Hanno messo in chat il video di una loro amica, all’epoca tredicenne e, per questo, dodici liceali che frequentano un Liceo scientifico a Milano sono stati sospesi per dieci giorni in cui svolgeranno lavori socialmente utili come ripulire cortili, aule e biblioteche.
La notizia è riportata dal ‘Corriere della Sera’ il quale spiega che il video era stato mandato dalla ragazza a un suo ex fidanzato quando erano alle scuole medie. L’adolescente l’aveva fatto circolare tra i ragazzi con cui giocava a calcio e i genitori della giovane, cercando di proteggerla, non avevano denunciato l’episodio, parlandone solo con i genitori del’amico.
Il video, però, è rispuntato al liceo e il preside ha convinto i genitori della ragazza a denunciare la vicenda della quale si sta occupando ora anche la Procura dei minori mentre i dodici sono stati sospesi per dieci giorni.
“La pena più severa che si ricordi da vent’anni a questa parte”, commenta un docente mentre il pm dei minori Annamaria Fiorillo spiega che “ci capitano un paio di storie al mese di questo tipo e l’indagine è particolarmente complessa perchè il materiale di fronte alla legge è a tutti gli effetti pedopornografico, ma spesso il procedimento resta a carico di minori di 14 anni, quindi non imputabili”.
Già  che una sospensione per dieci giorni sia considerata “la pena piu’ severa da 20 anni a questa parte” fa sorridere. Se poi è vero che i minori di 14 anni non sono imputabili, qua si tratta di liceali, quindi over 14 anni. In ogni caso esiste la responsabilità  dei genitori, si cominci a contestare quel reato e di fronte a risarcimenti in sede civile qualcuno comincerà  a preoccuparsi dei figli.

(da agenzie)

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